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Autore: Cap_Kela    19/08/2008    12 recensioni
-Sequel di UNTITLED-
C'è un'unica cosa che spetta per certo ad ogni uomo, ed è una Signora senza volto, avvolta nelle tenebre, che lo condurrà alla sua dipartita.
A Capitan Jack verrà data la possibilità di sfuggirle ancora una volta, ma la sua scelta potrebbe portare al trionfo o alla fine di tutto ciò che abbiamo conosciuto.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hector Barbossa, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Sorpresa, Will Turner
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'UNTITLED'
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Nota delle Autrici:

 

Sera gente!! ^^

La primissima parte di questo capitolo 9 per l’appunto è di genere comico 8>P

La seconda invece, di tutt’altra pasta, l’ho quasi terminata.

Nei prossimi giorni appena sarà pronta la posterò ^^

L’ultima parte del Capitolo 8 che continua in questo nuovo aggiornamento è stata postata il 10 Agosto per chi non l’avesse letta =)

Volete iniziare a scoprire qualcosa di più riguardo la donna dal cappuccio grigio che pare mettersi in mezzo tra Jenny e Jack? Leggete dunque quanto segue =P

 

Mille ringraziamenti a…

 

_Celia_: Sogno, always the first 8-D Sorry but qst sera ho in mente solo uno e cento modi per strozzare il tuo caro Leonard ^^’ Nn capisce un accidente quel omo, è allucinante! E sto ancora vomitando per quella parola che hanno affibbiato a Wilde -.-‘’’ Ma cosa dici, le tue recensioni sn sempre tr duciii! =’) Anche la canzoncina ci hai dedicato *w* urca =$ Non so ke altro dire se non Grasie =*

Grazie mille per la zampa immensa che mi dai e per sopportare sta povera pazza =P Devi insegnare anke a me ad andare a cavallo :D Devo vederlo il Patriota!! Mah, speriamo d finirla prima o poi qst collana ^^ Non per niente l’abbiam chiamata “without end” qst storia! In questo capitolo quei 3 (Sci, Jenny e Jack) architetteranno un piano per far arrivare il tuo figliolo ;) Vediamo che ne pensi ^^ Grazie ancora per tutto =* Ti vogliam un mondo di bene!!!

 

JiuJiu91: Eh si me ne sono accorta anche io del cambiamento di stile ^^ L’abbiamo appreso col tempo e scrivendo 53 capitoli oramai =) lol Sn quasi se non del tutto diventata paranoica qnd scrivo ma poi mi accorgo che qualcosa vale! Ne sono sollevata, a volte rileggendo le prime parti di unty1 mi vengono i capelli bianchi XD tranquilla, qui nn si offende nessuno =D ;) Da piccola avevo quasi convinto i miei a regalarmi un dalmata *w* Poi alla fine l’ha avuta vinta mamma: “un animale in casa?? nemmeno per idea” -.- Però ho sempre adorato sia il cartone che il film :D Siamo contente di riuscire a strappare un sorriso =D Nella prima parte di questo capitolo ci saranno altri scambi di battute comiche! ^^ La calma prima della tempesta… Per Dylan ci stiamo pensando, promesso ;) Mah, secondo me i pirati  durante la loro ora uscita libera fanno quel che farebbero dei detenuti nell’ora d’aria se potessero avere accesso in un innocuo paesino ovvero di tutto e di più ^^ lol Un abbraccione forte fino in Australia!!! =D A presto =* =*

 

vanessola: Ave Mater Superiora! ^^ Dopo tutta questa venerazione solo per il titolo del chap ci voleva in dedica un sospiro :P Eh he vedi, soffri d’insonnia cm Tim ;) Vedi di dormire che poco sonno non va bene!! And I’m fullll of jooooooooooooooooooooooooooooy!!!! =P Siam contente che anche a te sia piaciuta quella parte ^^ Vedi di aggiornare in fretta anche le tue ff eh! =) Tanti baciii, a presto =* Dobbiamo andare a vedere Kong fu Panda e Hankok!Maters 4ever!

 

Jechan: Ciao Jessica! =D Urca =S Anche tu super maratoneta!! Sei da olimpiade 8-D 2 giorni e hai letto sia Unty1 che 2! O.o Ti abbiamo colpita, ne siamo onorate ^^ Jack per quanto posso cerco di renderlo fedele a quello dei miei orsetti Teddy (gli sceneggiatori di potc) ma so che non è per niente uguale, credo nessuno tranne i miei orsetti stessi e Rob Kidd sapranno mai renderlo identico =) Già *w* Dopo aver visto Sweeney rimane così impresso che è un impresa dimenticarlo *w* Grazie per i tuoi complimenti ^^ A presto =D Un bacione!

 

schumi95: Kat, ciau! =’) Ci sei mancata anche tu! ^^ Siam contente che Andrè inizi a prenderlo in simpatia =D Alla fine è molto dolce e buono, i suoi difetti sono l’essere impiccione e il Capo aggiungerebbe francese u.u Io credo che quei uomini come dici tu siano rariiiiiissimi ma esistono, ne conosco uno =) Più grande di me di 28 anni e impegnato ^^’ però esiste! Solida consolazione… Ecco, hai risolto da sola il mistero di quella donna della carrozza! Eh si, nel passato ha un ruolo importantissimo, è una chiave della storia, ne saprai di più nella seconda parte di questo capitolo :D Sì, all’orizzonte ritroviamo Vallenueva, che se hai visto il terzo film dei pirati dei caraibi è il membro spagnolo del Consiglio della Fratellanza che litigava con l’incipriato francese ;) Ci serviva un antagonista e dunque ci siamo riallacciate al film così è qualcuno di conosciuto! ^^ Buone vacanze piccola, e grazie peri tuoi giudizi! =* Bacioniii

 

68Keira68: Bentornata Sara!!! =D Yep, Al davvero se lo meritava ;) Jenny farà qualcosa tranquilla! =D L’hanno colpita troppo quei pargoletti ^^ Bhe, Havier non ha imparato ancora bene la lezione, sul finale era comunque ostile con Jennyfer, però sicuramente una lezioncina l’ha imparata = ) Certo, Jack è un pezzo di pane però agli occhi di una bambina appare così strambo che di primo impatto secondo me scappa :P lol Eh invece sulle bambine più grandi qui cm la sottoscritta ha un fascino 8-) …kela trattieniti! Ehm ehm, dicevamo? Ah si! Grazie per i tuoi complimenti immeritati cm solito ^^’ A presto carissima! =D Un bacionone =* TI vogliam tanto ben!

 

Buona lettura a tutti!! ^^

Ricordate di dare un’occhiata alla fine del capitolo 8 se leggendo questo inizio vi trovate spaesati ;)

Un bacione! A presto =D

 

Kela and Diddy

(Capitana and Capo)

 

 

Capitolo 9

Illusion.

 

Unknown.

 

JACK: "Quando pongo una domanda esigo una risposta!" afferma temporeggiando in tono autoritario.

Nel frattempo la sua mente scaltra è già impegnata ad elaborare rapidamente un'efficace strategia concerne alla situazione.

Con la coda dell’occhio lo vedo portare per precauzione una mano intorno all’elsa della spada, pronto a riutilizzarla immediatamente in caso di pericolo, sempre analizzando vigile ogni minimo movimento della donna dinanzi a noi.

Io stringo imperterrita il pugnale tra le mani.

... : "Stavo solo scherzando signore -ammette ironizzando- vorrebbe perquisirmi per caso?" propone portando le lunghezze della mantella oltre le spalle e posizionando le mani sui fianchi sempre sorridendo, mettendo in mostra la veste scarlatta che fascia delle forme burrose prima celata dall'ombra e il tabarro.

Non ti conviene Jack, sono qui accanto a te, armata di pugnale perlopiù!!

Mio odio a parte, sono sorpresa dal tono "naturale" con il quale lei si rivolge a Jack, non provocativo, ma piuttosto confidenziale come se fosse da sempre abituata a motteggiare con lui.

Il Capitano ogni secondo che trascorre al cospetto della donna appare sempre più confuso, stranamente non controbatte, ma attende accigliato la prossima mossa dell'intrusa mantenendosi serio.

... : "Sembra il caso che sia io a presentarmi per prima… -conclude rassegnata- Riguardo a voi conosco già entrambi - ammette prima di volgersi nella direzione del Comandante- Capitan Jack Sparrow: re dei Caraibi [re??]-le parole della straniera vengono appurate da un inchino plateale di quest'ultimo- Pazzo come una volpe, ma molto abile a volgere l'attimo a proprio favore con risultati sempre diversi e confusi..." lo presenta trattenendo un riso quando Jack lancia lei un'espressione offesa per la sua ultima sminuente definizione.

"E Jennyfer Catherine Allyson..." riversa a me.

Sa il mio nome per intero?? 0_0

IO: "Com...come puoi conoscermi?"

E' impossibile! Dylan era l'unico a saperlo, dev'esser necessariamente entrata in contatto con lui quando ci trovavamo qui, è l'unica spiegazione possibile.

JACK: "Catherine???" apostrofa scoppiando a ridere.

Aaaargh, perchè diamine l'ha detto!!!

IO: "Sì Catherine, e non una sola parola sul mio secondo nome!!" sbotto furiosa mettendo subito le cose per interso.

JACK: "D'accordo Cat!" definisce in tono giocondo unendo le mani dietro la schiena.

"Jack!!" lo rimprovero oltraggiata.

JACK: "...Miao..." proclama in tono innocente portando le mani al cielo. (Jack scherza sul fattore per cui cat in inglese significa gatto NdA)

"Falla finita!!!" urlo adirata.

JACK: "Meeeeow…ffff…" replica portando le mani semichiuse all'altezza delle spalle e allungandone una verso di me come fanno i felini con gli artigli per difendersi.

IO seccata rivolendomi all'intrusa : "Dovevi aggiungere peggio di un bambino tra i suoi difetti!!"

La donna allietata dai nostri futili bisticci torna seria nel terminare il suo discorso: "E tra i tuoi pregi ce sei sagace, di bella presenza, colta, determinata, testarda, forte all'occorrenza e proveniente da un tempo a noi ancora lontano definito terzo millennio, è così?" domanda pedantesca sempre mascherata dietro un sorriso che mi accorgo sempre più essere d'evenienza.

Ancora una volta mi lascia pietrificata, dalla mia bocca fuoriescono solo sillabe farfugliate, dettate dallo stupore, il quale cercano disperatamente di negare l'ovvio.

E' a conoscenza anche di questo???

"Allora ho trovato proprio chi cercavo! -attesta vittoriosa- Non smentir le mie parole Jenny, so ogni cosa. Piuttosto, voi ancora non sapete nulla di me! Il mio nome è Scilla, non temete, non sono un nemico per voi. Mi trovo qui semplicemente per aiutarvi, come ho annunciato al nostro primo incontro..." accenna a voce più tenue, intimidendosi rispetto a prima quando fronteggiò il Comandante con cotanta vigoria.

E quello chi se lo dimentica...

"Rammentiamo benissimo quell'episodio!!" sottolineo infastidita buttando gli occhi al cielo.

Jack si volge verso di me ostentando un ghigno curioso tra il malizioso e il divertito, seguito da un mio ad effetto fulminante.

SCILLA ridendo: "Giust’appunto, come ho potuto esser così ingenua da dubitarne...!" si rimprovera da sola portandosi una mano alla testa avvolta dal cappuccio cenere.

"Eppure lo sei stata!" evidenzio inacidita con un sorriso tirato. Il Capitano indirizza verso di me un'occhiata abbuiata, ma pur sempre amena.

Non mi guardare così mio caro, dopo questo scambio fraterno di battute tra voi torna ad essermi poco chiaro quel passionale bacio che ti ha dato!

SCILLA: "E' complesso ciò che sto per dirvi, non lo sanno molte persone al di fuori di un paio perciò vi prego di ascoltarmi e non rivelarlo ad altri se non è strettamente necessario" stabilisce dandoci fiducia. 

Sia io che il Capitano annuiamo divenendo seri.

SCILLA: "Vi conosco perché entrambi possedevate come me un frammento della mappa Hyubtat-le!"

Al suono di quel termine così insolito entrambi ci scambiamo un’occhiata interrogativa.

JACK: “Crediamo di non aver capito, gioia…” dice cambiando la sua espressione in una intrigata.

SCILLA: “Oh, perdonatemi. Dovevo essere più chiara! Intendevo la mappa che poco tempo fa vi ha condotto ad Isla Oculta –precisa- Sapete, ho trascorso dieci anni della mia vita a studiare ogni suo millimetro quadrato, il suo nome perciò a me risulta nauseante” ammette sogghignando.

JACK: “Dieci anni sono lunghi!” attesta ammirato.

SCILLA: “Quasi una vita intera…” l’asseconda in tono ormai privo di qualsiasi vigore.

IO: “Scusate se interrompo il melodramma qui –erompo confusa con accento seccato- Ma siccome dici di sapere tutto, Scilla, e se realmente ti riferisci alla mappa di Isla Oculta… Dovresti saperlo da te che l’ho vista in un museo…”

“Il museo di Santa Barbara in California, esatto” specifica lei cattedratica.

JACK come sorpreso da un’illuminazione: “Giaaaà, Museo! –afferma scandendo la parola appena rinvenuta dai meandri offuscati della sua memoria- Uno di quei luoghi dove sono custoditi testimonianze storiche, oggetti, documenti antichi e il quadro della MIA nave!!” condiscende orgoglioso. (Jenny spiegò a Jack in cosa consiste un museo nel capitolo 23 “Verso la fine di un nuovo inizio” di Untitled NdA)

IO sempre più irritata: “Si, quello! –affermo brusca- Il punto è: quella Mappa non aveva nessun nome, secondo il  personale del museo era una semplice cartina geografica antica esposta in vetrina, nulla più!”

SCILLA: “Ma hai potuto verificare tu stessa il suo potere, come ti spieghi la tua presenza qui, 400 anni lontana da casa? Non è un semplice pezzo di carta Jennyfer, lo sai benissimo”

Questo è vero dannazione…

SCILLA: “So che faticate a credere le mie parole, vi capisco. Sono un’ordinaria sconosciuta che si presenta qui all’improvviso, conoscendo tutto di voi e al contrario non ne sapete nulla, ma vi chiedo, ve ne prego, mettete da parte ogni preclusione per un attimo ed ascoltatemi, non pretendo altro. Ne vale della vostra incolumità!” stabilisce impensierita.

Jack si volta verso di me con un sopracciglio inarcato come a significare “Sei d’accordo a darle ascolto?”

IO spazientita: “E va bene, ma prima vorrei spiegassi francamente questa faccenda del nome!”

SCILLA rallegrandosi: “Come più desideri, ma per venire a conoscenza di quella fareste meglio a mettervi comodi… è una storia piuttosto lunga!!” incomincia entusiasta.

 

1535 d.C.

Quarantatre anni dopo la scoperta del Nuovo Mondo, nel Nord dell’Europa, il sovrano Hans Nils di Svezia (in onore del gran bel pezzo di maritino della mia Tigrotta NdCapitana) ideò una mappa alquanto differente dall’ordinario battezzandola con il nome di Hyubtat-le.

Questa è la, a noi incomprensibile, pronuncia svedese, Huntatle ci somiglia di più e tradotta consiste in Untitled, ovvero senza titolo.

Re Nils credeva di aver stregato questo frammento cartaceo in modo che dopo averla consultata, immaginando un determinato luogo e tempo, l’immenso potere in essa contenuto ti ci conduceva all’istante.

Rese il manoscritto anonimo, così facendo nessuno avrebbe sospettato i suoi poteri e scoperto l’enigma che conduce ad Isla Oculta, sede dei tesori appartenutegli.

Si credeva l’utilizzasse per giungere in largo anticipo sul campo di battaglia, sorprendendo il nemico e garantendosi la vittoria certa.

Oltretutto il suo unico figlio maschio destinato al trono non si sposò, e mai ne ebbe intenzione, per questo re Nils grazie al suo prezioso asso nella manica credeva di poter vivere in eterno.

Le aspirazioni del monarca però risultarono smodate, morì in guerra pochi anni dopo segnando la fine della sua dinastia, ma confidando di rinascere un giorno in una nuova reincarnazione, rese possibile l’utilizzo della mappa ad altri al di fuori di se stesso trascrivendo su un foglietto la formula necessaria ad intraprendere il viaggio nel tempo celandola poi all’interno del documento stesso.

Il manoscritto antico realizzato, da mani sconosciute, si compone di una rappresentazione accurata del globo suddiviso in 2 ellissi; all’altezza dell’arcipelago caraibico le 5 mete che conducono ad Isla Oculta sono evidenziate con colori diversi rispetto alle circostanti, ma Untitled non consiste solamente in questo.

Quando un individuo ne entra in possesso diviene un vero e proprio oracolo del suo destino!

Molti le definiscono semplici decorazioni, in realtà sono chiari simboli della sorte. Vi sono 4 figure negli angoli del foglio: una catena, il sole, un teschio ed infine un galeone a vele spiegate.

In base a quale di questi simboli possiedi quando vieni in possesso di un lembo di Untitled il destino deciderà per te una determinata sorte.

 

… “No no, rallenta gioia. Stai forse dicendo che suddetto foglio di carta senza cui non avremmo mai scovato quell’ambito tesoro a cui conduce, introvabile perciò in mancanza di esso è capace d’influire sul destino di chi lo possiede?” domanda perplesso con un sotterfugio, interrompendo il racconto scrupoloso di Scilla.

SCILLA: “Esatto Capitano!” annuisce piatta senza tralasciare alcuna emozione.

IO: “E se chi la possiede non crede a tutto questo?!” irrompo restia apportando un dubbio anche a Jack.

SCILLA voltando di scatto la testa verso me, non credo sia cieca data la precisione con la quale esegue i movimenti, sembra vederci benissimo al di sotto di quella mantella cenere: “Non si tratta di una dottrina a cui si è liberi di credere o meno, è così e basta!” scagiona divertita dalla mia contestazione.

Possibile che non ci sia nessun modo per alterarla almeno un pochino, lei ci riesce benissimo con me!!!

Il Capitano al contrario si rilassa, distende all’indietro la schiena sulla sedia accomodata nelle vicinanze del tavolo rotondo nel mezzo della cabina, e dopo essersi beatamente stiracchiato inclina la seggiola sulle due gambe posteriori iniziando a cullarsi come fosse accomodato su di un dondolo.

JACK: “Sentito? E’ così e basta amore mio!” interferisce rivolgendosi a me con un ghigno mordace.

Io per tutta risposta infliggo lui uno spintone che inclina la sedia a tal punto da far ritrovare in un secondo il Capitano col fondoschiena dolorante a terra, preceduto da un tonfo sordo.

“…A…a-aaahia…” si lamenta a denti stretti.

Te lo do io Amore mio adesso!!

La spettatrice dinanzi a noi soffoca una risata premendo una mano sopra la bocca vermiglia.

IO continuando come nulla fosse mentre Jack tenta scompostamente di rimettersi in piedi, stordito dall’improvvisata: “Se non sbaglio dicevi di possedere un frammento della mappa anche tu, ero convinta che al di fuori di me, Jack e Dylan solo Hayez Nick ne fruisse un lembo!”

SCILLA: “Fu proprio Nick a rubare il mio pezzo, se ne appropriò senza che io potessi fermarlo…” confida dimessamente.

Ah…

JACK ormai riaccomodato: “Ti ha fatto del male?” s’interessa esprimendosi in tono greve.

SCILLA: “Non in modo serio almeno” assicura accennando un sorriso.

Non crederà davvero di esser stata l’unica vittima di quell’uomo, ha tentato di approfittare anche di me con quelle sue sudice mani da porco!! In ogni caso noi non siamo un ospedale, e raccontandoci le sue sventure non ci sta aiutando come aveva predisposto, cosa vuole veramente??

“Mi dispiace” ammetto però sincera ricevendo un accenno del capo, posso capirla in questo, non afferro dove intende arrivare invece…

Le mani della donna poggiate come in resa sul bordo del tavolo spariscono in uno scatto al di sotto della sua mantella ferrigna, dove fruga qualche istante per poi tornare alla luce con un frammento di carta ed un pennino. Trascrive su di esso 5 nomi prima di renderlo visibile a tutti. SCILLA: “Il custode della mappa, ovvero il primo proprietario in questa vicenda e l’unico all'altezza di decidere le sorti di Untitled fu Dylan – enuncia sottolineando con un tratto fine e netto il suo nome posto al culmine della lista – il secondo è stato Capitan Jack, poi io, Hayez Nick ed infine Jennyfer” conclude scorrendo fino alla fine del pezzo di carta.

IO: “Come sarebbe a dire custode, deve deciderne le sorti?? –sbotto scombussolata- Dylan è solo un bambino, non può sopportare anche questa responsabilità!” insisto opponendomi alterata.

Scilla non pare starmi a sentire, continua a disegnare per suo conto dei segni circolari sul retro del foglio.

“MI VUOI DARE ASCOLTO??” in un impeto di rabbia che nemmeno io controllo inveisco su di lei con uno strepito iroso, sbattendo furiosamente una mano sulla superficie del tavolo a pochi centimetri dalla sua.

Jack interviene all’istante, issandosi in piedi con un guizzo prende il controllo della situazione e mi afferra per le spalle trainandomi indietro, verso di se.

JACK: “Tesoro, calma…calmati…!” sussurra piano al mio orecchio, affondando il viso nei miei capelli anche se può percepire distintamente sottopelle i nervi tesi come corde di violino.

Il fiatone si mescola a singhiozzi e nei miei occhi iniettati di odio si specchia ancora il suo volto tramortito.

“Puoi scusarci solo un istante…?” domanda garbato per congedarci.

Ricevuto un debole cenno di acconsento s’affretta a condurmi nella stanza accanto tramite la porta confinante, la mia adorata vecchia camera da letto.

Il rumore meccanico della serratura mentre si richiude dà inizio al mio sfogo: “Q-quella non capisce…! Ha la minima idea di tutto quello a cui è già stato sottoposto e costretto a sopportare mio fratello?? A-accettare il fatto che io non esisto più ad esempio… E poi scuse, giustificazioni, bugie storielle inventate, n-non lo so se nel futuro è come se io non fossi mai esistita o adesso c’è l’FBI che mi cerca in 50 stati dandomi per dispersa!!” pronuncio estenuata con voce rotta dal nervosismo vagando avanti e indietro senza pace.

JACK smarrito: “F-B-eh??”

IO: “Ufficio federale di investigazione, è un tipo di Polizia…” accenno ispirando profondamente per calmarmi portando una mano alla testa.

JACK: “Un tipo, ce ne sono altre? Quante sfaccettature di forza dell’ordine avete nel tuo tempo??” domanda angosciato stortando il capo.

IO: “Più di quante immagini, Capitano! Per questo ti ricordo spesso che nel futuro un farabutto come te non avrebbe alcuno scampo!!” pronuncio dissuasiva poggiando stancamente le spalle contro il muro.

JACK: “Non sottovalutarmi dolcezza –contesta smaliziato- stai parlando con Capitan Jack Sparrow! Sono spartito sotto gli occhi di 7 agenti della Compagnia delle Indie Orientali, rapito la figlia del governatore di Port Royal, evaso dalle loro prigioni, requisito la nave più grande e veloce della marina intera, li ho presi in giro, fatti naufragare in un uragano, trafugato un forziere sotto al loro naso, danneggiato l’albero di Maestra su un altro veliero, divenuto loro alleato per poi tradirli, beffeggiati, affrontati, bombardati ed infine vinti!” esibisce borioso in un riso maligno, illuminando la stanza buia con un scintillio dorato.

IO: “E nonostante tutto questo sono ancora sulle vostre tracce ben allacciati alle tue calcagna…!” sentenzio deprezzante.

JACK costernato: “Quello è un dettaglio che cerco di non rimembrare –afferma sottecchi- Chiudo gli occhi e fingo sia un brutto sogno, così vado avanti!” attesta allargando le mani in un gesto plateale riacquistando il suo tono ottimista.

IO: “Vorrei tanto pensarla nello stesso modo…” confesso in un debole fiato infranto dalle lacrime.

Le sue braccia prima schiuse per vanto si fanno più vicine, sino ad avvolgermi, lentamente, in un tenero abbraccio.

Assaporo nel pianto ogni suo singolo movimento, mescolato al sollievo sprigionato da quell’infervorante stretta, finendo per affondare il viso nell’incavo tra la sua spalla e il collo così da lenire ogni singhiozzo.

Jack a sua volta s’accosta alla mia fronte sfiorandola più volte con le labbra.

IO: “…Per quanti sforzi faccia, malgrado quanta forza ci impieghi Dylan non vivrà mai una vita normale… In aggiunta a tutto questo non può esser sottoposto persino ad una responsabilità di tale portata…” pronuncio dissipata.

JACK: “No, hai ragione. Lui è destinato a qualcosa di molto più grande! –enuncia infervorato- C’è la possibilità che non sia come credi, non hai ancora ascoltato il suo discorso fino alla fine!” attesta fiducioso tornando coi piedi a terra.

Può andare peggio di così?

IO espirando profondamente per riprender risolutezza: “D’accordo… Torniamo dalla tua amica dunque!” concludo con cadenza alterata.

Sto già per avventarmi astiosa sulla maniglia della porta, quando la mia mano viene prontamente sovrastata da quella del Capitano, nell’intento d’impedire la mia fuga.

JACK: “Cosa intendi con tua amica? -domanda esibendo un buffo cipiglio interrogativo- Non so nemmeno chi sia!”

IO: “La tua bocca guarda caso pareva di sì invece!! Mi riferisco al tono confidenziale con il quale ti rivolgi a lei, inizio a dubitare seriamente che sia una sconosciuta come mi hai detto!!” paleso risentita.

JACK: “Sono un gentiluomo!” si difende divertito portando una mano al petto, mentre con l’altra trattiene senza alcuno sforzo la porta ben serrata, nonostante io implichi tutta la mia forza nel tentativo di aprirla.

Con un verso di rabbia repressa rinuncio alla mia impresa, ritirandomi nel buio, sconfitta.

Nella stanza rischiarata solo da un fascio di luna filtrato nel vetro consunto della finestra, per qualche istante regna il silenzio, fin quando è lo stesso Comandante a spezzarlo: “Quel mangia-rane di Andrè definirebbe questa scena un jà-vue !” azzarda sogghignando.

Rimango una manciata di secondi perplessa, poi in una nota seccata rettifico: “Semmai si dice déjà-vu !… Cosa, perché ridi??” domando frastornata dalla fragorosa risata in cui esplode Jack.

JACK: “Ci avrei scommesso tutto il mio oro accantonato nella stiva che mi avresti corretto, se così fosse stato adesso sarei straricco sfondato!!” esplica tra le risa.

IO: “Bene, allora sentiamo riccone, in quale occasione avremmo già vissuto questo momento?!” chiedo ormai del tutto spazientita.

JACK quasi con le lacrime agli occhi: “Quando esattamente qui –dice portandomi vicino alla porta- ti ho domandato se provavi un determinato sentimento per me e mi hai risposto no, mentendo!” precisa lieto. (riferimento al finale del capitolo 26 di UNTITLED “Carpe diem” NdA)

Oh, sì… Adesso ricordo! Il mattino di quel giorno tanto terribile che tuttavia mi ha permesso di iniziare a vivere…

Giurerei di sentire ancora nell’altra stanza i passetti scalpitanti di Dylan mentre ci cerca in ogni dove, bendato, e noi qui a discutere di fatti seri, troppo insolito per me e Jack. Da un momento all’altro potrebbe spalancarsi la porta e fare il suo ingresso trionfale quel soldo di cacio con un broncio ridicolo, mentre adirato ci rimprovera di aver imbrogliato, ma ciò non accadrà. Seppure il tempo sembra essersi fermato a quel giorno i fatti non sono cambiati, come Dylan non rimetterà più piede qui.

L’intonazione profonda ma decisa del Capitano mi desta dai miei pensieri: “Quando volevi andare via ti ho sempre voluta tenere con me, ogni istante… Solo, dopo il tuo rifiuto, ero certo non lo volessi –ammette amareggiato circondandomi il viso con le mani- mi sono reso conto che forse tuo fratello e la tua famiglia avevano più bisogno di te!”

IO: “Non quanto io ho bisogno di te” definisco in un sussurro smorzato, vittima inerme delle sue parole, mentre i miei occhi s’illuminando d’una patina lucida.

JACK arridendo estasiato: “Da quando tutto ciò si è avverato ho dimenticato cosa sia il rimorso, non ti cambierei per niente e nessuna al mondo…” definisce velando appositamente i suoi intenti.

“Jack, cos’è che vuoi dirmi?” lo interrompo svilita.

JACK: “Trovare quel frammento di Untitled, Jenny, è stata la cosa più bella che mi sia mai capitata, mi ha portato da te!” ribatte indubbio.

IO: “…E… Tu come hai rinvenuto un lembo della mappa?” domando per minimizzare, rimasta da quella frase senza parole.

JACK: “Non te l’ho mai detto?!” pronuncia crucciato.

IO senza riuscire a placare un riso, procurato dai suoi modi sempre stravaganti anche solo nel parlare: “No, mai”

JACK: “Uhm, vediamo…” appura facendosi riflessivo, scivolando dal mento ai miei fianchi.

IO: “Niente storielle inverosimili inventate al momento, voglio la verità!” raccomando ponderata puntando un indice teso verso di lui.

JACK inscenando un abile narratore ben concentrato: “Ero di ritorno sulla Perla da una breve avanscoperta, percorrevo il ponte con il mio passo fiero –enuncia gesticolando con le mani, creando in aria cerchi immaginari- quando una scimmia non morta è guizzat-…”

“JACK! ho detto la v-e-r-i-t-à!!” scandisco spazientita in tono di rimprovero.

JACK: “Per l’appunto! E non ti ho nemmeno detto che ho fatto ritorno a bordo usando per scialuppa una bara e servendomi di un femore morto come remo. Poi la bestiaccia è sbucata dal nulla qui, sulla mia spalla e mi ha rubato il cappello!” insiste avverso.

IO: “Ma cosa sei, un profanatore di tombe?? –sbotto atterrita in un verso di orrore- Una scimmia non morta, questa poi… Andiamo, sono una ragazza del duemila, non mi bevo certe trovate! Capitan Jack Sparrow non è riuscito a fronteggiare un primate poi?! Mi meraviglio di te!” lo schernisco infine.

JACK: “Quell’orangutango cappuccino è una bestiaccia così detestabile che il suo proprietario, mio peggior nemico talaltro, gli ha dato il mio nome!!” sostiene quasi per vanto. (Barbinoooooooo *w* Scusate ^^’ la Capitana è andata…)

IO ridendo sconsolata: “D’accordo, ti credo!”

Le inventi tutte Jack per apparire originale…

“Rimasto a testa scoperta, indegno per un Comandante, dovevo rimpiazzarlo con un altro similmente onorevole -prosegue nel suo racconto- Mi ritrovai nella mia amata Tortuga, con la speranza di esaudire un patto stretto da rispettare entro 3 giorni; nel bel mezzo di una futile rissa occasionale mi aggirai per il locale provandomi vari cappelli dei commensali”

IO: “Vai in giro a rubare cappelli??” sbotto oltraggiata prima che le sue dita mi serrino le labbra.

“Non ho ancora finito! –ammonisce solenne- Con quello a me più agevole feci ritorno sulla nave, durante la notte, mentre ammiravo la mia conquista della serata, notai la fodera interna del copricapo cucita con un filo di colore diverso su una parte del bordo. Scucendola rinvenii dal cuoio liso il frammento della mappa!” conclude eccedente atteggiandosi in bizzarre smorfie, rivivendo quell’atmosfera di stupore per mezzo dello sguardo.

JACK: “Non sapevo a cosa portasse o se fosse una vera mappa, per un po’ di tempo dimenticai persino di averla. Poi allorché vi fu un periodo di calma la ripresi tra le mani, scavai a fondo sulla sua provenienza ed infine quando seppi del tesoro arrivarono a bordo della mia nave un adorabile ragazzino molto vivace insieme alla sua splendida sorellina, la cosa più preziosa a cui Untitled mi ha portato!” conclude trattenendo i suoi occhi, prima guizzanti ovunque nella stanza unicamente su di me.

Allora è così! Anche per Jack fu il caso a condurlo alla mappa… Mi è sembrato abbastanza sincero, dev’esserci una buona percentuale di verità nel suo resoconto.

Ma non l’avrete vinta Capitano, non stanotte.

Avvicino il viso a lui così da fargli udire meglio la mia risposta, ma il Comandante intende tutt’altro, infatti sfoggia già un sorrisino tra il compiaciuto e malizioso da me conosciuto fin troppo bene.

IO: “Ci sono uomini che ti danno l'illusione di essere il diamante splendente più prezioso al mondo... Altri invece che ti fanno sentire un tesoro ogni giorno. Spero di non rientrare nella prima categoria, Jack!” auguro mesta, prima di spalancare la porta alle mie spalle con un colpo secco cogliendo di sorpresa il Capitano, impedendogli di ribattere, ma lasciandolo semplicemente lì, ad un passo dalla porta con la fronte aggrottata ed una domanda senza risposta, fluttuante nel profondo del suo enigmatico sguardo. 

 

 

Nota delle Autrici: (30 Dicembre 2008)

“E Unty tornò da antri infernali, che recherebbero incubi immondi a voi ingenui mortali” 

Ma che è?? XD Perdonate questa pillola di follia… ^^’ Era nostra intenzione solo chiedervi scusa per tutto questo tempo in cui questa FF non è stata aggiornata -.- Ce ne sono fin troppi di motivi e non vogliamo annoiarvi oltre… Chiediamo solo umilmente scusa a tutti!

La parte che segue è una grande svolta per Unty, un cambio di rotta (change rout è il titolo appunto XD), inizia con il racconto narrato da Scilla della “biografia” di un personaggio insieme al suo grande amore che molte volte, qualcuno di voi ci hanno chiesto chi sia… Dalle prime righe capirete =D Ci è voluto del tempo per metterla insieme perché si attiene a persone reali, avevo bisogno di qualche consulto =P Quella che segue è la prima parte, nel prossimo capitolo, il numero 10, si conclude J In Unty si chiamano Celia e Leonard ma nella realtà, per me, sono semplicemente la terza coppia più bella del mondo =)

  Eccovi accontentati! ^^

 

 

Change rout.

 

Poco prima d’interrompere bruscamente la discussione in atto tra me e Jack, nella stanza accanto, lasciata come alla nostra venuta, presiede Scilla: il suo corpo è ridotta ad una figura misteriosa che l’ampia mantella grigia rende indefinita. Non appare più elevata in posa austera, piuttosto del tutto abbandonata sulla seggiola, adunata in se stessa. La schiena è ricurva, le dita tremule, candide come le sue gote, si contorcono e tormentano allo stesso modo del mento, levigato e tremante.

Dapprima di far ingresso in questa stanza sapeva bene cosa dire, per anni ha declamato a memoria quelle parole conservando la certezza di riportarle con fermezza, ma da quando i suoi occhi han scorto dal vero i 2 innamorati che da innumerevoli notti popolano i suoi sogni, si è risvegliato in lei un sentimento provato un tempo per un uomo, ora perduto per sempre, il quale ha amato più di ogni altra cosa al mondo ed ora ritrovato inconsciamente in quella leggenda nella sua stessa mente del Capitan Jack Sparrow.

Avrebbe voluto agire con freddezza, l’unica cosa che ormai popola il suo petto vuoto, ma dallo sbarco a West Caicos, in quello sperduto oblio, qualcosa, una sottile speranza, l’ha bruscamente scossa riattivandole il cuore.

Sospira sconsolata lasciando cadere in avanti la nuca, pesante per la colpa e i troppi pensieri.

Dalla finestra posta in fronte la donna incappucciata una brezza frizzantina fa il suo leggiadro ingresso, le ante rifinite in ferro battuto cedono al moto potente del vento e si spalancano senza un cigolio, permettendo alla notte cerulea, scandita solo da luna e astri, di far capolino.

Lo zefiro giunge fino ai calzari di Scilla destandola dal suo reo assopimento. Istintivamente solleva lo sguardo, imbattendosi su di un’ombra proiettata lungo davanzale del finestrone. A quella visione le labbra della straniera si allargano in riso, ma un lungo susseguirsi di singulti smorzati lo cancella come se non fosse mai esistito.

Scilla volge in piedi ed accorre in tutta fretta all’antro spalancato, dove quello scuro prolungamento di tenebra prende le fattezze di una nobile dama, il cui esile corpo è avvolto da uno spesso kimono di seta blu oltremare, lungo sino alle caviglie, lasciando intravedere i piedi insolitamente nudi e le ginocchia rannicchiate al petto, traente a se nelle lunghe mani affusolate una trapunta di lana rifinita con un motivo vivace color pastello.

Una bionda chioma fluente le incornicia il viso piangente, ricadendo scompostamente lungo le spalle per tutta la schiena, seguendo la forma ondulata delle onde.

I suoi occhi color miele hanno smarrito l’ardito splendore di un tempo e, svuotati da ogni emozione, si rivolgono vacui verso il mare, intenti a scrutare ogni flutto, come in cerca di qualcosa perduto.

SCILLA: “Celia!! –sbotta stupita sollevando lievemente il cappuccio, perché le sue iridi incolore vedano meglio da sotto la maschera in pizzo nero che le ricopre-  Ti avevo vista circolare in carrozza quando eravamo a terra, Jenny è quasi finita sotto le tue ruote, ma com’è successo??”

Non riceve alcun cenno significativo di risposta.

“…Ma, soprattutto, cosa fai qui? –domanda ansiosa- Se Calypso ti trovasse…” pronuncia impensierita, deglutendo a fatica al solo pensiero.

La bocca della nobildonna si tende in un malinconico sorriso, innalza maestosamente un braccio fasciato da ampie maniche verso il viso, asciugandosi una lacrima con la punta del dito ed infine offre quella stilla salina al mare, dove viene inghiottita dalle notturne correnti ponentine.

CELIA: “Se quella perniciosa ninfa dal cuore di granchio si fosse realmente accorta della mia presenza qui, avrebbe già scatenato la sua solenne ira su questa nave –ribadisce per nulla angosciata- Così non ha fatto, dunque acquietati cara!” conclude tersa celando la commozione.

SCILLA: “E’ imprudente per te rimanere, lo sai meglio di me…!” riscontra sempre più angustiata.

CELIA in un flebile sussurro: “Era mia intenzione donare una piccola parte di me all’Incubo dei miei sogni… ” confessa esitante ritirando la mano che scompare all'interno della manica spaziosa per stringere maggiormente il coltre.

“…Diceva di avere sempre freddo, anche quando la linea dell’orizzonte si colorava della vivace tonalità estiva; venuta la sera, rabbrividiva al minimo spiffero –continua in cadenza stanca- Ti ho seguita con l’intenzione di rendergli la sua amata coperta –condiscende facendo mostra della calda tolda rannicchiata nel suo ventre vacuo- Ma non riesco proprio a separarmene…” definisce mordendosi il labbro inferiore per reprimere un singhiozzo, attanagliando con astio la trapunta fra le dita gelide.

Una morsa fulminea coglie Scilla al petto, spezzandole il fiato, obbligandola a sottostargli reclinandosi in avanti per il dolore. Ciò avviene poiché la misteriosa giovine ha scelto di condividere a metà i tormenti della donna posta davanti a se, a patto di ricevere i propri poteri.

Quando lo spasmo diminuisce, torna a scrutare ansimando la gentildonna, la quale invece ha solamente contratto i bei lineamenti luminosi, rispecchianti la luce lunare, in sguardo d’orrore e profonda tristezza.

 

Sembra aver smesso d’invecchiare intorno ai 35 anni, non dimostra un solo giorno di più.

Alcun segno del tempo ha deturpato il suo grazioso viso dai tratti fini, ma se solo si fa caso al passo allentato e stanco, il riso sforzato, le perle di dolore di cui spesso si colmano i suoi grandi occhi vuoti, perennemente velati di rammarico, pur non sapendo nulla sul suo conto, tragedia e sgomento traspaiono brutalmente da ogni ansito.

Dinanzi a me Celia, la Dea dei Sogni. Generata dal dio del sonno Ipno, e Nyx*, la meravigliosa personificazione della notte terrestre. (* ßVedi nota a piè di pagina NdA)

Rinnegata fu dall’Olimpo, dai suoi stessi padri, poiché, innamorata della vita terrena, espresse il desiderio di portare aiuto agli uomini discendendo tra loro.

Tra mille ire la sua volontà venne accordata, ma non senza condizioni: scegliendo di compierla sino infondo mai più rivide la sua dimora divina, così come i suoi cari; poté prendere con se una sola cosa creata dagli Dei, e tra inimmaginabili dovizie scelse Immi, la sua fidata cavalla Haflingher, capace al contrario d’ogni altro essere vivente di leggere nella mente umana.

Divenuta parte degli mortali fu obbligata ad avere una identità terrena, ribattezzata per sua scelta l’unigenita figlia dei coniugi Wilson che di bambini non poterono averne, mantenendo ogni suo potere divino a patto di trascorrere una vita ordinaria.

Mai si pentì della sua curiosità, per millenni da lassù, affacciandosi al mondo, vide pace e guerre, fame ed abbondanza, dolore e passione, ma tra tutti questi custodì da sempre l’ardente desiderio di scoprire da se l’unico inspiegabile sentimento, presente seppur in minima parte in ognuno dei precedenti: l’amore.

I consorti Wilson donarono lei un’infanzia molto felice, mercenari di cotone si spostarono continuamente permettendole in pochi anni di attraversare il lungo e in largo il globo, fino al trasferimento definitivo nelle Americhe, in una villa regale nel tranquillo arcipelago caraibico di Caimanera, dove trovarono fortuna e ricchezza.

Qui la famiglia, entrata in contatto con la nobiltà del luogo, intraprese una vita sociale molto movimentata, degna della reggia di Re Sole, costruita su sfarzi, eccessi, feste da ballo, frivoli divertimenti, sale da the, ricevimenti, tutto incredibilmente pesante per l’appena quindicenne Celia che iniziò da subito a patirne insofferenze, fino a giungere ad una vera e propria ribellione a quel perbenismo di facciata, non accettando il doversi sentire continuamente giudicata o messa alla prova da una sfilza di superbi blasoni.

La sua “cattiva condotta” costrinse a dei seri provvedimenti, in poco tempo venne inserita in un collegio femminile prestigioso, ancora una volta lontana da casa e dalla sua famiglia terrena, l’unica che abbia mai realmente avuto.

Visse un periodo buio nel quale si sentì ripudiata e sola, ma a poco a poco trovò conforto in quelle notti eterne, in cui l’era concesso divagare fino all’alba sottoforma di scintillante corpo celeste, leggiadra come uno spiro di vento nella mente d’un vicino sognatore, facendo poi divenire il suo sogno non più solo una visione.

Seguì in parte anche il volere dei consorti Wilson, vale a dire quello di formarsi come una vera nobildonna rispettabile: prestò ascolto alle lezioni di danza, musica, ricamo ed etichetta, dimostrò di volere imparare e mettersi in gioco in tutto con ottimi risultati, ma al contrario delle sue compagne non lo fece per apparire splendida agli occhi dei ricchi giovin signori del luogo e prender presto marito, piuttosto allo scopo di migliorare se stessa, poiché anche le divinità sono esseri imperfetti e hanno sempre qualcosa da imparare, ma in particolar modo come rivincita verso i suoi genitori eterni che dubitarono sempre del suo definitivo adattamento alla vita terrestre.

Trascorsero 4 anni e quei scettici dovettero ricredersi, lei era ancora sommessa a quella prigione dorata, ma senza più alcun dispiacere: ogni giorno apprendeva qualcosa di nuovo e nei momenti di noia sapeva ben come ingannare Crono, Dio del tempo, balzando in sella ad Immi e fuggendo al galoppo attraverso il viale alberato, collegante il palazzo alla spiaggia, per giungere fugace in riva al mare, deliziandosi di quell’infinito orizzonte di colori.

E fu proprio qui, in un tiepido meriggio di metà Febbraio, che la sua tediosa vita prese una svolta, da cui anche valendosi della più ardita forza esistente, non è più possibile tornare indietro.

Il sole era spesso offuscato da ombre brune, ansiose di apportare al più presto i primi cicloni di stagione, la candida sabbia tempestata di conchiglie brillava dei suoi raggi, tuttavia non erano quei molluschi invertebrati a destare meraviglia, lo era piuttosto una fanciulla, in groppa ad una cavalla dal manto ruggine ed una folta criniera chiara, tagliata a cresta all’altezza delle orecchie, lanciata in lunghe falcate lungo il bagnasciuga, intente ad intraprendere una gara di velocità e destrezza con i cavalli bianchi di Nettuno* che si infrangevano irruenti lungo la costa.

La giovine non somigliava alle ragazze della sua età: indossava un ampio abito blu levantino al posto della triste divisa del suo collegio, punitiva per un fisico così aggraziato, la chioma dorata in balia del vento era sciolta e libera, alla pari della sua anima, da qualche ciocca spuntava un esile ramo di fieno e il suo viso luminoso appariva leggermente imbrattato dall’intera mattinata trascorsa a ripulire il fienile.

Il duello con gli impetuosi destrieri del Dio romano del mare si propese fino al termine della falesia, con una schiacciante vittoria del duetto gareggiante sulla terra ferma, ma durante il loro esultare non si accorsero dell’improvvisa ritirata dei loro avversari verso il mare aperto; fu un violento boato a destare il loro sguardo.

Il mare si acquietò di colpo, mentre il rimbombo dell’esplosione fece tremare tutta Faimouth (località marittima realmente esistente in cui si trovava il collegio femminile dove era “rinchiusa” la nostra Dea Sogno NdA), il cielo del crepuscolo divenne un denso fumo nero e le onde si dipinsero di rosso fuoco inscenando un angolo d’inferno.

Celia fece appena in tempo a scorgere un albero di Maestra, pochi istanti prima che venisse inghiottito completamente da quella gola nera.

I detriti del veliero esploso raggiunsero il fondale del mare, e della gloria di quella nave non rimase nulla, salvo cenere.

Le due spettatrici sulla spiaggia rimasero del tutto inermi, incapaci di reagire, pietrificate dal terrore che privò loro di ogni forza, ma non della determinazione d’accorrere in aiuto, seppure superfluo data la tragicità dell’accaduto appena verificatosi.

Mentre il rogo in mare andava attenuandosi la riva si empì di resti lacerati di mobilia, tronchi spezzati, ferraglia, brandelli di tela, sartiame ancora ardente, eppure tra quella miserabile desolazione, qualcosa, o meglio, qualcuno venne condotto a riva integro dai canuti corsieri: un uomo. Il suo corpo esanime giaceva bocconi, disteso sul torace, la gran parte delle membra sprofondate nella sabbia più labile conferivano lui l’aspetto d’un relitto setto di luce. Sembrava non respirasse più, le sue vesti strappate intrise di sangue testimoniavano una lotta violenta, forse con dei nemici intenti a prendere il comando della nave, forse tra se stesso e le onde nel disperato tentativo di rimanere in vita.

La fanciulla impiegò del tempo a distinguerlo tra quel cimitero di sventura, trascorse secondi infiniti augurandosi affranta non rinvenire nulla di respirante in quella devastazione, ma quando finalmente lo trovò fu appena in tempo per salvarlo. Il polso del naufrago era debole, le ferite gravi ed infettate. Celia dovette spazzare via la sabbia dalle sue narici, la fronte, le gote, dalle labbra, scoprendo a poco a poco il contorno spigoloso e marcato di un viso che non avrebbe mai dimenticato.

Egli riprese conoscenza per qualche istante, quanto bastò perché il cuore della Dea perdesse un battito: le parve che due frammenti di cielo fossero discesi sulla terra per incastonarsi all’interno di quei profondi occhi berilli*, richiusesi pesantemente un attimo dopo l’occhiata sfuggente.

Senza indugiare oltre, il superstite venne trasportato in gran segreto sul dorso di Immi, dal litorale per tutto il viale frondoso, fino alle stanze private della giovine, la quale si prese cura del malcapitato tutta la notte.

Nonostante lei fosse una divinità, in questa circostanza non aveva alcun potere, poteva solamente apportare il proprio aiuto nello stesso modo concesso ad un mortale: con medicamenti e fasciature.

Osservò per lungo tempo quella figura inanimata distesa sul suo letto, non aveva mai potuto guardare un uomo da così vicino: l’etichetta declama cosa scortese fissare le persone.

Seppure non fosse in grado di assegnargli un’età ben precisa, le vesti truffaldine e l’arida pelle annerita dal bacio del sole lasciavano intendere che fosse quasi certamente un pirata. Profumava di mare e polvere da sparo, le sue mani erano visibilmente lise dal raro utilizzo di materiali maneggevoli, e la folta capigliatura bruna pareva acconciata dal respiro del vento.

Dopo aver vegliato senza tregua su di lui ottenendo solo riscontro negativi, Celia iniziò a credere che i suoi avi avessero attuato una procedura esistente fin dal principio dei tempi nel celeste Olimpo, secondo cui quando avviene la morte prematura di un giovane è perché gli Dei, gelosi della sua beltà, lo prendono con se, ma ciò non era possibile poiché egli respirava ancora. 

La giovine allora, chinandosi sul volto del mortale, inumidendolo di lacrime amare, pregò che almeno in sogno egli desiderasse guarire, solo in tale maniera avrebbe potuto aiutarlo.

Quando ore seguenti il mattutino Apollo condusse il proprio carro divampante nel cielo, illuminando dei propri albori la camera da letto di Miss Wilson, un’altra Dea, fuggita invece dalla Terra a causa della cattiveria dell’umanità, provò pietà delle lacrime meste di quella creatura divina, così dal fondo del vaso di Pandora fuoriuscì la Dea Speme (speranza NdA) portando conforto in quel cuore malato d’affanno.

Il pianto di Celia non erano vere gocce saline di dolore come nei comuni mortali, dai suoi occhi dorati, discendeva poi sulle gote scarne del predone, polvere di stelle… Furono proprio quelle sottili briciole cosmiche a risvegliare il superstite.

La ragazza si addormentò poggiata alla sua fronte, con una mano sovra il suo petto per ascoltarne il battito; le lacrime proseguirono nel sonno, e a poco a poco scivolarono lungo il naso appuntito del pirata, facendogli riprendere lentamente i sensi, benché inizialmente fu incapace di muoversi, stordito dal dolore propago dal capo sino alle caviglie.

Il principio del giorno risvegliò anche la Dea dormiente, che non si accorse delle sue amorevoli cure andate a buon fine, ma s’allontanò dal naufrago insonnolita, dirigendosi meccanicamente nei pressi del caminetto con l’intento di riscaldare dell’acqua.

Alle sue spalle l’uomo si ridiede animo, e protese il collo intorpidito per osservare meglio il circondario. Trascorso qualche istante di smarrimento si soffermò definitivamente sulla figura di Celia, perscrutandola ammaliato.

“Quell’esplosione deve davvero avermi ucciso… Ero convinto mi aspettasse l’inferno oltre questa vita, e invece? Mi ritrovo in una stanza da sceicco, in compagnia di una donzella abbigliata solo d’una procace camicia da notte…” reputò sogghignante con voce impastata.

Celia ancora voltata sobbalzò al suono improvviso di quelle parole, e allo stesso tempo rabbrividì indignata dal loro significato. Era in grado di comprendere tutte le lingue del mondo, ma quella cadenza malpensante era inconfondibile in ognuna di esse.

“…E dal bruciore di questi tagli profondi direi di essere ancora tra i vivi…” attestò sollevato.

La giovine si limitò a preparare una bevanda calda per rinvigorirlo, senza replicare, gliel’offrì cordialmente e si accinse ad aprire la finestra per scambiare l’aria viziosa con quella tiepida del mattino.

L’assistito accettò la cortesia mostrandosi deluso, confidava che gli avrebbe subito ceduto, ma l’apparente contegno aristocratico di lei rendeva ancora tutto più stimolante.

LEONARD: “Profumate come un cavallo” la stuzzicò dunque, socchiudendo gli occhi alterato.

CELIA: “Uh, perdonate mio signore se prima di prestarvi soccorso non ho avuto il tempo d’immergermi in acqua di rose perché il mio odore vi recasse più sollievo!” lo beffeggiò inscenando un falsissimo inchino.

Il pirata ne rimase colpito e irritato, non aveva mai ricevuto una risposta simile, si trovava impreparato.

“Freddina la fanciulla…” apostrofò infine quando ella fu di ritorno dal davanzale, sorseggiando cautamente il liquido caldo.

In uno scatto fulmineo le mani della Dea afferrarono una benda del millantatore, che si strinse con forza intorno al suo braccio fino a farlo berciare per il dolore.

CELIA: “Io non sono freddaappurò condiscesa- sono cenere calda. Se soffi, si accende il fuoco!”

E Leonard Wallace se ne potè rendere meglio conto negli anni che vi seguirono.

La divinità dei sogni in quel vespro di Febbraio salvò la vita del Primo Ufficiale d’una ciurma truffaldina, operante illegalmente nelle coste del sud. Venne accolto nell’istituto in gran segreto, per qualche tempo, fintanto che non fu pienamente risanato.

Nonostante un primordiale approccio ambiguo tra la dea e il mortale, quello scambio di asserzioni divenne ben presto ciò che Celia aveva sempre ritenuto indefinibile, quale l’amore.

Tutt’oggi ella non sa ben spiegare come si sia innamorata di lui, fu proprio opera di una freccia sventata di Cupido, poiché quando portò in salvo quel relitto umano non tenne conto di quanto poi si sarebbe rivelato il più fatuo, malpensante, individualista ed accentratore degli uomini, ma ciò che l’eterna giovine ammette è come non lo amerebbe fin dopo la sua morte se egli non fosse stato così.

Allora un’altra donna credeva di possedere il cuore del vice comandante Wallace: Sarah, una meretrice di mal’affare a cui Leonard affermava di esser legato sentimentalmente, in verità solo per interesse, che la Dea conobbe incidentalmente e non per conto del vice comandante, il quale rimase sempre ben muto su questo.

Dopo aver ripreso le forze, la volontà del pirata fu quella di rimettersi subito sulle tracce della ciurma da cui era ormai considerato disperso, riprendendo il mare, non senza prima lasciarsi addietro un ricordo poco piacevole: la notte prima della loro partenza definitiva, il collegio femminile di Faimouth ricevette una visita inattesa.

 

Celia si trovava affacciata al balcone della propria stanza come ad ogni vespro, fissava con aria enormemente triste un satellite pallido appena sorto in cielo che riportava la sua mente alla madre nume, (=divina NdA) quando scorse delle ombre oscillanti divagarsi tacite nel cortile del casato.

Scattò in piedi allarmata, ma non ebbe il tempo neppure di avvertire la sua benamata vicina di stanza Alexia, perché dei pesanti colpi alla porta, sfondarono il portone principale dell’edificio un attimo dopo.

Miss Wilson si smaterializzò dalla propria stanza per giungere di soppiatto in quella accanto, dove l’amica frastornata era appena stata ridestata dal sonno a causa di quel fracasso inscenato ai piani inferiori.

CELIA: “Sei sveglia, grazie al cielo!!” berciò quasi sollevata andandole incontro.

ALEXIA: “…Cosa sta succedendo, come sei entrata qui? Credo di non averti sentita…” barbugliò assonnata, sostenendo con una mano la testa pesante gremita di bigodini.

CELIA sorvolò le parole della compagna afferrandola per le spalle, così da avere la sua completa attenzione: “Alexia, devi ascoltarmi attentamente: ci sono degli uomini con cattivi propositi al piano di sotto, li ho visti dal balcone, sono riusciti a fare irruzione qui, mi son sembrati molto pericolosi, devi aiutarmi! Raduna subito tutte le ragazze di questo piano e conducile nella palestrina della pallacorda* qui fuori, lì non potranno entrare, sarete al sicuro, fai presto!!” l’incitò in tono elettrico.

Nel frattempo dalla soglia dell’atrio faceva il suo trionfale ingresso il vice comandante Wallace, seguito da un assetto di filibustieri infervorati, pronti a distruggere, razziare, depredare e saccheggiare ogni cosa trovassero sul loro cammino.

Il lupo faceva strage sul branco di pecore e morse la stessa mano che fino a poche ore prima si era preso amorevolmente cura di lui, anziché lasciarlo morire lentamente su di una spiaggia in balia di atroci sofferenze.

Non che il gesto di Celia per lui contasse nulla, ma ne valeva della sua reputazione di primo ufficiale, doveva riaffermarsi dopo la sua presunta scomparsa verso i propri sommessi.

Ormai conosceva bene la disposizione dell’edificio e, dato che la sua permanenza rimase sempre celata, era al corrente di ogni scorciatoia recondita per non essere visto.

Attraversarono La piana degli specchi, come veniva definito un ampio salone dove si tenevano lezioni di postura e ballo per le allieve; la sua struttura in legno, vetro e superfici riflettenti la faceva apparire una serra, come scherzava il direttore del collegio, ora invaso da una bercia di predoni digrignanti, ansiosi di affondare le mani in qualcosa di luccicante e magari nelle carni di qualche fanciulla.

Stavano per giungere alla scalinata posta all’estremo opposto della stanza, collegante il salone ai piani superiori, quando Leonard, in testa alla bordata, li fece improvvisamente arretrare.

LEONARD: “UOMINI… alt!!” ordinò sollevando un palmo.

La sua ciurma sussultò bloccandosi di colpo, molti di loro allarmati misero mano alle armi, esaminando ogni angolo alla ricerca di un pericolo.

“…mi sta bene il ciuffo sistemato così, non è troppo gonfio?!” domandò impensierito avvicinandosi ad un ampio specchio e tormentandosi la chioma scura cascante sulla fronte.

Alle sue spalle si sollevò un coro di sospiri sollevati e versi disillusi.

“…Signore, pensavamo di essere qui per un assalto notturno, non per dei sciocchi consigli di bellezza!!” lo rimproverò il suo braccio destro, più coraggioso degli altri nel contraddire il loro superiore.

“Già! Dov’è l’oro che ci avete promesso??” incalzò un altro compare affiancando il Primo ufficiale, interessato unicamente a districare la criniera con le dita.

“E le belle fanciullette indifese, eh signore?! – fece eco un terzo passandosi avidamente la lingua sulle labbra, affamato di bramosia- Dove, dove!!” mugolò quasi non contendo più l’euforia.

LEONARD: “Sono da quella parte…” rivelò distrattamente indicando le scale.

Con un latro dal fragore animalesco, la ciurma sollevò armi e milizie verso il cielo, esultando vittoriosi come avessero già asservito il loro scopo, e nel giro di un secondo si accalcarono infatuati verso i gradini, lasciando solo nel salone il comandante.

La Dea dei sogni si lanciò fuori dalla stanza di Alexia in una disperata corsa contro il tempo, oltrepassò volando le scale e si ritrovò in un lungo corridoio serrato da porte, conducenti direttamente ai piani in cui stava infuriando quella feccia incontrollata di bucanieri, abitati dalla servitù.

Sperando con tutto il cuore che il personale di servizio si fosse già messo in allarme, accostò le mani ad ogni entrata e con il calore del suo corpo, incandescente alla pari di una stella, saldò al muro ogni porta in modo da renderla impenetrabile per chiunque volesse oltrepassarla.

Mentre si occupava degli ultimi ingressi, avvertì un passo trottante discendere le scale e una voce familiare la fece trasalire: “Miss Wilson! Cosa fate qui??” fu sorpresa dal guardiano del collegio, armato d’accetta e provvisto di lume, il quale si arrecava a sua volta ai piani inferiori nell’intento di prendere in mano la situazione.

Fortunatamente l’uomo non vide in azione i poteri della fanciulla, pensò unicamente che Celia fosse accostata alla porta per origliare al di fuori.

CELIA: “Signor Heburne! I-io… io… Ecco, io ho sentito dei rumori insoliti e mi sono precipitata a vedere…” improvvisò, balbettante dalla tensione.

HEBURNE: “Sta accadendo il putiferio quaggiù, non ti dirò nulla per allarmarti inutilmente, ma faresti bene ad uscire di qui. Rifugiati nel parco, almeno fino a quando le forze della Marina Britannica non saranno pervenute a recarci aiuto. Corri, VAI!” esortò conducendola con forza verso la rampa di scale da dove era venuta.

Mancavano solo tre porte per terminare la trovata di Celia, ma con l’intervento inaspettato del Signor Heburne la pensata non venne conclusa, alla ragazza non rimase altro che seguire l’ordine dell’uomo, e mentre inquieta tornava sui suoi passi, proprio da quei usci fecero irruzione i dirottatori.

Il guardiano Heburne padroneggiò su un paio di loro, ma poi venne assalito da un numero maggiore che ebbero la meglio. Celia non corse via impaurita, un animo prode e coraggioso viveva dentro di lei, fu Atena ad insegnarle a combattere, solo finora non ebbe mai l’occasione di mostrarlo. Afferrò una trave rivestiva della parete, in parte già distaccata, e corse nella direzione inversa a quella in cui si trovava, per soccorrere il guardiano.

Oscillò l’arma improvvisata verso di loro, non intendeva fargli del male, ma in casi estremi si sarebbe trovata costretta ad usarla.

La maggioranza degli invasori sciamò incurante verso i piani superiori, qualcuno invece si accorse della sua presenza e rimase sul pianerottolo scrutandola infervorato.

…“Salute, bamboletta! Cosa fate sveglia a quest’ora della notte? Uh, vi abbiamo svegliato? Come ci dispiace…” ammise un baldanzoso, inneggiato dalle risatine dei compari.

CELIA: “Fareste meglio a lasciare subito questo posto signori, senza altri ripensamenti…” intimò stringendo più forte la sbarra di legno.

“Noi non andiamo da nessuna parte senza le tasche piene di ninnoli luccicanti, tesorucciopredispose indignato dalla resistenza della fanciulla perciò, se ci dici subito dove possiamo trovarne, potremmo decidere di risparmiarti un po’ di dolore…” patteggiò il pirata.

La Dea si accorse delle occhiate che l’uomo lanciava alle sue spalle, ma non percepiva nulla dietro di se, perciò continuò a preoccuparsi solo di chi aveva davanti, fin quando due sudice braccia l’afferrarono per il collo nell’intento di disarmarla.

Si trattava di Gracco, detto Passo Sordo, per la silenziosità impercettibile dei suoi calzari, creati da lui stesso per cogliere l’avversario di soppiatto come fece con Celia, la quale però celava un’arma più strinante di un passo tacito: il suo stesso corpo.

Infatti come Gracco la toccò, berciò ustionato lasciandola subito andare “Bruciaaaa…ahi ahi…scotta scotta scottaaaa!!!”

Gli altri uomini rimasero attoniti, sgomenti dalle urla inspiegabili di Passo Sordo, arretrarono come vigliacchi dinanzi all’inconsueta minaccia.

La feccia del Comandante Wallace doveva aver soffiato sulla cenere e riacceso il fuoco.

Celia approfittò prontamente della distrazione per fuggire al di sopra. Giunta al primo dormitorio femminile, dove risedeva lei stessa, s’imbatté in altri profittatori che fu costretta ad affrontare con la propria “arma” lignea. Colpì sul collo il primo, nello stomaco il secondo, il terzo indossava degli abiti molto larghi, per niente della sua misura, sgraffignati probabilmente, bastò mirare ad un punto in cui la stoffa eccedeva e, già intontito da altre percosse, renderlo innocuo appendendolo alla parete tramite la trave, utilizzata a mo’ di chiodo.

In quanto Dea poteva esprimere qualsiasi desiderio, sia d’un mortale che proprio, tranne far innamorare due persone [compito  di competenza a suo zio: il Dio Eros], resuscitare chi è già morto o, come in questo caso, uccidere qualcuno.

Corse lungo il corridoio, approfittando della confusione per non essere vista, così d’assicurarsi che le stanze fossero tutte vuote e le sue compagne in salvo, nel locale in cui aveva ordinato ad Alexia di adunarle.

Ogni camera a cui passava accanto pullulava di predoni intenti a ribaltarla da cima a fondo, riempiendo tasche e forzieri di qualunque utensile d’oro trovassero.

Per il momento non poteva soffermarsi ad impedirlo, doveva prima assicurarsi che le sue compagne fossero tutte al sicuro.

Raggiunta la fine del corridoio avvertì delle voci conosciute, una fitta di panico la pervase, dovevano sbrigarsi, non erano ancora fuggite tutte?

Poi riconobbe la sagoma di Alexia sul balcone, intenta a condurre le altre al piano superiore tramite una scaletta d’emergenza e conducente al tetto, ma perché lo stava facendo? Non era quella la direziona per la palestra!

ALEXIA: “Ho dovuto indirizzarle al secondo piano- si giustificò poi- quando hai lasciato la mia stanza sentivo già qualcuno in avvicinamento, così ho riferito a tutte di abbandonare le camere per fare una burla alla governante che sta tenendo una perlustrazione di controllo notturna, era l’unico modo per organizzare la fuga in modo ordinato, senza farle prendere dal panico”

CELIA: “Hai fatto benissimo, ottimo lavoro!” la rassicurò abbracciandola, Alexia era l’unica di cui si poteva fidare, seppur non fosse al corrente della sua identità celeste.

ALEXIA: “Di sopra ci attente Andrew, lui sa già tutto, gli ho chiesto di aiutarci”

Costui era lo stalliere del collegio, per precauzione, unica presenza maschile dell’istituto dopo il guardiano e il direttore. L’occupazione preferita del giovine, all’incirca della stessa età delle alunne, era prendersi cura di Immi e farsi lusingare da Alexia, la quale aveva una vera e propria adulazione per lui.

CELIA: “Va tutto bene Andrew?” si assicurò una volta che l’ebbe raggiunto.

ANDREW: “Ma certo, non sono mai stato meglio, grazie per essertene affranta!” la confortò gaio, sfoggiando un largo sorriso che assottigliava fino a far sparire i suoi grandi occhi azzurri ed ammaliò Alexia.

CELIA: “Sciocchino, non intendevo questo, mi riferivo alle ragazze!!” lo contraddì agitata.

ANDREW: “Ah… Bhe, allora è tutto sottocontrollo, nessun problema. Le ho già esortate al silenzio per rimanere in tema al falso scherzo” annuì trionfale, mentre anche Celia e l’amica facevano ingresso nella stanza.

Lo stalliere diceva il vero, si procedeva quasi come previsto, ma non potevano immaginare che nemmeno lì sarebbero stati del tutto al sicuro.

Infatti pochi istanti dopo li raggiunse Gracco seguito a ruota da altri malfattori.

…“Andrew, ci vuoi spiegare per quale ignobile motivo siamo finite nella soffitta del collegio?!? Mi sto impolverando tutta la camicetta da notte!!” iniziò a lamentarsi qualcuna, dopo che trascorso del tempo e avvertito un chiasso dubbio sotto di loro, la fuga notturna improvvisa divenne sospetta.

ANDREW: “Abbiate fede ladies, qualunque cosa succeda…” rassicurò solenne allargando le braccia.

…“Dove credevi di scappare, bamboletta?!” tuonò il primo bandito affrontato da Celia, oltrepassando l’ingresso della stanza seguito dai suoi uomini, dopo aver riconosciuto nella fievole luce la sua vestaglia azzurra.

ANDREW: “…ci sono qui io ad… aiutAAAAaaaargh!!!” quel gran fifone alla vista dei pirati perse tutta la sua indole eroica, e senza terminare la frase, si lanciò impaurito tra il resto delle allieve, credendo ormai d’essere spacciato.

La giovine si voltò di colpo, colta di sorpresa, come avevano fatto a giungere fin qui?

Subito si fece avanti con molto coraggio, era principalmente lei quella di cui volevano vendicarsi.

I pirati stimolati dall’affronto proseguirono nell’avanzata quasi accerchiandola. Alle spalle della Dea s’innalzarono grida di terrore e la moltitudine di sue coetanee si compresse contro la parete, in un ultimo disperato tentativo di sfuggire a quei rabbiosi malfattori.

GRACCO: “Come la mettiamo ora, pasticcino? Siamo 10 contro una!” disse con un orrendo ringhio che aumentò l’orrore già predominante nelle altre fanciulle.

CELIA: “Questo lo dite voi!” ribatté spavalda, per nulla intimorita.

Ogni sillaba pronunciata a sproposito da quella ragazzina insolente faceva ribollire il sangue nel vecchio scaltro Passo Sordo, il quale in mancanza del vice capitano, pensò di prendere lui stesso comando per anzianità, e dare inizio ad un assalto privo di qualunque parsimonia verso quelle donzelle inermi.

Quando fu sul punto di parlare, una forza sconosciuta più potente di tutti loro protese a terra le torce di cui erano muniti i briganti, ma anziché prendere fuoco, dal pavimento si sprigionò un potente fascio di luce che illuminò la stanza come fosse colpita da un fulmine ed accecò gran parte dei banditi.

CELIA: “Alexia, Andrew! Adunate le ragazze e conducetele dove era previsto fin dall’inizio, mir’accomando proteggetevi gli occhi!!” berciò ad alta voce, approfittando della confusione per cogliere di sorpresa i predoni. Nessuno riuscì a spiegarsi cosa fosse successo, ma intanto la soffitta fu sgombera dalle alunne dell’istituto.

Eppure il più resistente dei malfattori superò quella barriera abbagliante e riuscì a raggiungere Celia.

GRACCO: “Ah, eccoti! Dove credevi di scappare razza d’insignificante put…” vociò arrivandole alle spalle, attanagliandola tra le sue grinfie per i lunghi capelli ondulati.

“FERMO” dal nulla una figura autoritaria sovrastò le rivoltanti imprecazioni di Passo Sordo, intervenendo appena in tempo perché alla ragazza non venne inflitto altro male.

Al suono di quella voce profonda, nel corpo mortale della Dea, il cuore smise di battere per un istante, lasciandole fuggire un lungo espiro meravigliato.

LEONARD: “Da qui ci pensa il sottoscritto, vecchio mio!” definì riacquistando la sua intonazione fiera.

GRACCO: “Ma, signore…” tentò di contestare.

LEONARD: “SEI FORSE DURO D’ORECCHIO?” berciò in maniera da non ammettere repliche.

GRACCO: “No, signore…” definì in tono sommesso.

LEONARD: “Allora, tutti voi, vedete di lasciare in pace le fanciulle, racimolare più oro che potete e andarcene al più presto da qui o le nostre teste saranno in palio sul patibolo al prossimo sorgere del sole!” stabilì commendatore.

Con una nota di amarezza la stanza si svuotò e vi rimasero solo Celia insieme all’incubo dei sogni suoi.

Il naufrago, ora in perfetta forma, era scomparso da ben due giorni dal collegio, senza lasciarsi addietro alcuna notizia di se. Neppure la Dea era riuscita a rintracciarlo, probabilmente il pirata aveva dormito solo qualche ora e l’aveva fatto di giorno, quando per la divinità è più complesso usare i propri poteri.

LEONARD: “Dovreste ringraziarmi –puntualizzò sornione- vi ho risparmiato dei guai seri cacciandoli via!” definì portandosi vicino a lei.

Celia ancora a terra, sconvolta, avrebbe voluto alzarsi e riversare su di lui tutta la rabbia che ora, smascherato l’artefice dell’assalto notturno, aveva in corpo, ma non trovò le forze; riuscì solo ad emettere dei flebili singhiozzi strozzati, mentre riponeva l’energie rimaste nelle braccia, su cui era atterrata cadendo a terra.

LEONARD: “Lasciate, vi aiuto io a rimettervi in piedi” si propose sfiorandole le spalle.

“NON TOCCARMI” lo allontanò sofferente, facendolo sussultare. In realtà non respingeva lui, ma se stessa, quello che sentiva dentro di sé, mai provato prima d’ora.

Ciò che Celia più amava della sua condizione terrena era proprio il poter provare emozioni, ma in nessuna occasione l’era capitato di fronteggiare simili sensazioni tutte insieme, perlopiù così contrastanti tra loro, e questo, come nella ordinaria natura umana, la spaventava.

Un volta sollevatasi dal pavimento polveroso, presa visione della figura dinanzi a se, uno soffio di sollievo invece le alleggerì il cuore, facendolo poi riprendere a battere alla velocità d’un trotto.

Spaurita dalla sua stessa reazione, portò tremante una mano al petto, pensando di poterlo rallentare. Il Primo Ufficiale la vide fissare un punto impreciso con sguardo smarrito, supponendo che stesse avendo un malore le domandò se si sentisse bene.

CELIA: “NO! No… Io sono… arrabbiata…”ammise infine attonita, lei stessa non sapeva ben definire quel sentore.

CELIA: “Sono…arrabbiata” ripeté esitante come a convincere se stessa. Si ritrovò persino a ridere di della nuova scoperta.

LEONARD: “Sul serio? Mai successo prima?!” domandò incredulo cercando di sviare al torto causatole.

CELIA: “No, a dire il vero” mormorò veridica accigliando il mortale. “Tu… hai arbitrato tutto questo… proprio tu! Come… come hai potuto, Leonard?” domandò attonita in un’impercettibile spiro frastagliato, senza riuscire a guardarlo in viso.

LEONARD: “Si è trattato solo di una piccola visita a sorpresa, non si è fatto male nessuno!” tentò invano di avvalorarsi in cadenza innocente.

CELIA: “Qui c’è tutto quel che mi resta di una famiglia, lo capisci? Quei depravati dei tuoi scagnozzi potevano causare… non voglio nemmeno immaginare cosa. La chiami sorpresa questa??” replicò scossa.

LEONARD: “Bu!” ironizzò mimando con le braccia le fattezze di un essere spaventoso.

CELIA: “Sei ignobile e…e infantile!” sentenziò livida d’ira con fine liberatorio.

LEONARD: “E voi una piccola aristocratica ingessata!” marcò di rimando rendendo buio il suo sguardo vitreo.

CELIA: “Perché? Perché mi sono sempre opposta al tuo stolto rituale di corteggiamento fatto di quesiti inopportuni? –dichiarò fingendosi divertita- “Mi date un bacio?” “no” “Posso baciarti?” “No” “Dammi un bacio” “NO!” sei del tutto insopportabile!! E la risposta è sempre NO! Non si conquista una donna in questo modo, se mi è permesso dissentire” definì austera.

LEONARD: “Pensate di non potervi innamorare di me, Miss Wilson?” chiese incantatore, vestendo il proprio tono di sfida in abiti ammaliatori.

CELIA cercando di far svanire l’incanto apportato dalla presenza del bucaniere così vicino a lei: “Ho agito in quel modo solo per difendermi” dichiarò ostinata, percependo il sentimento antecedente esploderle in petto.

LEONARD: “Eccellente! Vediamo se riuscite a difendervi anche da questa!” minacciò sfoderando la propria spada per mirarla al mento di lei.

La Dea si fece indietro colta di sprovvista, non avrebbe mai creduto che sarebbe giunto fino a questo punto, tuttavia non si sarebbe data subito per vinta. Con una rapida occhiata esaminò il circondario alla ricerca di qualunque cosa potesse venirle utile per difendersi, ma la vicinanza dell’avversario le impediva ogni mossa.

Il disonesto malfattore pensò dunque di agire senza darle la possibilità di ribattere: trafisse un punto più vicino alla dama mancandola volontariamente di poco; ella riuscì a chinarsi appena in tempo, sebbene il colpo sferrato le portò via una ciocca dorata. A terra recuperò un’asta dorata facente parte di una tenda accostata ad una finestra del sottotetto, strumento di difesa perfetto attraverso cui poté riscattarsi a dovere, infatti, sebbene fosse in svantaggio, riuscì a respingere il secondo affronto.

L’intento di Leonard era unicamente quello di metterla alla prova, gli affondi successivi furono poco energici e prevedibili, in realtà stava molto attento a non farle del male. Celia da parte sua fu discretamente in grado di difendersi, parava ogni colpo con più prontezza di volta in volta, ma il peso dell’asta sbilanciava il suo equilibrio in continuazione.

LEONARD: “Non la facevo così combattiva, Miss! –dovette ammettere- A cosa è dovuto questo vostro spirito guerriero?” domandò curioso.

CELIA dandogli filo da torcere nelle controffensive: Ad un Fato che per tutta la vita non mi ha mai sorriso, ed io di rimando gli sorrido di più!” ammise fiduciosa, senza lasciarsi distrarre.

LEONARD: “Ve l’ho mai detto che siete pazza?” constatò in disaccordo, facendo nuovamente tintinnare con una scintilla la propria spada contro l’asta dorata.

CELIA: “Come dici?!” sbottò offesa spingendolo via.

LEONARD: “Di certo non rientrate nel normale: nessuna donzella come voi combatte in questo modo e si esprime altrettanto” osservò intrigato.

CELIA: “Pensi questo di me?! Ed io di te cosa dovrei invece?!?” proclamò alterata, facendosi più agguerrita anche nel combattere.

LEONARD: “Bellissimo, tenebroso, bastardo, affascinante… Ma meriterei di rosolare nel fuoco infernale per l'eternità probabilmente!” ammise sarcastico.

Il duello si portò avanti con un costante botte e risposta, finché s’interruppe a mezz’aria, poco dopo, con l’intervento apportato dalla Marina. Lo scaltro pirata avvertì per primo la loro intromissione e abbandonò subito il proprio gladio per darsi alla fuga.

LEONARD: “Mi duole milady, ma non intendo trascorrere i miei anni più belli in una cella!” si congedò precipitandosi verso la finestra.

CELIA: “Aspetta! –disse per rattenerlo- Vorrei prima…”

“…Celia Wilson, siete qui?” la cadenza anglicana e il timbro basso del direttore Seward, in quel momento la convocò a gran voce dal corridoio.

LEONARD: “Meglio che mi sbrighi!” approvò balzando sul davanzale della finestra, pronto a calarsi giù fino al chiostro.

CELIA: “Solo un istante, non andartene! –pregò supplice, voleva prima mettere in chiaro le cose- torno immediatamente, se rimani non gli dirò che sei qui!” lo obbligò sbrigativa abbandonando la stanza.

Quelle parole risuonanti come una supplica, uno scongiuro lo erano davvero.

SEWARD: “Ah, bene! Siete qui Miss! Volevo solo rassicurarmi che stesse bene, è così vero?” esclamò l’ossuto proprietario dell’istituto quando lei gli venne incontro, prima di sorprenderla con Leonard. Le vesti perennemente scure dell’uomo, il cinereo pallore di morte sul suo viso e le dita eccessivamente lunghe, scarne come la sua muscolatura, facevano spesso temere a chi gli stesse accanto che in realtà fosse un morto camminante tra i vivi. La Dea tuttavia ne provava simpatia, se non fosse stato per le sue iridi scure anziché vermiglie le riportava alla mente Caronte*, un suo fratello divino.

CELIA: “Sì signore, neppure un graffio!” cercò di convincerlo lestamente.

“Splendido dunque! Le docenti vi attendono nel cortile per una adunanza di emergenza, devono verificare le presenze e in seguito i danni provocati da quei barbari” li definì con sprezzo, arricciando le labbra sottilissime da un unico estremo.

CELIA: “Certo signore, vengo subito! -lo rassicurò nella speranza che tornasse sui propri passi senza trattenersi oltre- In quanto a danni, il Signor Heburne sta bene? s’informò inquieta.

SEWARD: “Sufficientemente, ha riportato qualche ferita da taglio. Se non altro se l’è cavata!” dichiarò sollevato.

CELIA: “La ringrazio, Signore!” disse cortese sentendosi meglio.

SEWARD: “Oh, quasi dimenticavo, c’è nessun’altro qui con voi, Miss?” chiese innalzando un esile indice in movenza inquisitoria, la giovine temeva simili dubbi.

Cosa le conveniva fare a questo punto? Quel malfattore di Leonard poteva benissimo non aver mantenuto la parola, quando lei fosse tornata sarebbe già potuto fuggire abbastanza lontano da non diffondere alcun allarme in tempo.

Rintoccarono all’orologio sfiorante le tre, attimi infiniti, colmi di panico ed indecisione.

Una tempesta di sentimenti attaccò la Dea nello stesso istante, scuotendo e tormentando il suo animo fin nel profondo, allorché dalle sua bocca fuoriuscì un debole: “…Nessun’altro, signore”

Sebbene Leonard l’avesse pugnalata alle spalle quella stessa notte, non potè fare a meno di riporre nuovamente in lui le proprie speranze.

SEWARD: “Ottimo dunque! Siete attesa nel patio insieme alle vostre sodali” le ricordò con il suo singolare tono allegro, discrepante con l’apparenza torva della sua figura, vedendo la fanciulla leggermente assente alla conversazione.

Quando “Il becchino”, come lo soprannominavano le compagne di Celia scomparì dalla sua vista, la Dea si precipitò nella soffitta, con cuore colmo di angoscia; giunta sull’uscio non aveva il fiatone per la corsa, ma a causa della paura, tenaglia del suo respiro, di aver perso per sempre quell’uomo, tentando nuovamente a fidarsi di lui.

Trovò la stanza buia e deserta, solo il vento proveniente dalla finestra smuoveva un poco le tende spesse ed impolverate.

Celia percepì il mondo insieme all’intero Olimpo ricaderle addosso, le sue braccia si rilassarono e caddero abbandonate lungo i suoi fianchi, il fiato le tornò per un ultimo sospiro deluso e di rassegnazione, accompagnato da una lacrima solitaria lungo il viso.

Doveva aspettarselo, forse, mai fidarsi di un pirata!

A quest’ora poteva essere giunto di corsa ben oltre la boscaglia intorno al collegio, diretto alla propria nave dove lo attendeva una ciurma trionfante che l’avrebbe accolto come si dovrebbe ad un novello Cesare o un Dio.

Il Dio delle Tenebre come la fanciulla lo definiva.

CELIA: “Stupida sciocca” mormorò disattesa lenendo le lacrime con il carpo della mano.

…“Credevate forse che me ne fossi andato?” predispose una voce giunta dall’estremo più buio della stanza, così da impedire alla dama di essere scorto.

“LEONARD!!!” La Dea urlò quel nome più forte che poté dentro di se.

Voleva gridare, ridere, ballare, voleva piangere, ma

riuscì solamente a dire, cercando di mascherare la gioia mista allo stupore: “Sei rimasto…”

LEONARD: “Certo, mi avete minacciato!” replicò subente mostrandosi al chiarore.

CELIA: “Minacciato?! Per Giove, sei impossibile!” lo repulse scuotendo il capo. In un secondo era capace di mutare completamente qualsiasi umore.

LEONARD: “Tu lo sei!” l’accusò sentito alterando il suo perenne sorrisetto furbo in un broncio.

CELIA: “Freddina, ingessata, pazza, impossibile… Avete altro per cui ingiuriarmi?!”

LEONARD: “Giusto, dimenticavo che siete una suora! A volte mi chiedo se questo sia un collegio o un convento, avete 19 anni e non sapete neppure come sia fatto un uomo!” diffamò irruente.

CELIA: “Se ti sconvolge tanto, perché sei ancora qui??” domandò trattenendo a stento un’altra spira di rabbia.

LEONARD: “Me l’ha chiesto una suora freddina, ingessata, pazza e impossibile!” rivelò pacato.

A Celia non rimase altro che scoppiare in un fragore di risate, costretta a reprimere per non farsi sentire, anche il primo ufficiale abbozzò un riso.

LEONARD: “Cosa volevate dirmi?” chiese moderando il tumulto, fissandola negli occhi.

CELIA tornando seria: “Due giorni fa te ne siete andato senza un biglietto, un avvertimento, una sola parola… Sono stata in pensiero!” disse assoggettata, con animo provato.

LEONARD: “Come dite, ho capito bene? Vi siete preoccupata per me?? -appurò meravigliato- Quindi un po’ vi siete innamorata!” concluse appagato.

CELIA: “Non intendevo dire questo!!!” cercò di contraddire immediatamente, per rimediare a ciò che stava causando.

LEONARD: “Ah, no. Bensì cosa, dunque?” propose sfidante.

CELIA: “Bhe, ecco, io… Volevo giusto assentirvi che ritengo siate un uomo maturo, responsabile delle vostre decisioni, perciò, qualsiasi cosa ora decidiate, vi auguro ogni bene Signor Wallace, arrivederci!”dichiarò come un copione, stringendo la mano del predone in gesto di saluto, seppur al solo pensiero di quell’uomo dinanzi lei lontano miglia e miglia verso una meta lontana, avvertiva qualcosa morirle dentro.

LEONARD: “Cosa dite?!? Poco fa mi definivate ignobile ed infantile!!” si ribellò oltraggiato.

CELIA: “Devi aver frainteso!” negò imperscrutabile.

LEONARD: “Ho capito benissimo invece!! Mi state cacciando? Rimangiatevi subito ciò che avete detto!” intimò facendosi scuro di rabbia.

CELIA: “Ri…mangiarmelo?? Come si mangiano le parole?!?” osservò attonita nella propria ingenuità, non sapeva ben cosa fossero i modi di dire.

LEONARD: “Non in senso letterale! …Argh, fatelo e basta!!” insistette iroso.

CELIA: “Come, prego?!?”

LEONARD: “Ho detto FATELO” scandì mantenendo salda in viso la maschera arrabbiata.

CELIA: “Per chi mi avete preso, uno dei vostri leccapiedi? Giammai!” si rifiutò radicalmente incrociando le braccia sul petto.

LEONARD: “Siete voi la rozza adesso!!!” osservò lapidario.

CELIA: “Come ti permetti!” controbatté allibita.

LEONARD: “Mi permetto eccome, con una come voi si manda al diavolo la galanteria!” dichiarò accondisceso.

CELIA: “Galanteria?? Tu non hai nemmeno idea di cosa sia!”

In breve si ritrovarono a litigare già come marito e moglie, dalle armi vere passarono a quelle verbali.

CELIA: “Sacri lumi, siete un cafone stolto e maleducato! E, sì, penso proprio che siate altresì ignobile e infantile, come tu stesso dici. Mai conosciuto altro screanzato e prepotente come te…”

Leonard arrivò persino a non ascoltare più le parole della fanciulla, ma sovrastò la voce della giovane con una cantilena simile a “blablablablaBluuuBleeee…non vi sentoooo…eh?…Come diteeee???”

Nemmeno questo funzionò, i rimproveri e gli insulti di Celia proseguirono, cos’altro fare?

CELIA: “E non è finita! Ancora mi domando per quale diamine di motivo mi sia saltato in mente d’andare in avanscoperta quel giorno sulla spiaggia, al fine di cercare qualc-…” le parole della Dea questa volta si infransero sul nascere, vennero spezzate improvvisamente quando le labbra salmastre del pirata si accostarono delicatamente alle sue.

Il suo primo bacio. Non ne aveva mai ricevuti ne da umano ne da immortale, e lui lo sapeva, era questo il torto: Leonard lo sapeva, l’aveva costretta ad ammetterlo un tempo.

La giovine per un attimo percepì il proprio corpo tremare, abbandonarla per ascendere di nuovo verso l’Olimpo, non più come Dea, sommesso completamente a quel gesto piccolo, ma così immenso, prima di essere avvolta dal calore dalle braccia dell’uomo.

Quando lui si scostò, l’incanto venne un poco infranto dal tono querulo di CELIA: “…Perché?”domandò ad occhi bassi, discutendo la natura dell’ atto.

LEONARD trionfale: “Perché l’avete sempre voluto, anche se non me l’avete mai chiesto…” ammise ridente.

Nel seguente caso, però, lei era consapevole che si trattasse di un’azione discrepante all’amore, compiuta solo per farla tacere senza usare alcuna violenza.

Così, quell’ istante infinito, venne infranto dalla volontà di ferro della stessa Dea, che rispose al bacio sferrando un calcio al “cavallo” del pirata.

Leonard si scostò piegandosi in due, crollò a terra in una morsa di risate miste a gemiti sommessi.

LEONARD a denti stretti per tenere a freno il dolore: “Ci sono donne che ucciderebbero per avere un mio bacio, Miss!” si vantò dirigendosi dolorante verso la finestra.

CELIA: “Allora affrettati! Lanciati dalla finestra, rompiti il collo e corri da loro! Razza di mascalzone…” borbottò sconvolta, non sapendo più se gioire, infuriarsi o divenire triste per la sua immediata partenza.

LEONARD: “E’ stato il più bel dispiacere della mia vita conoscervi, Celia Wilson!” ammise già in piedi sul davanzale della finestra, chiamandola per la prima volta per nome. Non l’aveva ancora ringraziata per averlo salvato, ma forse ora lo stava facendo a proprio modo.

Un intricato nodo si formò nella gola della divinità dei Sogni, impedendole persino di respirare, figuriamoci riferire qualunque replica.

Riusciva solo a rabbrividire, stringendo sempre di più i pugni serrati, la paura non la rendeva libera di estendere i suoi veri sentimenti, in quel momento odiava essersi incarnata in forma mortale.

LEONARD: “Mi amerete ancora domani mattina?” domandò infine ridacchiante, ironicamente speranzoso, dando inizio alla propria discesa dei gradini, lasciando però la giovine senza fiato.

Celia boccheggiò qualche istante, dopo quella istanza non riuscì più a dire nulla. Capitava spesso che il primo ufficiale le ponesse quesiti simili, ma mai così espliciti e soprattutto a cui ella, in altre vesti, avrebbe risposto “sì” senza nemmeno rifletterci.

Era finita, da qui si prendeva la via per il Nonritorno.

La Dea Sogno lottava contro Celia Wilson, i caratteri ostinati, caparbi e valorosi di entrambe si scontrarono in una tregua che non ci fu mai, nemmeno quando la figura di Leonard Wallace scomparve nella notte lasciandola sola, in quella soffitta tetra, tra vecchie poltrone abbandonate, con il cuore in subbuglio, il fiato smarrito, gli occhi persi e l’anima completamente vuota.

 

 

 

__Note__

 

Ipno e Nyx: Per esser ben precise ci siamo ispirate alla mitologia greca secondo cui il Dio dei Sogni è Morfeo (almeno per Ovidio), noi invece ci riferiamo proprio ad una Dea di nostra creazione. Ipno e Nyx erano 2 divinità esistenti (secondo il mito madre e figlio ^^’) invece di recente abbiamo scoperto che proprio da loro è stato generato Morfeo, noi avevamo adottato i nomi di queste divinità da sempre già per Celia, senza saperlo ci abbiamo azzeccato! :0 in ogni caso tutto questo è per segnalare che ci atteniamo molto poco alle reali circostanze.

 

Nettuno: è un Dio romano, ma perdonateci, ci serviva la metafora ^^’

 

Berilli: Il Berillo è un minerale verde da cui si ricavano gli smeraldi. Perciò gli occhi sono di questo colore ; )

 

Pallacorda: sport antenato del tennis. Ci siamo ispirate ad un evento storico facente parte della rivoluzione francese: l’occupazione della Sala della pallacorda da parte del Terzo stato, una delle cause della rivoluzione datata circa 100 anni dopo all’epoca in cui è ambientata Unty, ma abbiamo ritrovato delle fonti dove si attribuisce questo sport al 1571 per cui non vi è alcuno sgarro ^^ Le donne aristocratiche hanno iniziato nel 1800 a professare delle vere attività sportive, ma il nostro pensiero è stato che potessero farlo anche nei secoli precedenti non pubblicamente.

 

Caronte: Traghettatore del fiume nell’oltretomba generato da Erebo e Nyx.

 

 

 

   
 
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