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Autore: ordinary_people    22/06/2014    4 recensioni
Due cose accomunano Elena Gilbert e Damon Salvatore: la prima è che devono lavorare assieme per lo spettacolo invernale della scuola. La seconda, invece, è una semplice scommessa che nasce a causa del ragazzo dagli occhi azzurri, come dimostrazione che la bella Gilbert è un divertimento come altri.
Dal testo: ““Io ho … ho bisogno di lei, Caroline”
Prende un respiro profondo e mi guarda. Sposta il peso da una gamba all’altra e poi si decide a parlare: “E lei di te, ma non è questo il momento” detto questo, senza lasciarmi la possibilità di proseguire la discussione – o qualsiasi cosa essa fosse – esce, andando a raggiungere una bellissima Elena rannicchiata in un angolino accanto alla porta, con il vento a scompigliarle i capelli e quegli occhi maledettamente rossi, ma Caroline ha ragione … è il momento di darle del tempo, per lei … per riprendersi. Ma una cosa è certa: non la lascerò andare, non se lo merita.
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Storia scritta a quattro mani da _valins e missimissisipi
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Klaus, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo otto

“Adesso penso sia il caso di dirci che diavolo sta succedendo fra te e mr. Mi faccio tutta la scuola e la cosa mi rende ancora più figo di quanto io creda di esserlo!” Caroline mi guarda di traverso mentre agita un pennello stracolmo di vernice grigia che dovrebbe servire a pitturare gli armadietti in cartone che stiamo creando come oggetti di scena.
Bonnie e Rick sono in teatro per sistemare la questione “audizioni” mentre Caroline ed io siamo sedute per terra, in palestra, che abbiamo prenotato solo per noi e per la quantità industriale di cartone raccattato al supermercato oppure dagli sgabuzzini della scuola. 
“Non succede niente” rispondo io, concentrandomi forse un po’ troppo sulla bordatura nera di un armadietto.
“E pensi davvero che ti creda? Solo, solo questo ‘dobbiamo parlare’ di cosa dovete parlare eh?” agita il pennello a tal punto da schizzarmi di grigio il naso e la guancia. 
“Caroline! Mi hai sporcato tutta!” 
“Non ci provare a cambiare discorso!” 
“E va bene – lascio andare il pennello contro il pavimento – si dia il caso che ieri notte abbia dormito a casa sua, nel suo letto … insieme a lui” 
Lei rimane in silenzio, per una quantità indefinita di secondi e non ho mai desiderato che Caroline parli.
“Avete fatto sesso?” urla.
“No! Abbassa la voce! – sussurro – solo dormito” 
“Ah ecco, sarebbe un peccato sprecare la tua prima volta con uno così … anche se-” eccola che ricomincia con i suoi discorsi sulla prima volta.
“Caroline, non voglio parlare di questo” ribatto, innervosita.
“In ogni caso, aspetta qui … vado a controllare come vanno le cose in teatro e poi prendo la vernice che è finita, ci vediamo fra poco” 

Rimango in silenzio in palestra, da sola. Circondata solo dal rumore del pennello che, annoiato quasi quanto me, ritocca, adesso, una striscia di pavimento color crema. 
In realtà, mi sono imposta di non pensare; non pensare cosa abbia provato a dormire con Damon, né tantomeno cosa abbia provato nel risvegliarmi con le sue dita ad accarezzarmi le labbra. La verità è che quel tizio mi è entrato dentro, è come se fosse sotto pelle, e non riesco a mandarlo via, anche se volessi, non riesco a smettere di pensare a lui, alle sue labbra, a suo modo di fare … 
Il flusso dei miei pensieri viene interrotto dalla porta di sicurezza che si apre.
“Eccoti – comincio – penso che andrò a prendere anche la vernice verde, se dobbiamo finire questi alberi – sorrido – come se la cava Bonnie?” il mio sorriso si spegne quando mi accorgo che non è una ragazza, non è Caroline … ma il ragazzo al quale stavo pensando fino a due secondi fa.
“Che ci fai qua?” domando, tornando a concentrarmi sul disegno. 
“Caroline mi ha detto che eri qui” risponde Damon, sedendosi accanto a me ed afferrando un pennello.
“Hai bisogno di una mano? Ho ancora – fa per pensarci su – una marea di ore da usare per questo progetto” accenna un sorriso.
“N-no io … non ho bisogno, grazie” 
“Elena – prende un respiro profondo – non devi … che ne so … vergognarti per quello che è successo … insomma, avevi sonno e abbiamo dormito insieme … non” la sua frase rimane sospesa a mezz’aria, come se nemmeno lui sapesse cosa dire.
Intinge un pennello sporco di rosso nella vernice verde ed io quasi scoppio: “No!” senza che potessi fermarmi, ho già afferrato il suo polso per impedirgli di mischiare i due colori, evitando così una strigliata da parte di Caroline. 
I miei occhi incrociano i suoi, confusi: “Che problema c’è?” 
“Caroline non vuole che si mischino i colori” rispondo, quando mi accorgo che la mia mano è ancora avvolta intorno al suo polso.
Lui sorride; perché diavolo sorride? 
“Che hai da ridere?” chiedo, diffidente.
“Sei tutta sporca di vernice, che cavolo hai combinato?” 
Ritraggo improvvisamente la mano e me la porto al viso, come a coprire quelle macchie scure sul mio naso.
Senza che possa impedirlo, ha già scostato la mia mano dal viso e l’ha sostituita con la sua, che sfrega delicatamente fino a rimuovere la macchia. Inutile dire come sia in una specie di stato catatonico, sono paralizzata, confusa e … quasi spero che queste sue carezze che sta continuando a lasciare sulla mia guancia nonostante la macchia grigia sia sparita, non finiscano.
Sospira, continuando a tenere i suoi occhi limpidi dentro i miei. Non sono una di quelle persone che riesce a comprendere gli altri con uno sguardo, a capire cosa pensano o cosa stiano per dire, eppure, riesco a vedere qualcosa, negli occhi di Damon, che non ho mai visto prima. Qualcosa che, onestamente, ho paura ad interpretare come qualcosa di positivo, poiché non ho intenzione di passare per l’illusa di turno. Del resto, Damon è famoso per farsi le ragazze e poi mollarle come se niente fosse, e io non potrei che essere una delle tante.
“Allora – soffia contro le mie labbra – sei libera stasera?” 
Mi tornano alla mente gli insegnamenti di Caroline, la quale spiega che non bisogna mai mostrarsi disponibili, anzi, il più riservate ed impegnate possibile. 
“No io … ho da studiare e …” 
Lui annuisce, e come se avesse capito, sorride: “Venerdì?” 
Ed io, incapace di formulare una qualsiasi frase di senso compiuto, annuisco.
“Passo a prenderti a casa?” domanda, ed il suo sguardo si posa sulle mie labbra, leggermente schiuse.
“Elena! Hai visto Damon!?” 
“Sono qua, Barbie pazza” 
Trattengo a stento una risata e sussurro un sì, rivolto alla domanda di Damon.
“Ecco – Caroline si dirige con larghe falcate verso di noi – vai a dare una mano con lo stereo, Alaric ha detto che sei bravo in queste cose” 
“Me la cavo – scrolla le spalle e poi si rivolge a me – potrei … ecco, chiamarti stasera” 
Incurvo le labbra in un sorriso: “D’accordo …” 
“Non è stato affatto un piacere, Barbie” dice, alzandosi. Mi rivolge uno sguardo fugace prima di uscire e andare a fare chissà cosa con lo stereo.

“Che cavolo ti ha detto?” 
“Mi ha chiesto di uscire …” sospiro.

“Allora come va il progetto teatrale?” mia madre poggia l’insalatiera sul tavolo e io la seguo, mettendo accanto una scodella di purè di patate. 
“Alla grande – sorrido – Caroline sta andando fuori di testa per fare tutto perfetto” 
Mia madre si appunta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, esattamente come faccio io, e sorride: “Liz me lo ha detto l’altra sera, sembra che l’abbia presa davvero sul serio!” 
“Oh si … è come se stesse dirigendo un progetto che finirà dritto a Broadway” 
“Di che parliamo?” Jeremy entra in cucina, sedendosi al suo posto, esattamente di fronte a me, seguito da mio padre che si posiziona a capo tavola.
“Del progetto teatrale … verrai a vederci?” domando, speranzosa. 
“Mh … se proprio devo – sorride – d’accordo … ma sappi che se canta Caroline preferisco rimanere chiuso in casa”
“Non canta Caroline, ma Rebekah … Mikaelson” 
“Oh – mia mamma arriccia il viso in una smorfia – sua madre è una specie di vipera”
“Come la figlia” constato.
“In più – prosegue mio padre – credo che Michael Mikaelson abbia un qualche problema con le tasse … che razza di gente” dice, scrollando le spalle.

La cena passa così, come sempre. 
Mia madre che racconta cosa ha fatto a lavoro, mio padre che chiacchiera con Jeremy riguardo agli ultimi risultati della partita di football e io ascolto i vari stralci di conversazione, magari inserendo ogni tanto un mio commento, ho un opinione. Ma non posso fare a meno di chiedermi se troverò una chiamata persa sul cellulare.

Aiuto mia madre a sparecchiare e vado poi al piano di sopra.

Butto la testa contro il getto dell’acqua bollente e i miei muscoli decisamente tesi trovano un nonsoché di ristoro, specialmente dopo aver passato la spugna ricoperta di bagnoschiuma alla pesca, il mio preferito. 
Alcune volte sono quasi tentata dal tagliarmi i capelli, forse perché sono talmente tanti e folti che passo più o meno un’ora ogni volta per asciugarli tutti.
Poi però, quando mi guardo allo specchio, mi accorgo che sono l’unica cosa che mi piace di me stessa. 

Il mio telefono squilla e prendo un respiro profondo prima di rispondere alla chiamata che lampeggia il suo nome.
“Ehi” dico, rispondendo.
“Mi stavo chiedendo – la sua voce dall’altro capo del telefono è a dir poco indescrivibile – che cosa potrei fare per non farti annoiare venerdì?” 
Mi mordo il labbro e cerco di non risultare sorridente: “Per esempio, potresti … pagarmi la cena e andare a mangiare da qualche altra parte”
Lo sento sorridere dall’altro lato: “Mi spiace, ma dovrai sopportarmi se vuoi che ti paghi la cena” 
“Vorrà dire che ti ignorerò” 
“È difficile ignorarmi” 
“Vedrò cosa posso fare”
Una voce che proviene dall’altro capo del telefono, che riconosco essere quella di Stefan, avvisa il fratello che sta per iniziare qualcosa in televisione.
“Arrivo – lo sento dire – mi spiace, Elena … devo andare …” 
E sono quasi dispiaciuta: “Oh … ehm … certo … ci vediamo domani” 
“Buona notte” risponde.
Spengo il cellulare e mi accingo ad andare a dormire, con questo dannato sorriso che non accenna a sparire, misto all’emozione di poter – o dover – passare un po’ di tempo con lui, venerdì. 

Damon

“Che cosa c’è in televisione?” domando, curioso, scendendo le scale.
“Oh niente … mi sono sbagliato” risponde Stefan, diffidente.
“Sapevi che stavo parlando con lei!” 
“Con lei chi?” mi sfida.
“Sai di che parlo, cos’è hai paura che preferisca stare con me e non con te?” 
Lui sorride: “Scoprirò cosa c’è sotto questa storia, Damon” 
Lo sento dire, prima che possa risalire le scale per telefonarle; Dio solo sa perché abbia così tanta voglia di sentire la sua voce, velata un po’ dalla stanchezza ma pur sempre bella.
Afferro il telefono e compongo rapidamente il suo numero, ma la sua segreteria mi dice che il telefono è ‘spento o non raggiungibile’. 
Sbuffo e penso seriamente, che venerdì dovrò stupirla. 
E no, non c’entra la scommessa, non c’entra l’orgoglio, la casa al lago e tantomeno mio fratello. 

***

Mi alzo dal letto. E’ incredibile come riesca a farlo in così poco tempo, mi sento già sveglia e, seppure questo sia un bene, ne sono terribilmente preoccupata. Diamine, sono un’adolescente, tutti adorano dormire. A nessuno piace svegliarsi presto la mattina… e nemmeno a me, lo ammetto liberamente. Però… c’è qualcosa che non mi torna. Qualcosa mi sfugge.
Scrollo le spalle, scendendo in cucina e trovando tutta la mia famiglia riunita a tavola per la colazione. “Buongiorno.” Saluto tutti, con una mano fra i capelli e la bocca aperta – spalancata è forse il termine corretto? – per uno sbadiglio.
“Ehi.” Mi arriva all’orecchio, ancora un po’ roca, la voce di mia madre, mio padre si limita a sorridere mentre Jeremy immerge un croissant nel latte. Semplice. Ti sei svegliata, Elena, non sei appena tornata da un lungo viaggio, rifletto, sapendo che lui ragiona così.
Rivolgo una rapida occhiata all’orologio, constatando che è troppo tardi, Caroline sarà qui a momenti ed io non mi sono neanche preparata. Sgrano gli occhi, afferrando al volo un pancake e salendo le scale in un batter d’occhio.
Non faccio caso alla voce di mia madre che, come sempre, mi rimprovera a causa del mio perenne ritardo. Mi butto nella doccia, dalla quale esco qualche minuto dopo, con già lo spazzolino in bocca.
“Diamine, diamine!”
Mi infilo un paio di jeans aderenti ed un maglioncino blu, pettinando i capelli con una mano, mentre con l’altra lavo i denti. Suonano alla porta. Sbianco.
Ce la faccio, ce la faccio… è solo Care, giusto?
Prendo al volo una borsa e mi fiondo giù, sorridendole e distraendola, dato che parlotta con mia madre.
“A presto, signora Gilbert!”
“Caroline… ci conosciamo da più di cinque anni, puoi chiamarmi Miranda.”
“Sì, sì, andiamo adesso.” Spingo la mia amica fuori dalla porta. Mia madre mi fulmina con lo sguardo.
Alzo gli occhi al cielo. “Ciao mamma, ciao papà.”

“Sei una perenne ritardataria! Non capisco come tu faccia a ricordarti di respirare…” mi schernisce la bionda, chiudendo il suo armadietto. Scrollo le spalle, ignorandola.
“Andiamo! –esclama – Permalosa.”
“Non sono permalosa!” ribatto, stranita. 
“Ragazze! – Bonnie arriva con il fiatone accanto a noi. – Siete preparate?”
Io e Care aggrottiamo le sopracciglia. Per cosa?
“Non ve ne siete dimenticate… vero? – spalanca gli occhi – Oggi è venerdì! Venerdì! Abbiamo il test di chimica, l’ennesimo e complicato test di chimica!”
Caroline adesso-mi-faccio-prendere-dal-panico Forbes inizia ad esclamare qualcosa come ‘Dannazione!’, ‘Me ne sono completamente dimenticata, io! Caroline Forbes, io!’ e ‘Non ci credo!’.
Io mi limito a rimanere immobile, incapace di articolare un movimento o qualsiasi altra cosa che implichi un ragionamento o un impulso celebrale; rimango lì, poggiata contro l’alluminio grigio e fresco del mio armadietto, con la bocca spalancata e il cuore che batte furiosamente. 
Non riesco a parlare, a pensare… Ecco cosa mi sfuggiva!
“Elena… Elena! – mi richiama la mora – te ne sei dimenticata anche tu?”
“Figurati… lei vive in un mondo a parte…” borbotta Care.
“Eh?”
“Appunto.” Bofonchia, diffidente, la bionda.
“Oggi è venerdì.” Mormoro fissando il vuoto.
“Acuta osservazione, Watson!” Trucido con lo sguardo Caroline, che alza le mani come per chiedere scusa. Bonnie scuote la testa. “Sì, è venerdì Elena… te ne eri forse dimenticata?”
“No, cioè sì, insomma… venerdì…”
Entrambe mi guardano confuse, fino a che Care non scorge i Mikaelson in fondo a corridoio, e di conseguenza… Damon. Sgrano gli occhi, chiudendo con forza il mio armadietto e scappando a lezione. O meglio, preparandomi psicologicamente ad un test a cui, in teoria, dovrei essere preparata anche se Stefan ed io abbiamo ‘studiato’ giorni fa e la mia memoria, quando si tratta di materie scientifiche, fa schifo, per intenderci … non ce la farò mai.
Mi ha vista? Mi avrà vista? O cielo, le mie mani sudano freddo.
Mi siedo su un banco a caso, aprendo il libro ma non concentrandomi affatto su di esso.
“Nervosa?” una voce mi distoglie dal mio pensare ininterrotto a Damon, al fatto che sia venerdì e che oggi, dunque, abbiamo un appuntamento.
“Eh?”
“Elena, tutto okay?” Stefan. È solo Stefan; cosa faccio? O meglio, cosa dovrei fare? 
“Perdonami, è solo che oggi è venerdì e – cosa? Devo uscire con tuo fratello? Mi blocco improvvisamente, inumidendomi le labbra – e… C’è il test! Sì, il test! Lo sapevi? Me ne sono completamente dimenticata e sono agitata, nervosa, perché lui mi confonde completamente, sono in questo patetico stato per colpa sua e … e non è giusto, non dovrebbe scombussolarti così tanto! È solo uno stupidissimo…” arrivata ad un certo punto della frase mi chiedo se stia parlando del test di chimica o di altro … di qualcun altro. 
“Test di chimica a cui abbiamo studiato insieme.” Termina la frase, osservandomi confuso. 
Giusto. Esattamente. Eppure, con nervosismo, constato che la parola ‘appuntamento’ è ancora sulla punta della mia lingua, pronta ad uscire dalla mia bocca.
“Stiamo parlando del test e del professore…?”
Scuoto la testa sorridendo, per poi annuirgli, cercando di mantenere la calma.
“Sì, è proprio lui che mi scombussola… con lo sguardo, sai, ed ehm… tutto il resto.” Mi accorgo di star divagando nuovamente, o meglio, la mia mente ha solo tre parole in testa, parole che non comprendono ‘test’, ‘chimica’ e ‘Stefan’, ma bensì, ‘appuntamento’, ‘Damon’ e ‘Salvatore’.
“Andrà tutto bene.” Afferma lui, poco prima che il professore seguito da alcune persone, fra cui Care e Bonnie, entrino in classe. 
Le mie amiche mi guardano a metà fra il preoccupato e lo stranito, e Stefan cerca di incoraggiarmi.
Sì, andrà tutto bene…
Ma cosa? Il test o l’appuntamento?

“Andrà tutto bene.” Esclamano in coro Caroline e Bonnie, stravaccate sul mio letto ed osservandomi tutta agitata di fronte all’armadio.
“Io… lo so, sono calmissima.” Ribatto cercando di convincerle, ma fallendo miseramente. È ovvio che sudare freddo, pettinarsi simultaneamente i capelli da un’ora, passarsi ripetutamente il rossetto sulle labbra e lisciare le pieghe immaginarie sulla mia maglietta, non siano affatto sintomi di tranquillità. 
Come volevasi dimostrare, le mie amiche mi guardano, aggrottando la fronte e inclinando la testa di lato, per terminare in uno schiocco di lingua da parte di Caroline e del piccolo scoppio provocato dalla gomma da masticare che ha in bocca Bonnie. 
“È una stupida uscita, no? Non mi disturberà mai più.” Sorrido allo specchio, cercando di assumere un’espressione calma, ma un secondo dopo mi osservo attentamente e tutto ciò che vedo è una persona visibilmente terrorizzata ed in preda al panico.
Non ce la farò mai.
“Damon Salvatore non mi convince, non l’ha mai fatto e lo sai bene… Ma è solo un’uscita, sei sempre perfetta, lo saresti anche con un sacco della spazzatura addosso. Non… non preoccuparti.” Caroline mi rincuora, e improvvisamente mi calmo. Respiro e la osservo.
Le sorrido, intenerita. Caroline non esterna spesso i suoi sentimenti … quando lo fa bisogna ricordarselo per davvero.
“Prima che tu possa dire o fare qualcosa di imbarazzante – inizia facendoci alzare gli occhi al cielo – diamo un’occhiata a questo guardaroba!”
Da questo momento iniziamo a scartare ogni gonna, jeans, vestito, maglietta e pantalone che non soddisfano pienamente Caroline. Già, solo Caroline, non me e Bonnie. Entrambe, poi, mi buttano nella doccia, vietandomi di vedere i vestiti scelti.
Esco, mentre un profumo di cocco mi avvolge completamente; il suo odore dolciastro quasi mi investe le narici e una ventata di nausea mi attraversa lo stomaco, costringendomi ad aprire la finestra. 
Ci mancava solo la nausea. 
“Elena, che ne dici?” domanda Bonnie con un sorriso indicando, con una mano, una maglietta bianca piuttosto semplice, una gonna a vita alta a fiori ed un cardigan lungo di lana.
“Sono stupendi! Dove li avete trovati?”
Caroline alza gli occhi al cielo. “Nel tuo guardaroba, ovviamente. In un angolino nascosto, coperti da cianfrusaglie. – la guardo confusa – Okay, non è vero. Cioè, non proprio in un angolino … diciamo che erano ben nascosti, ecco.” 
Si tortura le unghie schioccandole fra di loro e mordicchiandole leggermente, fino a sbeccare lo smalto chiaro sulle sue dita perfettamente curate. 
“Caroline” comincio. 
“Sì?”
“Tutto… okay?”
Sbuffa. “Sì, tutto okay. Ma… Ho solo paura che tu faccia parte di uno di quei suoi ennesimi giochetti.”
Bonnie annuisce con un mezzo sorriso. Cosa ho fatto per meritarmi due amiche così?
“Sentite – inizio, prendendo un lungo respiro – se fosse così, mi tirerò indietro. Prima che tutto possa… succedere, prima che mi usi.” Seppure so che c’è un cinquanta per cento di probabilità che questo accada, non voglio pensarci. Non voglio pensare al fatto che Damon mi abbia probabilmente ingannata per tutto questo tempo e stia continuando a farlo. Non riuscirei a perdonarmelo.
“Adesso vestiti, Gilbert.”

Damon è puntualissimo. È venuto a prendermi con la sua Camaro e abbiamo fatto un giro per il centro di Mystic Falls. 
Sembravamo due sconosciuti, sul serio. Avete presente quel silenzio di tomba, in cui nessuno osa dire una sola parola né tantomeno emettere anche il più superficiale dei suoni? Ecco, peggio. 
È stato imbarazzante, in un primo momento, fino a quando … per fortuna, direi, una vecchietta ha imprecato contro Damon per non averle lasciato attraversare la strada ad un semaforo palesemente vede, per noi. In ogni caso, l’averci puntato contro il suo bastone in legno scuro ci ha fatto scoppiare a ridere e quindi … cominciare a parlare, grazie a Dio. 
Abbiamo mangiato in una specie di fast food, una specie di fast food alla Carrie Diaries; anni ottanta, pavimento a scacchi, e poltroncine di pelle, onestamente nemmeno ero a conoscenza dell’esistenza di questo posto. Conosco solo il Grill, l’unico ‘locale’ in cui le mie amiche ed io passiamo alcuni sabati, quando in tv non danno niente o quando abbiamo voglia di bere senza che i nostri genitori lo sappiano. 
Comunque, in questo preciso momento siamo in macchina, ha detto che vuole portarmi in un posto particolare, è un po’ distante da Mystic Falls e questo mi inquieta. Chi mi dice che non voglia portarmi in un bosco e sacrificarmi al posto di un agnello a favore di un qualche rito magico? Il pensiero mi fa rabbrividire e, nervosa, stendo le gambe sul cruscotto, e lui mi osserva di sbieco.
“Togli le gambe da lì.” Mi ordina con tono serio.
Ma io non lo ascolto, chiudo gli occhi e lascio che il vento mi spettini i capelli lievemente arricciati.
“Elena.” Mi richiama. “Togli le tue bellissime gambe dal cruscotto della mia bambina.”
Mi volto verso di lui e scoppio a ridere, per come ha chiamato la sua macchina. Esiste davvero gente che reputa la propria vettura una figlia?
È serio. O santo cielo, è serio ed io gli sto probabilmente rovinando la macchina.
Ecco, ho rovinato la serata.
“Davvero, Elena, le tue gambe sono spettacolari, purché rimangano giù.” Afferma osservando la strada buia di fronte a sé.
Mormoro un flebile ‘scusa’, togliendole immediatamente da lì.
Cala un silenzio quasi imbarazzante.
Ha fatto apprezzamenti sulle mie gambe ed io ho rovinato tutto? Sì, è successo proprio questo.
“Senti-”
“Mi dispiace-” Iniziamo entrambi, per poi guardarci per un attimo.
Lui prende la parola. “Non volevo sembrare duro o… scortese.” Agita una mano, sembra che sia davvero difficile per lui parlare.
“Damon Salvatore si sta scusando con qualcuno? – chiedo ironica, con un espressione fintamente sorpresa – che cavolo, non pensavo fossi umano anche tu”
“Ah-ah, sei quasi più simpatica di Barbie.” Ridacchio scuotendo la testa.
“Comunque scusa – affermo poco dopo – non pensavo che tua figlia potesse offendersi o farsi male.” Enfatizzo l’appellativo dato alla sua macchina con le mani, mimando delle virgolette.
“Elena Gilbert sta chiedendo scusa alla mia macchina?” domanda utilizzando il mio stesso tono sorpreso di qualche attimo fa.
“Sei umana anche tu!” esclama osservandomi e scoppiando a ridere.
“Si può sapere dove mi stai portando?”
“Okay te lo dico. – inizia facendomi aggrottare le sopracciglia. Cede così presto? – No, non te lo dirò, volevo solo vedere la tua faccia.”
In risposta, gli do un buffetto sul braccio. “Ahia!”
“Idiota.”
“Mi stai seriamente dando dell’idiota?” domanda, quasi offeso.

La macchina inchioda bruscamente, e se non avessi avuto la cintura probabilmente il mio naso adesso starebbe sanguinando e sarei probabilmente morta dissanguata. 
Si sfila la cintura e scende dall’auto.
Io rimango qualche secondo seduta sul sedile del passeggero, in attesa di un qualsiasi segno di vita da parte sua, che però non arriva, costringendomi, controvoglia, a seguirlo.
Incontro l’aria particolarmente fresca della notte e mi stringo nel cardigan, insultandomi mentalmente per aver deciso di lasciare le gambe nude e palesemente esposte al freddo glaciale notturno. 
Lui sta trafficando con chissà cosa nel cofano e io mi avvicino.
“Ehi … insomma, non era un insulto, il mio” abbozzo.
“Mi stai chiedendo scusa?” domanda, alzando i suoi occhi nei miei e mi insulto ancora di più quando i miei numerosi pensieri sui suoi occhi siano diventati troppo persino per me. 
“In un certo senso” mi stringo ancora di più nel cardigan.
“Beh – si fa più vicino, fino a respirare sulle mie labbra, sorridendo – non accetto le tue scuse” 
“È un problema tuo” balbetto, facendo attenzione a non lasciare che lo sguardo cada sulle sue labbra, schiuse ed ora, fin troppo serie. 
Lo guardo, forse con troppa attenzione e dubbio, curiosità, di fronte alla consapevolezza che sia per fare cosa io penso che stia per fare.
I suoi occhi scendono lenti ed inesorabili, sulle mie, di labbra, ed io deglutisco a vuoto.
Che devo fare?

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N/A

Buonasera!

Ecco a voi il tanto atteso capitolo, ovvero il post-notte fra Damon ed Elena. Innanzitutto si vede la reazione di Elena, ben diversa da quella di Damon, avuta alla fine del capitolo precedente. Lei cerca di evitarlo, lui la rincorre. Punto di incontro/scontro aka compromesso: l’appuntamento di cui parlava lui nel “momento di intimità” con Elena dello scorso capitolo.

Poi questo avviene! Anche se abbiamo solo una parte, c’è Elena combattuta, insicura e felice, il solito Damon (forse si lascia un po’ andare, che ne dite?) e uno stralcio della loro quasi tanto attesa pace!

Cosa pensate succederà nella seconda parte dell’appuntamento? Siamo curiose di sapere i vostri pensieri!

Scusate la lunghezza forse eccessiva, ma ho pensato di accorparli. Spero non risulti una scelta errata!

Grazie per le bellissime parole ed il supporto datoci! Invitiamo a farsi avanti un po’ tutti, lettori silenziosi e quelli che hanno già dato i loro pareri in precedenza, per lasciare due paroline che fanno sempre molto piacere e che, in fin dei conti, non costano nulla:)

Ecco del shameless self-promo (se così possiamo definirlo) dato che vi lasciamo i link dei nostri profili! _valins e missimississipi :) 

Un bacio e alla prossima settimana!

  
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