Nota delle Autrici:
Sera gente!! ^^
La primissima parte di questo capitolo 9 per l’appunto
è di genere comico 8>P
La seconda invece, di tutt’altra pasta, l’ho quasi
terminata.
Nei
prossimi giorni appena sarà pronta la posterò ^^
L’ultima
parte del Capitolo 8 che continua in questo nuovo aggiornamento è stata postata
il 10
Agosto
per chi non l’avesse letta =)
Volete iniziare a scoprire qualcosa di più riguardo la donna dal cappuccio grigio che pare mettersi in mezzo tra Jenny e Jack? Leggete dunque quanto segue =P
Mille ringraziamenti a…
_Celia_:
Sogno,
always the first 8-D Sorry but qst sera ho in mente solo uno e cento modi per
strozzare il tuo caro Leonard ^^’ Nn capisce un accidente quel omo, è
allucinante! E sto ancora vomitando per quella parola che hanno affibbiato a
Wilde -.-‘’’ Ma cosa dici, le tue recensioni sn sempre tr duciii! =’) Anche la
canzoncina ci hai dedicato *w* urca =$ Non so ke altro dire se non Grasie
=*
Grazie mille per la zampa immensa che mi dai e per sopportare sta povera pazza =P Devi insegnare anke a me ad andare a cavallo :D Devo vederlo il Patriota!! Mah, speriamo d finirla prima o poi qst collana ^^ Non per niente l’abbiam chiamata “without end” qst storia! In questo capitolo quei 3 (Sci, Jenny e Jack) architetteranno un piano per far arrivare il tuo figliolo ;) Vediamo che ne pensi ^^ Grazie ancora per tutto =* Ti vogliam un mondo di bene!!!
JiuJiu91: Eh si me ne sono accorta anche io del cambiamento di stile ^^ L’abbiamo appreso col tempo e scrivendo 53 capitoli oramai =) lol Sn quasi se non del tutto diventata paranoica qnd scrivo ma poi mi accorgo che qualcosa vale! Ne sono sollevata, a volte rileggendo le prime parti di unty1 mi vengono i capelli bianchi XD tranquilla, qui nn si offende nessuno =D ;) Da piccola avevo quasi convinto i miei a regalarmi un dalmata *w* Poi alla fine l’ha avuta vinta mamma: “un animale in casa?? nemmeno per idea” -.- Però ho sempre adorato sia il cartone che il film :D Siamo contente di riuscire a strappare un sorriso =D Nella prima parte di questo capitolo ci saranno altri scambi di battute comiche! ^^ La calma prima della tempesta… Per Dylan ci stiamo pensando, promesso ;) Mah, secondo me i pirati durante la loro ora uscita libera fanno quel che farebbero dei detenuti nell’ora d’aria se potessero avere accesso in un innocuo paesino ovvero di tutto e di più ^^ lol Un abbraccione forte fino in Australia!!! =D A presto =* =*
vanessola: Ave Mater Superiora! ^^ Dopo tutta questa venerazione solo per il titolo del chap ci voleva in dedica un sospiro :P Eh he vedi, soffri d’insonnia cm Tim ;) Vedi di dormire che poco sonno non va bene!! And I’m fullll of jooooooooooooooooooooooooooooy!!!! =P Siam contente che anche a te sia piaciuta quella parte ^^ Vedi di aggiornare in fretta anche le tue ff eh! =) Tanti baciii, a presto =* Dobbiamo andare a vedere Kong fu Panda e Hankok!Maters 4ever!
Jechan: Ciao Jessica! =D Urca =S Anche tu super maratoneta!! Sei da olimpiade 8-D 2 giorni e hai letto sia Unty1 che 2! O.o Ti abbiamo colpita, ne siamo onorate ^^ Jack per quanto posso cerco di renderlo fedele a quello dei miei orsetti Teddy (gli sceneggiatori di potc) ma so che non è per niente uguale, credo nessuno tranne i miei orsetti stessi e Rob Kidd sapranno mai renderlo identico =) Già *w* Dopo aver visto Sweeney rimane così impresso che è un impresa dimenticarlo *w* Grazie per i tuoi complimenti ^^ A presto =D Un bacione!
schumi95: Kat, ciau! =’) Ci sei mancata anche tu! ^^ Siam contente che Andrè inizi a prenderlo in simpatia =D Alla fine è molto dolce e buono, i suoi difetti sono l’essere impiccione e il Capo aggiungerebbe francese u.u Io credo che quei uomini come dici tu siano rariiiiiissimi ma esistono, ne conosco uno =) Più grande di me di 28 anni e impegnato ^^’ però esiste! Solida consolazione… Ecco, hai risolto da sola il mistero di quella donna della carrozza! Eh si, nel passato ha un ruolo importantissimo, è una chiave della storia, ne saprai di più nella seconda parte di questo capitolo :D Sì, all’orizzonte ritroviamo Vallenueva, che se hai visto il terzo film dei pirati dei caraibi è il membro spagnolo del Consiglio della Fratellanza che litigava con l’incipriato francese ;) Ci serviva un antagonista e dunque ci siamo riallacciate al film così è qualcuno di conosciuto! ^^ Buone vacanze piccola, e grazie peri tuoi giudizi! =* Bacioniii
68Keira68: Bentornata Sara!!! =D Yep, Al davvero se lo meritava ;) Jenny farà qualcosa tranquilla! =D L’hanno colpita troppo quei pargoletti ^^ Bhe, Havier non ha imparato ancora bene la lezione, sul finale era comunque ostile con Jennyfer, però sicuramente una lezioncina l’ha imparata = ) Certo, Jack è un pezzo di pane però agli occhi di una bambina appare così strambo che di primo impatto secondo me scappa :P lol Eh invece sulle bambine più grandi qui cm la sottoscritta ha un fascino 8-) …kela trattieniti! Ehm ehm, dicevamo? Ah si! Grazie per i tuoi complimenti immeritati cm solito ^^’ A presto carissima! =D Un bacionone =* TI vogliam tanto ben!
Buona lettura a tutti!! ^^
Ricordate di dare un’occhiata alla fine del capitolo 8 se leggendo questo inizio vi trovate spaesati ;)
Un bacione! A presto =D
Kela
and Diddy
(Capitana and Capo)
Capitolo
9
Illusion.
Unknown.
JACK: "Quando
pongo una domanda esigo una risposta!" afferma temporeggiando in tono
autoritario.
Nel frattempo la
sua mente scaltra è già impegnata ad elaborare rapidamente un'efficace strategia
concerne alla situazione.
Con la coda
dell’occhio lo vedo portare per precauzione una mano intorno all’elsa della
spada, pronto a riutilizzarla immediatamente in caso di pericolo, sempre
analizzando vigile ogni minimo movimento della donna dinanzi a noi.
Io stringo
imperterrita il pugnale tra le mani.
... : "Stavo solo
scherzando signore -ammette ironizzando- vorrebbe perquisirmi per caso?" propone
portando le lunghezze della mantella oltre le spalle e posizionando le mani sui
fianchi sempre sorridendo, mettendo in mostra la veste scarlatta che fascia
delle forme burrose prima celata dall'ombra e il tabarro.
Non ti conviene
Jack, sono qui accanto a te, armata di pugnale perlopiù!!
Mio odio a parte,
sono sorpresa dal tono "naturale" con il quale lei si rivolge a Jack, non
provocativo, ma piuttosto confidenziale come se fosse da sempre abituata a
motteggiare con lui.
Il Capitano ogni
secondo che trascorre al cospetto della donna appare sempre più confuso,
stranamente non controbatte, ma attende accigliato la prossima mossa
dell'intrusa mantenendosi serio.
... : "Sembra il
caso che sia io a presentarmi per prima… -conclude rassegnata- Riguardo a voi
conosco già entrambi - ammette prima di volgersi nella direzione del Comandante-
Capitan Jack Sparrow: re dei Caraibi [re??]-le parole della straniera vengono
appurate da un inchino plateale di quest'ultimo- Pazzo come una volpe, ma molto
abile a volgere l'attimo a proprio favore con risultati sempre diversi e
confusi..." lo presenta trattenendo un riso quando Jack lancia lei
un'espressione offesa per la sua ultima sminuente definizione.
"E Jennyfer
Catherine Allyson..." riversa a me.
Sa il mio nome per
intero?? 0_0
IO: "Com...come
puoi conoscermi?"
E' impossibile!
Dylan era l'unico a saperlo, dev'esser necessariamente entrata in contatto con
lui quando ci trovavamo qui, è l'unica spiegazione possibile.
JACK:
"Catherine???" apostrofa scoppiando a ridere.
Aaaargh, perchè
diamine l'ha detto!!!
IO: "Sì Catherine, e
non una sola parola sul mio secondo nome!!" sbotto furiosa mettendo subito le
cose per interso.
JACK: "D'accordo
Cat!" definisce in tono giocondo unendo le mani dietro la schiena.
"Jack!!" lo
rimprovero oltraggiata.
JACK: "...Miao..."
proclama in tono innocente portando le mani al cielo. (Jack scherza sul fattore per cui cat in inglese
significa gatto NdA)
"Falla finita!!!"
urlo adirata.
JACK:
"Meeeeow…ffff…" replica portando le mani semichiuse all'altezza delle spalle e
allungandone una verso di me come fanno i felini con gli artigli per
difendersi.
IO seccata
rivolendomi all'intrusa : "Dovevi aggiungere peggio di un bambino
tra i suoi difetti!!"
La donna allietata
dai nostri futili bisticci torna seria nel terminare il suo discorso: "E tra i
tuoi pregi ce sei sagace, di bella presenza, colta, determinata, testarda, forte
all'occorrenza e proveniente da un tempo a noi ancora lontano definito terzo
millennio, è così?" domanda pedantesca sempre mascherata dietro un sorriso che
mi accorgo sempre più essere d'evenienza.
Ancora una volta
mi lascia pietrificata, dalla mia bocca fuoriescono solo sillabe farfugliate,
dettate dallo stupore, il quale cercano disperatamente di negare l'ovvio.
E' a conoscenza
anche di questo???
"Allora ho trovato
proprio chi cercavo! -attesta vittoriosa- Non smentir le mie parole Jenny, so
ogni cosa. Piuttosto, voi ancora non sapete nulla di me! Il mio nome è Scilla,
non temete, non sono un nemico per voi. Mi trovo qui semplicemente per aiutarvi,
come ho annunciato al nostro primo incontro..." accenna a voce più tenue,
intimidendosi rispetto a prima quando fronteggiò il Comandante con cotanta
vigoria.
E quello chi se lo
dimentica...
"Rammentiamo
benissimo quell'episodio!!" sottolineo infastidita buttando gli occhi al
cielo.
Jack si volge
verso di me ostentando un ghigno curioso tra il malizioso e il divertito,
seguito da un mio ad effetto fulminante.
SCILLA ridendo:
"Giust’appunto, come ho potuto esser così ingenua da dubitarne...!" si
rimprovera da sola portandosi una mano alla testa avvolta dal cappuccio
cenere.
"Eppure lo sei
stata!" evidenzio inacidita con un sorriso tirato. Il Capitano indirizza verso
di me un'occhiata abbuiata, ma pur sempre amena.
Non mi guardare
così mio caro, dopo questo scambio fraterno di battute tra voi torna ad essermi
poco chiaro quel passionale bacio che ti ha dato!
SCILLA: "E'
complesso ciò che sto per dirvi, non lo sanno molte persone al di fuori di un
paio perciò vi prego di ascoltarmi e non rivelarlo ad altri se non è
strettamente necessario" stabilisce dandoci fiducia.
Sia io che il
Capitano annuiamo divenendo seri.
SCILLA: "Vi
conosco perché entrambi possedevate come me un frammento della mappa
Hyubtat-le!"
Al suono di quel
termine così insolito entrambi ci scambiamo un’occhiata interrogativa.
JACK: “Crediamo di
non aver capito, gioia…” dice cambiando la sua espressione in una intrigata.
SCILLA: “Oh,
perdonatemi. Dovevo essere più chiara! Intendevo la mappa che poco tempo fa vi
ha condotto ad Isla Oculta –precisa- Sapete, ho trascorso dieci anni della mia
vita a studiare ogni suo millimetro quadrato, il suo nome perciò a me risulta
nauseante” ammette sogghignando.
JACK: “Dieci anni
sono lunghi!” attesta ammirato.
SCILLA: “Quasi una
vita intera…” l’asseconda in tono ormai privo di qualsiasi vigore.
IO: “Scusate se
interrompo il melodramma qui –erompo confusa con accento seccato- Ma siccome
dici di sapere tutto, Scilla, e se realmente ti riferisci alla mappa di Isla
Oculta… Dovresti saperlo da te che l’ho vista in un museo…”
“Il museo di Santa
Barbara in California, esatto” specifica lei cattedratica.
JACK come sorpreso
da un’illuminazione: “Giaaaà, Museo! –afferma scandendo la parola appena
rinvenuta dai meandri offuscati della sua memoria- Uno di quei luoghi dove sono
custoditi testimonianze storiche, oggetti, documenti antichi e il quadro della
MIA nave!!” condiscende orgoglioso. (Jenny spiegò a Jack in cosa consiste un museo nel capitolo
23 “Verso la fine di un nuovo inizio” di Untitled NdA)
IO sempre più
irritata: “Si, quello! –affermo brusca- Il punto è: quella Mappa non aveva
nessun nome, secondo il personale del museo era una semplice cartina
geografica antica esposta in vetrina, nulla più!”
SCILLA: “Ma hai
potuto verificare tu stessa il suo potere, come ti spieghi la tua presenza qui,
400 anni lontana da casa? Non è un semplice pezzo di carta Jennyfer, lo sai
benissimo”
Questo è vero
dannazione…
SCILLA: “So che
faticate a credere le mie parole, vi capisco. Sono un’ordinaria sconosciuta che
si presenta qui all’improvviso, conoscendo tutto di voi e al contrario non ne
sapete nulla, ma vi chiedo, ve ne prego, mettete da parte ogni preclusione per
un attimo ed ascoltatemi, non pretendo altro. Ne vale della vostra incolumità!”
stabilisce impensierita.
Jack si volta
verso di me con un sopracciglio inarcato come a significare “Sei d’accordo a
darle ascolto?”
IO spazientita: “E
va bene, ma prima vorrei spiegassi francamente questa faccenda del nome!”
SCILLA rallegrandosi: “Come più desideri, ma per venire a conoscenza di quella fareste meglio a mettervi comodi… è una storia piuttosto lunga!!” incomincia entusiasta.
1535 d.C.
Quarantatre anni
dopo la scoperta del Nuovo Mondo, nel Nord dell’Europa, il sovrano Hans Nils di
Svezia (in onore del gran bel pezzo di maritino della mia Tigrotta
NdCapitana) ideò una mappa
alquanto differente dall’ordinario battezzandola con il nome di Hyubtat-le.
Questa è la, a noi
incomprensibile, pronuncia svedese, Huntatle ci somiglia di più e tradotta
consiste in Untitled, ovvero senza titolo.
Re Nils credeva di
aver stregato questo frammento cartaceo in modo che dopo averla consultata,
immaginando un determinato luogo e tempo, l’immenso potere in essa contenuto ti
ci conduceva all’istante.
Rese il
manoscritto anonimo, così facendo nessuno avrebbe sospettato i suoi poteri e
scoperto l’enigma che conduce ad Isla Oculta, sede dei tesori
appartenutegli.
Si credeva
l’utilizzasse per giungere in largo anticipo sul campo di battaglia,
sorprendendo il nemico e garantendosi la vittoria certa.
Oltretutto il suo
unico figlio maschio destinato al trono non si sposò, e mai ne ebbe intenzione,
per questo re Nils grazie al suo prezioso asso nella manica credeva di poter
vivere in eterno.
Le aspirazioni del
monarca però risultarono smodate, morì in guerra pochi anni dopo segnando la
fine della sua dinastia, ma confidando di rinascere un giorno in una nuova
reincarnazione, rese possibile l’utilizzo della mappa ad altri al di fuori di se
stesso trascrivendo su un foglietto la formula necessaria ad intraprendere il
viaggio nel tempo celandola poi all’interno del documento stesso.
Il manoscritto
antico realizzato, da mani sconosciute, si compone di una rappresentazione
accurata del globo suddiviso in 2 ellissi; all’altezza dell’arcipelago caraibico
le 5 mete che conducono ad Isla Oculta sono evidenziate con colori diversi
rispetto alle circostanti, ma Untitled non consiste solamente in questo.
Quando un
individuo ne entra in possesso diviene un vero e proprio oracolo del suo
destino!
Molti le
definiscono semplici decorazioni, in realtà sono chiari simboli della sorte. Vi
sono 4 figure negli angoli del foglio: una catena, il sole, un teschio ed infine
un galeone a vele spiegate.
In base a quale di questi simboli possiedi quando vieni in possesso di un lembo di Untitled il destino deciderà per te una determinata sorte.
… “No no, rallenta
gioia. Stai forse dicendo che suddetto foglio di carta senza cui non avremmo mai
scovato quell’ambito tesoro a cui conduce, introvabile perciò in mancanza di
esso è capace d’influire sul destino di chi lo possiede?” domanda perplesso con
un sotterfugio, interrompendo il racconto scrupoloso di Scilla.
SCILLA: “Esatto
Capitano!” annuisce piatta senza tralasciare alcuna emozione.
IO: “E se chi la
possiede non crede a tutto questo?!” irrompo restia apportando un dubbio anche a
Jack.
SCILLA voltando di
scatto la testa verso me, non credo sia cieca data la precisione con la quale
esegue i movimenti, sembra vederci benissimo al di sotto di quella mantella
cenere: “Non si tratta di una dottrina a cui si è liberi di credere o meno, è
così e basta!” scagiona divertita dalla mia contestazione.
Possibile che non
ci sia nessun modo per alterarla almeno un pochino, lei ci riesce benissimo con
me!!!
Il Capitano al
contrario si rilassa, distende all’indietro la schiena sulla sedia accomodata
nelle vicinanze del tavolo rotondo nel mezzo della cabina, e dopo essersi
beatamente stiracchiato inclina la seggiola sulle due gambe posteriori iniziando
a cullarsi come fosse accomodato su di un dondolo.
JACK: “Sentito? E’
così e basta amore mio!” interferisce rivolgendosi a me con un ghigno
mordace.
Io per tutta
risposta infliggo lui uno spintone che inclina la sedia a tal punto da far
ritrovare in un secondo il Capitano col fondoschiena dolorante a terra,
preceduto da un tonfo sordo.
“…A…a-aaahia…” si
lamenta a denti stretti.
Te lo do io Amore mio adesso!!
La spettatrice dinanzi a noi soffoca una risata premendo una mano sopra la bocca vermiglia.
IO continuando come nulla fosse mentre Jack tenta
scompostamente di rimettersi in piedi, stordito dall’improvvisata: “Se non
sbaglio dicevi di possedere un frammento della mappa anche tu, ero convinta che
al di fuori di me, Jack e Dylan solo Hayez Nick ne fruisse un lembo!”
SCILLA: “Fu
proprio Nick a rubare il mio pezzo, se ne appropriò senza che io potessi
fermarlo…” confida dimessamente.
Ah…
JACK ormai
riaccomodato: “Ti ha fatto del male?” s’interessa esprimendosi in tono
greve.
SCILLA: “Non in
modo serio almeno” assicura accennando un sorriso.
Non crederà
davvero di esser stata l’unica vittima di quell’uomo, ha tentato di approfittare
anche di me con quelle sue sudice mani da porco!! In ogni caso noi non siamo un
ospedale, e raccontandoci le sue sventure non ci sta aiutando come aveva
predisposto, cosa vuole veramente??
“Mi dispiace”
ammetto però sincera ricevendo un accenno del capo, posso capirla in questo, non
afferro dove intende arrivare invece…
Le mani della
donna poggiate come in resa sul bordo del tavolo spariscono in uno scatto al di
sotto della sua mantella ferrigna, dove fruga qualche istante per poi tornare
alla luce con un frammento di carta ed un pennino. Trascrive su di esso 5 nomi
prima di renderlo visibile a tutti. SCILLA: “Il custode della mappa, ovvero il
primo proprietario in questa vicenda e l’unico all'altezza di decidere le sorti
di Untitled fu Dylan – enuncia sottolineando con un tratto fine e netto il suo
nome posto al culmine della lista – il secondo è stato Capitan Jack, poi io,
Hayez Nick ed infine Jennyfer” conclude scorrendo fino alla fine del pezzo di
carta.
IO: “Come sarebbe
a dire custode, deve deciderne le sorti?? –sbotto
scombussolata- Dylan è solo un bambino, non può sopportare anche questa
responsabilità!” insisto opponendomi alterata.
Scilla non pare
starmi a sentire, continua a disegnare per suo conto dei segni circolari sul
retro del foglio.
“MI VUOI DARE
ASCOLTO??” in un impeto di rabbia che nemmeno io controllo inveisco su di lei
con uno strepito iroso, sbattendo furiosamente una mano sulla superficie del
tavolo a pochi centimetri dalla sua.
Jack interviene
all’istante, issandosi in piedi con un guizzo prende il controllo della
situazione e mi afferra per le spalle trainandomi indietro, verso di se.
JACK: “Tesoro,
calma…calmati…!” sussurra piano al mio orecchio, affondando il viso nei miei
capelli anche se può percepire distintamente sottopelle i nervi tesi come corde
di violino.
Il fiatone si
mescola a singhiozzi e nei miei occhi iniettati di odio si specchia ancora il
suo volto tramortito.
“Puoi scusarci
solo un istante…?” domanda garbato per congedarci.
Ricevuto un debole
cenno di acconsento s’affretta a condurmi nella stanza accanto tramite la porta
confinante, la mia adorata vecchia camera da letto.
Il rumore
meccanico della serratura mentre si richiude dà inizio al mio sfogo: “Q-quella
non capisce…! Ha la minima idea di tutto quello a cui è già stato sottoposto e
costretto a sopportare mio fratello?? A-accettare il fatto che io non esisto più
ad esempio… E poi scuse, giustificazioni, bugie storielle inventate, n-non lo so
se nel futuro è come se io non fossi mai esistita o adesso c’è l’FBI che mi
cerca in 50 stati dandomi per dispersa!!” pronuncio estenuata con voce rotta dal
nervosismo vagando avanti e indietro senza pace.
JACK smarrito: “F-B-eh??”
IO: “Ufficio federale di investigazione, è un tipo di
Polizia…” accenno ispirando profondamente per calmarmi portando una mano alla
testa.
JACK: “Un tipo, ce
ne sono altre? Quante sfaccettature di forza dell’ordine avete nel tuo tempo??”
domanda angosciato stortando il capo.
IO: “Più di quante
immagini, Capitano! Per questo ti ricordo spesso che nel futuro un farabutto
come te non avrebbe alcuno scampo!!” pronuncio dissuasiva poggiando stancamente
le spalle contro il muro.
JACK: “Non
sottovalutarmi dolcezza –contesta smaliziato- stai parlando con Capitan Jack
Sparrow! Sono spartito sotto gli occhi di 7 agenti della Compagnia delle Indie
Orientali, rapito la figlia del governatore di Port Royal, evaso dalle loro
prigioni, requisito la nave più grande e veloce della marina intera, li ho presi
in giro, fatti naufragare in un uragano, trafugato un forziere sotto al loro
naso, danneggiato l’albero di Maestra su un altro veliero, divenuto loro alleato
per poi tradirli, beffeggiati, affrontati, bombardati ed infine vinti!” esibisce
borioso in un riso maligno, illuminando la stanza buia con un scintillio
dorato.
IO: “E nonostante
tutto questo sono ancora sulle vostre tracce ben allacciati alle tue calcagna…!”
sentenzio deprezzante.
JACK costernato:
“Quello è un dettaglio che cerco di non rimembrare –afferma sottecchi- Chiudo
gli occhi e fingo sia un brutto sogno, così vado avanti!” attesta allargando le
mani in un gesto plateale riacquistando il suo tono ottimista.
IO: “Vorrei tanto
pensarla nello stesso modo…” confesso in un debole fiato infranto dalle
lacrime.
Le sue braccia
prima schiuse per vanto si fanno più vicine, sino ad avvolgermi, lentamente, in
un tenero abbraccio.
Assaporo nel
pianto ogni suo singolo movimento, mescolato al sollievo sprigionato da
quell’infervorante stretta, finendo per affondare il viso nell’incavo tra la sua
spalla e il collo così da lenire ogni singhiozzo.
Jack a sua volta
s’accosta alla mia fronte sfiorandola più volte con le labbra.
IO: “…Per quanti
sforzi faccia, malgrado quanta forza ci impieghi Dylan non vivrà mai una vita
normale… In aggiunta a tutto questo non può esser sottoposto persino ad una
responsabilità di tale portata…” pronuncio dissipata.
JACK: “No, hai
ragione. Lui è destinato a qualcosa di molto più grande! –enuncia infervorato-
C’è la possibilità che non sia come credi, non hai ancora ascoltato il suo
discorso fino alla fine!” attesta fiducioso tornando coi piedi a terra.
Può andare peggio
di così?
IO espirando
profondamente per riprender risolutezza: “D’accordo… Torniamo dalla tua amica
dunque!” concludo con cadenza alterata.
Sto già per
avventarmi astiosa sulla maniglia della porta, quando la mia mano viene
prontamente sovrastata da quella del Capitano, nell’intento d’impedire la mia
fuga.
JACK: “Cosa
intendi con tua amica? -domanda esibendo un buffo
cipiglio interrogativo- Non so nemmeno chi sia!”
IO: “La tua bocca
guarda caso pareva di sì invece!! Mi riferisco al tono confidenziale con il
quale ti rivolgi a lei, inizio a dubitare seriamente che sia una sconosciuta
come mi hai detto!!” paleso risentita.
JACK: “Sono un
gentiluomo!” si difende divertito portando una mano al petto, mentre con l’altra
trattiene senza alcuno sforzo la porta ben serrata, nonostante io implichi tutta
la mia forza nel tentativo di aprirla.
Con un verso di
rabbia repressa rinuncio alla mia impresa, ritirandomi nel buio, sconfitta.
Nella stanza
rischiarata solo da un fascio di luna filtrato nel vetro consunto della
finestra, per qualche istante regna il silenzio, fin quando è lo stesso
Comandante a spezzarlo: “Quel mangia-rane di Andrè definirebbe questa scena un
jà-vue !” azzarda sogghignando.
Rimango una
manciata di secondi perplessa, poi in una nota seccata rettifico: “Semmai si
dice déjà-vu !… Cosa, perché ridi??” domando
frastornata dalla fragorosa risata in cui esplode Jack.
JACK: “Ci avrei
scommesso tutto il mio oro accantonato nella stiva che mi avresti corretto, se
così fosse stato adesso sarei straricco sfondato!!” esplica tra le risa.
IO: “Bene, allora
sentiamo riccone, in quale occasione avremmo già
vissuto questo momento?!” chiedo ormai del tutto spazientita.
JACK quasi con le
lacrime agli occhi: “Quando esattamente qui –dice portandomi vicino alla porta-
ti ho domandato se provavi un determinato sentimento per me e mi hai risposto no, mentendo!”
precisa lieto. (riferimento
al finale del capitolo 26 di UNTITLED “Carpe diem” NdA)
Oh, sì… Adesso
ricordo! Il mattino di quel giorno tanto terribile che tuttavia mi ha permesso
di iniziare a vivere…
Giurerei di
sentire ancora nell’altra stanza i passetti scalpitanti di Dylan mentre ci cerca
in ogni dove, bendato, e noi qui a discutere di fatti seri, troppo insolito per
me e Jack. Da un momento all’altro potrebbe spalancarsi la porta e fare il suo
ingresso trionfale quel soldo di cacio con un broncio ridicolo, mentre adirato
ci rimprovera di aver imbrogliato, ma ciò non accadrà. Seppure il tempo sembra
essersi fermato a quel giorno i fatti non sono cambiati, come Dylan non
rimetterà più piede qui.
L’intonazione
profonda ma decisa del Capitano mi desta dai miei pensieri: “Quando volevi
andare via ti ho sempre voluta tenere con me, ogni istante… Solo, dopo il tuo
rifiuto, ero certo non lo volessi –ammette amareggiato circondandomi il viso con
le mani- mi sono reso conto che forse tuo fratello e la tua famiglia avevano più
bisogno di te!”
IO: “Non quanto io
ho bisogno di te” definisco in un sussurro smorzato, vittima inerme delle sue
parole, mentre i miei occhi s’illuminando d’una patina lucida.
JACK
arridendo estasiato: “Da quando tutto ciò si è avverato ho dimenticato cosa sia
il rimorso, non ti cambierei per niente e nessuna al mondo…” definisce velando
appositamente i suoi intenti.
“Jack, cos’è che
vuoi dirmi?” lo interrompo svilita.
JACK: “Trovare
quel frammento di Untitled, Jenny, è stata la cosa più bella che mi sia mai
capitata, mi ha portato da te!” ribatte indubbio.
IO: “…E… Tu come
hai rinvenuto un lembo della mappa?” domando per minimizzare, rimasta da quella
frase senza parole.
JACK: “Non te l’ho
mai detto?!” pronuncia crucciato.
IO senza riuscire
a placare un riso, procurato dai suoi modi sempre stravaganti anche solo nel
parlare: “No, mai”
JACK: “Uhm,
vediamo…” appura facendosi riflessivo, scivolando dal mento ai miei fianchi.
IO: “Niente
storielle inverosimili inventate al momento, voglio la verità!” raccomando
ponderata puntando un indice teso verso di lui.
JACK inscenando un
abile narratore ben concentrato: “Ero di ritorno sulla Perla da una breve
avanscoperta, percorrevo il ponte con il mio passo fiero –enuncia gesticolando
con le mani, creando in aria cerchi immaginari- quando una scimmia non morta è
guizzat-…”
“JACK! ho detto la
v-e-r-i-t-à!!” scandisco spazientita in tono di rimprovero.
JACK: “Per
l’appunto! E non ti ho nemmeno detto che ho fatto ritorno a bordo usando per
scialuppa una bara e servendomi di un femore morto come remo. Poi la bestiaccia
è sbucata dal nulla qui, sulla mia spalla e mi ha rubato il cappello!” insiste
avverso.
IO: “Ma
cosa sei, un profanatore di tombe?? –sbotto atterrita in un verso di orrore- Una
scimmia non morta, questa poi… Andiamo, sono una ragazza del duemila, non mi
bevo certe trovate! Capitan Jack Sparrow non è riuscito a fronteggiare un
primate poi?! Mi meraviglio di te!” lo schernisco infine.
JACK:
“Quell’orangutango cappuccino è una bestiaccia così detestabile che il suo
proprietario, mio peggior nemico talaltro, gli ha dato il mio nome!!” sostiene
quasi per vanto. (Barbinoooooooo *w* Scusate ^^’ la Capitana è
andata…)
IO ridendo
sconsolata: “D’accordo, ti credo!”
Le inventi tutte
Jack per apparire originale…
“Rimasto a testa
scoperta, indegno per un Comandante, dovevo rimpiazzarlo con un altro similmente
onorevole -prosegue nel suo racconto- Mi ritrovai nella mia amata Tortuga, con
la speranza di esaudire un patto stretto da rispettare entro 3 giorni; nel bel
mezzo di una futile rissa occasionale mi aggirai per il locale provandomi vari
cappelli dei commensali”
IO: “Vai in giro a
rubare cappelli??” sbotto oltraggiata prima che le sue dita mi serrino le
labbra.
“Non ho ancora
finito! –ammonisce solenne- Con quello a me più agevole feci ritorno sulla nave,
durante la notte, mentre ammiravo la mia conquista della serata, notai la fodera
interna del copricapo cucita con un filo di colore diverso su una parte del
bordo. Scucendola rinvenii dal cuoio liso il frammento della mappa!” conclude
eccedente atteggiandosi in bizzarre smorfie, rivivendo quell’atmosfera di
stupore per mezzo dello sguardo.
JACK: “Non sapevo
a cosa portasse o se fosse una vera mappa, per un po’ di tempo dimenticai
persino di averla. Poi allorché vi fu un periodo di calma la ripresi tra le
mani, scavai a fondo sulla sua provenienza ed infine quando seppi del tesoro
arrivarono a bordo della mia nave un adorabile ragazzino molto vivace insieme
alla sua splendida sorellina, la cosa più preziosa a cui Untitled mi ha
portato!” conclude trattenendo i suoi occhi, prima guizzanti ovunque nella
stanza unicamente su di me.
Allora è così!
Anche per Jack fu il caso a condurlo alla mappa… Mi è sembrato abbastanza
sincero, dev’esserci una buona percentuale di verità nel suo resoconto.
Ma non l’avrete
vinta Capitano, non stanotte.
Avvicino il viso a
lui così da fargli udire meglio la mia risposta, ma il Comandante intende
tutt’altro, infatti sfoggia già un sorrisino tra il compiaciuto e malizioso da
me conosciuto fin troppo bene.
IO: “Ci sono uomini che ti danno l'illusione di essere il diamante splendente più prezioso al mondo... Altri invece che ti fanno sentire un tesoro ogni giorno. Spero di non rientrare nella prima categoria, Jack!” auguro mesta, prima di spalancare la porta alle mie spalle con un colpo secco cogliendo di sorpresa il Capitano, impedendogli di ribattere, ma lasciandolo semplicemente lì, ad un passo dalla porta con la fronte aggrottata ed una domanda senza risposta, fluttuante nel profondo del suo enigmatico sguardo.
Nota delle Autrici: (30 Dicembre 2008)
“E Unty tornò da antri infernali, che recherebbero incubi immondi a voi ingenui mortali”
Ma che è?? XD Perdonate questa pillola di follia… ^^’ Era nostra intenzione solo chiedervi scusa per tutto questo tempo in cui questa FF non è stata aggiornata -.- Ce ne sono fin troppi di motivi e non vogliamo annoiarvi oltre… Chiediamo solo umilmente scusa a tutti!
La parte che segue è una grande svolta per Unty, un cambio di rotta (change rout è il titolo appunto XD), inizia con il racconto narrato da Scilla della “biografia” di un personaggio insieme al suo grande amore che molte volte, qualcuno di voi ci hanno chiesto chi sia… Dalle prime righe capirete =D Ci è voluto del tempo per metterla insieme perché si attiene a persone reali, avevo bisogno di qualche consulto =P Quella che segue è la prima parte, nel prossimo capitolo, il numero 10, si conclude J In Unty si chiamano Celia e Leonard ma nella realtà, per me, sono semplicemente la terza coppia più bella del mondo =)
Eccovi accontentati! ^^
Change rout.
Poco prima
d’interrompere bruscamente la discussione in atto tra me e Jack, nella stanza
accanto, lasciata come alla nostra venuta, presiede Scilla: il suo corpo è
ridotta ad una figura misteriosa che l’ampia mantella grigia rende indefinita.
Non appare più elevata in posa austera, piuttosto del tutto abbandonata sulla
seggiola, adunata in se stessa. La schiena è ricurva, le dita tremule, candide
come le sue gote, si contorcono e tormentano allo stesso modo del mento,
levigato e tremante.
Dapprima di far
ingresso in questa stanza sapeva bene cosa dire, per anni ha declamato a memoria
quelle parole conservando la certezza di riportarle con fermezza, ma da quando i
suoi occhi han scorto dal vero i 2 innamorati che da innumerevoli notti popolano
i suoi sogni, si è risvegliato in lei un sentimento provato un tempo per un
uomo, ora perduto per sempre, il quale ha amato più di ogni altra cosa al mondo
ed ora ritrovato inconsciamente in quella leggenda nella sua stessa mente del Capitan Jack
Sparrow.
Avrebbe voluto
agire con freddezza, l’unica cosa che ormai popola il suo petto vuoto, ma dallo
sbarco a West Caicos, in quello sperduto oblio, qualcosa, una sottile speranza,
l’ha bruscamente scossa riattivandole il cuore.
Sospira sconsolata
lasciando cadere in avanti la nuca, pesante per la colpa e i troppi
pensieri.
Dalla finestra
posta in fronte la donna incappucciata una brezza frizzantina fa il suo
leggiadro ingresso, le ante rifinite in ferro battuto cedono al moto potente del
vento e si spalancano senza un cigolio, permettendo alla notte cerulea, scandita
solo da luna e astri, di far capolino.
Lo zefiro giunge
fino ai calzari di Scilla destandola dal suo reo assopimento. Istintivamente
solleva lo sguardo, imbattendosi su di un’ombra proiettata lungo davanzale del
finestrone. A quella visione le labbra della straniera si allargano in riso, ma
un lungo susseguirsi di singulti smorzati lo cancella come se non fosse mai
esistito.
Scilla volge in
piedi ed accorre in tutta fretta all’antro spalancato, dove quello scuro
prolungamento di tenebra prende le fattezze di una nobile dama, il cui esile
corpo è avvolto da uno spesso kimono di seta blu oltremare, lungo sino alle
caviglie, lasciando intravedere i piedi insolitamente nudi e le ginocchia
rannicchiate al petto, traente a se nelle lunghe mani affusolate una trapunta di
lana rifinita con un motivo vivace color pastello.
Una bionda chioma
fluente le incornicia il viso piangente, ricadendo scompostamente lungo le
spalle per tutta la schiena, seguendo la forma ondulata delle onde.
I suoi occhi color
miele hanno smarrito l’ardito splendore di un tempo e, svuotati da ogni
emozione, si rivolgono vacui verso il mare, intenti a scrutare ogni flutto, come
in cerca di qualcosa perduto.
SCILLA: “Celia!! –sbotta stupita sollevando lievemente il
cappuccio, perché le sue iridi incolore vedano meglio da sotto la maschera in
pizzo nero che le ricopre- Ti avevo vista circolare in carrozza quando
eravamo a terra, Jenny è quasi finita sotto le tue ruote, ma com’è
successo??”
Non riceve alcun cenno significativo di risposta.
“…Ma, soprattutto, cosa fai qui? –domanda ansiosa- Se Calypso ti trovasse…” pronuncia impensierita, deglutendo a fatica al solo pensiero.
La bocca della nobildonna si tende in un malinconico
sorriso, innalza maestosamente un braccio fasciato da ampie maniche verso il
viso, asciugandosi una lacrima con la punta del dito ed infine offre quella
stilla salina al mare, dove viene inghiottita dalle notturne correnti
ponentine.
CELIA: “Se quella
perniciosa ninfa dal cuore di granchio si fosse realmente accorta della mia
presenza qui, avrebbe già scatenato la sua solenne ira su questa nave –ribadisce
per nulla angosciata- Così non ha fatto, dunque acquietati cara!” conclude tersa
celando la commozione.
SCILLA: “E’
imprudente per te rimanere, lo sai meglio di me…!” riscontra sempre più
angustiata.
CELIA in un
flebile sussurro: “Era mia intenzione donare una piccola parte di me all’Incubo dei miei sogni… ” confessa esitante ritirando la
mano che scompare all'interno della manica spaziosa per stringere maggiormente
il coltre.
“…Diceva di avere
sempre freddo, anche quando la linea dell’orizzonte si colorava della vivace
tonalità estiva; venuta la sera, rabbrividiva al minimo spiffero –continua in
cadenza stanca- Ti ho seguita con l’intenzione di rendergli la sua amata coperta
–condiscende facendo mostra della calda tolda rannicchiata nel suo ventre vacuo-
Ma non riesco proprio a separarmene…” definisce mordendosi il labbro inferiore
per reprimere un singhiozzo, attanagliando con astio la trapunta fra le dita
gelide.
Una morsa fulminea
coglie Scilla al petto, spezzandole il fiato, obbligandola a sottostargli
reclinandosi in avanti per il dolore. Ciò avviene poiché la misteriosa giovine
ha scelto di condividere a metà i tormenti della donna posta davanti a se, a
patto di ricevere i propri poteri.
Quando lo spasmo diminuisce, torna a scrutare ansimando la gentildonna, la quale invece ha solamente contratto i bei lineamenti luminosi, rispecchianti la luce lunare, in sguardo d’orrore e profonda tristezza.
Sembra aver smesso
d’invecchiare intorno ai 35 anni, non dimostra un solo giorno di più.
Alcun segno del tempo ha deturpato il suo grazioso viso dai
tratti fini, ma se solo si fa caso al passo allentato e stanco, il riso
sforzato, le perle di dolore di cui spesso si colmano i suoi grandi occhi vuoti,
perennemente velati di rammarico, pur non sapendo nulla sul suo conto, tragedia
e sgomento traspaiono brutalmente da ogni ansito.
Dinanzi a me
Celia, la Dea dei Sogni. Generata dal dio del sonno Ipno, e Nyx*, la meravigliosa personificazione della notte terrestre.
(* ßVedi nota a piè di pagina NdA)
Rinnegata fu
dall’Olimpo, dai suoi stessi padri, poiché, innamorata della vita terrena,
espresse il desiderio di portare aiuto agli uomini discendendo tra loro.
Tra mille ire la sua volontà venne accordata, ma non senza
condizioni: scegliendo di compierla sino infondo mai più rivide la sua dimora
divina, così come i suoi cari; poté prendere con se una sola cosa creata dagli
Dei, e tra inimmaginabili dovizie scelse Immi, la sua fidata cavalla Haflingher,
capace al contrario d’ogni altro essere vivente di leggere nella mente
umana.
Divenuta parte
degli mortali fu obbligata ad avere una identità terrena, ribattezzata per sua
scelta l’unigenita figlia dei coniugi Wilson che di bambini non poterono averne,
mantenendo ogni suo potere divino a patto di trascorrere una vita ordinaria.
Mai si pentì della
sua curiosità, per millenni da lassù, affacciandosi al mondo, vide pace e
guerre, fame ed abbondanza, dolore e passione, ma tra tutti questi custodì da
sempre l’ardente desiderio di scoprire da se l’unico inspiegabile sentimento,
presente seppur in minima parte in ognuno dei precedenti: l’amore.
I consorti Wilson
donarono lei un’infanzia molto felice, mercenari di cotone si spostarono
continuamente permettendole in pochi anni di attraversare il lungo e in largo il
globo, fino al trasferimento definitivo nelle Americhe, in una villa regale nel
tranquillo arcipelago caraibico di Caimanera, dove trovarono fortuna e
ricchezza.
Qui la famiglia,
entrata in contatto con la nobiltà del luogo, intraprese una vita sociale molto
movimentata, degna della reggia di Re Sole, costruita su sfarzi, eccessi, feste
da ballo, frivoli divertimenti, sale da the, ricevimenti, tutto incredibilmente
pesante per l’appena quindicenne Celia che iniziò da subito a patirne
insofferenze, fino a giungere ad una vera e propria ribellione a quel perbenismo
di facciata, non accettando il doversi sentire continuamente giudicata o messa
alla prova da una sfilza di superbi blasoni.
La sua “cattiva
condotta” costrinse a dei seri provvedimenti, in poco tempo venne inserita in un
collegio femminile prestigioso, ancora una volta lontana da casa e dalla sua
famiglia terrena, l’unica che abbia mai realmente avuto.
Visse un periodo
buio nel quale si sentì ripudiata e sola, ma a poco a poco trovò conforto in
quelle notti eterne, in cui l’era concesso divagare fino all’alba sottoforma di
scintillante corpo celeste, leggiadra come uno spiro di vento nella mente d’un
vicino sognatore, facendo poi divenire il suo sogno non più solo una
visione.
Seguì in parte
anche il volere dei consorti Wilson, vale a dire quello di formarsi come una
vera nobildonna rispettabile: prestò ascolto alle lezioni di danza, musica,
ricamo ed etichetta, dimostrò di volere imparare e mettersi in gioco in tutto
con ottimi risultati, ma al contrario delle sue compagne non lo fece per
apparire splendida agli occhi dei ricchi giovin signori del luogo e prender
presto marito, piuttosto allo scopo di migliorare se stessa, poiché anche le
divinità sono esseri imperfetti e hanno sempre qualcosa da imparare, ma in
particolar modo come rivincita verso i suoi genitori eterni che dubitarono
sempre del suo definitivo adattamento alla vita terrestre.
Trascorsero 4 anni
e quei scettici dovettero ricredersi, lei era ancora sommessa a quella prigione
dorata, ma senza più alcun dispiacere: ogni giorno apprendeva qualcosa di nuovo
e nei momenti di noia sapeva ben come ingannare Crono, Dio del tempo, balzando
in sella ad Immi e fuggendo al galoppo attraverso il viale alberato, collegante
il palazzo alla spiaggia, per giungere fugace in riva al mare, deliziandosi di
quell’infinito orizzonte di colori.
E fu proprio qui,
in un tiepido meriggio di metà Febbraio, che la sua tediosa vita prese una
svolta, da cui anche valendosi della più ardita forza esistente, non è più
possibile tornare indietro.
Il sole era spesso
offuscato da ombre brune, ansiose di apportare al più presto i primi cicloni di
stagione, la candida sabbia tempestata di conchiglie brillava dei suoi raggi,
tuttavia non erano quei molluschi invertebrati a destare meraviglia, lo era
piuttosto una fanciulla, in groppa ad una cavalla dal manto ruggine ed una folta
criniera chiara, tagliata a cresta all’altezza delle orecchie, lanciata in
lunghe falcate lungo il bagnasciuga, intente ad intraprendere una gara di
velocità e destrezza con i cavalli bianchi di Nettuno* che si infrangevano irruenti lungo la costa.
La giovine non somigliava alle ragazze della sua età:
indossava un ampio abito blu levantino al posto della triste divisa del suo
collegio, punitiva per un fisico così aggraziato, la chioma dorata in balia del
vento era sciolta e libera, alla pari della sua anima, da qualche ciocca
spuntava un esile ramo di fieno e il suo viso luminoso appariva leggermente
imbrattato dall’intera mattinata trascorsa a ripulire il fienile.
Il duello con gli
impetuosi destrieri del Dio romano del mare si propese fino al termine della
falesia, con una schiacciante vittoria del duetto gareggiante sulla terra ferma,
ma durante il loro esultare non si accorsero dell’improvvisa ritirata dei loro
avversari verso il mare aperto; fu un violento boato a destare il loro
sguardo.
Il mare si
acquietò di colpo, mentre il rimbombo dell’esplosione fece tremare tutta
Faimouth (località
marittima realmente esistente in cui si trovava il collegio femminile dove era
“rinchiusa” la nostra Dea Sogno NdA), il cielo del crepuscolo divenne un denso fumo nero e le
onde si dipinsero di rosso fuoco inscenando un angolo d’inferno.
Celia fece appena
in tempo a scorgere un albero di Maestra, pochi istanti prima che venisse
inghiottito completamente da quella gola nera.
I detriti del
veliero esploso raggiunsero il fondale del mare, e della gloria di quella nave
non rimase nulla, salvo cenere.
Le due spettatrici sulla spiaggia rimasero del tutto
inermi, incapaci di reagire, pietrificate dal terrore che privò loro di ogni
forza, ma non della determinazione d’accorrere in aiuto, seppure superfluo data
la tragicità dell’accaduto appena verificatosi.
Mentre il rogo in mare andava attenuandosi la riva si empì
di resti lacerati di mobilia, tronchi spezzati, ferraglia, brandelli di tela,
sartiame ancora ardente, eppure tra quella miserabile desolazione, qualcosa, o
meglio, qualcuno venne condotto a riva
integro dai canuti corsieri: un uomo. Il suo corpo esanime giaceva bocconi,
disteso sul torace, la gran parte delle membra sprofondate nella sabbia più
labile conferivano lui l’aspetto d’un relitto setto di luce. Sembrava non
respirasse più, le sue vesti strappate intrise di sangue testimoniavano una
lotta violenta, forse con dei nemici intenti a prendere il comando della nave,
forse tra se stesso e le onde nel disperato tentativo di rimanere in vita.
La fanciulla
impiegò del tempo a distinguerlo tra quel cimitero di sventura, trascorse
secondi infiniti augurandosi affranta non rinvenire nulla di respirante in
quella devastazione, ma quando finalmente lo trovò fu appena in tempo per
salvarlo. Il polso del naufrago era debole, le ferite gravi ed infettate. Celia
dovette spazzare via la sabbia dalle sue narici, la fronte, le gote, dalle
labbra, scoprendo a poco a poco il contorno spigoloso e marcato di un viso che
non avrebbe mai dimenticato.
Egli riprese
conoscenza per qualche istante, quanto bastò perché il cuore della Dea perdesse
un battito: le parve che due frammenti di cielo fossero discesi sulla terra per
incastonarsi all’interno di quei profondi occhi berilli*, richiusesi pesantemente un attimo dopo l’occhiata
sfuggente.
Senza indugiare
oltre, il superstite venne trasportato in gran segreto sul dorso di Immi, dal
litorale per tutto il viale frondoso, fino alle stanze private della giovine, la
quale si prese cura del malcapitato tutta la notte.
Nonostante lei
fosse una divinità, in questa circostanza non aveva alcun potere, poteva
solamente apportare il proprio aiuto nello stesso modo concesso ad un mortale:
con medicamenti e fasciature.
Osservò per lungo
tempo quella figura inanimata distesa sul suo letto, non aveva mai potuto
guardare un uomo da così vicino: l’etichetta declama cosa scortese fissare le
persone.
Seppure non fosse
in grado di assegnargli un’età ben precisa, le vesti truffaldine e l’arida pelle
annerita dal bacio del sole lasciavano intendere che fosse quasi certamente un
pirata. Profumava di mare e polvere da sparo, le sue mani erano visibilmente
lise dal raro utilizzo di materiali maneggevoli, e la folta capigliatura bruna
pareva acconciata dal respiro del vento.
Dopo aver vegliato senza tregua su di lui ottenendo solo riscontro negativi, Celia iniziò a credere che i suoi avi avessero attuato una procedura esistente fin dal principio dei tempi nel celeste Olimpo, secondo cui quando avviene la morte prematura di un giovane è perché gli Dei, gelosi della sua beltà, lo prendono con se, ma ciò non era possibile poiché egli respirava ancora.
La giovine allora,
chinandosi sul volto del mortale, inumidendolo di lacrime amare, pregò che
almeno in sogno egli desiderasse guarire, solo in tale maniera avrebbe potuto
aiutarlo.
Quando ore
seguenti il mattutino Apollo condusse il proprio carro divampante nel cielo,
illuminando dei propri albori la camera da letto di Miss Wilson, un’altra
Dea, fuggita invece dalla
Terra a causa della cattiveria dell’umanità, provò pietà delle lacrime meste di
quella creatura divina, così dal fondo del vaso di Pandora fuoriuscì la Dea
Speme (speranza
NdA) portando conforto in
quel cuore malato d’affanno.
Il pianto di Celia
non erano vere gocce saline di dolore come nei comuni mortali, dai suoi occhi
dorati, discendeva poi sulle gote scarne del predone, polvere di stelle… Furono
proprio quelle sottili briciole cosmiche a risvegliare il superstite.
La ragazza si
addormentò poggiata alla sua fronte, con una mano sovra il suo petto per
ascoltarne il battito; le lacrime proseguirono nel sonno, e a poco a poco
scivolarono lungo il naso appuntito del pirata, facendogli riprendere lentamente
i sensi, benché inizialmente fu incapace di muoversi, stordito dal dolore
propago dal capo sino alle caviglie.
Il principio del
giorno risvegliò anche la Dea dormiente, che non si accorse delle sue amorevoli
cure andate a buon fine, ma s’allontanò dal naufrago insonnolita, dirigendosi
meccanicamente nei pressi del caminetto con l’intento di riscaldare
dell’acqua.
Alle sue spalle
l’uomo si ridiede animo, e protese il collo intorpidito per osservare meglio il
circondario. Trascorso qualche istante di smarrimento si soffermò
definitivamente sulla figura di Celia, perscrutandola ammaliato.
“Quell’esplosione deve davvero avermi ucciso… Ero convinto mi aspettasse l’inferno oltre questa vita, e invece? Mi ritrovo in una stanza da sceicco, in compagnia di una donzella abbigliata solo d’una procace camicia da notte…” reputò sogghignante con voce impastata.
Celia ancora voltata sobbalzò al suono improvviso di quelle
parole, e allo stesso tempo rabbrividì indignata dal loro significato. Era in
grado di comprendere tutte le lingue del mondo, ma quella cadenza malpensante
era inconfondibile in ognuna di esse.
“…E dal bruciore
di questi tagli profondi direi di essere ancora tra i vivi…” attestò sollevato.
La giovine si limitò a preparare una bevanda calda per
rinvigorirlo, senza replicare, gliel’offrì cordialmente e si accinse ad aprire
la finestra per scambiare l’aria viziosa con quella tiepida del mattino.
L’assistito
accettò la cortesia mostrandosi deluso, confidava che gli avrebbe subito ceduto,
ma l’apparente contegno aristocratico di lei rendeva ancora tutto più
stimolante.
LEONARD: “Profumate come un cavallo” la stuzzicò dunque, socchiudendo gli occhi alterato.
CELIA: “Uh, perdonate mio signore se prima di prestarvi
soccorso non ho avuto il tempo d’immergermi in acqua di rose perché il mio odore
vi recasse più sollievo!” lo beffeggiò inscenando un falsissimo inchino.
Il pirata ne rimase colpito e irritato, non aveva mai ricevuto una risposta simile, si trovava impreparato.
“Freddina la fanciulla…” apostrofò infine quando ella fu di ritorno dal davanzale,
sorseggiando cautamente il liquido caldo.
In uno scatto fulmineo le mani della Dea afferrarono una
benda del millantatore, che si strinse con forza intorno al suo braccio fino a
farlo berciare per il dolore.
CELIA: “Io non sono fredda –appurò condiscesa- sono cenere calda. Se soffi, si accende il fuoco!”
E Leonard Wallace
se ne potè rendere meglio conto negli anni che vi seguirono.
La divinità dei
sogni in quel vespro di Febbraio salvò la vita del Primo Ufficiale d’una ciurma
truffaldina, operante illegalmente nelle coste del sud. Venne accolto
nell’istituto in gran segreto, per qualche tempo, fintanto che non fu pienamente
risanato.
Nonostante un primordiale approccio ambiguo tra la dea e il
mortale, quello scambio di asserzioni divenne ben presto ciò che Celia aveva
sempre ritenuto indefinibile, quale l’amore.
Tutt’oggi ella non
sa ben spiegare come si sia innamorata di lui, fu proprio opera di una freccia
sventata di Cupido, poiché quando portò in salvo quel relitto umano non tenne
conto di quanto poi si sarebbe rivelato il più fatuo, malpensante,
individualista ed accentratore degli uomini, ma ciò che l’eterna giovine ammette
è come non lo amerebbe fin dopo la sua morte se egli non fosse stato così.
Allora un’altra donna credeva di possedere il cuore del
vice comandante Wallace: Sarah, una meretrice di mal’affare a cui Leonard
affermava di esser legato sentimentalmente, in verità solo per interesse, che la
Dea conobbe incidentalmente e non per conto del vice comandante, il quale rimase
sempre ben muto su questo.
Dopo aver ripreso le forze, la volontà del pirata fu quella
di rimettersi subito sulle tracce della ciurma da cui era ormai considerato
disperso, riprendendo il mare, non senza prima lasciarsi addietro un ricordo
poco piacevole: la notte prima della loro partenza definitiva, il collegio
femminile di Faimouth ricevette una visita inattesa.
Celia si trovava affacciata al balcone della propria stanza
come ad ogni vespro, fissava con aria enormemente triste un satellite pallido
appena sorto in cielo che riportava la sua mente alla madre nume, (=divina NdA) quando scorse delle ombre oscillanti divagarsi tacite nel
cortile del casato.
Scattò in piedi allarmata, ma non ebbe il tempo neppure di
avvertire la sua benamata vicina di stanza Alexia, perché dei pesanti colpi alla
porta, sfondarono il portone principale dell’edificio un attimo dopo.
Miss Wilson si smaterializzò dalla propria stanza per
giungere di soppiatto in quella accanto, dove l’amica frastornata era appena
stata ridestata dal sonno a causa di quel fracasso inscenato ai piani
inferiori.
CELIA: “Sei sveglia, grazie al cielo!!” berciò quasi sollevata andandole incontro.
ALEXIA: “…Cosa sta succedendo, come sei entrata qui? Credo
di non averti sentita…” barbugliò assonnata, sostenendo con una mano la testa
pesante gremita di bigodini.
CELIA sorvolò le parole della
compagna afferrandola per le spalle, così da avere la sua completa
attenzione:
“Alexia, devi ascoltarmi attentamente: ci sono degli uomini con
cattivi propositi al piano di sotto, li ho visti dal balcone, sono riusciti a
fare irruzione qui, mi son sembrati molto pericolosi, devi aiutarmi! Raduna
subito tutte le ragazze di questo piano e conducile nella palestrina della
pallacorda* qui fuori, lì non potranno entrare, sarete al sicuro, fai
presto!!” l’incitò in tono elettrico.
Nel frattempo dalla soglia dell’atrio faceva il suo
trionfale ingresso il vice comandante Wallace, seguito da un assetto di
filibustieri infervorati, pronti a distruggere, razziare, depredare e
saccheggiare ogni cosa trovassero sul loro cammino.
Il lupo faceva strage sul branco di pecore e morse la
stessa mano che fino a poche ore prima si era preso amorevolmente cura di lui,
anziché lasciarlo morire lentamente su di una spiaggia in balia di atroci
sofferenze.
Non che il gesto di Celia per lui contasse nulla, ma ne
valeva della sua reputazione di primo ufficiale, doveva riaffermarsi dopo la sua
presunta scomparsa verso i propri sommessi.
Ormai conosceva bene la disposizione dell’edificio e, dato
che la sua permanenza rimase sempre celata, era al corrente di ogni scorciatoia
recondita per non essere visto.
Attraversarono La piana degli specchi, come veniva definito un ampio salone dove si tenevano
lezioni di postura e ballo per le allieve; la sua struttura in legno, vetro e
superfici riflettenti la faceva apparire una serra, come scherzava il direttore
del collegio, ora invaso da una bercia di predoni digrignanti, ansiosi di
affondare le mani in qualcosa di luccicante e magari nelle carni di qualche
fanciulla.
Stavano per giungere alla scalinata posta all’estremo
opposto della stanza, collegante il salone ai piani superiori, quando Leonard,
in testa alla bordata, li fece improvvisamente arretrare.
LEONARD: “UOMINI… alt!!” ordinò sollevando un
palmo.
La sua ciurma sussultò bloccandosi di colpo, molti di loro
allarmati misero mano alle armi, esaminando ogni angolo alla ricerca di un
pericolo.
“…mi sta bene il ciuffo sistemato così, non è troppo
gonfio?!” domandò
impensierito avvicinandosi ad un ampio specchio e tormentandosi la chioma scura
cascante sulla fronte.
Alle sue spalle si sollevò un coro di sospiri sollevati e
versi disillusi.
“…Signore, pensavamo di essere qui per un assalto notturno,
non per dei sciocchi consigli di bellezza!!” lo rimproverò il suo
braccio destro, più coraggioso degli altri nel contraddire il loro
superiore.
“Già! Dov’è l’oro che ci avete promesso??” incalzò un altro
compare affiancando il Primo ufficiale, interessato unicamente a districare la
criniera con le dita.
“E le belle fanciullette indifese, eh signore?! – fece eco un terzo passandosi avidamente la lingua sulle
labbra, affamato di bramosia- Dove, dove!!” mugolò quasi non
contendo più l’euforia.
LEONARD: “Sono da quella parte…” rivelò distrattamente
indicando le scale.
Con un latro dal fragore animalesco, la ciurma sollevò armi
e milizie verso il cielo, esultando vittoriosi come avessero già asservito il
loro scopo, e nel giro di un secondo si accalcarono infatuati verso i gradini,
lasciando solo nel salone il comandante.
La Dea dei sogni si lanciò fuori dalla stanza di Alexia in
una disperata corsa contro il tempo, oltrepassò volando le scale e si ritrovò in
un lungo corridoio serrato da porte, conducenti direttamente ai piani in cui
stava infuriando quella feccia incontrollata di bucanieri, abitati dalla
servitù.
Sperando con tutto il cuore che il personale di servizio si
fosse già messo in allarme, accostò le mani ad ogni entrata e con il calore del
suo corpo, incandescente alla pari di una stella, saldò al muro ogni porta in
modo da renderla impenetrabile per chiunque volesse oltrepassarla.
Mentre si occupava degli ultimi ingressi, avvertì un passo
trottante discendere le scale e una voce familiare la fece trasalire:
“Miss Wilson! Cosa fate qui??” fu sorpresa dal
guardiano del collegio, armato d’accetta e provvisto di lume, il quale si
arrecava a sua volta ai piani inferiori nell’intento di prendere in mano la
situazione.
Fortunatamente l’uomo non vide in azione i poteri della
fanciulla, pensò unicamente che Celia fosse accostata alla porta per origliare
al di fuori.
CELIA: “Signor Heburne! I-io… io… Ecco, io ho sentito dei
rumori insoliti e mi sono precipitata a vedere…” improvvisò,
balbettante dalla tensione.
HEBURNE: “Sta accadendo il putiferio quaggiù, non ti dirò
nulla per allarmarti inutilmente, ma faresti bene ad uscire di qui. Rifugiati
nel parco, almeno fino a quando le forze della Marina Britannica non saranno
pervenute a recarci aiuto. Corri, VAI!” esortò conducendola con forza verso la rampa di scale da
dove era venuta.
Mancavano solo tre porte per terminare la trovata di Celia,
ma con l’intervento inaspettato del Signor Heburne la pensata non venne
conclusa, alla ragazza non rimase altro che seguire l’ordine dell’uomo, e mentre
inquieta tornava sui suoi passi, proprio da quei usci fecero irruzione i
dirottatori.
Il guardiano Heburne padroneggiò su un paio di loro, ma poi
venne assalito da un numero maggiore che ebbero la meglio. Celia non corse via
impaurita, un animo prode e coraggioso viveva dentro di lei, fu Atena ad
insegnarle a combattere, solo finora non ebbe mai l’occasione di mostrarlo.
Afferrò una trave rivestiva della parete, in parte già distaccata, e corse nella
direzione inversa a quella in cui si trovava, per soccorrere il guardiano.
Oscillò l’arma improvvisata verso di loro, non intendeva
fargli del male, ma in casi estremi si sarebbe trovata costretta ad usarla.
La maggioranza degli invasori sciamò incurante verso i
piani superiori, qualcuno invece si accorse della sua presenza e rimase sul
pianerottolo scrutandola infervorato.
…“Salute, bamboletta! Cosa fate sveglia a quest’ora della
notte? Uh, vi abbiamo svegliato? Come ci dispiace…”
ammise un
baldanzoso, inneggiato dalle risatine dei compari.
CELIA: “Fareste meglio a lasciare subito questo posto
signori, senza altri ripensamenti…” intimò stringendo più forte la sbarra di legno.
“Noi non andiamo da nessuna parte senza le tasche piene di
ninnoli luccicanti, tesoruccio –predispose indignato
dalla resistenza della fanciulla – perciò, se ci dici subito dove possiamo
trovarne, potremmo decidere di risparmiarti un po’ di dolore…” patteggiò il
pirata.
La Dea si accorse delle occhiate che l’uomo lanciava alle
sue spalle, ma non percepiva nulla dietro di se, perciò continuò a preoccuparsi
solo di chi aveva davanti, fin quando due sudice braccia l’afferrarono per il
collo nell’intento di disarmarla.
Si trattava di Gracco, detto Passo Sordo, per la
silenziosità impercettibile dei suoi calzari, creati da lui stesso per cogliere
l’avversario di soppiatto come fece con Celia, la quale però celava un’arma più
strinante di un passo tacito: il suo stesso corpo.
Infatti come Gracco la toccò, berciò ustionato lasciandola
subito andare “Bruciaaaa…ahi ahi…scotta scotta scottaaaa!!!”
Gli altri uomini rimasero attoniti, sgomenti dalle urla
inspiegabili di Passo Sordo, arretrarono come vigliacchi dinanzi all’inconsueta
minaccia.
La feccia del Comandante Wallace doveva aver soffiato sulla
cenere e riacceso il fuoco.
Celia approfittò prontamente della distrazione per fuggire
al di sopra. Giunta al primo dormitorio femminile, dove risedeva lei stessa,
s’imbatté in altri profittatori che fu costretta ad affrontare con la propria
“arma” lignea. Colpì sul collo il primo, nello stomaco il secondo, il terzo
indossava degli abiti molto larghi, per niente della sua misura, sgraffignati
probabilmente, bastò mirare ad un punto in cui la stoffa eccedeva e, già
intontito da altre percosse, renderlo innocuo appendendolo alla parete tramite
la trave, utilizzata a mo’ di chiodo.
In quanto Dea poteva esprimere qualsiasi desiderio, sia
d’un mortale che proprio, tranne far innamorare due persone [compito di competenza a suo
zio: il Dio Eros], resuscitare chi è già morto o, come in questo caso, uccidere
qualcuno.
Corse lungo il corridoio, approfittando della confusione
per non essere vista, così d’assicurarsi che le stanze fossero tutte vuote e le
sue compagne in salvo, nel locale in cui aveva ordinato ad Alexia di
adunarle.
Ogni camera a cui passava accanto pullulava di predoni
intenti a ribaltarla da cima a fondo, riempiendo tasche e forzieri di qualunque
utensile d’oro trovassero.
Per il momento non poteva soffermarsi ad impedirlo, doveva
prima assicurarsi che le sue compagne fossero tutte al sicuro.
Raggiunta la fine del corridoio avvertì delle voci
conosciute, una fitta di panico la pervase, dovevano sbrigarsi, non erano ancora
fuggite tutte?
Poi riconobbe la sagoma di Alexia sul balcone, intenta a
condurre le altre al piano superiore tramite una scaletta d’emergenza e
conducente al tetto, ma perché lo stava facendo? Non era quella la direziona per
la palestra!
ALEXIA: “Ho dovuto indirizzarle al secondo piano- si giustificò poi-
quando hai lasciato la mia stanza sentivo già qualcuno in avvicinamento,
così ho riferito a tutte di abbandonare le camere per fare una burla alla
governante che sta tenendo una perlustrazione di controllo notturna, era l’unico
modo per organizzare la fuga in modo ordinato, senza farle prendere dal
panico”
CELIA: “Hai fatto benissimo, ottimo lavoro!” la rassicurò abbracciandola, Alexia era l’unica di cui si
poteva fidare, seppur non fosse al corrente della sua identità celeste.
ALEXIA: “Di sopra ci attente Andrew, lui sa già tutto, gli
ho chiesto di aiutarci”
Costui era lo stalliere del collegio, per precauzione,
unica presenza maschile dell’istituto dopo il guardiano e il direttore.
L’occupazione preferita del giovine, all’incirca della stessa età delle alunne,
era prendersi cura di Immi e farsi lusingare da Alexia, la quale aveva una vera
e propria adulazione per lui.
CELIA: “Va tutto bene Andrew?” si assicurò una volta
che l’ebbe raggiunto.
ANDREW: “Ma certo, non sono mai stato meglio, grazie per
essertene affranta!” la confortò gaio, sfoggiando un largo sorriso che
assottigliava fino a far sparire i suoi grandi occhi azzurri ed ammaliò
Alexia.
CELIA: “Sciocchino, non intendevo questo, mi riferivo alle
ragazze!!” lo contraddì agitata.
ANDREW: “Ah… Bhe, allora è tutto sottocontrollo, nessun
problema. Le ho già esortate al silenzio per rimanere in tema al falso
scherzo” annuì
trionfale, mentre anche Celia e l’amica facevano ingresso nella stanza.
Lo stalliere diceva il vero, si procedeva quasi come
previsto, ma non potevano immaginare che nemmeno lì sarebbero stati del tutto al
sicuro.
Infatti pochi istanti dopo li raggiunse Gracco seguito a
ruota da altri malfattori.
…“Andrew, ci vuoi spiegare per quale ignobile motivo siamo
finite nella soffitta del collegio?!? Mi sto impolverando tutta la camicetta da
notte!!” iniziò a lamentarsi qualcuna, dopo che trascorso del tempo
e avvertito un chiasso dubbio sotto di loro, la fuga notturna improvvisa divenne
sospetta.
ANDREW: “Abbiate fede ladies, qualunque cosa succeda…” rassicurò solenne
allargando le braccia.
…“Dove credevi di scappare, bamboletta?!” tuonò il primo bandito
affrontato da Celia, oltrepassando l’ingresso della stanza seguito dai suoi
uomini, dopo aver riconosciuto nella fievole luce la sua vestaglia azzurra.
ANDREW: “…ci sono qui io ad… aiutAAAAaaaargh!!!” quel gran fifone alla vista dei pirati perse tutta la sua
indole eroica, e senza terminare la frase, si lanciò impaurito tra il resto
delle allieve, credendo ormai d’essere spacciato.
La giovine si voltò di colpo, colta di sorpresa, come
avevano fatto a giungere fin qui?
Subito si fece avanti con molto coraggio, era
principalmente lei quella di cui volevano vendicarsi.
I pirati stimolati dall’affronto proseguirono nell’avanzata
quasi accerchiandola. Alle spalle della Dea s’innalzarono grida di terrore e la
moltitudine di sue coetanee si compresse contro la parete, in un ultimo
disperato tentativo di sfuggire a quei rabbiosi malfattori.
GRACCO: “Come la mettiamo ora, pasticcino? Siamo 10 contro
una!” disse con un
orrendo ringhio che aumentò l’orrore già predominante nelle altre fanciulle.
CELIA: “Questo lo dite voi!” ribatté spavalda, per
nulla intimorita.
Ogni sillaba pronunciata a sproposito da quella ragazzina
insolente faceva ribollire il sangue nel vecchio scaltro Passo Sordo, il quale
in mancanza del vice capitano, pensò di prendere lui stesso comando per
anzianità, e dare inizio ad un assalto privo di qualunque parsimonia verso
quelle donzelle inermi.
Quando fu sul punto di parlare, una forza sconosciuta più
potente di tutti loro protese a terra le torce di cui erano muniti i briganti,
ma anziché prendere fuoco, dal pavimento si sprigionò un potente fascio di luce
che illuminò la stanza come fosse colpita da un fulmine ed accecò gran parte dei
banditi.
CELIA: “Alexia, Andrew! Adunate le ragazze e conducetele
dove era previsto fin dall’inizio, mir’accomando proteggetevi gli occhi!!” berciò ad alta voce,
approfittando della confusione per cogliere di sorpresa i predoni. Nessuno
riuscì a spiegarsi cosa fosse successo, ma intanto la soffitta fu sgombera dalle
alunne dell’istituto.
Eppure il più resistente dei malfattori superò quella
barriera abbagliante e riuscì a raggiungere Celia.
GRACCO: “Ah, eccoti! Dove credevi di scappare razza
d’insignificante put…” vociò arrivandole alle
spalle, attanagliandola tra le sue grinfie per i lunghi capelli ondulati.
“FERMO” dal nulla una figura
autoritaria sovrastò le rivoltanti imprecazioni di Passo Sordo, intervenendo
appena in tempo perché alla ragazza non venne inflitto altro male.
Al suono di quella voce profonda, nel corpo mortale della
Dea, il cuore smise di battere per un istante, lasciandole fuggire un lungo
espiro meravigliato.
LEONARD: “Da qui ci pensa il sottoscritto, vecchio mio!” definì riacquistando
la sua intonazione fiera.
GRACCO: “Ma, signore…” tentò di
contestare.
LEONARD: “SEI FORSE DURO D’ORECCHIO?” berciò in maniera da non ammettere repliche.
GRACCO: “No, signore…” definì in tono
sommesso.
LEONARD: “Allora, tutti voi, vedete di lasciare in pace le
fanciulle, racimolare più oro che potete e andarcene al più presto da qui o le
nostre teste saranno in palio sul patibolo al prossimo sorgere del sole!” stabilì commendatore.
Con una nota di amarezza la stanza si svuotò e vi rimasero
solo Celia insieme all’incubo dei sogni suoi.
Il naufrago, ora in perfetta forma, era scomparso da ben
due giorni dal collegio, senza lasciarsi addietro alcuna notizia di se. Neppure
la Dea era riuscita a rintracciarlo, probabilmente il pirata aveva dormito solo
qualche ora e l’aveva fatto di giorno, quando per la divinità è più complesso
usare i propri poteri.
LEONARD: “Dovreste ringraziarmi –puntualizzò sornione-
vi ho risparmiato dei guai seri cacciandoli via!”
definì
portandosi vicino a lei.
Celia ancora a terra, sconvolta, avrebbe voluto alzarsi e
riversare su di lui tutta la rabbia che ora, smascherato l’artefice dell’assalto
notturno, aveva in corpo, ma non trovò le forze; riuscì solo ad emettere dei
flebili singhiozzi strozzati, mentre riponeva l’energie rimaste nelle braccia,
su cui era atterrata cadendo a terra.
LEONARD: “Lasciate, vi aiuto io a rimettervi in piedi” si propose sfiorandole
le spalle.
“NON TOCCARMI” lo allontanò
sofferente, facendolo sussultare. In realtà non respingeva lui, ma se stessa,
quello che sentiva dentro di sé, mai provato prima d’ora.
Ciò che Celia più amava della sua condizione terrena era
proprio il poter provare emozioni, ma in nessuna occasione l’era capitato di
fronteggiare simili sensazioni tutte insieme, perlopiù così contrastanti tra
loro, e questo, come nella ordinaria natura umana, la spaventava.
Un volta sollevatasi dal pavimento polveroso, presa visione
della figura dinanzi a se, uno soffio di sollievo invece le alleggerì il cuore,
facendolo poi riprendere a battere alla velocità d’un trotto.
Spaurita dalla sua stessa reazione, portò tremante una mano
al petto, pensando di poterlo rallentare. Il Primo Ufficiale la vide fissare un
punto impreciso con sguardo smarrito, supponendo che stesse avendo un malore le
domandò se si sentisse bene.
CELIA: “NO! No… Io sono… arrabbiata…”ammise infine attonita,
lei stessa non sapeva ben definire quel sentore.
CELIA: “Sono…arrabbiata” ripeté esitante come a
convincere se stessa. Si ritrovò persino a ridere di della nuova scoperta.
LEONARD: “Sul serio? Mai successo prima?!” domandò incredulo
cercando di sviare al torto causatole.
CELIA: “No, a dire il vero” mormorò veridica
accigliando il mortale. “Tu… hai arbitrato tutto questo… proprio tu!
Come… come hai potuto, Leonard?” domandò attonita in un’impercettibile spiro frastagliato,
senza riuscire a guardarlo in viso.
LEONARD: “Si è trattato solo di una piccola visita a
sorpresa, non si è fatto male nessuno!” tentò invano di
avvalorarsi in cadenza innocente.
CELIA: “Qui c’è tutto quel che mi resta di una famiglia, lo
capisci? Quei depravati dei tuoi scagnozzi potevano causare… non voglio nemmeno
immaginare cosa. La chiami sorpresa questa??” replicò scossa.
LEONARD: “Bu!” ironizzò mimando con le braccia le fattezze di un essere
spaventoso.
CELIA: “Sei ignobile e…e infantile!” sentenziò livida d’ira con fine liberatorio.
LEONARD: “E voi una piccola aristocratica ingessata!” marcò di rimando rendendo buio il suo sguardo vitreo.
CELIA: “Perché? Perché mi sono sempre opposta al tuo stolto
rituale di corteggiamento fatto di quesiti inopportuni? –dichiarò fingendosi divertita- “Mi date un bacio?” “no” “Posso baciarti?” “No” “Dammi un
bacio” “NO!” sei del tutto insopportabile!! E la risposta è sempre
NO! Non si conquista una donna in questo modo, se mi è
permesso dissentire” definì austera.
LEONARD: “Pensate di non potervi innamorare di me, Miss
Wilson?” chiese incantatore, vestendo il proprio tono di sfida in
abiti ammaliatori.
CELIA cercando di far svanire l’incanto apportato dalla presenza
del bucaniere così vicino a lei: “Ho agito in quel modo solo per
difendermi” dichiarò ostinata, percependo il sentimento antecedente
esploderle in petto.
LEONARD: “Eccellente! Vediamo se riuscite a difendervi
anche da questa!” minacciò sfoderando la
propria spada per mirarla al mento di lei.
La Dea si fece indietro colta di sprovvista, non avrebbe
mai creduto che sarebbe giunto fino a questo punto, tuttavia non si sarebbe data
subito per vinta. Con una rapida occhiata esaminò il circondario alla ricerca di
qualunque cosa potesse venirle utile per difendersi, ma la vicinanza
dell’avversario le impediva ogni mossa.
Il disonesto malfattore pensò dunque di agire senza darle
la possibilità di ribattere: trafisse un punto più vicino alla dama mancandola
volontariamente di poco; ella riuscì a chinarsi appena in tempo, sebbene il
colpo sferrato le portò via una ciocca dorata. A terra recuperò un’asta dorata
facente parte di una tenda accostata ad una finestra del sottotetto, strumento
di difesa perfetto attraverso cui poté riscattarsi a dovere, infatti, sebbene
fosse in svantaggio, riuscì a respingere il secondo affronto.
L’intento di Leonard era unicamente quello di metterla alla
prova, gli affondi successivi furono poco energici e prevedibili, in realtà
stava molto attento a non farle del male. Celia da parte sua fu discretamente in
grado di difendersi, parava ogni colpo con più prontezza di volta in volta, ma
il peso dell’asta sbilanciava il suo equilibrio in continuazione.
LEONARD: “Non la facevo così combattiva, Miss! –dovette
ammettere-
A cosa è dovuto questo vostro spirito guerriero?” domandò curioso.
CELIA dandogli filo da torcere nelle controffensive: “Ad un Fato
che per tutta la vita non mi ha mai sorriso, ed io di rimando gli sorrido di
più!” ammise
fiduciosa, senza lasciarsi distrarre.
LEONARD: “Ve l’ho mai detto che siete pazza?” constatò in disaccordo, facendo nuovamente tintinnare con
una scintilla la propria spada contro l’asta dorata.
CELIA: “Come dici?!” sbottò offesa spingendolo via.
LEONARD: “Di certo non rientrate nel normale: nessuna
donzella come voi combatte in questo modo e si esprime altrettanto” osservò intrigato.
CELIA: “Pensi questo di me?! Ed io di te cosa dovrei
invece?!?” proclamò
alterata, facendosi più agguerrita anche nel combattere.
LEONARD: “Bellissimo, tenebroso, bastardo, affascinante… Ma
meriterei di rosolare nel fuoco infernale per l'eternità probabilmente!”
ammise sarcastico.
Il duello si portò avanti con un costante botte e risposta,
finché s’interruppe a mezz’aria, poco dopo, con l’intervento apportato dalla
Marina. Lo scaltro pirata avvertì per primo la loro intromissione e abbandonò
subito il proprio gladio per darsi alla fuga.
LEONARD: “Mi duole milady, ma non intendo trascorrere i
miei anni più belli in una cella!” si congedò precipitandosi verso la finestra.
CELIA: “Aspetta! –disse per rattenerlo- Vorrei prima…”
“…Celia Wilson, siete qui?” la cadenza anglicana e
il timbro basso del direttore Seward, in quel momento la convocò a gran voce dal
corridoio.
LEONARD: “Meglio che mi sbrighi!” approvò balzando sul
davanzale della finestra, pronto a calarsi giù fino al chiostro.
CELIA: “Solo un istante, non andartene! –pregò supplice, voleva prima mettere in chiaro le
cose-
torno immediatamente, se rimani non gli dirò che sei qui!” lo obbligò sbrigativa
abbandonando la stanza.
Quelle parole risuonanti come una supplica, uno scongiuro
lo erano davvero.
SEWARD: “Ah, bene! Siete qui Miss! Volevo solo rassicurarmi che stesse bene, è
così vero?” esclamò
l’ossuto proprietario dell’istituto quando lei gli venne incontro, prima di
sorprenderla con Leonard. Le vesti perennemente scure dell’uomo, il cinereo
pallore di morte sul suo viso e le dita eccessivamente lunghe, scarne come la
sua muscolatura, facevano spesso temere a chi gli stesse accanto che in realtà
fosse un morto camminante tra i vivi. La Dea tuttavia ne provava simpatia, se
non fosse stato per le sue iridi scure anziché vermiglie le riportava alla mente
Caronte*, un suo fratello divino.
CELIA: “Sì signore, neppure un graffio!” cercò di convincerlo
lestamente.
“Splendido dunque! Le docenti vi attendono nel cortile per
una adunanza di emergenza, devono verificare le presenze e in seguito i danni
provocati da quei barbari” li definì con sprezzo, arricciando le labbra sottilissime
da un unico estremo.
CELIA: “Certo signore, vengo subito! -lo rassicurò nella speranza che tornasse sui propri passi
senza trattenersi oltre- In quanto a danni, il Signor Heburne sta bene?” s’informò inquieta.
SEWARD: “Sufficientemente, ha riportato qualche ferita da
taglio. Se non altro se l’è cavata!” dichiarò
sollevato.
CELIA: “La ringrazio, Signore!”
disse cortese sentendosi meglio.
SEWARD: “Oh, quasi dimenticavo, c’è nessun’altro qui con
voi, Miss?” chiese
innalzando un esile indice in movenza inquisitoria, la giovine temeva simili
dubbi.
Cosa le conveniva fare a questo punto? Quel malfattore di
Leonard poteva benissimo non aver mantenuto la parola, quando lei fosse tornata
sarebbe già potuto fuggire abbastanza lontano da non diffondere alcun allarme in
tempo.
Rintoccarono all’orologio sfiorante le tre, attimi
infiniti, colmi di panico ed indecisione.
Una tempesta di sentimenti attaccò la Dea nello stesso
istante, scuotendo e tormentando il suo animo fin nel profondo, allorché dalle
sua bocca fuoriuscì un debole: “…Nessun’altro, signore”
Sebbene Leonard l’avesse pugnalata alle spalle quella
stessa notte, non potè fare a meno di riporre nuovamente in lui le proprie
speranze.
SEWARD: “Ottimo dunque! Siete attesa nel patio insieme alle
vostre sodali” le ricordò con il suo
singolare tono allegro, discrepante con l’apparenza torva della sua figura,
vedendo la fanciulla leggermente assente alla conversazione.
Quando “Il becchino”, come lo soprannominavano le compagne
di Celia scomparì dalla sua vista, la Dea si precipitò nella soffitta, con cuore
colmo di angoscia; giunta sull’uscio non aveva il fiatone per la corsa, ma a
causa della paura, tenaglia del suo respiro, di aver perso per sempre
quell’uomo, tentando nuovamente a fidarsi di lui.
Trovò la stanza buia e deserta, solo il vento proveniente
dalla finestra smuoveva un poco le tende spesse ed impolverate.
Celia percepì il mondo insieme all’intero Olimpo ricaderle
addosso, le sue braccia si rilassarono e caddero abbandonate lungo i suoi
fianchi, il fiato le tornò per un ultimo sospiro deluso e di rassegnazione,
accompagnato da una lacrima solitaria lungo il viso.
Doveva aspettarselo, forse, mai fidarsi di un pirata!
A quest’ora poteva essere giunto di corsa ben oltre la
boscaglia intorno al collegio, diretto alla propria nave dove lo attendeva una
ciurma trionfante che l’avrebbe accolto come si dovrebbe ad un novello Cesare o
un Dio.
Il Dio delle Tenebre come la fanciulla lo definiva.
CELIA: “Stupida sciocca” mormorò disattesa
lenendo le lacrime con il carpo della mano.
…“Credevate forse che me ne fossi andato?” predispose una voce
giunta dall’estremo più buio della stanza, così da impedire alla dama di essere
scorto.
“LEONARD!!!” La Dea urlò quel nome più forte che poté dentro di se.
Voleva gridare, ridere, ballare, voleva piangere, ma
riuscì solamente a dire, cercando di mascherare la gioia
mista allo stupore: “Sei rimasto…”
LEONARD: “Certo, mi avete minacciato!” replicò subente mostrandosi al chiarore.
CELIA: “Minacciato?! Per Giove, sei impossibile!” lo repulse scuotendo il capo. In un secondo era capace di
mutare completamente qualsiasi umore.
LEONARD: “Tu lo sei!” l’accusò sentito alterando il suo perenne sorrisetto furbo
in un broncio.
CELIA: “Freddina, ingessata, pazza, impossibile… Avete
altro per cui ingiuriarmi?!”
LEONARD: “Giusto, dimenticavo che siete una suora! A volte
mi chiedo se questo sia un collegio o un convento, avete 19 anni e non sapete
neppure come sia fatto un uomo!” diffamò irruente.
CELIA: “Se ti sconvolge tanto, perché sei ancora qui??” domandò trattenendo a stento un’altra spira di rabbia.
LEONARD: “Me l’ha chiesto una suora freddina, ingessata,
pazza e impossibile!” rivelò pacato.
A Celia non rimase altro che scoppiare in un fragore di
risate, costretta a reprimere per non farsi sentire, anche il primo ufficiale
abbozzò un riso.
LEONARD: “Cosa volevate dirmi?” chiese moderando il
tumulto, fissandola negli occhi.
CELIA tornando seria:
“Due giorni fa te ne siete andato senza un biglietto, un avvertimento, una
sola parola… Sono stata in pensiero!” disse assoggettata, con animo provato.
LEONARD: “Come dite, ho capito bene? Vi siete preoccupata
per me?? -appurò meravigliato- Quindi un po’ vi siete
innamorata!”
concluse appagato.
CELIA: “Non intendevo dire questo!!!” cercò di contraddire
immediatamente, per rimediare a ciò che stava causando.
LEONARD: “Ah, no. Bensì cosa, dunque?” propose sfidante.
CELIA: “Bhe, ecco, io… Volevo giusto assentirvi che ritengo
siate un uomo maturo, responsabile delle vostre decisioni, perciò, qualsiasi
cosa ora decidiate, vi auguro ogni bene Signor Wallace, arrivederci!”dichiarò come un
copione, stringendo la mano del predone in gesto di saluto, seppur al solo
pensiero di quell’uomo dinanzi lei lontano miglia e miglia verso una meta
lontana, avvertiva qualcosa morirle dentro.
LEONARD: “Cosa dite?!? Poco fa mi definivate ignobile ed
infantile!!” si
ribellò oltraggiato.
CELIA: “Devi aver frainteso!”
negò
imperscrutabile.
LEONARD: “Ho capito benissimo invece!! Mi state cacciando?
Rimangiatevi subito ciò che avete detto!” intimò facendosi scuro
di rabbia.
CELIA: “Ri…mangiarmelo?? Come si mangiano le parole?!?” osservò attonita nella
propria ingenuità, non sapeva ben cosa fossero i modi di dire.
LEONARD: “Non in senso letterale! …Argh, fatelo e
basta!!” insistette iroso.
CELIA: “Come, prego?!?”
LEONARD: “Ho detto FATELO” scandì
mantenendo salda in viso la maschera arrabbiata.
CELIA: “Per chi mi avete preso, uno dei vostri leccapiedi?
Giammai!” si rifiutò
radicalmente incrociando le braccia sul petto.
LEONARD: “Siete voi la rozza adesso!!!” osservò lapidario.
CELIA: “Come ti permetti!” controbatté
allibita.
LEONARD: “Mi permetto eccome, con una come voi si manda al
diavolo la galanteria!” dichiarò accondisceso.
CELIA: “Galanteria?? Tu non hai nemmeno idea di cosa sia!”
In breve si ritrovarono a litigare già come marito e
moglie, dalle armi vere passarono a quelle verbali.
CELIA: “Sacri lumi, siete un cafone stolto e maleducato! E,
sì, penso proprio che siate altresì ignobile e infantile, come tu stesso dici.
Mai conosciuto altro screanzato e prepotente come te…”
Leonard arrivò persino a non ascoltare più le parole della
fanciulla, ma sovrastò la voce della giovane con una cantilena simile a
“blablablablaBluuuBleeee…non vi sentoooo…eh?…Come
diteeee???”
Nemmeno questo funzionò, i rimproveri e gli insulti di
Celia proseguirono, cos’altro fare?
CELIA: “E non è finita! Ancora mi domando per quale diamine
di motivo mi sia saltato in mente d’andare in avanscoperta quel giorno sulla
spiaggia, al fine di cercare qualc-…” le parole della Dea questa volta si infransero sul nascere,
vennero spezzate improvvisamente quando le labbra salmastre del pirata si
accostarono delicatamente alle sue.
Il suo primo bacio. Non ne aveva mai ricevuti ne da umano
ne da immortale, e lui lo sapeva, era questo il torto: Leonard lo sapeva,
l’aveva costretta ad ammetterlo un tempo.
La giovine per un attimo percepì il proprio corpo tremare, abbandonarla per ascendere di nuovo verso l’Olimpo, non più come Dea, sommesso completamente a quel gesto piccolo, ma così immenso, prima di essere avvolta dal calore dalle braccia dell’uomo.
Quando lui si scostò, l’incanto
venne un poco infranto dal tono querulo di CELIA: “…Perché?”domandò ad occhi bassi, discutendo la natura dell’
atto.
LEONARD trionfale: “Perché l’avete sempre voluto, anche se
non me l’avete mai chiesto…” ammise ridente.
Nel seguente caso, però, lei era
consapevole che si trattasse di un’azione discrepante all’amore, compiuta solo
per farla tacere senza usare alcuna violenza.
Leonard si scostò piegandosi in due, crollò a terra in una
morsa di risate miste a gemiti sommessi.
LEONARD a denti stretti per tenere a freno il dolore: “Ci sono
donne che ucciderebbero per avere un mio bacio, Miss!” si vantò dirigendosi
dolorante verso la finestra.
CELIA: “Allora affrettati! Lanciati dalla finestra, rompiti
il collo e corri da loro! Razza di mascalzone…” borbottò sconvolta, non
sapendo più se gioire, infuriarsi o divenire triste per la sua immediata
partenza.
LEONARD: “E’ stato il più bel dispiacere della mia vita
conoscervi, Celia Wilson!” ammise già in piedi sul davanzale della finestra,
chiamandola per la prima volta per nome. Non l’aveva ancora ringraziata per
averlo salvato, ma forse ora lo stava facendo a proprio modo.
Un intricato nodo si formò nella gola della divinità dei
Sogni, impedendole persino di respirare, figuriamoci riferire qualunque replica.
Riusciva solo a rabbrividire, stringendo sempre di più i
pugni serrati, la paura non la rendeva libera di estendere i suoi veri
sentimenti, in quel momento odiava essersi incarnata in forma mortale.
LEONARD: “Mi amerete ancora domani mattina?” domandò infine ridacchiante, ironicamente speranzoso, dando
inizio alla propria discesa dei gradini, lasciando però la giovine senza
fiato.
Celia boccheggiò qualche istante, dopo quella istanza non
riuscì più a dire nulla. Capitava spesso che il primo ufficiale le ponesse
quesiti simili, ma mai così espliciti e soprattutto a cui ella, in altre vesti,
avrebbe risposto “sì” senza nemmeno rifletterci.
Era finita, da qui si prendeva la via per il
Nonritorno.
La Dea Sogno lottava contro Celia Wilson, i caratteri ostinati, caparbi e valorosi di entrambe si scontrarono in una tregua che non ci fu mai, nemmeno quando la figura di Leonard Wallace scomparve nella notte lasciandola sola, in quella soffitta tetra, tra vecchie poltrone abbandonate, con il cuore in subbuglio, il fiato smarrito, gli occhi persi e l’anima completamente vuota.
__Note__
Ipno e Nyx: Per esser ben precise ci siamo ispirate alla mitologia greca secondo cui il Dio dei Sogni è Morfeo (almeno per Ovidio), noi invece ci riferiamo proprio ad una Dea di nostra creazione. Ipno e Nyx erano 2 divinità esistenti (secondo il mito madre e figlio ^^’) invece di recente abbiamo scoperto che proprio da loro è stato generato Morfeo, noi avevamo adottato i nomi di queste divinità da sempre già per Celia, senza saperlo ci abbiamo azzeccato! :0 in ogni caso tutto questo è per segnalare che ci atteniamo molto poco alle reali circostanze.
Nettuno: è un Dio romano, ma perdonateci, ci serviva la metafora ^^’
Berilli: Il Berillo è un minerale verde da cui si ricavano gli smeraldi. Perciò gli occhi sono di questo colore ; )
Pallacorda: sport antenato del tennis. Ci siamo ispirate ad un evento storico facente parte della rivoluzione francese: l’occupazione della Sala della pallacorda da parte del Terzo stato, una delle cause della rivoluzione datata circa 100 anni dopo all’epoca in cui è ambientata Unty, ma abbiamo ritrovato delle fonti dove si attribuisce questo sport al 1571 per cui non vi è alcuno sgarro ^^ Le donne aristocratiche hanno iniziato nel 1800 a professare delle vere attività sportive, ma il nostro pensiero è stato che potessero farlo anche nei secoli precedenti non pubblicamente.
Caronte: Traghettatore del fiume nell’oltretomba generato da Erebo
e Nyx.