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Autore: D per Dolcetta    22/06/2014    1 recensioni
Sette one-shot scritte da sette dolcette diverse. Stavolta il protagonista è Castiel insieme alla sua fedele tinta!
1- Something is changing
2- Promessa
3- La tintura per capelli tira fuori il peggio delle persone
4- Mai fidarsi degli amici d'infanzia
5- R O S S O
6- Fa tutto parte del gioco
7- ...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Fa tutto parte del gioco.

Autrice Glace
Prima classificata al concorso di os di D per Dolcetta

 

Alzi appena il mento. Una nuvola di fumo si libera e si confonde con l’aria fredda dell’autunno.
Intorno a te c’è solo un vociare confuso. Baccano, troppo baccano. Esattamente, come avevi fatto a credere che andare lì fosse una buona idea?
Sei appoggiato al muro esterno di un locale, un locale nuovo, o almeno così aveva detto Iris. Non ricordi granché bene ma neanche hai intenzione di assicurartene, visto che la diretta interessata è dentro, da qualche parte, a muoversi a scatti sicura di star ballando.
Aspiri dell’altra nicotina. Sei certo che a breve ti verrà mal di testa, il ritmo martellante della canzone del momento è come un trapano nel tuo cervello. Sempre odiato la musica House, non per niente ti sei sempre rifiutato di suonarne perfino le cover, nonostante lei insistesse spesso.
Oh. Sì, bravo. Continua a pensarci.
Patetico, Castiel, davvero patetico.
Butti a terra la cicca e le tue mani si infilano istintivamente nelle tasche della giacca. Fa davvero freddo ma non hai nessunissima intenzione di tornare dentro. Iris non se la prenderà a male, in fondo lo sapeva che era una partita persa, e probabilmente quando hai accettato quell’uscita tra compagni di classe aveva faticato a crederci davvero.
Apprezzi la sua buona volontà, ma non è di discoteche e alcool che hai bisogno. Non in quel momento.
E di cosa hai bisogno, esattamente?
Bella domanda.
Cominci a camminare che ancora non hai una risposta. Imbocchi una stradina all’angolo, e ti sembra quasi di sognare quando il “Tum tum” ossessivo di quella discoteca comincia a farsi sempre più lontano, arrivando a confondersi col rumore dei tuoi passi che calpestano le foglie secche. Ce ne sono parecchie, praticamente l’asfalto ne è ricoperto.
Al buio sembrano tutte dello stesso colore, sfumature di grigio smorto, marcio.
E dire che te le ricordavi molto più colorate.

In un grande parco, il vento vi raggelava le ossa e le foglie continuavano a cadere sopra i tuoi spartiti. Tante, tantissime, rosse soprattutto, sembravano godere nell’appoggiarsi sopra la TAB dell’assolo che stavi suonando, o del bridge che tra poco sarebbe iniziato.
Ma non importava, tanto conoscevi ogni singola nota a memoria. Ti bastava seguire la sua voce per sapere cosa fare, e mai, mai l’avevi lasciata cantare senza il tuo accompagnamento.
“Come farei senza di te, gattino!”

Senza di te.
Queste tre parole ti arrivano alla gola, senza accorgertene le mimi con le labbra.
Senti la bile accompagnarle e, con uno scatto, calpesti un mucchio di foglie sulla tua strada con malcelata violenza. Una svolazza in alto a causa dello spostamento d’aria, ne segui il percorso e la vedi fermarsi vicino ad una porta.
No, non l’avevi notato, ma ti sei fermato proprio di fronte all’ingresso di quello che sembra essere un bar.
Dalle finestre opache ti è difficile guardare dentro, però noti qualche movimento e, soprattutto, la luce di un grosso camino.
Un grosso e caldo camino.
Non fai in tempo ad accorgertene che già sei dentro. Accogli il tepore più che felice di lasciarti alle spalle l’umidità, le foglie e anche altre cose.
Lanci appena una occhiata intorno. Spazioso, ma semivuoto. Ci sono solo tre o quatto clienti, una donna dietro al bancone e una camerier…
Sbatti le palpebre perplesso. Molto, molto perplesso.
Che cavolo ha addosso? Un costume di carnevale?
- Buonasera!
Appena ti nota si congeda da un ragazzo dai capelli turchesi e ti si avvicina. Fa un grande sorriso e, con delicatezza, ti prende una mano – Finalmente sei arrivato!
Alzi un sopracciglio, le tue labbra stanno per formulare un Che? ma lei ti sta già scortando attraverso i tavoli con assurda naturalezza.
Cominci a credere di esserti perso qualcosa.
E le cose non migliorano quando, passando, adocchi due alucce da pipistrello spuntare dalle spalle della barista.
- Sempre problematico tu, eh? Meno male che abbiamo aspettato prima di… ah! Ecco il tuo!
Vi fermate di botto. Strige la presa, e con un gesto teatrale ti indica un tavolo, vicinissimo al camino che avevi riconosciuto anche fuori.
La sorpresa comincia a lasciare il posto al nervosismo, ritri la mano di scatto. Non ti è mai piaciuto essere toccato senza il tuo strettissimo consenso, e benché meno essere sballottolato come se niente fosse da una squinternata con addosso un vestito da…
- Su su! Non abbiamo tutta la sera! – batte la mani di fronte al tuo viso, stampandosi una espressione saccente in faccia.
Senti il bisogno di darle un pugno.
Sposti istintivamente lo guardo per cercare di calmarti, sei quasi assolutamente certo che soddisfare i tuoi desideri non gioverebbe alla tua fedina penale.
I tuoi occhi finiscono sul tavolo e il tuo cuore perde un battito.
- Siediti qua e scegli cosa vuoi, da bravo, che io torno subito!
Non la ascolti.
Sei troppo impegnato a cercare di capire che cazzo ci faccia una tua foto appiccicata sul legno di un tavolo in un bar sconosciuto.
La strappi con violenza, non la riconosci nemmeno. Sembra esserti stata fatta di nascosto, e facendo attenzione si scorgono anche le foglie del cespuglio utilizzato come postazione. Al centro ci sei tu. Assolutamente tu. Hai pure gli stessi vestiti che hai addosso ora, ma sai che quella foto risale a decisamente prima.
Lo sai perché non hai quel pupazzo a forma di gatto attaccato al cellulare da… un po’.
Né quello sguardo quando leggi un messaggio sul cellulare.
Un – ne sei certo – suo messaggio.
- Pff…
Neanche un istante e alzi lo sguardo. Qui qualcuno vuole essere decisamente preso a pugni.
- Cazzo vuoi tu?
Il ragazzo del tavolo affianco, lo stesso che prima stava parlando la cameriera, scuote appena la testa.
- Mi aveva detto che eri messo male, … ma arrivare a guardare con quella faccia da cucciolo bastonato una foto… - sorride appena, tranquillissimo – non è quello che ci si aspetta dal tuo personaggio, sai?
Alzi un sopracciglio. Sì, vero che ormai hai bollato ogni aspetto in quel maledetto bar come assolutamente fuori di testa, ma non puoi fare a meno di chiederti di che cosa diamine stia parlando.
E di desiderare di spaccare qualcosa. Tipo la sua faccia.
- Ecco, ecco! Quella è una espressione più adatta, allora non è vero che sei tutto da rifar…
- Castiel non ci provare!
Hai quasi ribaltato il tavolo per avvicinarti al tuo simpatico interlocutore, ma con tuo grandissimo dispiacere la cameriera di poco prima si è messa in mezzo.
- Siediti! – ti dice perentoria, appoggiando sul “tuo” tavolo quello che sembra una cupcake molto rosa.
- Come cazzo fai a sapere il mio nome e perché avete una mia foto?!
La donna scuote la testa, sospirando appena.
– Siediti – ripete, stanca.
La ignori ancora. Noti con la coda dell’occhio che tutti ti stanno fissando – il ragazzo dai capelli turchesi, la barista, e un tipo biondo e abbronzato in fondo – ma non te ne curi granché. Sei abbastanza incazzato per  fottertene della maggior parte delle cose.
- E’ proprio questo il motivo per cui sei qui, sai?
Assottigli lo sguardo. Ancora?
- Sei instabile, danneggiato, assolutamente non pronto.
- Ah sì? E per cosa, di grazia? – sibili con  sarcasmo.
- Per il Gioco, ovvio. – enuncia tranquillo il ragazzo di prima, giocherellando con un cupcake uguale a quello portato dalla cameriera.
- In realtà questo bar - riprende il discorso la cameriera, spazientita – è solo un passaggio prima che la storia cominci.
- Questo bar – ripeti tu, appoggiandoti con i palmi aperti sul legno ed arrivando all’altezza de suo viso – è solo un manicomio.
- Oh l’ho pensato anche io all’inizio – il ragazzo ti mostra il profilo destro, sorridendo appena – ero tutto teso, avevo appena capito senza via di uscite di preferire i muscoli, sai com’è…
Anche io non ero pronto – continua – ma, ecco… ho ricevuto il mio piccolo aiuto.
Potresti giurare di averlo visto sorridere verso la barista.
- Castiel, Castiel, qui è dove tutti i personaggi aspettano! Alcuni di voi non ci sono proprio entrati, altri se ne sono andati da tempo, ma… come dedurrai dal fatto che i posti liberi son parecchi… - la cameriera si aggiusta teatralmente il costume - … il momento di entrare in scena e di giocare non è lontano.
Per la prima volta, fai attenzione al luogo nell’insieme e guardi gli altri tavoli. Ti sorprendi di non aver notato la presenza di una foto sopra ogni superficie, alcune troppo lontane per essere riconosciute, altre di ragazze che non conosci, altre ancora vagamente familiari.
Credi di aver visto una chioma bianca vagamente familiare.
- Non mi aspetto che tu ci creda, quasi nessuno lo ha fatto in fondo…
- Tranne me. <3
- Tranne Alexy, ovviamente – alza gli occhi al cielo – che si ostina a rimanere qui nonostante sia già bello che pronto da un pezzo.
- Ho i miei motivi. - sussurra semplicemente quello, sorridendo furbo.
Ti rendi conto di star perdendo la concentrazione. La rabbia comincia a scemare, e tutto ciò che senti è un grandissimo mal di testa e una grande stanchezza. Ti siedi distrattamente sulla sedia.
Sei…. stanco.
- … e lo sei da un po’, vero?
- Cosa…? – bofonchi, massaggiandoti le tempie.
- Stanco – dice e, distrattamente, ti avvicina il dolce.
Perfetto. Pure la lettura del pensiero adesso?
- Stanco come le foglie che ti hanno indirettamente portato qui. Staccato, sbatacchiato e stropicciato da un “vento” fin troppo, scusa il termine, stronzo.
Poi inclina la testa e ti fissa – No perché quella mi sta decisamente sulle balle. Ma tranquillo - fa un gesto vago con la mano - lo sarà a tutto il pubblico, sicuro.
Non sai perché sei ancora lì.
Non sai perché, invece di andartene e mandare a fanculo quel branco di pazzi, sei chino su quella scomoda sedia ad osservare il cupcake che ti è stato porto.
Forse perché ti sembra quasi che quel branco di pazzi sappia più cose di te di quanto tu voglia ammettere.
O forse perché… perché...
- ... e a questo gioco, come lo dite voi – borbotti – stanco non vado bene?
La cameriera trattiene a stento un sorriso. Scuote appena la testa.
- A questo gioco servi tu. Indipendente, originale, tutto intero… non fatto a pezzi.
- E se dicessi che non mi importa?
- Oh, non provarci – picchietta le dita sul tavolo e fa una smorfia – non mi serve leggerti nel pensiero per sapere che questo stato patetico non fa per te.
Touché.
- Perdi tutto lo charme poi! – aggiunge Alexy, ovviamente non interpellato - E ha detto Chino che tu sei “il tipo ribelle”, non va se sei moscio.
- … ha detto chi?
La cameriera schiocca le dita per richiamare la tua attenzione.
- Qui non partiamo finché non lo fai tu. Non è solo un gioco, è una storia quella che metteremo in scena – sfiora la punta del dolce, toccando un po’ di glassa - e ogni attore scrive da solo il proprio copione seguendo semplicemente quello che è il suo modo di essere. Capirai, quindi, che avere uno degli attori principali fuori uso non è una grande cosa.
- Passi per un tipo come quello di due tavoli più avanti… - sussurra il ragazzo, una mano a coprire la bocca come se volesse fare una confidenza – ad essere sexy è sexy, eh, ma il suo dramma è essersi reso conto di essere allergico al tonno, e probabilmente non avrà un così grande ruolo da portare avanti.
- A differenza tua – aggiunge la donna, leccando della glassa dal dito con nonchalance.
- Quale onore…
Fatichi ad ammetterlo, ma mentre volgi lo sguardo verso la finestra e guardi la massa scura del tappeto di foglie di prima, sola, abbandonata sulla strada, le cose cominciano a farsi un po’ più chiare.
Non per quanto riguarda quel coso di cui stanno parlando.
Ma per quanto riguarda te. Quand’è che hai permesso a qualcuno di cancellare quello che sei? Era davvero così importante?
E se lo era, lo è ancora? Ti manca lei… o quello che eri e basta?
La sicurezza di quando suonavi quelle canzoni con le foglie tra le TAB, la soddisfazione di sentirti così apprezzato, il tuo essere indipendente e assolutamente libero.
Cominci a chiederti se tutte queste cose non le avessi già perse da tempo.
Hai smesso di seguire la tua testa e ti sei adattato a quella di un’altra, e non te ne sei accorto fino a quando questa non se ne è andata. Lasciandoti così come eri con lei, molle.
Spento. Smorto. Nero e basta.
Un colore che non ti si addice.
- … bhè, non felice di averi conosciuto, io me vado.
La cameriera, che durante quei secondi di riflessione ti aveva osservato appoggiando il viso sui palmi, con l’espressione di una mamma con un figlio, sussurra un “Bugiardo” e ti fa un cenno per saluto.
Il ragazzo trilla un allegro “A presto Cassy!” guadagnandosi una tua immancabile occhiata storta.
Ti dirigi verso la porta, con il passo un po’ più leggero di quello con cui sei entrato, ma fai finta di non notarlo. Hai già aperto la porta e lasciato che il vento freddo ti pungesse la faccia quando ti giri.
- Solo una cosa…
Non avevano smesso di fissarti e aspettano che continui.
- … perché un costume da fata?
La cameriera, presa di sorpresa per un secondo, si scioglie in un sorriso.
- E tu perché proprio il rosso?
Ti lasci sfuggire uno sbuffo divertito. E poi, senza aggiungere altro, vai.

Il giorno seguente, dopo essere passato dal parrucchiere, ti sei “ritrovato” a passare per quella stradina. Stranamente non ti sei sorpreso di trovarla vuota, e di non leggere da nessuna parte neanche l’insegna che, uscendo, avevi intravisto.
Sembrava che quel bar, “L’Amour Sucré”, non fosse mai esistito.
Ti porti una sigaretta alla bocca e sistemi la chitarra sulla spalla.
Meglio così, no?
Magari hanno cominciato quel famoso “Gioco” di cui straparlavano.
Non sai se sia o no una cosa positiva.
Ma - ti sposti una ciocca ribelle, ora rossissima, che ti copre un occhio – va bene così.
E così, in silenzio, con una scollata di spalle, riprendi la tua strada.

 

Dimenticandoti poco a poco del piccolo bar nella strada piena di foglie rosse, con i cupcake rosa, la cameriera vestita da fata, il ragazzo dai capelli turchesi e la barista silenziosa.

Ma sì, fa tutto parte del gioco.
 

 

- Devo ammetterlo…
La cameriera non distacca lo sguardo dalla finestra.
- … gli stanno bene, avevi ragione.
In un angolo, vicino ai bicchieri, la barista mora mosse appena le ali di pipistrello, sistemandosi la maglietta nera con su scritto “Staff”.
- Lo so, gliel’ho disegnati apposta.




Fin.
  
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