CAP.11
PICCOLI FRANTUMI, GRANDE DOLORE ____
Fu una cena piacevole, come non ne passavo da
anni. L’allegria di Nicholas rendeva l’atmosfera
frizzante e il cibo sembrava
avere addirittura un altro sapore. Risi parecchio e vidi con piacere
che anche
Leah si divertì. Immagino che sia al settimo cielo per avere
con sé il fratello
dopo chissà quanto tempo. Tra una chiacchiera e
l’altra, arrivarono le nove e
Nicholas ci salutò per andare a dormire. Anche io e Leah ci
alzammo: io sparecchiavo
e lei lavava i piatti. Mi ero offerto di lavarli io al posto suo, ma mi
liquidò
dicendo che non aveva più guanti da darmi. Una volta che
ebbi finito, la
raggiunsi per aiutarla almeno ad asciugare i piatti e a metterli via.
Anche
questa volta, il tutto avvenne in completo silenzio… un
silenzio troppo
pesante…
-
Biondino? -
-
… guarda che non muori se mi chiami per nome. -
-
Schiavetto? -
-
… si? - È inutile insistere, temo…
-
Cosa ti è successo oggi? -
-
Non credo che siano cose che ti possano riguardare. -
-
Oh si, invece. Te l’ho già detto al parco: sei il
mio
schiavetto, quindi, ti ordino di dirmelo. -
Strinsi
le labbra e non risposi subito. Non mi andava giù
questa storia dello “schiavetto personale”. Ma,
d’altronde, me la sono cercata…
sospirai rassegnato e iniziai col racconto.
Prima
di tutto, le raccontai di mio padre, del suo modo
di opprimermi in ogni cosa che facevo e di programmare la mia vita
attuale e
futura. Poi le raccontai della sua preferenza verso mia sorella,
coprendola in
tutto ciò che faceva (giusto o sbagliato che fosse) e
soddisfacendo ogni suo
capriccio. Infine, le raccontai della mia sfuriata durante il pranzo
(omettendo
il fatto che furono le sue parole a darmi la spinta per farlo) e della
telefonata con mia madre.
-
Io vorrei iscrivermi alla facoltà di farmacia, ma lui
lo considera un lavoraccio… e mi obbliga a frequentare
giurisprudenza, una
facoltà “ideale per un genio”, come dice
lui. -
Rimase
in silenzio per un po’ (ebbi il tempo di mettere
via tutti i piatti) finchè non rise.
-
Sai, avrei voluto vederti. Hai rotto una caraffa e un
quadro? Complimenti. -
-
Non scherzare. Mia madre vorrà un risarcimento. -
-
E con ciò? Hai finalmente dimostrato di avere fegato,
è
per questo che tuo padre non si è arrabbiato. -
-
Non ho reagito, prima d’ora, perché non avevo un
riscontro da parte sua. -
-
Errore. Tu non reagivi perché non avevi le palle per
farlo! - E si voltò verso di me. Aveva uno sguardo strano.
Era come ieri, nello
sgabuzzino della palestra. - E ora le hai. La domanda è:
continuerai ad averle
o spariranno? -
Mi
guardava fisso negli occhi e il suo sguardo si fece
più intenso. Deglutì. Mi sentivo agitato e
sentì il cuore battere più veloce,
le mani sudare e un brivido mi corse lungo la schiena quando lei mi si
avvicinò
e mi accarezzò il viso.
-
Ed ecco la tua ira. Sono due su sette. Ora, devi
mostrarmi gli altri cinque. -
-
Perché? -
-
Per il patto stipulato. -
-
Si, ma perché proprio questo? Con tutte le cose che
potevi chiedermi, proprio questo… perché? -
-
Perchè voglio strapparti la maschera e vedere il vero
te stesso. Voglio vederti. -
Si
era avvicinata molto e senza rendermene conto, mi
ritrovai letteralmente con le spalle al muro. Non avevo vie di scampo.
Lei
inclinò la testa di lato e i capelli le scivolarono dietro
le spalle mostrando
il neo che ha sul collo. Mi ritrovai a fissarlo e una voglia matta di
baciarlo
mi pervase. Ma mi trattenni. A fatica, ma mi trattenni. Distolsi lo
sguardo da
lei e mi misi a fissare il soffitto. Dovevo distrarmi o le sarei
saltato
addosso!
-
B-beh… non credo che tu sia cieca, no? Mi stai vedendo
proprio ora. -
-
Non fare il cretino. Hai capito benissimo cosa intendo.
- Mentre parlava mi accarezzava il collo, sfiorandolo
dall’alto verso il basso
raggiungendo la clavicola per poi tornare su. Sentivo la faccia in
fiamme. E mi
venne l’affanno.
-
Perché ti trattieni? -
-
P-perché… -
-
Perché sei un cretino. Ma molto carino, devo
ammetterlo. Altri, al tuo posto, avrebbero già ceduto. - Era
un complimento?
-
Lasciati andare. Con me puoi farlo. - Tornai a
guardarla. Era bella come non mai. La sua bocca socchiusa mi reclamava
e poi mi
sorrise. Un sorriso dolce, diverso dal solito.
-
Leah… -
Riprese
a fare su e giù col dito sul mio collo per poi
soffermarsi sul segno del morso che mi aveva lasciato. Lo
fissò per pochi
istanti sorridendo, poi si alzò sulle punte e
iniziò a bacialo, spostandosi
lungo tutto il collo e stringendosi a me. Maledizione…
è inutile negarlo
ancora… lei mi piaceva. Molto. Avrei tanto voluto farla
continuare e lasciarmi
andare… ma lei… uno dei sette peccati capitali
è la lussuria. Ed è questo quello
che vuole da me. Nient’altro. Ma non era quello che volevo
io. Poggiai le mani
sulle sue spalle e l’allontanai. Mi fissò con aria
interrogativa.
-
No, Leah. Non posso… -
-
No? -
Mi
decisi ad agire. Voglio vedere la sua reazione, voglio
vedere se sono solo io ad essermi innamorato o se anche lei prova
qualcosa per
me. Anche solo un piccolo, minuscolo sentimento… qualsiasi
cosa… presi fiato…
-
No, perché io voglio fare l’amore con te. Non
sesso. Perché
mi sono innamorato di te. -
Silenzio.
Il suo viso, dopo un breve attimo di stupore,
tornò inespressivo, ma gli occhi rimasero puntati su di me.
Le sue mani, prima
incrociate dietro la mia nuca, ora allontanavano le mie dalle sue
spalle. Eh
già… come immaginavo, non ero ricambiato.
-
Vattene, Nathaniel. -
Era
la prima volta che mi chiamava per nome. Dovrei
essere felice, ma sentì solo una fitta al cuore e lo stomaco
stringersi in una
morsa parecchio dolorosa. Senza perdere tempo, mi diressi verso
l’ingresso,
recuperai la giacca e uscì.
Il
viaggio di ritorno a casa passò più velocemente
del
previsto. Avevo la testa vuota e non riuscivo a metabolizzare, nemmeno
a pensare
il suo rifiuto. Ma che mi aspettavo? Era ovvio che non ero corrisposto.
Probabilmente per lei ero solo un passatempo, un giochino da usare nei
momenti
di noia. E io che le davo corda. Mi ero addirittura innamorato! Che
stupido…
-
Nath!- La voce di mia madre mi riportò alla
realtà (non
mi ero accorto di essere rientrato in casa). La vidi corrermi incontro
a
braccia aperte e mi preparai per un suo abbraccio. Non dovetti
attendere molto.
La sentivo dire qualcosa e mi sentivo rispondere, ma era tutto ovattato
e non
mi ricordo né cosa mi disse né cosa le risposi.
Volevo solo farmi una doccia e
buttarmi nel letto. Così mi congedai e mi diressi in bagno,
con la promessa che
il giorno dopo avremmo parlato.
Speravo
vivamente che la doccia mi restituisse un po’ di
lucidità, ma non fu così. Mi ritrovai sotto le
coperte senza nemmeno rendermi
conto di come ci ero arrivato. In posizione supina, puntai lo sguardo
al
soffitto e finalmente riuscì a rielaborare
l’accaduto.
“Vattene,
Nathaniel”. A quelle
parole, la mia solita lucidità tornò. E con
essa, anche il dolore al petto e la morsa allo stomaco…
Dio… perché dovevo
stare così male? Infondo lo sapevo. Sapevo che lei non mi
voleva bene in quel
modo… però, una piccola parte di me ci sperava.
Ed era quella piccola parte che
si era frantumata in mille pezzi facendomi un male incredibile. Mi
morsi il
labbro e appoggiai un braccio sugli occhi, schiacciando leggermente in
modo da
impedirmi di piangere. Non so fino a che punto ci riuscì, ma
fu in quella posizione
che mi addormentai.
Il
giorno seguente, dopo aver chiesto scusa a mia madre
per la caraffa e il quadro, dopo averle promesso un risarcimento danni,
dopo
aver subito mia sorella che mi mostrava entusiasta
quell’orrendo vestito che
papà le aveva comprato, raccolsi il coraggio ed andai da
lui. Era seduto sulla
poltrona in pelle nel suo studio e mise via il giornale che stava
leggendo,
dopo averlo accuratamente piegato, non appena entrai nella stanza. Mi
fissò a
lungo in attesa delle mie scuse. Non avevo voglia di altre discussioni,
non ero
dell’umore adatto.
-
Mi scuso per la mia reazione esagerata. -
-
Sei scusato. -
-
Ma non mi scuso per quello che ho detto. La mia
intenzione è sempre quella di diventare farmacista. Con o
senza il tuo
permesso. - E mio padre fece una cosa che mi sorprese molto. Sorrise.
Sorrise
soddisfatto.
-
Bravo, Nath. Hai avuto fegato. Sia a far valere le tue
convinzioni sia a chiedere scusa al tuo nemico. È importante
avere fegato in
questo mondo. -
Leah
aveva ragione su mio padre.
Lunedì
arrivò in fretta, ma la mia testa era ancora
annebbiata e non riuscivo a seguire le lezioni come al solito,
tant’è che non
mi accorsi dell’arrivo dell’intervallo e nemmeno
che Lysandro si era avvicinato
a me (il che è allucinante… chi non vedrebbe
arrivare un colosso vittoriano
come lui?). Alzai la testa pensando di aver capito perché si
stesse avvicinando.
-
Ancora prove oggi pomeriggio? -
Lysandro
inclinò leggermente la testa di lato e aggrottò
le sopracciglia.
-
Ma che dici? Non possiamo fare le prove. -
-
Ah no? -
-
No, dato che non c’è Leah. - Come? Leah non
c’è?
Sorpreso, mi voltai verso le finestre e mi resi effettivamente conto
che Leah
non era in classe.
-
È uscita
prima?
-
-
Nathaniel, ma dove hai la testa? È assente! -
-
Assente? E perché? -
-
Speravo che potessi dirmelo tu. -
-
E perché io dovrei sapere quello che fa Leah? -
Lysandro sbuffò. Sembrava irritato e anch’io stavo
iniziando ad alterarmi.
-
Lo sai o no? -
-
No, non lo so! E non vedo come la cosa potrebbe
importarmi. -
Lysandro
scosse la testa e uscì dalla classe. Tornai a
guardare il banco di Leah vuoto. Perché non è
venuta in classe? Non aveva il
coraggio di vedermi dopo sabato? Naa… è fuori
discussione. Non è così vigliacca
da… un momento… questa non è la prima
volta che Leah faceva assenze. Anche durante
il terzo anno si assentò, e per parecchio tempo (circa tre
mesi). Ricordo che
in quell’occasione, sentì Lysandro dire a Castiel
qualcosa riguardo… oh mio
Dio! Mi alzai di scatto, facendo cadere la sedia. Presi la giacca in un
lampo e
corsi fuori, ignorando tutto e tutti. Uscì dalla scuola e,
una volta raggiunta
la fermata giusta, salì sull’autobus 7.