Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: ailinon    18/08/2008    1 recensioni
Nel lontano rinascimento, un ragazzo con una grande e sola passione: la poesia e la lettura.
La sua vita a Firenze, lo condurrà a conoscere molti personaggi importanti.
Dalla sagace intelligenza di Pico, alla filosofia di Marsilio.
Dalla gioia di vivere di Giuliano de Medici, alla grandezza di Lorenzo il magnifico, suo fratello.
Fino alla superbia della famiglia de Pazzi.
Ma uno su tutti saprà cogliere l'essenza del suo animo...
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 17 – SEGUENDO UN SOGNO

Capitolo 17 – SEGUENDO UN SOGNO

 

 «Angelo!» esclamò Goffredo, entrando nella sala di conservazione con un biglietto tra le mani. Una lettera.

Il quattordicenne sbucò da dietro uno scaffale, inespressivo.

Da quando erano tornati dal banchetto, il ragazzo era insolitamente taciturno. Goffredo si era aspettato commenti entusiastici sulla festa e sulla poesia (quest’ultima soprattutto) e invece, nulla.

Anzi, Angelo ora aveva un’ombra sull’espressione seria del viso. Come fosse oppresso da qualche triste pensiero.

La cosa lo preoccupava.

 «E’ una lettera di madonna Simonetta e di Giuliano. Si raccomandano la nostra presenza al torneo di domani e sarebbero lieti di averci al banchetto per la festa di compleanno di madonna»

 «Ancora un banchetto…» mormorò Angelo, cupo.

Goffredo colse l’occasione per chiedere: «Ma come?! Credevo ti sarebbero piaciuti! Senza dubbio ci sarà ancora poesia e balli!»

Il fanciullo piegò il volto di lato: «E’ stato molto bello signore ma… Temo non sia per me»

«Perché? Eppure non mi pare che tu ti sia comportato male o abbia mangiato troppo. Ti sei comportato con la dignità e riservatezza di un signore. O così mi ha detto madonna Tornabuoni»

 Angelo uscì dagli scaffali, pulendosi le mani distrattamente: «Sono tutti così gentili… Con un servo»

L’occhiataccia del soldato fu evidente: «Che idee son queste ora? Nessuno ti ha mai trattato male! Nessuno ti ha mai picchiato, no? E sei stato addirittura invitato a un banchetto accanto a Monsignore Giuliano! E invece di esserne grato, te ne lamenti. Che cosa sono queste bizzarrie sul essere un servo?»

 «Mio signore, io… Non sono chiaramente come loro»

«O bene! Ringrazio Dio per questo!»

 Angelo sbuffò. Il suo padrone a volte non capiva proprio!

 «Parliamoci chiaro. Ora sai cosa non sei ma, domandati piuttosto, cosa sei!?»

Colto in contropiede, il quattordicenne non rispose.

L’eco della domanda di Pico, gli rimbalzò nella mente.

 «Io penso che una persona sia quello che ha dentro di sé. E so che dentro di te c’è un animo più nobile di molti nobili» esclamò Goffredo posandogli le mani sulle spalle.

Angelo gli fu grato di quelle parole.

 «Quello che appari puoi diventare, basta che lo vuoi con forza. Questo è il periodo più adatto per fare fortuna con le proprie forze! Guarda il signore di Urbino. La nobiltà di Federico da Montefeltro[1] è nata dalla battaglia!»

Il ragazzino rise sereno: «Signore, io non sono un soldato!» e gli cinse la vita in un abbraccio affettuoso.

Il Belardi lo ricambiò: «Sei così giovane che puoi fare quel che vuoi! E io ti potrei persino insegnare qualche rudimento di spada, per un ragazzo è sempre utile»

Angelo annuì: «Volentieri»

«Bene! E adesso te la senti di andare al torneo di Giuliano?»

«Certo!»

«Benissimo! Allora gli rispondo subito che accetti di fare il figurante!»

«Il figurante?!»

***

Malgrado ne fosse particolarmente imbarazzato, Angelo in qualche modo fu costretto a diventare uno dei figuranti della giostra di quel gennaio.

Era l’anno 1475, e tutta Fiorenza era accorsa per vedere i cavalieri che partecipavano al torneo. I giovani delle più nobili e famose famiglie d’Italia: i Pitti, i Sanseverino, i Gonzaga, i Soderini, gli Alberti, i Cavalcanti e molti altri ancora, si dirigevano alla piazza di Santa Croce, per provare il loro valore. E magari vincere i preziosissimi elmi cesellati del Verrocchio, messi in palio per la gara.

Angelo era solo uno dei figuranti del torneo ma, poteva avvertire ugualmente l’euforia della folla che si era assiepata fuori da palazzo Medici.

Il punto di ritrovo per la partenza del corteo era piazza della signoria, dove si sarebbero radunati tutti i rampolli delle famiglie partecipanti. Ma prima, ogni famiglia si sarebbe sfidata in opulenza e in eleganza nei molti piccoli cortei diretti verso palazzo della signoria.

Moltissima gente aveva reputato interessante il corteo dei Medici perché, al suono della chiarina dell’araldo (che dava il via della processione dei figuranti), un boato di entusiasmo si levò dalla strada.

Tutti i negozi di via Larga erano chiusi per poter ammirare la festa, tranne le locande e le mescite di vino che erano aperte, sicure di lavorare fino a tarda notte.

Qua e là banchetti di cibo e bevande, erano sorti per seguire lo spostamento della gente, in quel felice giorno di festa.

L’araldo con i colori dei Medici, uscì per primo dall’androne del palazzo, seguito dal portatore dello stendardo in onore di Simonetta Cattaneo.

In un impeto di eccitazione, Giuliano ne aveva spiegato la storia.

Aveva sognato, qualche giorno addietro, la bella Simonetta nella veste della dea pallade[2] Atena, con tanto di egida[3] e tutto il resto.

Nel sogno, la Dea legava il suo amore, un piccolo Eros tutto tremante, a una pianta d’ulivo, simbolo della sua potenza[4].

Vedendo in quel sogno il segno della vittoria nel torneo, Giuliano aveva fatto ritratte la stessa scena sulla propria bandiera, dal giovane pittore Sandro Filipepi, detto il Botticelli.

Così quello stendardo, simbolo della dedicata a Simonetta, ondeggiava mosso dal vento, a pochi passi dal cavallo di Angelo.

Malgrado gli strepitii e le urla di incoraggiamento della gente nella via, i cavalli mantennero il passo, mentre i dodici figuranti del corteo d’amore (o così era stato chiamato il corteo di Giuliano de Medici), seguivano l’araldo e il vessillifero, ordinati su due fila.

Nel centro veniva il protagonista della festa: Giuliano aveva un armatura che ricordava quella di Pallade Atena. Riluceva come uno specchio, attirando i riflessi del sole.

Oro, argento e pietre preziose la rifinivano.

Angelo fu sicuro, anche prima di vederlo, che Giuliano sarebbe stato il più bello ed elegante dei cavalieri.

Stava in sella come un beneamato re tra la sua gente. Non lesinava sorrisi alla folla, e per tutti aveva un saluto.

Il suo portamento non era però quello di un damerino ma, di un marziale soldato pronto alla guerra. Un giovane avvezzo alle cacce a cavallo.

In questo ricordava Goffredo de Belardi, che era stato il suo maestro d’arme.

Cercando di non essere da meno del suo signore, Angelo tenne il mento alto e l’atteggiamento fiero di un cavaliere. O almeno questo doveva apparire, rivestito da una guarnacca a scacchi rossi e oro, che ricordava i colori dell’amore.

Essere guardato da tutti lo metteva a disagio ma, tentava di svolgere al meglio il compito che gli era stato dato.

Il tragitto era breve: partendo da via Larga, si proseguiva giù per via dei calzolai, fino a piazza della Signoria.

Lì avrebbero ascoltato il discorso del podestà, e quindi sarebbero scesi verso Santa Croce.

Al vero torneo.

A Santa Croce il suo compito sarebbe finito, sparendo tra le tende che erano state preparate ai lati dello spiazzo per la giostra.

I figuranti avrebbero poi trovato un posto sugli spalti in legno, vicino alla tribuna d’onore delle autorità di Firenze.

Doveva solo fare la sua parte fino a lì.

***

 



[1] Federico III Montefeltro conosciuto come Federico da Montefeltro (Castello di Petroia, 7 giugno 1422 – Ferrara, 10 settembre 1482) è stato un condottiero italiano, capitano di ventura e duca di Urbino dal 1444 fino alla morte. Nel  1474, la sua signoria ad Urbino fu innalzata al rango di ducato da Papa Sisto IV, che fece sposare suo nipote Giovanni della Rovere con Giovanna figlia di Federico. In seguito il duca di Urbino combatté contro i fiorentini ispirando la congiura dei Pazzi del 1478.

[2] Pallade era la libica compagna di giochi di Atena. Si racconta che ancora fanciulla, Atena uccise incidentalmente la sua amica Pallade, mentre si era impegnata con lei in uno scherzoso combattimento, armate di lancia e di scudo. In segno di lutto, Atena aggiunse il nome di Pallade al proprio.

[3] Omero volle, nell'Iliade, che l'egida fosse stato fabbricato da Efesto con la pelle di Amaltea, la capra balia di Zeus. Efesto ne fece uno scudo indistruttibile e resistente perfino alla folgore. Zeus è definito Egioco proprio perché fornito di egida.
Zeus non la usa come scudo da combattimento ma per scatenare tempeste, agitandola. Molto più tardi Apollodoro racconta che, durante un combattimento fittizio tra Atena e la sua giovane compagna di giochi, la libica Pallade, Zeus tolse magicamente l'egida a Pallade, proprio mentre stava arrivando il fendente di Atena. Pallade morì e il suo scudo venne donato da Zeus ad Atena.

 

[4] “…Pargli veder feroce la sua donna,

tutta nel volto rigida e proterva,

legar Cupido alla verde colonna

della felice pianta di Minerva,

armata sopra alla candida gonna,

che ’l casto petto col Gorgon conserva;

e par che tutte gli spennecchi l’ali,

e che rompa al meschin l’arco e li strali.”

Poliziano, AgnoloStanze per la giostra di Giuliano de Medici

Libro II, paragrafo 28

 

Il sogno di Giuliano è citato direttamente da Poliziano, che ne descrive tutti i particolari.

Simonetta appare in veste di Atena con  tanto di armatura, nell’atto di sconfiggere l’Amorino di Giuliano.

Secondo le notizie storiche poi, Giuliano si fece fare un simile stendardo da Botticelli. La bandiera, perduta,

può ricordare il quadro “Pallade che doma il centauro”

 

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: ailinon