CAP.12
NON ME NE VADO ____
Il viaggio verso l’ospedale mi sembrò
infinito. L’autobus sembrava
viaggiare lento tanto quanto una lumaca, se non addirittura
più lento. Avrei
voluto allontanare l’autista e mettermi a guidare al posto
suo, ma non ero così
disperato e non avevo idea di come guidare un autobus. Ero preoccupato,
anzi, molto
preoccupato. Per Leah ma, soprattutto, per Nicholas. Perché
c’è un solo motivo
per il quale lei possa assentarsi improvvisamente da scuola senza
avvisare: una
ricaduta di suo fratello. Proprio come anni fa. In
quell’occasione, sentì solo
Lysandro parlare a Castiel di un ospedale, ma all’epoca non
sapevo che cosa
volesse dire per lei andare in ospedale. Ma ora che lo sapevo, non
potevo fare
finta di niente.
Quando
l’autobus si fermò, mi fiondai fuori e raggiunsi
di corsa la hall dell’ospedale. Mi fermai al centro e cercai
qualcuno che
potesse darmi un’indicazione. Per ironia della sorte, vidi
l’infermiera che
incontrai l’altra volta al pronto soccorso e la raggiunsi di
corsa. Lei mi
fissò sorpresa e palesemente felice di vedermi.
-
Ma tu sei… -
-
Devi dirmi dove posso trovare Nicholas Smith! -
-
Co-come? -
-
È un’emergenza! -
Sobbalzò
e si diresse rapidamente al computer più vicino,
lanciandomi di tanto in tanto sguardi confusi (credo di averle rovinato
la mia
immagine da bravo ragazzo).
-
Nicholas Smith è attualmente in sala operatoria. Non
so… -
-
Dov’è la sala? -
-
Al quarto piano, ma… -
Non
le diedi il tempo di finire la frase. Mi voltai
subito e corsi verso gli ascensori che, neanche a farlo apposta, erano
tutti
occupati. Dicendone di tutti i colori, corsi verso le scale e
salì fino al
quarto piano, aprì la porta e la vidi. Era seduta su una
panca, davanti alla
porta della sala operatoria. Vestita con una semplice tuta e i capelli
legati
in una coda malfatta, aveva il viso tra le mani e muoveva nervosamente
una
gamba. Mi avvicinai piano ma lei non sembrò accorgersi della
mia presenza.
Provai a chiamarla ma il fiatone me lo impedì, o almeno
credo che fosse il
fiatone. Avevo il cuore a mille per l’ansia e vedere la luce
dell’insegna sopra
la porta della sala accesa di rosso, non mi aiutava. E di certo, non
aiutava
lei.
-
Leah? -
Sobbalzò
leggermente nel sentirsi chiamare, e alzò la
testa nella mia direzione. Mi sentì male: era bianca come un
lenzuolo e le
leggere occhiaie mi fecero capire che era qui da molto e che non aveva
dormito.
Era indubbiamente sorpresa nel vedermi qui.
-
E tu che ci fai qui? - Provai a rispondere, ma mi
bloccai nel vederla alzarsi e dirigersi verso di me. Adesso era molto
arrabbiata e sembrava un toro alla carica. Strinse i pugni ed
alzò la voce.
-
Che ci fai qui? Come hai fatto a sapere che ero qui,
eh?! Sparisci! -
Scossi
la testa. - No. -
-
Come?! -
-
Non ti lascio da sola. - Mi afferrò il colletto della
giacca con entrambe le mani. La sentì tremare come una
foglia.
-
Se non te ne vai, giuro che ti ammazzo di botte!
Sparisci! -
-
No. -
-
Ti ho detto di sparire! -
Vidi
i suoi occhi riempirsi di lacrime. Come potevo
lasciarla lì quando era palese che mi voleva con
sé? Me lo stava dicendo. Me lo
stava urlando da tutti i pori. Il tono di voce, la
gestualità del corpo… non
era di una che voleva alzare le mani… voleva piangere.
Sfogarsi con qualcuno.
Liberarsi per un po’ del peso che porta, far fuoriuscire
tutta la tristezza, la
rabbia, la paura che porta dentro e condividerla con qualcuno e non con
un
sacco da boxe. D’altronde, anche le tigri più
forti hanno paura di qualcosa,
no? La abbracciai, stringendola forte a me. In quel momento, decisi che
l’avrei
sostenuta, che sarei stato la sua roccia e che avrei condiviso parte di
tutti i
suoi problemi. Schiavo o amante, decisi che, per lei, ci sarei sempre
stato.
-
Puoi farlo. Con me puoi farlo. Lasciati andare … ci
sono qui io e ci sarò sempre. Non me ne vado. -
Restò
immobile per qualche istante. Sentì la presa delle
sue mani sulla mia giacca farsi sempre più debole fino a
sparire del tutto e fino
a far cadere le braccia lungo i fianchi. Non ricambiò
l’abbraccio, ma la sentì
affondare il viso sempre di più al mio petto e io la strinsi
ancora di più. Non
disse nulla, non la sentì piangere. Emise solo un piccolo
singhiozzo solitario
che mi dilaniò il petto. A quel singhiozzo, risposi
appoggiando la fronte sulla
sua spalla e in quel momento si abbandonò al mio abbraccio
fino a ricambiarlo,
appoggiando delicatamente le braccia sulla mia schiena e stringendo tra
le mani
la giacca. Al singhiozzo di prima, ne seguì un altro. E poi
un altro ancora.
Finchè, finalmente, si lasciò andare ed esplose
in un pianto disperato. Le
gambe le cedettero ma riuscì a sostenerla e a farla sedere a
terra senza che si
facesse male e senza sciogliere l’abbraccio. La sua presa si
fece sempre più
forte e i singhiozzi più violenti. Mi sembrò
così piccola e indifesa… vederla
soffrire così, mi fece star male più di quanto
potessi immaginare.
Non
so per quanto tempo pianse, né quanto a lungo
rimanemmo seduti a terra anche dopo che smise di piangere.
Semplicemente, a un certo punto ci ritrovammo seduti sulla panca uno di
fianco
all’altro a fissare la porta davanti a noi. Guardai
l’orologio e mi resi conto
che era mezzogiorno inoltrato.
-
Hai fame? -
Lei
scosse la testa.
-
Dovresti mangiare. Immagino che tu sia a digiuno da
chissà quanto. -
Non
rispose. Decisi di andare a prenderle qualcosa alla
macchinetta, anche solo un caffè caldo, quindi mi alzai. Ma
non riuscì a fare
più di un passo.
-
Come hai fatto a sapere che ero qui? -
Mi
bloccai. Non mi mossi e non dissi nulla. Ma non ero
così sorpreso dalla domanda, sapevo che me
l’avrebbe chiesto, dato che sono
piombato da lei così di punto in bianco. E non potevo
nemmeno dire che mi aveva
avvisato Lysandro, dato che nemmeno lui sapeva del ricovero di
Nicholas. Avevo
fatto tutto da solo. Sospirai e mi voltai verso di lei, deciso a
raccontarle la
verità una volta per tutte. Ero pronto.
-
Leah. Devi sapere che… -
-
Gliel’ho detto io. -
Mi
voltai e vidi Lysandro, seguito da Castiel,
raggiungerci con la mia tracolla in mano. Me la porse e io
l’afferrai.
-
Hai scordato questa a scuola. -
-
Grazie. -
Dalla
sua espressione, capì che era arrabbiato con me e
aveva tutte le ragioni del mondo per esserlo: mi aveva avvertito e gli
avevo
fatto una promessa che ho puntualmente infranto. Ma non mi disse nulla.
Semplicemente, mi sorpassò e raggiunse Leah sedendosi vicino
a lei.
-
Come sta? -
-
È lì dentro da stamattina. Si è
sentito male e ho avuto
giusto il tempo di portarlo qui che… è crollato a
terra per un infarto… -
Infarto.
Come può un ragazzino di dodici anni avere un
attacco di cuore? I miei pensieri furono interrotti da Castiel, che mi
afferrò
per la giacca e mi trascinò lontano. Eh no, non è
il momento per un’altra
azzuffata!
-
Castiel, non è il momento per… -
-
Ti ha chiamato lei? -
-
Eh? -
-
Ti ho chiesto se è stata lei a dirti di raggiungerla
qui! -
Lo
guardai. Non riuscivo a capire se la sua era una
scenata di gelosia perché lui non è venuto a
saperlo prima di me… o perché io
ero lì a consolarla al posto suo… possibile che
sia innamorato di Leah?
Socchiusi gli occhi e spostai il viso di lato, pronto per una sua
possibile
reazione violenta.
-
Sono venuto qui da solo. Nessuno mi ha avvisato di
nulla. -
-
Come sapevi che era qui? -
Non
risposi. Mi lasciò la giacca e incrociò le
braccia
nella sua tipica posa da bulletto alzando leggermente il viso e
guardandomi
storto.
-
Allora?! -
Alzai
le mani in segno di pace. - Senti, penso che tu
possa capire come io faccia a sapere di Nicholas e nonostante tutto,
non sono
così crudele da ignorare una cosa così grave. Non
so che legame c’è tra voi due
e sinceramente non mi interessa, ma Leah è importante anche
per me e che tu lo
voglia o no, io da qui non me ne vado. -
Avevo
capito giusto: Castiel provava qualcosa di più di
una semplice amicizia per Leah. Alzò un lato del labbro,
come se volesse
ringhiare, e mi fissò in cagnesco.
-
Tsè. Non aspettarti che non sia lei a mandarti via. Prima
o poi, verrà a sapere la verità e allora ci
sarà da ridere. -
-
Hai ragione. Ma non sarà oggi. -
Abbassò
il capo fissandomi senza dire altro. Nonostante tutto,
non era così stupido da non capire la situazione. Leah aveva
bisogno del suo
amico tanto quanto di me, e lui lo sapeva. Così mi voltai e
tornai da Leah e da
Lysandro seguito da Castiel. Lysandro, nel vederci tornare, si
alzò.
-
Andiamo, Cass. Qui siamo in troppi. -
-
Che cosa?! Col cavolo che me ne vado! -
-
Andiamo e poche storie. - Detto questo, salutò Leah con
un cenno della mano, sussurrandole “Fammi sapere” e
afferrò per il bavero della
giacca il rosso tirandolo verso la porta d’uscita (il quale
non smise per un
istante di lamentarsi) ma non prima di fulminarmi con lo sguardo.
Perfetto… mi
sono inimicato anche Lysandro… il che mi fece sentire
speciale: Lysandro ha mai
odiato qualcuno in vita sua? Quando i due uscirono, mi voltai verso
Leah
accorgendomi che mi stava fissando.
-
Vado a prenderti qualcosa da bere. -
-
Aspetta. Vieni qui. - E mi indicò il posto vuoto vicino
a lei. Mi sedetti aspettandomi il peggio.
-
Lys mi ha raccontato tutto. -
Voilà!
E io che avevo da poco deciso di rimandare le
spiegazioni… deglutì. - Ah si? -
-
Si… mi ha detto che, quando ti ha riferito della
situazione di Nick, ti sei fiondato qui senza permettergli di
approfondire il
discorso su di lui. -
-
Oh… beh… -
-
Mi sono arrabbiata, perché non doveva permettersi di
parlartene senza il mio permesso. Ma ormai… sai, penso che
sia giunto il
momento di rispondere alla tua seconda domanda. -
La
guardai. Immagino la fatica che possa fare nel
parlarmi della sua situazione. Ma mi ero promesso che l’avrei
sostenuta. Così,
mi preparai per farlo.
Note:
Al contrario di ogni mia previsione, sto ricevendo
dei commenti molto positivi sulla mia storia. Questo mi rende davvero
felice e
mi motiva ad andare avanti, anche se il tempo per farlo si sta
riducendo sempre
più (il che non è del tutto negativo, per me!).
Cercherò, quindi, di essere il
più puntuale possibile nel pubblicare i capitoli e spero
nella vostra pazienza
e comprensione! Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi
ringrazio per aver letto e per i bellissimi commenti che mi lasciate. E
come
sempre… ciao ciao!