Una cosina piccina su questi due, come in bocca al lupo
per la Kanra <3
Come da lei richiesto (?): LevYaku, mestoli volanti ùù
Può non sembrare da quando le nuove matricole – e con
loro quel cataclisma umano di Lev – si sono unite alla loro squadra, ma Yaku si
reputa una persona calma e paziente, e lo è sempre stato.
A volte capitava che facesse la voce grossa, ma non era mai volutamente crudele
né era serio nella maggior parte delle cose che minacciava di fare; era più che
altro severo, ma nel modo in cui poteva esserlo un fratello maggiore. O una
mamma, come aveva avuto la sventura di sentirsi chiamare una volta da Kuro ritrovandosi ad essere considerato tale da tutta la
squadra o quasi.
Eppure non ha mai perso davvero le staffe, non è mai arrivato al punto in cui
ha desiderato lanciare un intero mobile contro una persona.
Poi ha conosciuto Lev.
«Haiba.» lo chiama per cognome tutte le volte che sta
perdendo la pazienza e vuole farglielo presente, almeno per avere la coscienza
a posto: nessuno potrà dire che non lo abbia avvisato prima di esplodere.
«Cosa, Yaku-san?»
Lui non avrebbe niente da ridire se soltanto Lev non gli stesse gironzolando
intorno da almeno mezz’ora, mentre lui cerca di cucinare la sua parte essendo
di turno per quel maledetto campo estivo; è in momenti come questi che vorrebbe
avere una manager o una corda piuttosto resistente per legare Lev da qualche
parte obbligandolo a stare fermo, anziché saltellargli intorno come se fosse un
bambino di cinque anni.
«Devi smettere di starmi addosso mentre cerco di non avvelenare il curry, ecco
cosa c’è!» gli sbraita dietro, muovendosi per passare anche fisicamente il
messaggio “smetti di fare il koala e stammi a tre metri più due di distanza di
sicurezza”.
La risata di Lev riempie la stanza ed è fin troppo vicina al suo orecchio, le
braccia lunghe ancora gli cingono la vita e il petto in parte aderisce contro
la sua schiena.
Non lo prende minimamente sul serio e questo lo fa incazzare, ma quando Lev pronuncia
uno «Scusa, Yaku-san.» che sembra abbastanza pentito,
Yaku decide che per una volta può perdonarlo, visto che lo sente anche
allentare la presa di quel mezzo abbraccio in cui l’ha costretto.
Non c’è più contatto fra loro, e Yaku sospira – è rassegnato all’idea di dover
ripetere le cose cento volte, con Lev, ma almeno sembra che poi tutto funzioni
e quella stupida matricola capisca quando può fare certe cose e quando no.
Dovrebbe aver imparato che con Haiba non si deve
cantare vittoria troppo presto e invece si fa fregare di nuovo: lo capisce
troppo tardi, quando Lev a sorpresa gli bacia una guancia e gli mormora all’orecchio
un “mi piaci” che sembra quello di un bambino.
Yaku sa perfettamente che il colorito del viso non è dalla sua, ma questo non
gli impedisce di sbraitare un «Haiba!» che si sente
con ogni probabilità fino alla palestra, girarsi quel che basta a vederlo già
in fuga e – non avendo chance di
raggiungerlo sulla soglia – tirargli dietro un mestolo con tutta la forza che
ha.
Sentirlo mugolare di dolore nel corridoio è la sua più grande soddisfazione.