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Autore: Ruta    22/06/2014    6 recensioni
“Molly.”
Qualcosa, nel modo in cui lui aveva pronunciato il suo nome, suonò carico di significato.
Gli occhi azzurri di Sherlock, appuntandosi sul suo viso, espressero per un attimo un sentimento di sollievo talmente radicato che lei si chiese come fosse possibile che una manciata di secondi dopo si fosse già dileguato senza lasciare traccia del suo passaggio.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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9

Molly si svegliò e fu come se non lo avesse fatto. Si rigirò nel letto, cercando di dare un significato alla babilonia che aveva in testa e di spegnere quello stupido, enorme sorriso che sembrava essersi cucito alla bocca.  
Si voltò e affondò la testa sotto il piumone, ridendo e sentendosi perfettamente sciocca, ma anche incredibilmente a proprio agio nella sua felicità. Era successo davvero? Stava ancora sognando?
Si sfiorò le labbra, ricordando la consistenza dei baci della notte prima, il calore degli abbracci che li avevano accompagnati.

Sono la creatura più felice dell'universo. Forse altri lo hanno detto prima di me, ma nessuno con tanta ragione.
Molly spense la sveglia nello stesso momento in cui squillò e scattò in piedi, in piena fibrillazione. Infilò la vestaglia alla rovescia e dovette tornare indietro perché aveva scordato le pantofole.
E poi di nuovo per aver dimenticato - “Toby”, lo chiamò colpevole e lui miagolò il suo disappunto. “Mi dispiace. Non so dove ho la testa, stamattina.”
Era una bugia. Sapeva fin troppo bene dove l’aveva lasciata; più o meno dov’era sempre stata negli ultimi dieci anni: nella tasca di un investigatore a caso, insieme al suo cuore.

 

*

 

Il salotto era in fermento. Be’, forse era una gonfiatura, ma rimaneva il fatto che ci fosse fin troppa vita per quella data ora della giornata.
Sherlock impartiva ordini a Mrs. Hudson, usando l’archetto del violino per dirigere l’orchestra dei suoi spostamenti.
Fu il primo ad accorgersi di lei. 
Molly mise giù Toby, biascicò un timido ‘giorno, fissando lo sguardo ovunque tranne che su di lui.
Avevano allestito la tavola, ma non c’erano bricchi e tazze. C’erano innumerevoli fiori, invece, un’infinità di fiori, fiori a perdita d’occhio e ogni fiore occupava un piccolo recipiente o un bicchiere o una caraffa. La penuria di vasi aveva prodotto la drastica scelta di utilizzare anche gli strumenti da laboratorio di Sherlock.
Molly intravide un crisantemo rosso in un cilindro graduato. Un ramo di biancospino – i corimbi bianco-rosati - in un densimetro. Una ginestra in un matraccio. Un trifoglio bianco, una viola blu, una rosa muscosa, un’orchidea, un bucaneve, una campanula.
Batté le palpebre, sbalordita. Stava per chiedere cosa significasse quell'asserragliamento di colori e profumi, quando Mrs. Hudson le volò incontro. “Benedetta, ragazza! Cara, cara ragazza,” le baciò le guance. “Sherlock mi ha raccontato ogni cosa. Sono così felice per voi! Così felice che credo potrei scoppiare dalla gioia.”
Molly si limitò a farsi strizzare il mento e accarezzare le mani e vezzeggiare da lei, con occhi vacui e distanti.
“Mrs. Hudson,” disse Sherlock.
Il blaterante cicaleccio cessò. “Vorrete stare soli, certo. Permettimi di dirti un’ultima volta quanto felice -”
“Mrs. Hudson.”
“Mi aspetto davvero che tu plachi questi tuoi modi rudi, caro. Molly dovrebbe essere un deterrente sufficiente.”  Con un sospiro tremulo e commosso, Mrs. Hudson uscì.
Sherlock non attese oltre. Posò l’archetto sul mobile di fianco alla finestra, le si avvicinò e la baciò, a lungo e pressantemente.
Quella stupida, assolutista e prepotente felicità si riaffacciò insieme a quell’ancor più stupido sorriso qualunque.
Questa volta lei non era impreparata. Artigliò la camicia di Sherlock tra le dita, mentre gli sfiorava la fronte e i capelli – ed erano come aveva sempre pensato che dovessero essere: soffici al tatto e sfuggenti, linee e curve d’ombra. Dio, se era piacevole. Era vero; ed era suo.
Lo baciò più a fondo, urtò il naso contro il suo, ma non importava, non aveva davvero la minima importanza.
Sherlock le poggiò le mani sui fianchi e Molly sentì la scarica di piacere raggiungere picchi irresistibili. Si staccò a malincuore, con il fiato corto e le guance che le scottavano. Si passò la lingua sulle labbra e vide che gli occhi di Sherlock – le pupille dilatate, i capelli arruffati per la foga con cui lei ci aveva infilato la mano attraverso – seguivano il gesto.
“Dopamina,” lo sentì dire, la voce appena meno disciplinata del solito.
Molly annuì. La dopamina, il neurotrasmettitore del piacere. Il suo doveva essere alle stelle.
Fece per baciarla di nuovo, ma Molly lo frenò e il nuovo bacio fu un discreto sfiorarsi di labbra. “Sherlock, aspetta. Tutto questo è molto piacevole, ma...”
Sherlock sorrise furbamente. Aveva un sorriso inedito, da ragazzo.
Molly ne fu abbagliata e stregata. “Ma dobbiamo parlare,” concluse. “Ieri sera non ne abbiamo avuto modo.”
E Molly non avrebbe voluto perché Dio, aveva trent’anni e non era alla sua prima cotta, ma non poté farci niente, arrossì. La sera prima, ricordava, erano stati troppo impegnati a pomiciare per scambiarsi più di qualche parola.
Sherlock annuì, con l’aria di trovare quanto aveva detto del tutto ragionevole. “Chiedi e avrai risposta.”
Un minuto più tardi erano entrambi sul divano, l’uno di fianco all’altra.
Lui era seduto compostamente, nella trasposizione della postura perfetta: quel punto di mezzo tra la legnosità e la flessibilità. Lei era curva in avanti, le braccia sulle ginocchia e le mani sovrapposte. Le guardava come se non sapesse cosa farci, come occuparle.
“Io –” Molly deglutì. “Hai detto di provare qualcosa. Per me.” Detto ad alta voce ed espresso da lei non era utopia. Era peggio, molto peggio: trascendeva ogni logica umana. “Quando ha avuto inizio?”
“Tre anni fa.”
“Tre anni fa,” ripeté a pappagallo, sperando che ripeterlo trovasse un senso a quello che aveva sentito, glielo rendesse più comprensibile. Scosse la testa con forza. “Mi dispiace, non credo di aver capito.”
“Hai capito benissimo, Molly.” Sherlock espirò, guardandola intensamente. “Quando sono tornato ero intenzionato a parlartene, ma tu eri fidanzata.” C’era qualcosa in fondo ai suoi occhi, una specie di lampo che era molto facile associare al dispetto.
“Non provare a dare la colpa a me, Sherlock Holmes! Non osare. Avresti potuto parlarmene, avresti dovuto.”
“Per dirti cosa?” Sherlock fece una smorfia. “Eri andata avanti. Inoltre sembravi felice. Pugnale di carne ti rendeva felice.”

Eri tu, avrebbe voluto dire Molly. Ero felice che tu fossi tornato. “I conti non tornano lo stesso. Io e Tom ci siamo lasciati mesi fa. Perché non hai parlato allora?”
“Lo ammetto, il mio è stato un errore di calcolo. D’altronde avevo altre questioni per le mani. Dovevo diroccare la fortezza di un estorsore internazionale e i Watson non mi erano di alcun aiuto, ostinandosi a comportarsi come bambini.”
Molly annuì. Ricordava il periodo: i mesi che avevano preceduto Natale. “Per via di Mary, vero?”
“Certo, per via di Mary.” Sherlock le rivolse un breve cenno prima di bloccarsi a metà del gesto e squadrala con una diffidenza mista ad una sorta di ammirazione. “Cosa sai di questa storia?”
“Solo intuizioni,” rispose Molly, improvvisamente a disagio. “E… sensazioni. Greg si è lasciato sfuggire quello che John gli aveva detto, che credeva che tu stessi proteggendo chi ti aveva sparato. E poi c’è stato l’allontanamento tra John e Mary e tu, la notte in cui sono venuta a trovarti.”
La fronte di Sherlock s’increspò in un lieve acciglio. “Quale?”
“Eri sotto anestesia.” Molly chiuse gli occhi mentre il ricordo, vivido e doloroso, le sbocciava in mente. Li riaprì quasi subito, disperdendo l’immagine in barbagli di presente. “Hai fatto il nome di Mary. Mi è sembrato abbastanza strano all’epoca, così ho iniziato ad osservare.”
L’orgoglio di Sherlock era evidente; si offuscò nell’ombra di un secondo pensiero. “Non sapevo che fossi passata,” disse e in tono di accusa: “Non sei mai venuta a trovarmi, dopo.”
“Tu non lo hai mai chiesto.”
“Mi ero comportato orribilmente.”
“Sì, sei stato atroce, ma d’altronde non eri in te.” Molly non poté trattenersi dal fare una smorfia.
Forse trapelò qualcosa, un’eco dell’amarezza e della delusione si rincorse nei suoi occhi, o forse lui li notò nel modo improvviso in cui aveva serrato la bocca. Fatto stava che con uno scatto agile, repentino Sherlock le fu di fronte; le afferrò le mani tra le sue, costringendola a guardarlo. La sua espressione, la luce di animazione nel suo sguardo, sul viso di qualunque altro uomo, sarebbero state dichiarazioni sufficienti. Nel caso di Sherlock non erano soltanto adeguate, ma tutto ciò di cui lei aveva bisogno.
“Cosa vuoi, Molly?” domandò Sherlock, il tono basso e accorato, imperioso.”Di cosa hai bisogno?”

Di te. “Non voglio giuramenti o promesse o quel genere di cose,” rispose Molly. Sherlock la invitò a proseguire con lo sguardo. “Non me ne aspetto. Vorrei solo che tu ti preoccupassi… che tu rivolgessi lo stesso riguardo che usi ai tuoi amici anche a te.”
Sherlock esitò. Capiva perfettamente la portata di quel che lei gli stava chiedendo. “Posso… provarci.”
“E io posso aiutarti, posso accertarmi che tu ci riesca. So essere uno straordinario deterrente a quanto dicono.” Gli sorrise e gli pose le mani ai lati del volto, accostando il proprio. “I sentimenti non sono la tua area di competenza. Lo so, non importa. Finché posso vederli, non è importante che tu dica niente.”
“Potrei non dirtelo mai,” affermò lui. Molly lo sapeva.
“Ma hai ragione,” proseguì Sherlock. “Posso mostrartelo.” Si alzò e aprì le braccia per indicare la stanza nella sua interezza. “Osserva il mio regalo per te, Molly.”
Molly scoppiò a ridere per il modo solenne in cui lui li aveva riportati alla sua attenzione. “Fiori?”
Sherlock arcuò le sopracciglia, scoccandole un sorriso vago e allusivo. “Non fiori, Molly,” la corresse affettuosamente. “Parole di un linguaggio a fruizione di pochi privilegiati.”
Presentandola come una regina al suo corteo, lui le sussurrò all’orecchio il significato di ogni pianta e tralcio nelle ampolle.
Agrimonia. Gratitudine.
Un fiore di sambuco. Vera compassione.
Girasole. Devozione.
Margherita. Pazienza.
Ogni fiore era un tuffo al cuore.
Come avrebbe potuto non credergli? Come avrebbe potuto resistere alla perfezione di quella felicità che l’assaliva, la colmava?
Semplice, non poteva.

 

*

 

Sherlock, cos’è questa storia di te e Molly? Mrs. Hudson va raccontando che – ma no, è impossibile. Lascia stare.
John, 10:01

 
Lo è giusto? Impossibile, intendo. Mrs. Hudson dice – ma non importa. Per anni ha detto che noi eravamo una coppia. Non dovrei più sorprendermi di niente, giusto?
John, 10:06

 
Okay, so che è da pazzi, ma devo saperlo. Tu e Molly…?
John, 10:09

 
Sherlock, se è uno dei tuoi stupidi scherzi o uno dei tuoi stramaledetti esperimenti, giuro su Dio che ti farò passare un brutto quarto d’ora.
John, 10:13

 
Ripensandoci, no. Ho deciso che ti farò guardare il video del parto di Mary.
John, 10:18

 
Okay, no. Mary minaccia di sparare a entrambi se solo mi azzardo.
John, 10:19

 
Sul serio? Tu e Molly? Molly Hooper?
John, 10:25

 
Se la fai soffrire, Sherlock, migliore amico o no, Katie si ritroverà orfana del suo padrino. Mary è d’accordo con me.
John, 10:30

 
Sto iniziando a preoccuparmi. Non è da te non rispondere. No, aspetta. È esattamente da te, razza di idiota. Mettiamola così. Se non rispondi entro dieci minuti, aspettati me e metà Scotland Yard a Baker Street. E Mycroft.
John, 12:01

 
John, taci. Ho le mani impegnate.
Sherlock, 12:01

 
Oh. Oh. Cristo, quanto ti odio quando fai così.
John, 12:02

 

*

 

Com’è vivere con Sherlock? Com’è amarlo, Molly? – le aveva chiesto Meena.
Era come respirare, avrebbe voluto risponderle. Tornare a respirare dopo che per anni aveva avuto il petto stretto in una morsa, come in uno di quei busti di gesso o un bustino vittoriano o un corsetto ortopedico. Non si aveva piena libertà di movimento, ci si sentiva costretti in qualcosa che non ci apparteneva, non ci era proprio. E quando finalmente lo si toglieva, quando quel peso che aveva costretto il petto scompariva, si facevano ampi e profondi respiri. Si era liberi. Ci si sentiva di nuovo se stessi, tutti d’un pezzo.
Cercare di non amare Sherlock, cercare di andare avanti, - Dio, che sciocca era stata – di circoscrivere i suoi sentimenti e ingabbiare l’amore, rimuoverlo, era stato come uccidere una parte di sé, un gesto contro natura.
Amarlo era come tornare a casa. Una frase fatta, ma era così. Amarlo era percorrere la strada di casa. Si rendeva conto di non essersi mai allontanata troppo. Era rimasta sul giardino del cortile per tutto il tempo, aspettando che qualcuno, dall’interno, aprisse la porta per lei. Finalmente era successo.
 

*

 

Tutto era stato deciso in quel momento. O forse molto prima: una notte lontana, in cui lei aveva abbassato le difese e gli aveva mostrato i suoi dubbi. Non conto.
C’erano state scene imbarazzanti. (“Dio, no.” Sally aveva scosso la testa. “Dimmi che non ci vai a letto. Non il Fenomeno.”
Con candore, Molly aveva detto che il soprannome era più che meritato.
Sally era parsa disgustata. “Sai che adesso non potrò più chiamarlo così, vero?”
Molly aveva riso. “Lo spero.”)
Scene commoventi. (“Te lo affido, Molly.” Un John visibilmente turbato le aveva passato il testimone.)
Scene irreali. (“Mi auguro che il tuo non sia il semplice bisogno di un uomo immaturo che soffre di carenza d’attenzione.” Meena era comicamente seria.)
Scene ridicole. (“Gesù! Anderson aveva ragione? Anche su questo? Dovresti parlarci, sul serio. A questo punto un sacco di sue teorie sui complotti mi paiono meno idiote se aveva indovinato questo.” Greg l’aveva presa meglio del previsto.)
E poi Mycroft, che non era classificabile in alcuna graduatoria. Nel suo caso, ovviamente, era bastata un’occhiata all’apparenza superficiale e di pura sopportazione. “Mamma sarà deliziata, Sherlock.”
 

*

 

Tutto era cambiato, ma non loro.
 


 


N/A:

Capitolo lampo, scritto stanotte o stamattina – erano le tre, non la tiro per le lunghe, è per questo che è leggermente allucinato. Vado di corsa, quindi vi lascio solo con un grande, ciclopico abbraccio e incrocio le dita nella speranza che vi si piaciuto.
Il prossimo capitolo si ritorna in azione. Finalmente mostrerò tale Victoria Queen e il folgorato Henry Knight (che troverà Molly molto attraente, con conseguente gelosia di Sherlock).
Sono la creatura più felice dell'universo. Forse altri lo hanno detto prima di me, ma nessuno con tanta ragione. (Elizabeth Bennet, Orgoglio e Pregiudizio) 

  
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