Capitolo IX
Speranza
Draco
si chiuse la porta alle spalle, chiuse le
tende e si mise a letto. Chiuse gli occhi e pensò di poter
stare così, sentendo
il tempo dilatarsi all’infinito, finché qualcosa
non fosse arrivato.
Sentiva ancora l’odore di morte, il silenzio di un altro
cadavere seppellito,
senza il diritto dell’addio.
Lucius, suo padre, era morto, morto come muore chi non vuole andarsene.
Il suo
ultimo respiro era stato il rantolo di un drago morente, la resa di una
vita di
lotta.
Aveva visto il viso di Lucius deformato dalla paura, aveva visto il suo
terrore
costruire le sue ultime espressioni, l’aveva visto
contorcersi e soffrire
nell’agonia della fine.
Forse aveva visto la morte , forse aveva visto l’inferno con
i suoi occhi e ne
voleva fuggire.
Non gli aveva lasciato neanche una parola, non aveva detto nulla a suo
figlio,
se ne era andato, come in vita, non aveva parlato. Forse parlare
avrebbe
significato dire sto morendo, e lui non voleva.
Eppure Draco non sentiva rammarico, non sentiva tristezza, sentiva solo
l’immensa
solitudine che ora ricadeva su di lui come un macigno immenso a
curvargli le
spalle, una solitudine nuova, imposta.
Capiva solo ora l’importanza di un padre, anche di un padre
rifiutato, e la
sensazione di essere smarrito, di quando si smette di essere figli.
Il dolore si era adagiato sul letto al suo fianco, era tangibile, era
lì, ed
aspettava di prendere il sopravvento su di lui. Avrebbe cominciato
abbrancandogli le caviglie, e poi si sarebbe preso tutto di lui.
Ma ancora non lo sentiva, ancora non sentiva niente, se non il suo
odore, la
sensazione della pelle fredda sotto i polpastrelli, e
l’espressione della
morte.
Si addormentò poco dopo, e non sognò niente, se
non un immenso nero.
Per
le strade del paese. La neve si era sciolta, e
una fanghiglia scura si era stesa ai bordi delle strade, vicino alle
case, ai
tetti gocciolanti, con il ghiaccio che si scioglieva. Il cielo era
eccezionalmente terso in quei giorni, e il vento era limpido come acqua
di
fonte.
Quando arrivò la lettera era con Georg. Parlavano, come
sempre a pranzo.
Parlavano in una routine logorante.
Non c’era nulla di sbagliato in realtà, tranne
quella stessa insoddisfazione.
Latente. Strisciante. E c’era Draco. Da quando era riuscita a
intravedere la
fine di quel progetto, da quando si era profilata l’idea di
tornare in
Inghilterra c’era il viso di Draco.
Aveva
ridato consistenza di persona a quello che era diventato per lei solo
una sorta
di amico immaginario.
Era di nuovo reale. Un Draco che camminava, respirava , andava al parco
con la
sua buffa giacca pseudo babbana.Un Draco che esisteva. Senza
più contorni
madreperlacei. C’era lui molto spesso ora. C’era
quel ricordo che gli schiacciava il cuore
così forte da star male, di quella volta che era stato
dentro di lei, come
fosse sua.
Stava aprendo le lettere che le erano arrivate.
L’ennesima di Harry, chilometrica, con allegate le foto di
James, suo nipote.
Poi una
più stringata di Ron, da qualche
parte nel mondo.
Di una lettera non riconobbe immediatamente la scrittura. La
guardò senza
toccarla. Il suo nome e l'indirizzo erano scritti con un tratto
sottile, che
aveva qualcosa di femminile. La H di Hermione
partiva con una curva
convessa, morbida. Tutte le lettere erano un po' inclinate, austere e
dolci
insieme. C'era un errore nell'indirizzo, scritto in maniera approssimativa.
Veniva da Malfoy Manor, ma non era la scrittura di
Draco. Avrebbe
riconosciuto subito la calligrafia spigolosa del ragazzo, quel modo
particolare
di scrivere il suo nome, con le lettere lunghe e dritte, quasi che si
stendessero sul foglio.
Deglutì e con le mani che tremavano prese la busta.
Se la rigirò nervosamente tra le dita e poi le
infilò nella scollatura della
busta. Restò a guardarla per un tempo infinito.
Senza pensare a nulla. Il cervello era in pappa.
Passò il dito sul suo nome, sul nome di quella casa lontana.
Prese aria. E
l’aprì.
Poche
parole.
Il suo petto fu compresso in un attimo. I suoi polmoni soffrirono per
la
mancanza di aria, punti da mille aghi.
Si alzò di scatto. Si sentì mancare. Si
risedette. Guardò ancora quel pezzo di
carta. Che cosa si aspettava da lei ? Si alzò di nuovo. E non si sentì
mancare
Georg
la spiava dall'altro lato del tavolo, gettando
di tanto intanto uno sguardo all’indirizzo. Il suo turbamento
era facilmente
percepibile nel tremito delle dita, ma il biglietto era nascosto nel
palmo
della sua mano e Georg non riusciva a vederlo.
Osservò Hermione chiudere gli occhi e poi far scorrere gli
occhi sulle lettere
dall’inchiostro scuro. Alzò gli occhi, guardandosi
intorno, come smarrita e
improvvisamente distante.
“Chi
è?” si azzardò a chiedere.
Hermione
lo squadrò ancora smarrita, poi nascose la busta dietro la
schiena. Poi si alzò
di nuovo, ignorando la domanda.
“Io devo andare” fece.
“Sei impazzita?”
Anche Georg si alzò, come se volesse impedirgli di fare una
follia, si avvicinò
per trattenerla, ma Hermione si scansò come se fosse un
estraneo a parlare con
lei.
“Ma che stai dicendo? Chi è? Qualcosa di
grave?”
“Niente. Non lo so, devo partire.”
ribatté , con un braccio già a scostare la
sedia, il piede già pronto a partire. “Devo
andare.”
“E dove devi andare?”
“In Inghilterra.” Rispose meccanicamente.
“E la ricerca?”
“Se ne occuperanno gli altri. Sono in grado.
Guarderò il lavoro finito quando
torno. Di agli altri che torno.”
Poi uscì, senza che Georg potesse dire altro, se non
un'altra protesta lontana.
Corse per il palazzo, salendo più gradini alla volta, fino a
sentirsi i polmoni
bruciare, il fiato corto e le gambe spezzate.
Si fermò per prendere fiato e darsi un contegno, cercando di
apparire calma.
Si chiese cosa stava facendo, cosa le fosse preso per correre in quel
modo.
Quasi che stesse aspettando solo un cenno, un leggero tirare a quel
filo, per
farla scattare.
Ed ora nella sua stanza, guardava i suoi abiti buttati sul letto,
chiedendosi
se fosse giusto tornare.
Riprese in mano la lettera.
Non gli aveva scritto lui, ma Pansy.
Draco
sta male, devi venire qui.
Pansy.
Si
immaginò di andare a casa sua e cercarlo.
Lui che era diverso,
che la guardava
senza più quel tremito nell’iride. Si
immaginò vederlo camminare senza più
girarsi a cercarla con gli occhi. Immaginò la sua
indifferenza.
“Dovremmo avere il coraggio di andarcene” aveva
detto una volta a Georg.
Pensò a quello che la tratteneva in quel luogo. Non
c’era più niente. Non
c’erano più i suoi sogni, non c’era
più la voglia di avventura.
Pensò di nuovo a Draco e alla sue mani, alla sensazione di
mancanza, alla
voragine che si era scavata la sua vita.
Draco ha bisogno di me si disse. Non dovrei neanche pensare di non
tornare.
Con un movimento di bacchetta iniziò a rimpilare i vestiti
per la partenza.
Non aveva le forze per farlo. Pensò che era giustificato,
che sarebbe stato
giusto non alzarsi, esprimere il proprio lutto come più gli
piaceva. Non aveva
obblighi, non aveva nessuno a cui dare giustificazioni, non
c’era più nessuno
per lui.
Si ripeté la parola nessuno nella testa così
tante volte, e quasi l’angoscia lo
strozzò, offuscandogli i pensieri.
Desiderava solo oceani di indifferenza
in cui affogare. Annientato . Disimparare a vivere , disimparare ad
essere ,
pezzo per pezzo. Prima nel corpo poi nello spirito. Ed essere rimontati
per
essere qualcosa altro. Qualcosa che non esiste. Che non è
uomo, che non è
spirito. Qualcosa che non c’è.
Si sentiva soffocare, soffocare lentamente, e pensò di nuovo
che doveva assolutamente
alzarsi.
Doveva imparare a vivere come tutti. Doveva accettare che le cose vanno
così.
Che non si può fermare lo scorrere del tempo ed aspettare
che il dolore passi e
intanto perdersi tutto. Tanto il dolore non passa. Doveva imparare che
dopo la
morte c’è subito dopo la vita.
E lui invece si era sempre fermato. Ad aspettare che passasse un
malessere che
non era passato mai. La sua era stata solo una lunga, interminabile
serie di
cose non fatte , di cose negate. Di vita evitata. La morte di sua
madre, la
prigionia di suo padre, il rifiuto dei suoi compagni, erano diventati
muri
insormontabili. E poi si erano inspessiti con tutte le cose
insignificanti che
non aveva fatto. E tutto quello che si era perso.
Non aveva vissuto mai una storia d’amore. Non si era
più ubriacato con gli
amici. Non aveva abbracciato così per gioco. Non aveva
sostenuto conversazioni
sciocche tanto per ridere. Non aveva più volato su una
scopa. E non era andato
a vedere una partita di Quidditch. Tutto era diventato insormontabile.
Tranne lei. Hermione non lo era mai stata insormontabile. Era stata
l’unica
cosa fatta in un mondo di cose non fatte. L’unica cosa vera
.L’unica che aveva
potuto abbracciarlo senza farlo soffocare.
Pensò che era il caso di alzarsi e non lasciarsi
più sfuggire niente.
Sentì
il rumore della porta che veniva aperta. Pensò
fosse Pansy e
cercò di mandarla via.
“Non sono Pansy…” disse solo quella
voce, che gli sembrava uscire direttamente
da dentro il cervello. Poi sentì un corpo distendersi
accanto a lui, proprio lì
dove c’era il dolore, e passargli le braccia intorno al
corpo, infilare le
gambe fra le sue, abbracciarlo,
posare
la bocca sul viso e fra i capelli.
“Sei qui…sei qui…io ti ho chiamato e tu
sei qui. Nella mia testa ti ho
chiamato…è la magia.” disse incredulo.
La sentì ridere, e riconobbe la sua risata e si
sentì bene al pensiero che non
era cambiata affatto.
“No, non è stata la magia. È stata
Pansy , mi ha scritto.” rispose lei,
baciandolo ancora.
Draco si sentì bene e per questo si sentì in
colpa.
C’era qualcosa di terribile in tutta quella bellezza,
qualcosa di ineludibile e
sfacciato, al quale non si
poteva
sfuggire. Era un incanto magico sussurrato fra i denti, appena
macchiato di
tristezza e di nostalgia.
Lei gli prese il viso fra le mani e gli fece alzare il capo. Lui gli
offrì i
suoi occhi senza ritrarsi, con lei non aveva niente da nascondere.
Dovette vedere qualcosa che non le piacque affatto, perché
lo strinse più
forte.
“Perché sei qui?” chiese.
“Per te… sono qui per te.” Rispose
dolcemente lei.
Lui provò solo una labile puntura di quella rabbia che aveva
provato alla sua
partenza, quando si era sentito debole e distrutto. “ Dovevo
seppellire mio
padre per farti tornare?”
“Mi dispiace” sussurrò con la voce rotta
“mi dispiace…mi dispiace”
mormorò
cullandolo.
Lui si aggrappò ancora ai suoi fianchi, affondando il viso
nel suo petto.
Era come se avesse aspettato solo che lei fosse lì, per
tutto quel tempo, nel
quale aveva visto tutta la sua vita franare, doveva solo trovare quel
bandolo
della matassa, e quel bandolo era lei, era sempre Hermione. E non si
chiese se
fosse giusto, se fosse giusto sconvolgerle la vita che si era costruita
lontano
da lui, lo fece e basta, perché ora che lei era insieme a
lui, con le sue
braccia e il suo profumo ovunque, voleva solo che restasse.
“Resti? Resti vero? Non vai più via?” le
chiese soffocato nel suo abbraccio.
Hermione
rimase in silenzio. Era quello, il momento,
il minuto per decidere.
Era strano come
tutte le cose che non
aveva fatto, tutte le scelte che non aveva compiuto, i libri che non
aveva
finito di leggere, le strade che si era rifiutata di percorrere,
confluissero
tutte lì, a reclamare uno spazio di quell’unico
momento in cui doveva dire si o
no.
Lo sapeva quello che voleva, quello che doveva fare. Baciarlo, baciarlo
in
bocca e riappropriarsi di quel sapore dimenticato, prendersi quello che
voleva,
come facevano tutti tranne lei.
Lo sapeva eppure non si decideva, lo sapeva ormai che le scelte
più importanti
si fanno nel giro di un minuto, e non c’è tempo di
chiedersi niente, di
prefigurarsi un futuro, c’è solo il tempo del si e
del no.
Tornò a guardarlo negli occhi, e per la prima volta non gli
sembrarono cerchi
bui e preclusi, ma aperti a lei.
Allora lo fece, si chinò e lo baciò.
Lui rilasciò tutto il suo fiato sulla sua bocca e la
baciò con un’aggressività
diversa, consapevole e sincera.
Fu un bacio molto lungo, nel quale la realtà non si
insinuò mai, come non si
era insinuata mai nel loro rapporto.
Quando lei si staccò da lui, Draco
chinò di nuovo il capo sul suo petto
e allora, finalmente, poté piangere.
Draco
pianse a lungo e lei non smise un attimo di
baciargli i capelli e cullarlo.
I singhiozzi lentamente si spensero. Le lacrime cominciarono a scendere
più
lentamente. Lei gliele asciugò con le mani, poi con le
labbra. Lui nascose
la faccia nel suo
collo. Continuò
ad accarezzarlo, per ore, fino a quando
non sentì il suo respiro regolare
sulla sua pelle e i suoi muscoli distendersi .
Non avrebbe voluto lasciarlo ma aveva sete. Si scostò con
cautela e scese in
cucina. Pansy era ancora lì. Sul divano con un espressione
tirata sul viso,
molto stanca.
“ Come sta?” le chiese incrociando le braccia.
“Dorme ora. Era
distrutto. Grazie per
avermi avvisato.”rispose versandosi dell’acqua.
“Non dorme da giorni . E non mangia.” le rivolse un
occhiata di rimprovero “ Aveva
bisogno di te. E tu non c’eri”
“Pansy..” iniziò Hermione. “
no niente Pansy, Granger. Tu non sai com’è stato
quando te ne sei andato. È stato sempre peggio di prima.
L’hai lasciato nella
merda e te ne sei andata a fare la tua vita.” Hermione si
alterò
interrompendola “Pansy non ti permettere. Tu non sai la
natura del nostro
rapporto, e non puoi
permetterti di
giudicare le mie decisioni..”
“Io so quello che ho visto. Ho visto Draco solo, solo come un
cane. L’ho visto
stare male. L’ho visto aspettare che tornassi. Draco vuole
te. Draco ha bisogno
di te… e se come credo, anche tu vuoi lui, allora non andare
più via. E non lo
dico perché mi stai simpatica, a dirla tutta non ti
sopporto...ma lui ha
bisogno di te. Non lo lasciare più solo.” Hermione
si chiuse nelle spalle, per dire
l’unica cosa giusta “Io rimango per me e
per lui.”
La ragazza la guardò a lungo . “Torna da lui ora
“ disse poi.
“Ok. Tu va a casa Pansy. Sto io con Draco.”
“Non ti preoccupare io e Marlowe ci siamo sistemati in una
delle stanze.”
“Ok allora buonanotte “ Pansy le fece un cenno
scorbutico.
Risalì lentamente le scale, con la testa pesante di mille
pensieri. Draco aveva
aspettato lei.
Aveva sbagliato tutto, ma poteva ancora rimediare, perché
lui l’aspettava
ancora.
Entrò nella stanza che era ancora addormentato con le mani
ad artigliare le
lenzuola e i capelli sul viso. Si sistemo di nuovo vicino a lui,
cercando di
fare più piano possibile. Represse l’impulso di
accarezzargli il viso. Non
voleva svegliarlo. Era cosi tirato e stanco. Più pallido del
solito. Era
comunque molto bello. L’amore ogni volta la coglieva come un
epifania. Era
successo di nuovo. La consapevolezza era sempre inaspettata.
L’amava. E l’amava
molto.
Ricostruì nella sua mente l’immagine che si era
portata dietro di lui, e pensò
che era esattamente come lo ricordava. E la paura di trovarlo diverso,
si
dissolse all’affollarsi di tutte quei ricordi che aveva di
lui, di tutto quello
che di Draco conosceva, di quello che solo lei sapeva, che aveva
ritrovato in
un attimo, in un solo bacio, in quell’unico sguardo e la
distanza che li aveva
separati ora le sembrò ridicola, tutto era solo amore
dolcissimo e una forte
nostalgia.
Una strana elettricità si impossesso di lei,
un’attesa quasi piacevole.
Non le sarebbe potuto capitare di peggio. Draco era una persona
incredibilmente
difficile da amare . Ma stavolta non sarebbe andata da nessuna parte.
Le faceva
troppo male stare lontana.
Il giorno li aveva svegliati abbracciati , e ancora non era abituata a
risentire il suo respiro vicino. Hermione aveva scostato gentilmente il
corpo
di lui da sé. Draco però, era andato subito a
rifugiarsi sulla sua pelle,
stringendola di più. Hermione l’aveva scostato
di nuovo “ Draco devi mangiare
qualcosa ok?” gli disse con il tono più dolce che
si fosse mai sentita. “No non
ho fame” protestò.
“Mi ha detto Pansy che non stai toccando
cibo…”
“Di a Pansy di farsi i cazzi suoi.”
Hermione sorrise e gli sfiorò la guancia. Riconobbe nei suoi
occhi quel
luccicore che associava alle sue espressioni più dense, e
sentì il bisogno di
baciarla.
Mise le sue labbra su quelle di lei, sentendole aderire e
portò il suo corpo
sul suo per avvolgerla tutta, per sentirla dentro di lui.
A Draco venne in mente quella volta che aveva fatto l’amore
con lei, era
dipendente da quel ricordo, era l’immagine più
forte che possedesse, luminosa e
immensa.
Poteva sforzarsi ma non ricordava di possedere un’immagine
più potente.
Voleva avere un ricordo più luminoso di quello, un ricordo
più luminoso del
buio.
E mentre la baciava, passò le mani su tutto il suo corpo,
spogliandola
lentamente, senza riflettere, solo muovendo le mani.
Si stupì di provare ancora l’istinto della vita
sotto l’apatia dei suoi
pensieri, di sentire ancora il suo profumo ed essere capace di farsi
guidare da
quello sotto la spessa rete di pensieri e di astrazioni.
Vide i capelli vaporosi di Hermione muoversi sul cuscino, le sue ciglia
scure
abbassarsi quasi a schermare gli occhi. Riconobbe la sua pelle bianca e
dolce,
e ritrovò la vista del suo corpo, che un’altra
volta aveva sentito vicino come
ora. Passò le dita sui fianchi e le sembrò
più magra, più fragile ancora.
“Sei sempre più magra.”
mormorò.
“No sono sempre la stessa. E che non mi vedi da un
po’.”
Draco guardò
nei suoi occhi scuri e le
aprì le gambe. “ Sei stata male senza di
me?”
Hermione annuì, affondando le mani nella pelle dei fianchi,
per incunearlo
dentro di sé.
Chiuse gli occhi quando fu dentro di lei, muovendosi
profondamente, come un’onda, che cresce e
s’ingrossa e non si ferma mai, che non s’infrange
mai a nessuno scoglio, in un
mare infinito.
Sentì Hermione ansimare nelle orecchie, avvertì
il tocco dolce di lei sulla
pelle.
Ricordò che aveva pregato una volta di poter avere la pelle
abbastanza dura da
non potersi ferire con niente.
È attraverso la sua pelle sottile di uomo che poteva amarla
e sentirla, se solo
avesse avuto la pelle più spessa, non avrebbe goduto delle
mani di Hermione sul
cuore.
La vide chiudere gli occhi e rilasciare un gemito, lunghissimo e
bellissimo.
Ecco ora posso sentire l’eco dello spazio vuoto dentro di me
riempirsi,
riempirsi tutto di lei. Riempirsi davvero stavolta.
Aumentò i movimenti del suo bacino, con la consapevolezza
del suo corpo di
uomo, che la possedeva interamente, e lei che si lasciava andare come
mai le
aveva visto fare.
“Resti con me?” le mormorò
all’orecchio.
Hermione sussurrò “Si” colorato
dall’orgasmo e dall’emozione. “Resto con
te.”
I
fantasmi della distanza si annacquarono nel
piacere, e rimasero a toccarsi per ore, sdraiati sulle lenzuola sfatte.
“Su vestiti” disse Hermione “che usciamo
da questa stanza.” Draco riconobbe
quel cipiglio determinato che assumeva quando voleva farsi ascoltare.
Uscirono in giardino inondato di luce.
Hermione camminava avanti, se lo strascinava dietro, tenendogli un
braccio come
aveva sempre fatto. Era sempre lei che andava avanti in perlustrazione.
Hermione si girò a guardarlo, i riflessi del sole sui
capelli dritti,
sembravano scendere come oro sul viso chiaro.
“È una giornata stupenda.”
dichiarò Hermione.
Ed era veramente una giornata bellissima, una calda giornata
d’estate, con il
sole a bruciare tremolante nel cielo.
Lei si sdraiò sull’erba lucida e verde,
portandoselo dietro.
Si lasciarono andare nel profumo dell’erba
che dava alla testa, godendosi quel tepore.
“Ti ricordi quella volta che ti ho portato al mare e poi
abbiamo fatto il bagno
e poi ti sei ammalato?” gli chiese Hermione.
“Si che me lo ricordo. Era tremendamente stupido fare il
bagno quel giorno…ma
tu…tu volevi farlo.”
Hermione rise “Come eri stupido. Volevo solo vederti in
costume. Ma tu sei
sempre stato tonto.”
Anche Draco rise. Lei rotolò su un fianco per avvicinarsi a
lui, per guardare
il suo sorriso e trovarlo meraviglioso. “Avevo paura di
trovare un’altra
persona, una persona che non conoscevo.” Gli disse.
“È difficile che si cambi davvero.”
Rispose lui, allungando una mano a toccarle
i capelli e facendole appoggiare la testa sul petto.
Sentì il suo cuore sotto l’orecchio. Era
incredibilmente forte.
“Hermione ma alla fine hai trovato quello che stavi
cercando?” chiese Draco.
“No. Ma ho capito che non era importante dopotutto.”
E si stupì di quanto fosse vero.
Quel filo, l’unico tirato, aveva sbrogliato il groviglio del
suo animo.
E non importava affatto chi fosse stato a spedire quella lettera, erano
importanti lui, lei e quel giorno di sole.
Ora lo sapeva, le cos importanti stanno spesso sepolte sotto mille cose
poco
importanti. Bisognava solo che si guardasse bene.
Odorò la pelle del suo collo, il colletto sgualcito della
sua camicia le
solleticò la guancia. Il suo odore è importante
pensò.
Mentre
lei si perdeva nel sole, lui osservava le sue
labbra. Quelle labbra antropofaghe che avevano mangiato il suo cuore.
“Lo sapevo che eri una cannibale.” Disse
picchiettando l’indice sulle sue
labbra, premendo il suo desiderio con le dita.
Hermione rise di gusto.
In quel momento Draco lasciò che suo padre prendesse il
sopravvento. Il suo
viso, La sua postura da vecchio. Solo
pochi giorni prima, in una giornata simile lui era morto.
L’ossimoro della
natura rigogliosa e della morte insieme.
Eppure sembrava essere passata un tempo enorme da quel giorno, un
flusso di
consapevolezze immenso.
Anche dalla morte può nascere la vita, si disse ancora, e da
una pelle debole
si può percepire ogni cosa più intensamente.
Gli pareva di sentirlo, fra il rumore del vento, fra il cinguettio
degli
uccelli, l’ingranaggio che girava solo per lui.
La speranza strisciante in ogni suo pensiero, che si alzava come
un’eco fra le
montagne, richiamando altre voci, altra speranza.
Sapeva vivere lui, superare ogni cosa. Si sarebbe preso cura di lei,
con quel
vestito preciso, la consapevolezza di uomo e di donna.
Forse lei era venuta a sostituire una presenza con un’altra
presenza, forse era
lì anche per se stessa.
Forse ora la vita poteva essere bella.
Ricordava che una volta l’aveva chiesto anche a suo padre
“Padre, ma quand’è
che la vita diventa bella? Perché a me sembra sempre uno
schifo.”
“La vita è sempre bella e sempre
brutta.” aveva detto.
Ed ora lo voleva chiedere a lei, per sentirsi dare una risposta
migliore.
Hermione
guardava il cielo. Era tutto azzurro, non
c’era neanche una nuvola ed era vicinissimo.
Poteva apparire monotono, monotono oppure bellissimo.
Decise che doveva per forza bellissimo.
Sentiva gli steli pungerle i piedi e le venne da ridere.
Sentiva di poter fare tutto quel giorno, di poter vivere come voleva,
di poter
ripartire quel giorno.
Si vide sinuosa, poter traghettare lei e lui ovunque. E
sentì un immensa gioia
e una grande speranza. Tutti gli affanni potevano essere lontani, lei
poteva
alzarsi per lui.
“Oggi Draco…Oggi non vedi che bella?”
rispose convinta.
E lo prese di nuovo per mano, sentendo ricambiare la stessa stretta.
Ultimo
capitolo della mia storia.
Un grazie a chi ha avuto la pazienza di seguirla e chi è
stato tanto carino da farmi sapere cosa ne pensasse. è stata
comunque una bella esperienza per me, e mi ha aiutato a migliorare la
scrittura di certi aspetti che riguardano la sfera del sentimento
amoroso, verso la quale avevo un blocco assurdo, che mi ha aiutato a
sciogliere.
Spero comunque che vi sia piaciuta e che non vi abbia annoiato troppo
con le mie elucubrazioni sceme.
Saluti a tutte a presto.