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Autore: Atticus 182    22/06/2014    2 recensioni
"L'aria bruciava la pelle, il silenzio teneva con cura tutto il Giacimento nelle sue mani e il dente di leone era appassito."
Questa è la storia vista dalla prospettiva di Primrose, e racconta tutto ciò che succede durante l'assenza di Katniss nella vita di Prim. Ricordi, sensazioni, amori, luce e oscurità.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Primrose Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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«Prim, Prim! Primrose. » La voce delicata della mamma risuonò nei miei sogni dolcemente. Aprendo gli occhi, ancora un po’ sfumato, prese forma il viso di quella donna, che con il passare degli anni collezionava i segni del tempo e li poneva in bella vista lungo le guance e sulla fronte. «Mamma » Dissi con un filo di voce. Aveva le lacrime agli occhi, ma non era tristezza quella che fioriva sulla pelle pallida del suo viso, era felicità. «La nostra Katniss, ha vinto, lei tornerà qui, a casa. » Avevo ancora gli occhi socchiusi, quelle parole presero forma nella mia mente e percorsero il mio corpo fino al cervello, mi ci vollero 2 o 3 minuti per realizzare l’accaduto. ‘Katniss, mia sorella, vincitrice dei 74esimi Hunger Games, è viva. La rivedrò.’ Con uno scatto mi alzai a sedere e l’unica cosa che fummo in grado di fare fu abbracciarci e stare in quella posizione per almeno 5 minuti, tra lacrime e singhiozzi non riuscimmo a dire una parola o almeno qualcosa di sensato. I nostri cuori potevano toccarsi per quanta forza ci mettessero a battere all’unisono. Ci vestimmo e ci preparammo. 
Eravamo alla stazione del treno da quasi mezz’ora, avevamo anticipato la partenza da casa per la troppa emozione di rivederla. Con noi c’era Gale con la sua solita espressione severa in volto. La mamma era molto bianca in viso, ma notai che era il suo colorito normale, accentuato dal leggero freddo autunnale. Un rumore lontano sfiorò il mio orecchio destro, le rotaie quasi oscillavano, in modo impercettibile. Vidi poi il grande treno di metallo che correva verso di noi, era lucente e andava molto veloce. Il mio cuore non riusciva quasi a sopportare tutta l’adrenalina che avevo in corpo, stavo per piangere, ma ritirai su le lacrime, era un giorno felice, da tanto non vedevo sorridere così la mamma. Lo guardammo fermarsi di scatto dinanzi a noi, un lieve rumore metallico risuonò nell’atrio, e alzando un po’ di polvere le porte si aprirono. Katniss era lì. Era bella come sempre, non aveva nessuna cicatrice in volto, i suoi capelli erano sciolti e le ricadevano sulla schiena, indossava un abito rosa pallido che le sfiorava il ginocchio e vicino a lei, stranamente, c’era Peeta Mellark. Gli sfortunati amanti del Distretto 12 erano sopravvissuti entrambi agli Hunger Games ? Com’era possibile? Risparmiai le domande per dopo. Non potemmo però abbracciarci, nemmeno sfiorarci o dirci quanto ci eravamo mancate, lei non ci vide, distrattamente posò lo sguardò tra la folla, ma i Pacificatori li portarono subito con loro verso l’entrata della stazione e noi tornammo in paese. In seguito, vennero condotti in piazza, su un piccolo palco vicino al comune per salutare i cittadini del Distretto. Eravamo tutti lì, chi applaudiva, chi urlava, chi cercava di sfiorarle la mano; salutarono tutti, ancora increduli della loro vittoria. C’era davvero molta gente, io riuscivo ad intravedere Katniss, ma la visuale era coperta dai corpi troppo alti delle persone dinanzi a noi. Gale con un braccio e senza troppo sforzo, mi prese e mi fece salire sulle sue possenti spalle, ero leggera e non fu difficile salire. Katniss sorrideva al pubblico come se fosse ancora a Capitol City e dovesse mantenere un profilo allegro e spensierato; quando vide me, Gale e la mamma la sua espressione cambiò, il sorriso scomparve per pochi minuti, come per contemplare quegli sguardi e quei sorrisi. Le lanciai un bacio, posai le mani sulle labbra e lanciai un bacio in sua direzione. Un sorriso fiorì sul suo viso e le lacrime le offuscarono la vista, potevo vederle. Peeta ad un tratto le prese la mano e insieme le portarono in alto, in segno di vittoria, in segno d’amore forse, come per urlare al mondo ‘Capitol City non ci ha sconfitti, abbiamo vinto noi’.
In seguito tornammo a casa e potemmo parlarle e abbracciarla , mia madre non riuscì a staccarsi da quel forte abbraccio almeno per 5 minuti
«Pensavamo .... noi non ci aspettavamo .... oh Katniss! » Furono le uniche parole che riuscì a pronunciare, lasciò le frasi a metà spezzate dalle lacrime e i singhiozzi, Katniss era felice, ma percepivo una certa freddezza nelle sue azioni, i giochi l’avevano cambiata e qualcosa la turbava, ma lei non lo lasciava trapelare, non agli altri almeno, io lo notai. La sera stessa il Sindaco venne a casa nostra al Giacimento portandoci la notizia che avremmo dovuto traslocare, spostarci nel Villaggio dei Vincitori. Avremmo condotto uno stile di vita totalmente diverso, migliore. Ad un tratto dalla finestra spuntò Ranuncolo. In tutti quei giorni non si fece vedere nemmeno un secondo, inoltre Isaac, la scuola e Lady mi occuparono così tanto che non notai la sua assenza. Appena lo vidi, un urlo di gioia riecheggiò in casa «Ranuncolo! » Si accoccolò tra le mie braccia e iniziò a fare le fusa. Per quanto odiasse Katniss, la sua assenza mi fece capire che in un certo senso anche lui sentiva la sua mancanza e voleva stare per i fatti suoi a contemplare la perdita del nemico. «E’ ancora vivo? » Sbuffò Katniss. Poi ci guardammo negli occhi e scoppiammo in una risata fragorosa. 
In pochi giorni ci trasferimmo al Villaggio, la nostra casa conteneva poche cose, lo stretto necessario per sopravvivere, così ci impiegammo 2 giorni al massimo per portare tutto nella nuova casa. Appena misi piede lì dentro delle strane sensazioni mi colpirono in pieno petto, l’odore di chiuso si spargeva per tutta la casa, la mamma aprì le finestre e per la prima volta i tappeti del salotto furono illuminati dalla luce del sole. Tristezza e malinconia, ecco le sensazioni che provavo nel vedere l’oscurità di quell’edificio accoglierci a braccia aperte, mentre noi a passo leggero ci apprestavamo a sprofondare in essa.                                                                                              
I giorni seguenti furono dei piu’ felici, la nostra famiglia non conosceva la felicità e io cercavo di assimilare e assaporare ogni istante, così da poter accumulare piu’ momenti felici che potevo utilizzare nell’attimo in cui tutto sarebbe finito. Avrei potuto usare il ricordo di noi in salotto a prendere il tè, ridere e ascoltare Katniss ironizzare sui tizi strambi e sugli alloggi di Capitol City, nel momento in cui giorni bui avessero bussato alla porta per trascinarci nell’oblio insieme ad ansie e paure. Quella sera fu perfetta, Gale si unì a noi a cena, c’era un po’ di distacco tra loro due, potevo vedere le scintille nei loro occhi sfiorarsi appena, se si fossero toccate la casa sarebbe esplosa, ma Katniss sdrammatizzò la serata raccontando la sua scenata di fronte agli Strateghi, come avesse scoccato la freccia colpendo la mela in bocca al maiale che giaceva sulla tavola e come uno dei tizi piu’ grassottelli fosse caduto in modo buffissimo nel ponce. Prima di andare a letto decidemmo di dormire insieme, non ci eravamo ancora abituate alle camere separate in cui dormire, ma nonostante la sua vicinanza e il calore del suo corpo vicino al mio, un altro incubo mi divorò, quella notte.

Sentivo freddo e il mio alito, lentamente, creava una condensa calda intorno al mio viso. Mi trovavo in quella casa, vuota, senza mobili né tende, le finestre oscurate dalla polvere; solo due sedie erano poste vicino al camino e lì sedute vi erano Katniss e la mamma. Stavano ridendo e la luce del fuoco disegnava fiammelle di vita sui loro volti, ondeggiavano nei loro occhi, guizzanti di felicità. Mi unii a loro e assaggiai un liquido denso di colore scuro che Katniss chiamava ‘cioccolata calda’. Era davvero ottimo..... Due colpi violenti riecheggiarono nel corridoio vuoto, bussavano alla porta, ma dal mondo in cui la colpivano dovevano essere dei Pacificatori. Qualche minuto di silenzio e poi una decina di uomini in tuta bianca invasero la nostra casa. Eravamo spaventate ma Katniss mi spostò dietro la sua schiena, pronta a battersi. Due di loro la presero per le braccia e la trascinarono per tutto il salotto, io urlavo mi dimenavo e lei insieme a me, lacrime brucianti rigavano il mio viso e tutto intorno a me si oscurò lasciando che la figura di Katniss emanasse un ultimo sospiro di luce, che poi lentamente si spense. Mi buttai a terra, senza forze, dalle mie ginocchia sgorgava sangue, ma il dolore di un ennesimo allontanamento di Katniss mi aveva colpita con più forza. Una voce risuonò nella mia testa, la riconobbi era di Seneca Crane «Signori e signore, benvenuti all’Edizione della Memoria, che prevede il ritorno nell’arena dei tributi vincitori. Che i 75esimi Hunger Games abbiano inizio! » Qualche minuto di silenzio.... «I tributi del Distretto 12: Peeta Mellark e Katniss Everdeen! » Mi presi la testa tra le mani e urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, l’oscurità mi inghiottì. 
La casa era vuota e le mie urla rimbombarono sulle mura e sugli oggetti circostanti. Le braccia di Katniss erano già pronte e legate attorno al mio corpo, il suo mento sopra la mia testa e la sua voce tranquilla
«Era solo un sogno! Prim, calmati. » «Tornavate nell’arena, tu e Peeta ..... di nuovo lì, lontano da me. » «Ehi, sono qui, nessuno mi porterà via, sono tornata, non devi nemmeno pensarci. » Ormai non riuscimmo più a prendere sonno, erano le 5 di mattina e insieme scendemmo in cucina a preparare la colazione. Il sole spuntò dietro le montagne e tutto prese vita, la fontana che ornava l’entrata della casa prese a zampillare, ma il freddo aveva ricoperto tutto, gli alberi, le siepi e la strada, così l’acqua che sgorgava dalla fontana si ghiacciò nell’arco di 2 secondi. 
Verso le 7, Katniss uscì di casa per andare a cacciare, nonostante le nuove comodità, lei aveva bisogno di trovare la pace nei suoi boschi e così rimanemmo io e la mamma. Pensai di andare a trovare Isaac, dovevo raccontargli di Katniss e del mio sogno, lui avrebbe avuto le parole giuste da dire, aveva sempre le parole giuste. 

«Sai Prim, il destino è come il disegno a volte, ti da carta bianca e tu puoi disegnare la tua vita in base ai colori che ti offre. Tua sorella l’ha fatto, aveva pochi colori, poche speranze, ma con quei pochi è riuscita a tornare da te, si è disegnata il suo destino. Capita che il foglio si stropicci e ci siano degli imprevisti, ma con un po’ di pazienza lo si può stirare e modellare per farlo tornare come prima. » Mi guardò per un attimo staccando lo sguardo dal pennello. «Hai un viso così delicato, dei lineamenti precisi e un colorito perfetto. Vorrei farti un ritratto. » Lo guardai fisso, evidentemente la mia espressione era un po’ perplessa, perché lui arrossì e iniziò a balbettare «Cioè s-se non ti va, n-non importa, cioè non è un problema, era per dire che sei carina, cioè insomma ..... » Abbassò lo sguardo e inarcò le sopracciglia, disse qualcosa di incomprensibile tra sé e sé, io sorrisi e risposi «Per me va bene. » Potevo sentire il suo cuore impazzito battere forte anche da quella distanza, mi avvicinai a lui per poterlo udire meglio, il suono dei battiti era rilassante, di notte quando l’ansia e la paura mi inghiottivano mi toccavo il petto e sentivo il cuore pulsare sotto le mie dita, il respiro tornava regolare e le palpebre si appesantivano. Cercai di non farmi notare, usai come scusa il disegno «Scusami, vorrei vedere meglio quello che stai facendo. » Le nostre gambe incrociate si sfiorarono, il mio braccio sinistro si appoggiò completamente al suo e allungai il viso verso il disegno. Percepii il suo respiro accelerare sulla mia pelle, iniziò a strizzare gli occhi puntati sul foglio circa ogni 2 secondi. Ad un tratto lasciò cadere il pennello e vidi la sua mano allungarsi delicatamente sul mio viso, furono gesti leggeri e decisi, spostò il mio sguardo e il mio volto in direzione del suo, ci guardammo negli occhi e mi diede il tempo di perdermi nel suo sguardo , poi come se fosse un gesto del tutto naturale, posò le sue labbra sulle mie, e le premette con forza. Chiuse gli occhi, io avevo i miei puntati sulla sua fronte. Sentii il labbro inferiore inumidirsi, aveva aperto appena la bocca e adesso sentivo il suo movimento impercettibile sulla mia, immobile e rigida. Quel piccolo e delicato atto si interruppe nel modo più lento possibile. Lui allontanò le sue labbra quel poco che bastava per respirare l’uno il profumo dell’altro e per dare uno sguardo alla mia reazione. Tenni gli occhi chiusi per un attimo, poi li riaprii. Grosso errore. Sentivo il suo corpo così vicino e il suo respiro invadermi la pelle, i suoi occhi percorsero ogni centimetro del mio viso e fissarono bene le mie guance ormai totalmente invase da un fuoco rosso. Un terribile senso di imbarazzo mi percorse le schiena in un brivido di freddo. Mi allontanai, non sapevo che espressione assumere. Posai un bacio sulla sua guancia senza guardarlo in viso e imboccai l’uscita del cimitero, camminando a passo veloce verso casa mia. 
Entra in casa e buttai ogni ansia e incertezza alle mie spalle, poggiandomi piano al portone.
«Prim ? Sei tu ? » Mia madre uscì dal salotto con uno strano sguardo, avvicinò le sue labbra al mio orecchio e sussurrò «Pacificatori, Snow » Alzai gli occhi dal pavimento, poteva leggere tutta la paura che derivava da quelle due semplici parole nelle mie pupille e nella mia espressione. «Non farti vedere agitata. » Il mio incubo, stava succedendo ? Stava prendendo davvero forma nella realtà ? Andammo in salotto e con un gesto delicato mia madre ci congedò dai Pacificatori. Ci dirigemmo in cucina e mia madre prendendomi per le braccia, disse «Non so cosa vuole da noi, da Katniss, si trova nello studio in questo momento, probabilmente vuole congratularsi con lei di persona, non dobbiamo far scoprire ai Pacificatori che Katniss è andata nel bosco o non so cosa può succederle. » A quelle parole io annuii, assunsi un’espressione che non lasciasse trapelare emozioni ,in preda alla paura, e sentimmo il portone aprirsi. Dovevamo arrivare da Katniss prima di loro, per avvisarla. «Com’è stata la passeggiata, Katniss ? » Squittì mia madre, sorridendole falsamente. «Quale ......? » Si interruppe proprio nel momento in cui spuntarono i Pacificatori dal salotto. Si diressero verso di lei, la presero e la  portarono nello studio. Aspettammo per 10 lunghi minuti fuori dallo studio, in attesa. In seguito Katniss e Snow uscirono uno dopo l’altro, lui aveva un’espressione soddisfatta sul viso e rivolgendosi a mia madre disse «I suoi biscotti erano squisiti signora, arrivederci e Katniss, a buon rendere » Un sorriso arrugginito comparì sul suo viso consumato e Katniss, terrorizzata ci guardò fisso, fin quando la porta non si chiuse dietro le spalle dei Pacificatori. «Voi sapete che per vincere io e Peeta abbiamo usato la tattica delle bacche, giusto? » Annuimmo. «Lui e tutti i distretti l’hanno visto come un gesto di sfida verso Capitol City, adesso vuole che durante il Tour della Vittoria, io e Peeta dobbiamo convincere tutti del nostro amore, in special modo dobbiamo convincere lui. Mi ha minacciata mettendo in pericolo la vita di tutti quelli che amo. » Da quelle parole capii che l’amore che tutti credevamo ci fosse tra i due era falso e mi sentii un po’ tradita, ma presi a riflettere sulle parole che seguirono. ‘mettendo in pericolo la vita di tutti quelli che amo.’ Eravamo tutti in pericolo e Snow sapeva come rendere le vita delle persone un vero inferno. Ma capii una cosa fondamentale, mia sorella aveva fatto fiorire nel cuore dei distretti la Speranza, e tutti noi sapevamo che la Speranza era l’unica cosa piu’ forte della paura.

   
 
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