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Autore: cisqua92    21/06/2014    1 recensioni
Dopo un po’, mi accorsi che non stavo più cercando di capire cosa si dicevano, ma stavo osservando lei. Mi rapì lo sguardo. Guardarla tirare pugni contro quel povero sacco, gridando di tanto in tanto, muoversi intorno ad esso… non so… la trovai affascinante ed elegante a suo modo. Anzi, no. Meglio ancora: elegantemente feroce, come una tigre. Si. È l’animale che meglio la descrive in questo preciso istante.
Genere: Drammatico, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nathaniel, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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CAP.11 PICCOLI FRANTUMI, GRANDE DOLORE ____   Fu una cena piacevole, come non ne passavo da anni. L’allegria di Nicholas rendeva l’atmosfera frizzante e il cibo sembrava avere addirittura un altro sapore. Risi parecchio e vidi con piacere che anche Leah si divertì. Immagino che sia al settimo cielo per avere con sé il fratello dopo chissà quanto tempo. Tra una chiacchiera e l’altra, arrivarono le nove e Nicholas ci salutò per andare a dormire. Anche io e Leah ci alzammo: io sparecchiavo e lei lavava i piatti. Mi ero offerto di lavarli io al posto suo, ma mi liquidò dicendo che non aveva più guanti da darmi. Una volta che ebbi finito, la raggiunsi per aiutarla almeno ad asciugare i piatti e a metterli via. Anche questa volta, il tutto avvenne in completo silenzio… un silenzio troppo pesante…
- Biondino? -
- … guarda che non muori se mi chiami per nome. -
- Schiavetto? -
- … si? - È inutile insistere, temo…
- Cosa ti è successo oggi? -
- Non credo che siano cose che ti possano riguardare. -
- Oh si, invece. Te l’ho già detto al parco: sei il mio schiavetto, quindi, ti ordino di dirmelo. -
Strinsi le labbra e non risposi subito. Non mi andava giù questa storia dello “schiavetto personale”. Ma, d’altronde, me la sono cercata… sospirai rassegnato e iniziai col racconto.
Prima di tutto, le raccontai di mio padre, del suo modo di opprimermi in ogni cosa che facevo e di programmare la mia vita attuale e futura. Poi le raccontai della sua preferenza verso mia sorella, coprendola in tutto ciò che faceva (giusto o sbagliato che fosse) e soddisfacendo ogni suo capriccio. Infine, le raccontai della mia sfuriata durante il pranzo (omettendo il fatto che furono le sue parole a darmi la spinta per farlo) e della telefonata con mia madre.
- Io vorrei iscrivermi alla facoltà di farmacia, ma lui lo considera un lavoraccio… e mi obbliga a frequentare giurisprudenza, una facoltà “ideale per un genio”, come dice lui. -
Rimase in silenzio per un po’ (ebbi il tempo di mettere via tutti i piatti) finchè non rise.
- Sai, avrei voluto vederti. Hai rotto una caraffa e un quadro? Complimenti. -
- Non scherzare. Mia madre vorrà un risarcimento. -
- E con ciò? Hai finalmente dimostrato di avere fegato, è per questo che tuo padre non si è arrabbiato. -
- Non ho reagito, prima d’ora, perché non avevo un riscontro da parte sua. -
- Errore. Tu non reagivi perché non avevi le palle per farlo! - E si voltò verso di me. Aveva uno sguardo strano. Era come ieri, nello sgabuzzino della palestra. - E ora le hai. La domanda è: continuerai ad averle o spariranno? -
Mi guardava fisso negli occhi e il suo sguardo si fece più intenso. Deglutì. Mi sentivo agitato e sentì il cuore battere più veloce, le mani sudare e un brivido mi corse lungo la schiena quando lei mi si avvicinò e mi accarezzò il viso.
- Ed ecco la tua ira. Sono due su sette. Ora, devi mostrarmi gli altri cinque. -
- Perché? -
- Per il patto stipulato. -
- Si, ma perché proprio questo? Con tutte le cose che potevi chiedermi, proprio questo… perché? -
- Perchè voglio strapparti la maschera e vedere il vero te stesso. Voglio vederti. -
Si era avvicinata molto e senza rendermene conto, mi ritrovai letteralmente con le spalle al muro. Non avevo vie di scampo. Lei inclinò la testa di lato e i capelli le scivolarono dietro le spalle mostrando il neo che ha sul collo. Mi ritrovai a fissarlo e una voglia matta di baciarlo mi pervase. Ma mi trattenni. A fatica, ma mi trattenni. Distolsi lo sguardo da lei e mi misi a fissare il soffitto. Dovevo distrarmi o le sarei saltato addosso!
- B-beh… non credo che tu sia cieca, no? Mi stai vedendo proprio ora. -
- Non fare il cretino. Hai capito benissimo cosa intendo. - Mentre parlava mi accarezzava il collo, sfiorandolo dall’alto verso il basso raggiungendo la clavicola per poi tornare su. Sentivo la faccia in fiamme. E mi venne l’affanno.
- Perché ti trattieni? -
- P-perché… -
- Perché sei un cretino. Ma molto carino, devo ammetterlo. Altri, al tuo posto, avrebbero già ceduto. - Era un complimento?
- Lasciati andare. Con me puoi farlo. - Tornai a guardarla. Era bella come non mai. La sua bocca socchiusa mi reclamava e poi mi sorrise. Un sorriso dolce, diverso dal solito.
- Leah… -
Riprese a fare su e giù col dito sul mio collo per poi soffermarsi sul segno del morso che mi aveva lasciato. Lo fissò per pochi istanti sorridendo, poi si alzò sulle punte e iniziò a bacialo, spostandosi lungo tutto il collo e stringendosi a me. Maledizione… è inutile negarlo ancora… lei mi piaceva. Molto. Avrei tanto voluto farla continuare e lasciarmi andare… ma lei… uno dei sette peccati capitali è la lussuria. Ed è questo quello che vuole da me. Nient’altro. Ma non era quello che volevo io. Poggiai le mani sulle sue spalle e l’allontanai. Mi fissò con aria interrogativa.
- No, Leah. Non posso… -
- No? -
Mi decisi ad agire. Voglio vedere la sua reazione, voglio vedere se sono solo io ad essermi innamorato o se anche lei prova qualcosa per me. Anche solo un piccolo, minuscolo sentimento… qualsiasi cosa… presi fiato…
- No, perché io voglio fare l’amore con te. Non sesso. Perché mi sono innamorato di te. -
Silenzio. Il suo viso, dopo un breve attimo di stupore, tornò inespressivo, ma gli occhi rimasero puntati su di me. Le sue mani, prima incrociate dietro la mia nuca, ora allontanavano le mie dalle sue spalle. Eh già… come immaginavo, non ero ricambiato.
- Vattene, Nathaniel. -
Era la prima volta che mi chiamava per nome. Dovrei essere felice, ma sentì solo una fitta al cuore e lo stomaco stringersi in una morsa parecchio dolorosa. Senza perdere tempo, mi diressi verso l’ingresso, recuperai la giacca e uscì.
 
Il viaggio di ritorno a casa passò più velocemente del previsto. Avevo la testa vuota e non riuscivo a metabolizzare, nemmeno a pensare il suo rifiuto. Ma che mi aspettavo? Era ovvio che non ero corrisposto. Probabilmente per lei ero solo un passatempo, un giochino da usare nei momenti di noia. E io che le davo corda. Mi ero addirittura innamorato! Che stupido…
- Nath!- La voce di mia madre mi riportò alla realtà (non mi ero accorto di essere rientrato in casa). La vidi corrermi incontro a braccia aperte e mi preparai per un suo abbraccio. Non dovetti attendere molto. La sentivo dire qualcosa e mi sentivo rispondere, ma era tutto ovattato e non mi ricordo né cosa mi disse né cosa le risposi. Volevo solo farmi una doccia e buttarmi nel letto. Così mi congedai e mi diressi in bagno, con la promessa che il giorno dopo avremmo parlato.
Speravo vivamente che la doccia mi restituisse un po’ di lucidità, ma non fu così. Mi ritrovai sotto le coperte senza nemmeno rendermi conto di come ci ero arrivato. In posizione supina, puntai lo sguardo al soffitto e finalmente riuscì a rielaborare l’accaduto.
“Vattene, Nathaniel”. A quelle parole, la mia solita lucidità tornò. E con essa, anche il dolore al petto e la morsa allo stomaco… Dio… perché dovevo stare così male? Infondo lo sapevo. Sapevo che lei non mi voleva bene in quel modo… però, una piccola parte di me ci sperava. Ed era quella piccola parte che si era frantumata in mille pezzi facendomi un male incredibile. Mi morsi il labbro e appoggiai un braccio sugli occhi, schiacciando leggermente in modo da impedirmi di piangere. Non so fino a che punto ci riuscì, ma fu in quella posizione che mi addormentai.
 
Il giorno seguente, dopo aver chiesto scusa a mia madre per la caraffa e il quadro, dopo averle promesso un risarcimento danni, dopo aver subito mia sorella che mi mostrava entusiasta quell’orrendo vestito che papà le aveva comprato, raccolsi il coraggio ed andai da lui. Era seduto sulla poltrona in pelle nel suo studio e mise via il giornale che stava leggendo, dopo averlo accuratamente piegato, non appena entrai nella stanza. Mi fissò a lungo in attesa delle mie scuse. Non avevo voglia di altre discussioni, non ero dell’umore adatto.
- Mi scuso per la mia reazione esagerata. -
- Sei scusato. -
- Ma non mi scuso per quello che ho detto. La mia intenzione è sempre quella di diventare farmacista. Con o senza il tuo permesso. - E mio padre fece una cosa che mi sorprese molto. Sorrise. Sorrise soddisfatto.
- Bravo, Nath. Hai avuto fegato. Sia a far valere le tue convinzioni sia a chiedere scusa al tuo nemico. È importante avere fegato in questo mondo. -
Leah aveva ragione su mio padre.
 
Lunedì arrivò in fretta, ma la mia testa era ancora annebbiata e non riuscivo a seguire le lezioni come al solito, tant’è che non mi accorsi dell’arrivo dell’intervallo e nemmeno che Lysandro si era avvicinato a me (il che è allucinante… chi non vedrebbe arrivare un colosso vittoriano come lui?). Alzai la testa pensando di aver capito perché si stesse avvicinando.
- Ancora prove oggi pomeriggio? -
Lysandro inclinò leggermente la testa di lato e aggrottò le sopracciglia.
- Ma che dici? Non possiamo fare le prove. -
- Ah no? -
- No, dato che non c’è Leah. - Come? Leah non c’è? Sorpreso, mi voltai verso le finestre e mi resi effettivamente conto che Leah non era in classe.
- È  uscita prima? -
- Nathaniel, ma dove hai la testa? È assente! -
- Assente? E perché? -
- Speravo che potessi dirmelo tu. -
- E perché io dovrei sapere quello che fa Leah? - Lysandro sbuffò. Sembrava irritato e anch’io stavo iniziando ad alterarmi.
- Lo sai o no? -
- No, non lo so! E non vedo come la cosa potrebbe importarmi. -
Lysandro scosse la testa e uscì dalla classe. Tornai a guardare il banco di Leah vuoto. Perché non è venuta in classe? Non aveva il coraggio di vedermi dopo sabato? Naa… è fuori discussione. Non è così vigliacca da… un momento… questa non è la prima volta che Leah faceva assenze. Anche durante il terzo anno si assentò, e per parecchio tempo (circa tre mesi). Ricordo che in quell’occasione, sentì Lysandro dire a Castiel qualcosa riguardo… oh mio Dio! Mi alzai di scatto, facendo cadere la sedia. Presi la giacca in un lampo e corsi fuori, ignorando tutto e tutti. Uscì dalla scuola e, una volta raggiunta la fermata giusta, salì sull’autobus 7.
   
 
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