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Autore: grenade_    23/06/2014    2 recensioni
Alzai lo sguardo sui suoi occhi scuri, sorrisi amaramente. «Non riesco a capirlo, sai? Sembra quasi mi detesti, critica ogni cosa che faccio o dico e non ne so neppure il motivo. Penso che non me ne importi niente invece ci sto male, e tutto quello che vorrei è essere solo un fratello maggiore degno di quel titolo.» feci una pausa, sospirando. Un ricordo mi attraversò la mente, e sorrisi istintivamente. «Forse ce l'ha ancora con me per via di Teddy.»
Lei assottigliò lo sguardo, confusa. «Teddy?»
«Sì, il suo orsacchiotto di peluche.» ricordai. «E' accidentalmente finito nel tritarifiuti.» mi giustificai, gli occhi fissi su di lei e un sorriso innocente con cui speravo di convincerla che non fossi stato io, a buttarlo lì dentro.
Mantenne lo sguardo indagatore fisso sul mio per qualche istante, poi si sciolse in un sorriso e scosse la testa. «Siete i gemelli più strani che conosca.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Emma sospirò e assottigliò gli occhi, intenta a concentrarsi sull’esercizio di trigonometria. Fissava il foglio attentamente, come se questo potesse animarsi e rilevarle la risposta, e continuava a picchiettare con la matita, nervosamente. Quando si fu arresa, sbuffò sonoramente e ogni traccia di serietà dal suo viso scomparve, lasciandosi  andare sulla scrivania con le braccia.
Osservai la sua reazione e non potei fare a meno di accennare una piccola risata, derisoria. Era da due ore che cercavo di insegnarle i concetti chiave della trigonometria, ma sembrava che il suo cervello rifiutasse categoricamente di assimilare certe informazioni, dato che non era riuscita a risolvere un solo problema di quelli che le avevo somministrato.
«Comincio a pensare che per me la matematica sia arabo.» commentò sconsolata, poggiandosi col mento alle braccia.
Scossi la testa esasperato, mi avvicinai al suo foglio per tentare di capire in cosa non stesse riuscendo. Quando individuai l’errore, la costrinsi a prestarmi attenzione.
«Se vuoi calcolare il cateto a, dovrai moltiplicare l’ipotenusa per il seno di b, e non per il coseno.» le spiegai, accompagnando la spiegazione con il movimento dell’indice, ad indicarle i vari passaggi.
Emma seguì attentamente i movimenti del mio dito sul foglio, e aggrottò la fronte. «Non è quello che ho fatto?» domandò, retorica.
«No, tu hai utilizzato il coseno di b anziché il seno, ecco perché il risultato non esce.» ribadii.
Lei mantenne un’espressione perplessa ed alzò lo sguardo su di me, indispettita. Sembrava pensasse che la stessi prendendo in giro, così la incitai a riprovare a svolgere l’esercizio sotto la mia guida e secondo il mio punto di vista.
Ci mise solo qualche minuto, dopodiché posò la matita, ancora incerta. Le suggerii di controllare il risultato sul libro, e quando scattò in piedi entusiasta, non ebbi dubbio di essere riuscito a risolvere il problema.
«Mi esce, mi esce, mi esce!» esclamava euforica, mentre saltellava per tutta la stanza quasi avesse appena scoperto qualcosa di rivoluzionario. Ma evidentemente non doveva essere abituata ad avere dei buoni risultati in matematica, perché non l’avevo mai vista così esuberante. Riflettendoci, quella era un po’ la reazione di Zack quando riuscì a prendere la sua prima B in inglese e senza nessun aiuto.
Non potei fare a meno di scoppiare a ridere osservando la sua reazione, e quando lei ebbe finito di saltellare allora mi venne incontro entusiasta, si sedette a cavalcioni sulle mie gambe e mi sorrise ampiamente, prima di stringermi in un forte abbraccio, allacciandomi le braccia al collo.
Come ogni mia reazione alle sue dimostrazioni d’affetto, non potei fare a meno di sgranare gli occhi sorpreso e arrossire, nonostante queste fossero diventate sempre più frequenti. Ma lei non avrebbe potuto vedermi, quindi socchiusi gli occhi e lasciai che le mie narici si inebriassero del suo profumo, che era diventato decisamente il mio preferito da quando aveva preso l’abitudine di abbracciarmi ogni volta che ne aveva voglia.
Non sapevo se quelle dimostrazioni d’affetto derivavano dalla sua gratitudine per averle  migliorato la media scolastica, oppure dall’amicizia che nutriva nei miei confronti, ma ero certo che, avessi potuto scegliere un solo istante di felicità vissuto da ripetere per il resto della mia vita, avrei scelto quello. Il suo corpo esile avvinghiato al mio e il mio viso nascosto tra i suoi capelli, le mie braccia a cingerle delicatamente la vita e la punta del suo naso a solleticare giocosamente la pelle del mio collo, facendomi rabbrividire. Infine il suo respiro a battere contro di essa, che sempre riusciva a far accelerare il battito del mio cuore, tanto che avevo paura potesse esplodermi in petto.
Sì, quello sarebbe stato senza dubbio il mio momento preferito.
«Grazie.» mormorò, contro la pelle del mio collo. Sentii le sue braccia aumentare di poco la stretta al mio collo e d’istinto anch’io la rafforzai, prendendo ad accarezzarle piano la schiena coi polpastrelli.
«Figurati.» sussurrai, e presto tornammo ad essere cullati dal silenzio di quel momento.
Come avrei voluto quel momento potesse durare in eterno. Sarei rimasto lì, a stringerla e ad assaporare il profumo della sua pelle per il resto della mia vita, con la voglia lacerante di baciarla e dirle che l’amavo. Che l’amavo come non avevo mai amato nessuno e con ogni fibra del mio corpo, che era sempre stata la più bella ai miei occhi e che era perfetta, qualsiasi cosa facesse. Avrei voluto dirle che avevo passato gli ultimi anni della mia vita ad osservarla ammaliato da lontano e desiderare ogni giorno un momento come quello, in cui finalmente avrei potuto rivelarle ciò che provavo davvero.
Ma sapevo benissimo che non avrei mai azzardato così tanto. Dopo così tanto tempo a ricercare il suo affetto, non avrei mai rischiato di rovinare il nostro rapporto con le mie confessioni da ragazzo innamorato. Avrei continuato a tenermi tutto dentro, ma ad usufruire della sua vicinanza ogni giorno. Chissà, forse avrei finito con lo scrivere una canzone e dedicargliela, o una lettera, perché ero certo che, se mai mi fossi deciso a dichiararmi, non avrei mai avuto il coraggio di farlo guardandola negli occhi. Era già difficile per me riuscire ad osservarla sorridere senza cedere alla voglia di baciarla.
Emma allontanò il suo viso e lo pose di fronte al mio, sorridendomi in un modo così dolce che avrei voluto incorniciare quel volto, così da conservare la sua bellezza.
Fu allora che capii che quella volta sarebbe stata diversa. Quella volta non sarei riuscito a resistere, a trattenere i miei impulsi e a dissimulare, perché sentivo di avere il bisogno impellente di baciare quelle labbra, di sentirla unita a me in qualche modo e per qualche istante, di far combaciare le nostre bocche esattamente come adesso combaciavano i nostri petti, premuti l’uno contro l’altro.
Deglutii nervoso e spostai automaticamente lo sguardo sulle sue labbra. Le avevo osservate così a lungo da conoscere perfettamente la loro forma e ogni piccolo dettaglio, ma non ne conoscevo la consistenza. Mi domandai se fossero morbide e soffici come me le immaginavo.
Quando alzai lo sguardo sui suoi occhi, Emma mi guardava disorientata. Non attesi oltre e tirai fuori tutto il coraggio che possedevo, decidendo che se volevo dare una svolta al nostro rapporto quello era il momento adatto.
Adesso o mai più.
Premetti velocemente le labbra sulle sue prima che lei potesse pronunciare parola e posai una mano sulla sua guancia, per tenerla ferma.
Sotto il palmo della mia mano, sentivo la sua guancia scottare. Doveva essere arrossita, ma non avevo idea di quale potesse essere stata la sua reazione iniziale, perché avevo socchiuso gli occhi. Ero estremamente agitato, e continuavo a chiedermi cosa diavolo mi fosse saltato in mente per baciarla. Le mani erano sudate e la testa pesante, affollata da mille e più pensieri, ma continuai a tenere premute le mie labbra sulle sue, visto che ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
Qualche secondo dopo, il peggiore dei miei presentimenti si avverò. Emma premette il palmo di una mano sulla parte superiore del mio petto per allontanarmi, costringendomi così a interrompere il contatto delle nostre bocche. Aprii gli occhi e notai i suoi fissarmi perplessa, confusa, come se aspettasse una spiegazione esauriente di quel mio gesto.
Tutto quello che potei fare fu esibire l’espressione più dispiaciuta riuscissi a fare, e maledirmi mentalmente almeno cento volte per essere stato così azzardato e stupido.
«Emma, io non…» tentai, ma lei scosse velocemente la testa e preferì allontanarsi repentinamente, con un’espressione sconvolta in viso.
«C-credo che dovresti andare, ora.» riuscì a balbettare, con lo sguardo basso a fissare la moquette o le sue scarpe, i suoi piedi ad incrociarsi e le sue dita muoversi frenetiche, in preda all’agitazione.
Sospirai deluso ma capii che niente avrebbe potuto aiutare in quella situazione, così semplicemente mi alzai dalla sedia e raccolsi le mie cose. Le rivolsi un’ultima occhiata prima di uscire dalla sua stanza e, quando la vidi ostentarsi a tenere lo sguardo fisso a terra, non opposi alcuna resistenza ed uscii, stringendo con forza la tracolla sulla spalla.
Salutai cordialmente sua madre nonostante dovessi avere l’aria di un condannato a morte, e lei mi accompagnò alla porta d’ingresso, salutandomi con un “a presto”.
Quando fui fuori e l’aria fresca poté pizzicarmi le guance e fare vento sul mio viso, mi accorsi realmente di quale cazzata avessi appena fatto.
 
Non ero mai stata interessata alle partite di basket o allo sport in generale, ma quando Zack mi aveva detto che quella sarebbe stata l’ultima partita del campionato e che gli avrebbe fatto piacere che io vi assistessi, non avevo saputo rifiutare l’invito. Seppure lo sport non mi interessasse affatto e avrei potuto passare la serata a guardare un vecchio telefilm e mangiare patatine con mia madre, avevo deciso di partecipare a quel match, perché volevo essere di supporto per il mio ragazzo e la sua squadra.
Il mio ragazzo. Nonostante fosse passato un mese dal nostro primo bacio, definirlo in quel modo mi sembrava ancora piuttosto strano. Chi l’avrebbe mai detto che il ragazzo che più odiavo sulla faccia della Terra sarebbe diventato il mio ragazzo? Eppure lo era, e da quando lo era diventato io ero certa di stare passando i migliori giorni della mia vita. Stare con lui era ormai così abituale, così piacevole, che cominciavo a sentirmi vuota se non in sua compagnia. Sentivo di volermi far stringere dalle sue braccia in ogni momento della giornata, e la mia bocca e il mio corpo bramavano così ardentemente i suoi che mi riusciva impossibile riuscire a trattenere i miei impulsi e riempirlo di baci.
D’altra parte, a lui andava benissimo così. Era provocatore e malizioso, e se c’era una cosa che adorava più di rubarmi baci e persuadermi a fare l’amore nei momenti e nei posti più svariati, era che fossi io ad avere certe iniziative.
«Stephanie?»
Mi voltai verso Sophie che sedeva alla mia destra, guardandola con espressione interrogativa.
«Hai idea di dove si sia cacciato Martin? Mi aveva detto che sarebbe stato qui per le otto, ma sono le otto e dieci e lui ancora non c’è.» mi spiegò, alzando il tono della voce per superare quello del chiacchiericcio generale sviluppatosi in palestra prima dell’inizio della partita.
Scossi la testa, dandole segno di un no, e Sophie sospirò, esasperata.
Mi lasciai andare ad un sospiro triste, come sempre quando Martin veniva a far parte dei miei discorsi ultimamente. Non capivo perché si fosse allontanato così tanto da me, e nonostante avessi la voglia matta di correre ad abbracciarlo ogni volta che lo vedevo a scuola mi trattenevo dal farlo, perché lui continuava ad evitarmi ed  io non volevo invadere i suoi spazi o privarlo dei suoi tempi.
Però mi mancava. Mi mancava come l’aria, e mi ero ripromessa che, non appena saremmo tornati a parlarci come un tempo, gli avrei raccontato di Zack. Gli avrei detto tutto, dettaglio per dettaglio; gli avrei parlato dei miei sentimenti e gli avrei confessato che pensavo di amarlo, amarlo sul serio. Avremmo riso, dicendogli che non avevo idea di come fossi arrivata fino a quel punto, ma che sentivo che non lui non poteva più non far parte della mia vita. E Martin mi avrebbe scambiata per una matta, chiesto se quello fosse per caso uno scherzo, ma io gli avrei dato tutte le conferme di cui aveva bisogno, e finalmente sarei tornata a stringere il mio migliore amico tra le braccia, sollevata d’un enorme mattone d’ansia.
Quando l’arbitro fischiò e la partita ebbe inizio, non riuscii più a distinguere le parole di Sophie. Decisi perciò di concentrarmi sulla partita, e cercai Zack tra i giocatori nella folla, individuandolo poi al centro del campo, a contendersi la palla con uno dei giocatori della squadra avversaria. Sorrisi automaticamente e mi lasciai andare a qualche pensiero inadeguato su quanto quella divisa lo rendesse sexy e come fossi stata così cieca da non accorgermene prima, poi presi a seguire ogni suo movimento, riuscendo persino a capire quale squadra fosse in vantaggio e quando, e tifare nel modo giusto.
Fu quasi alla fine del primo tempo, quando Zack mi rivolse un sorriso ed io gli mandai un bacio con la mano, che sentii il cellulare vibrare nella tasca. Lo tirai fuori cautamente vista la folla crescente che rischiava di colpirlo involontariamente e farlo cadere, e quasi strepitai quando lessi il nome di Martin lampeggiare sul display. Chiuse la chiamata prima che io potessi valutare se rispondere o meno, e quando l’avviso di chiamata svanì dal display notai un nuovo messaggio, dallo stesso mittente.
Ho bisogno di te, Steph.”
In un’altra occasione avrei sorriso a quel messaggio, ma c’era qualcosa di strano che non mi lasciava convinta. Era strano che Martin mi avesse mandato un messaggio simile data la nostra situazione attuale, e il piccolo campanellino nella mia testa non poté fare a meno di tintinnare, dandomi il presentimento che fosse successo qualcosa.
Dove sei?” digitai velocemente.
La risposta arrivò rapida: “Nel corridoio di fronte ai distributori. Fa’ presto, per favore”.
Ecco un altro dettaglio strano: come mai Martin si trovava all’interno della scuola ma non in palestra ad assistere la partita, dove lo attendevano i suoi genitori? E poi quel “fa’ presto”, come se avesse urgenza di vedermi. Non poteva che essere sorto un problema.
Non indugiai oltre e scavalcai la massa di gente sulle tribune, dicendo ai Payne che stavo semplicemente recandomi al bagno, e riuscii a scendere, facendomi spazio per raggiungere l’uscita della palestra e non essere troppo d’impiccio per lo svolgimento del match.
Avevo un cattivo presentimento. Quel messaggio mi aveva instaurato una certa ansia e preoccupazione addosso, e ora che ero riuscita finalmente a spalancare il portone d’ingresso, lo richiusi alle mie spalle e presi a correre per il corridoio, tesa.
Mi guardai attorno e chiamai il suo nome alcune volte, finché non lo scorsi seduto in un angolino con la schiena contro la parete, le ginocchia al petto. Sgranai gli occhi preoccupata e «Martie!» esclamai, affrettando il passo per potermi avvicinare ulteriormente.
Mi fermai accanto ai suoi piedi, e mi inginocchiai al suo fianco. «Martie, alzati» mormorai dolcemente, passando una mano sul suo viso in modo delicato.
Quando lui alzò lo sguardo, la prima cosa che notai furono le lacrime solcare le sue guance. Successivamente risaltarono al mio sguardo i suoi occhi lucidi e arrossati, tipici di chi aveva pianto a lungo.
Da quanto stava lì a piangere, e per quale motivo?
Scossi appena il capo come per dirgli di non farlo, e gli strinsi istintivamente forte le braccia attorno alla schiena, lasciandogli un numero indeterminato di baci tra i capelli, mentre ero risalita con una mano ad accarezzarli.
Martin continuava a singhiozzare senza freni, e quando si ritrovò tra le mie braccia il suo pianto proruppe e si fece più intenso e rumoroso, mentre piano ricambiava la mia stretta.
Mi portai seduta e lasciai che si accoccolasse al mio petto come un bambino, e non smisi nemmeno per un attimo di riempirlo di carezze e baci e stringerlo forte tra le mie braccia, col tentativo di tranquillizzarlo.
«Shh, shh, va tutto bene…» sussurrai, vicina al suo orecchio.
Percepii la sua testa scuotersi come per indicare un no, e dopo aver singhiozzato per un po’ «Ho rovinato tutto, Steph» trovò la forza di balbettare, con un tono di voce a malapena udibile e percepibile soltanto a me. Non smetteva di piangere, e quando si sentiva scosso da altri singhiozzi mi stringeva più forte.
Non avevo idea di cosa fosse successo per ridurlo in quello stato, ma ero quasi certa che Emma fosse un fattore del tutto.
Vedere Martin piangere, comunque, era qualcosa a cui avevo assistito raramente, e che riusciva a spezzarmi il cuore ogni volta. Mi passò per la mente che forse era così che lui si sentiva, col cuore spezzato, e così lo strinsi più forte, facendo avvalere il mio istinto di protezione nei suoi confronti.
«Non hai rovinato nulla, va tutto bene…» mormorai dolcemente, nel vano tentativo di convincerlo e farlo rilassare. Ma lui emise un altro respiro strozzato, e presto tornò a piangermi addosso, a stringermi così forte da farmi comprendere quanto avesse bisogno di me in quel momento.
Continuai a cullarlo ed accarezzarlo, poi il rumore di un portone aprirsi catturò la mia attenzione. Ebbi l’impulso di nascondermi, di nascondere entrambi, ma non avrei potuto con Martin in quello stato, quindi mi limitai a restare in silenzio.
Il primo tempo era finito da qualche secondo, perciò presunsi che la persona appena uscita dalla palestra dovesse essere il coach, o qualcuno degli spettatori, oppure uno dei giocatori. Mi trovai a domandarmi cosa stesse facendo Zack in quel momento, come stesse procedendo la partita. Mi dispiaceva essermene andata, ma Martin aveva avuto la priorità.
Mi esposi leggermente e mi affacciai con la testa oltre la colonna che mi impediva di osservare l’entrata della palestra, e quello che riuscii a vedere furono solo due figure che non avrei saputo distinguere. Erano un ragazzo e una ragazza e, a giudicare dal suo abbigliamento, il ragazzo doveva essere uno dei giocatori.
Strizzai meglio gli occhi per mettere a fuoco i due ma la luce era abbastanza fioca in quel corridoio, perciò non avrei saputo dire chi fossero. Notai però che i due erano intenti a scambiarsi qualche bacio, ma quando vi fu un ulteriore fischio furono costretti a tornare dentro, forse per l’inizio dell’imminente secondo tempo.
Quando il ragazzo passò sotto la lieve lampadina al neon, però, riuscii a notare qualcosa. Era una fascetta gialla, che teneva stretta all’avambraccio destro. La fascetta di capitano.
 

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SONO TORNATAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
Non aggiornavo questa storia dal 5 gennaio, wtf..... Mi dispiace, dovete scusarmi, ma è stato un anno di merda, e ora che si è finalmente concluso e ci sono le vacanze da scuola posso dedicarmi a scrivere, ed ecco che ho ripreso questa storia! 
Dovrebbero mancare 4 o 5 capitoli, non ne sono sicura, alla fine, e mi impegnerò affinché aggiorni assiduamente. 
Passando al capitolo.... 
Credo che con questo si siano instaurati un bel po' di problemi, eh? Martin che trova il coraggio di baciare Emma e lei che lo rifiuta, e la scena finale in cui Steph vede qualcosa che non dovrebbe vedere.... 
A voi i responsi :3
A presto
  
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