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Autore: SaraRocker    23/06/2014    2 recensioni
Anno 2097, l'intero pianeta terra si ritrova sotto una sorta di dittatura particolarmente cruenta, che si finge giusta e accondiscendente.
La Desert_Zone è un luogo formatosi a causa del riscaldamento globale, una sorta di continente quasi totalmente desertico e inadatto alla vita, dove la dittatura manda a morire coloro non adeguati a vivere in essa.
Gwen vive là , insieme ad un gruppo di ragazzi che collaborano in una sorta di resistenza.
Duncan è un militare a servizio della dittatura, che ritiene giusta e autorevole.
Estratto cap.28
"Non devi sentirti in colpa. E' stata l'avventura più bella." gli sussurrò "Ed ora è giunto il momento che tu mantenga fede alla tua promessa."
Duncan la ammirò a lungo in silenzio. Perchè sorrideva? Perchè i suoi occhi erano così lucidi? Perchè le sue labbra tremavano tanto?
Gwen non gli era mai sembrata tanto debole. Eppure, si stava sottoponendo alla più grande prova di coraggio.
Genere: Azione, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Duncan, Gwen, Scott, Un po' tutti | Coppie: Duncan/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Desert_Zone

 
cap.33

























































Con una spinta leggera, il ragazzo aprì la porta della piccola stanza bianca, uguale a tutte le altre, con il medesimo aspetto asettico e poco confortevole. Mosse qualche breve passo dentro il piccolo abitacolo, mantenendo lo sguardo basso ed avvertendo il proprio respiro farsi sempre più pesante. Gli sembrava quasi che le lacrime -che prorompenti si attanagliavano contro i suoi occhi- lo stessero affogando. Forse doveva semplicemente smettere di trattenerle.
Scuotendo il capo e sospirando amareggiato, Thomas scrutò con noia il pavimento lucido sotto i suoi piedi. Le mattonelle incastonate nel cemento sembravano appena state pulite, e quasi poteva mirare in esse il suo riflesso patetico ed annoiato. Detestò quell'immagine. Suo padre non si sarebbe mai mostrato in quello stato, mai. Serrò le proprie mani in due pugni collerici, per poi sputare sopra il proprio riflesso sbiadito e tremolante. Se ne sentì quasi soddisfatto. Eppure, perchè tanto disprezzo nei suoi stessi confronti?
Thomas aveva a lungo compiuto la scelta sbagliata, unendosi prima all'esercito e facendo più e più volte lavori per il Governo. Ora, però, tutto stava cambiando, o meglio, era cambiato. Duncan, tornato dalla Desert_Zone, gli aveva concesso una seconda possibilità, mormorandogli parole che lui aveva atteso per una vita intera. Gli aveva fatto un discorso molto simile ad uno 'svegliati, non lo hai ancora capito? Il mondo sta vacillando e noi siamo al centro di questa fottutissima giostra', e lui ci era stato. Aveva pensato che, combattendo al fianco del militare, sarebbe stato in grado di riscattare il nome di suo padre, quell'uomo che, esattamente dieci anni prima, era stato spedito in quell'orrida prigione fatta di sabbia e desolazione. E forse, la situazione era davvero quella. Magari, portando avanti la rivolta -non si poteva dire che fosse stata lui ad iniziarla, non in seguito ai continui dissensi da parte dei ribelli-, avrebbe dimostrato quanto davvero credesse alle parole di libertà che i suoi genitori gli mormoravano.
Aveva assaltato un ospedale con al proprio interno più di duecento persone, ed ora erano pienamente circondati. Eppure, questo non lo allarmava; non ancora. Provava repulsione verso se stesso soprattutto perchè tutto ciò che gli stava accadendo intorno rischiava letteralmente di schiacciarlo. Quando Duncan gli aveva parlato di quella giostra che rappresentava la rivoluzione, quest'ultimo non aveva mai precisato che ne sarebbe stato Thomas stesso il centro. La recluta si era preso una moltitudine di responsabilità, ma era troppo dannatamente leale per pentirsene.

Fu un sospiro spaventato ad allontanarlo dalla valanga di pensieri che gli stava annebbiando ogni altro ragionamento. Per la prima volta da quando aveva fatto il proprio ingresso nella stanza, Thomas alzò lo sguardo, incotrando quello dell'infermiera che, solo poco prima, aveva visto parlare al citofono. Non disse nulla, mentre quest'ultima teneva una confezione di flebo tra le mani, probabilmente in procinto di cambiarla a Zoey. La donna si era paralizzata alla vista del ragazzo che aveva assalito l'intero ospedale, spaventata di fronte la possibilità di essere stata scelta come vittima del ribelle. Lui non disse nulla, preferendo abbassare nuovamente lo sguardo per dirigersi verso la sedia al capezzale del letto, contro la quale si abbandonò poi mollemente. Infine, puntò i propri occhi in quelli della giovane infermiera, che ancora non aveva mosso un muscolo.
Sbuffò annoiato, per poi parlare "Vuoi muoverti? Cambiale quella dannata flebo."
La donna, udendo la voce del ragazzo parlarle in modo tanto stanco e spazientito, gli obbedì in brevi istanti, e subito si voltò, iniziando a maneggiare  la busta in plastica colma di liquido trasparente. Thomas fissò l'oggetto a lungo, prima di tornare a parlare, soffocato dal silenzio.
"Cosa c'è là dentro?"
L'infermiera si irrigidì, udendo nuovamente il giovane parlare, per poi tornare in brevi istanti al lavoro, timorosa di una sua seconda reazione irata "S-Soluzione Reidratante."
Il ragazzo annuì, sospirando "E' come se la nutriste, giusto?"
La ragazza deglutì. Non si aspettava di essere costretta ad intrattenere conversazione con il proprio sequestratore "P-Più o meno." rispose con la voce tremante "Si tratta principalmente di soluzione salina... E contiene minerali fondamentali per l'organismo umano."
Il silenzio si posò poi tra i due, mentre la donna finiva di sistemare la flebo di Zoey. Il solo suono che, costante e continuo, interrompeva quel nulla tra i due, era il macchinario che segnalava le pulsazioni della rossa. Thomas osservò lo schermo nero percorso dalla linea rossa a lungo. Poi, una domanda si stagliò improvvisamente nella sua mente. Proprio in quel momento, la ragazza finì di sistemare la flebo.
"Una persona in coma è in grado di sentire quando le parli?"
L'infermiera corrugò la fronte insicura, per poi prendere un profondo respiro. Il timore le scorreva ancora nelle vene, ed il suo cuore batteva freneticamente alla vista della fondina nei pantaloni del ragazzo "Non lo so."
"Le ho detto così tante cose che..." tentò di parlare Thomas, per poi mordersi il labbro inferiore incerto. Era terrorizzato. Aveva paura che Zoey si svegliasse, magari ricordandosi della sua confessione mormorata, e  che non gli rivolgesse più la parola. Si sentiva meschino per essersi innamorato della promessa sposa del suo migliore amico -quello che considerava un fratello-.

Fu lo spalancarsi improvviso della porta a spezzare il momento che era andato a crearsi in cui, da un lato si stagliava la figura dell'infermiera spaventata, e dall'altro l'espressione insicura ed ingenua di Thomas.
Bridgette squadrò la stanza con timore, per poi puntare il proprio sguardo sul moro "Thomas, un inserviente ha detto di avere sentito un repressore al megafono ordinare ad un elicottero di colpirci."
Il ragazzo si portò subito in piedi, mentre l'infermiera, ancora al fianco della flebo, sgranava gli occhi incredula. Nella sua mente,  il Governo che tanto amava non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Il giovane No-One si passò una mano tra i capelli scompigliati, mentre si rendeva conto che il momento fondamentale del piano era giunto. Ora dovevano ingannare quel branco di politici e dittatori.

Corse fuori dalla stanza senza riferire nulla neppure a Bridgette. Superò i corridoi affollati, spingendo ed imprecando, e si fermò solamente quando giunse nella sala delle comunicazioni. Ne osservò i macchinari qualche istante, per poi sistemarsi un paio di cuffie, posizionarsi di fronte ad un micofono, e cercare la stazione radio giusta. Setacciò a lungo invano, fino a che non avvertì uno scambio di battute tra il pilota dell'elicottero ed una ragazza -probabilmente in trasmissione proprio dalla base governativa-. Sorrise ghembo, immaginando già il dolce sapore che poteva avere l'imbrogliare quel branco di sadici folli, e poi parlò.
"Vi parla uno dei ribelli che ha assaltato l'ospedale." intervenne lui, interrompendo la voce della ragazza. Quest'ultima subito si ammutolì, sorpresa da quell'inaspettato intervento.
"Hai deciso di contattarci? Posso saperne il motivo?" incalzò la voce femminile, risuonando acida e furiosa, sul punto di gridargli contro.
"Apprezzerei sapere con chi sto parlando." si limitò a dire beffardo il No-One, bisognoso di quelle informazioni. Un silenzio breve, ma colmo di rancori si profilò prima della risposta della ragazza.
"Courtney Alburne, responsabile della condotta e della sicurezza. A capo degli ambasciatori stessi." rispose la ragazza, mordendosi il labbro pur di imporsi la calma. Thomas parve soddisfatto della risposta, improvvisamente conscio di essere in comunicazione con una persona decisamente importante.
"Ho saputo che hai intenzione di fare saltare in aria l'ospedale."
"Ti è arrivato il bollettino, fetido ragazzetto?" domandò acida e sarcastica l'ispanica, facendo rabbrividire la recluta. Quest'ultima, però, sorrise, certa che tutto sarebbe andato esattamente come voleva lui.
"Non lo farete. Non sfiorerete questo edificio neppure con una lama smussata." mormorò il ragazzo con determinazione, facendo risuonare la sua voce melodiosa e scaltra, quasi terrificante. La donna sussultò.
"Non fare l'arrogante, razza di bas-" "Quale figura ci faresti nel fare saltare in aria un ospedale pieno di medici, ma soprattutto di malati?" la interruppe Thomas con voce bassa e suadente "Il Governo che questi illusi conoscono  non è così brutale. Oltretutto, una volta fatto, la notizia diverrebbe di dominio pubblico. Tutti gli abitanti sotto la dittatura saprebbero cosa avete fatto a dei poveri ostaggi." un sorriso vittorioso si delineò sulle labbra del giovane "Quale figura ci fareste? Come impedireste la rivolta a quel punto?"
La ragazza non rispose a quella velata minaccia. Le parole del ragazzo erano state studiate con attenzione e Thomas aveva scelto come base l'ospedale anche per quella ragione: era inattaccabile. Il Governo non poteva rischiare di essere egli stesso ragione di inserruzione. Non poteva divenire lui stesso la causa della nascita di un'intera rivoluzione che avrebbe potuto schiacciarlo. Una volta messe a confronto le sue ipotesi, era ovvio che sarebbe stato meglio lasciare ad un pugno di ribelli un ospedale.

Ed ora la menzogna, si disse Thomas.

"Se davvero volete fare qualcosa, pensate ai mezzi pubblici." disse dopo qualche minuto di silenzio la recluta, continuando a mantenere il contatto radio. Era giunto il momento di mentire, e farlo in modo tale da terrorizzare totalmente coloro che stavano al potere.
"Ci sono ribelli ovunque. Sono tra di voi, si vestono da repressori. Stanno preparando attacchi terroristici." mentì il giovane "Pensa solo a quante centinaia di persone possono stare su un treno. Ed ora, signorina Alburne, pensa se quest'ultimo esplodesse, uccidendo ogni passeggero. Se accadesse, l'immagine del Governo si sbiadirebbe, no?" Thomas sorrise per l'ennesima volta, avendo in pugno la situazione "Il nostro caro, amato Governo che non è stato capace di prevedere una mossa simile. Migliaia di famiglie sconvolte. Insurrezioni, incendi, cadaveri... Quando non resterà più nessuno, chi governerete?"
Courtney serrò la mascella dolorosamente, mentre i nervi le si tendevano.
"Piuttosto che pensare a noi, arrestate i mezzi pubblici finchè siete in tempo."
A seguito di quell'affermazione, Thomas concluse la chiamata, dirigendosi verso una finestra. Un elicottero vorticava nel cielo ormai da parecchi minuti, probabilmente quello che aveva ricevuto l'ordine di attaccare. Lo osservò allarmato, pregando affinchè quel suo discorso avesse dato il suo effetto, per il momento, e quando lo vide alzarsi nuovamente verso le nuvole, per poi allontanarsi, si rese conto di avercela fatta. Erano salvi, per il momento. L'attacco era stato annullato.

Con un sorriso sulle labbra, Thomas osservò il veicolo sparire nel cielo. Abbassò poi lo sguardo sulle strade, dove i repressori si mantenevano mobilitati. Dietro essi moltitudini di borghesi si affacciavano incuriositi dal chaos creatosi. Assottigliando lo sguardo, inquadrò in particolare un uomo di mezza età che aveva scavalcato delle transenne, intento ad avvicinarsi all'ospedale.  Gridava alle spalle delle guardie governative, disinteressato alla propria vita. Sul suo viso sembravano riflettersi miriadi di racconti, ed i suoi occhi erano attraversati da una scintilla particolare. Mentre lo osservava incantato, Thomas notò solo all'ultimo il repressore che, minaccioso, si era vvicinato all'uomo puntandogli contro il proprio fucile. Lo sguardo della recluta, serrata dentro l'ospedale, si fece spaventato. Subito le braccia dell'uomo di mezza età vennero afferrate e questo fu costretto ad inginocchiarsi. Pochi istanti prima che un proiettile gli togliesse la vita, l'uomo si liberò un braccio, per poi puntare un pugno dritto verso il firmamento limpido.
"No!" gridò Thomas dall'interno dell'edificio bianco, mentre inservienti e medici si fermavano ad osservarlo spaventati ed incerti. Il ragazzo, invece, continuava ad osservare l'uomo cadere con il volto a terra privo di vita, giustiziato dal colpo di un repressore spietato. Il pugno dell'uomo cadde sull'asfalto caldo ancora stretto, e sulla superficie delle sue nocche, tatuato in modo indelebile, vi era una scritta che alla recluta era sin troppo familiare.

'Free'*

 
***


Duncan studiò i passi lenti e cadenzati di Edward, mentre camminava in direzione del proprio scrittoio. Il tavolo dell'uomo si trovava in un angolo poco illuminato dell'elegante salone. Vi erano solo due piccole candele ad illuminare l'intera zona, ed il militare si domandò quale fosse la ragione che potesse giustificare un tale bisogno di intimità. Cosa nascondeva quell'uomo dallo sguardo tanto vivo? Si era comportato in modo bizzarro sin dall'inizio, ed aveva appena dato loro il beneficio del dubbio; non era certo di potersi fidare totalmente. Lo aveva dapprima squadrato con arroganza, ma aveva infine cominciato a sorridergli. Il repressore non sapeva davvero come atteggiarsi di fronte l'uomo appena incontrato. Era diffidente, ma curioso.

"Sembrate giovani..." si lasciò sfuggire l'uomo, continuando a camminare lentamente. La sua era un'affermazione, e con essa non ostentava né arroganza, né tantomeno scherno. Sembrava un banale -ed inspiegabile, agli occhi dei presenti- tentativo di fare conversazione.
"Lo siamo." rispose piccata Gwen, osservando con attenzione dove quell'uomo fosse esattamente diretto. Lo vide accostarsi all'ampio scrittoio, carezzarne la superficie in legno lucidato, e poi proseguire.
"Tu quanti anni hai?" domandò poi Duncan, decidendo di porre quella domanda che da qualche tempo gli vorticava nella mente.
"Trentasei."
Duncan sussultò, constatando che ne avesse molti meno di quanto avesse supposto. Il suo sguardo era marchiato da così tanta consapevolezza, da farlo apparire ben più vecchio di quanto non fosse. Aveva creduto che ne avesse quaranta, forse di più, ma probabilmente erano state la Desert_Zone e molte altre orribile cose a renderlo vecchio con troppa fretta.
"L'apparenza inganna, dico bene sergente Smitt?" domandò ironico Edward, prima di arrestare il proprio passo in prossimità di una parete. Duncan e Gwen lo osservarono incerti, mentre lui faceva segno ai due di avvicinarsi. La dark lanciò uno sguardo a Scott, ed anche il rosso li seguì.
Una volta accostatisi all'uomo, videro ciò che meno si potevano aspettare. I tratti erano determinati e duri, tracciati da una mano ferma e sicura. Le note appuntate sopra erano state scritte di fretta, con una calligrafia disordinata, ma comprensibile. Fu Duncan il primo a riconoscerla. Notò ogni particolare, e dovette ammettere -con enorme sorpresa- che il disegno somigliava parecchio a quelli delle cartine fatte per mezzo del satellite.
"La mappa della Desert_Zone." soffiò il militare, osservando il disegno appeso in malomodo alla parete, fermato con dei chiodi. La carta era leggermente ingiallita -probabilmente il disegno risaliva a parecchi anni prima-, ed i lembi del foglio erano logorati.
Scott e Gwen osservarono ammirati la ricostruzione di fronte ai loro occhi, mentre Duncan valutava in particolare la precisione e la correttezza con la quale era stata disegnata. La forma ottagonale era perfetta, con una breve spiaggia oltre la rete metallica, prima di uno stacco di oceano che separava il mondo civilizzato dalla prigione. Il centro dell'ampio deserto era stato segnato con una 'x', e poco più in basso, leggermente ad ovest, si trovava la base di Edward, quella dove ora si trovavano tutti.
L'uomo aveva anche aggiunto una piccola legenda sulla sinistra. Aveva indicato le zone più pericolose -dove i Folli fiorivano-, le antiche rovine di città ormai estinte, i luoghi dove si trovava cibo, ed infine i punti dove la terra impermeabile permetteva all'acqua di trattenersi.

"Come hai fatto a disegnarla con tanta precisione?" domandò esterrefatto il militare, continuando ad esaminare ogni particolare della mappa. Edward si passò una mano tra i capelli con fare distratto.
"Mi trovo qui da parecchi anni, ed ho viaggiato molto prima di stabilirmi qui. Mentre camminavo, disegnavo ciò che percepivo." rispose l'uomo, sospirando assordo "Infine, ho trovato questo relitto. Nonostante si debbano fare lunghi viaggi per fare scorta di provviste, questa è una delle zone più tranquille della prigione."
Duncan annuì un paio di volte, mentre assimilava la situazione. Per la prima volta da quando si trovavano nella Desert_Zone, avevano una mappa. Era qualcosa di fondamentale per pensare a come muoversi. Purtroppo, constatò il punk, in quel momento erano tutt'altro che vicini al confine nord, e per arrivarci avrebbero dovuto superare la zona più pericolosa della prigione, quella con il maggior numero di Folli.
"Non so se sorridere o disperarmi." Si lasciò infine sfuggire Gwen, probabilmente giunta alla medesima conclusione del punk "Dobbiamo tornare ad Indianapolis." aggiunse la ragazza, per poi voltarsi verso il repressore. Anche Duncan stava pensando a quello, al fatto che presto o tardi Thomas avrebbe avuto bisogno di lui, e che non si sarebbe mai perdonato di non essere stato presente per aiutarlo. Ma non era quello il momento per pensarci.
"Ci torneremo, ma non ora." intervenne Scott, puntando il proprio sguardo in quello di Gwen "Devi calmarti. Sono certo che gli altri ce la faranno, sono tutti molto validi. Adesso, però, abbiamo bisogno di riposare. Quando saremo tutti più lucidi, penseremo ad un piano." disse infine, lanciando uno sguardo all'esterno. Ormai era notte fonda e, nonostante avessero dormito tutti parecchio, a nessuno avrebbe guastato qualche altra ora di sonno.
Edward squadrò i tre, per poi sospirare "Supponendo che ciò che mi avete raccontato sia vero, sono d'accordo con il rosso. Siete accecati da un odio ed una lealtà che vi disinibiscono. Dovete riposare. Sapete dove sono le vostre stanze."
E detto ciò, li congedò tutti. Noah e Heather lasciarono l'ampio salone per primi, seguiti poi da Scott, ed infine da Duncan. Proprio quando Gwen si apprestava a seguirli, la voce del trentaseienne la interruppe.
"Come si può  rendere un repressore tanto... Giusto?"
La dark si voltò verso il moro sorridendo, i suoi occhi illuminati di amore sincero "Penso che dipenda da quanto giusta sia la persona oltre il soldato."
L'uomo sorrise, soppesando le parole della ragazza. Alzò poi una mano verso la cartina della prigione, carezzandone la superficie con eleganza, ed un particolare spiccò agli occhi della mora. Sulle nocche dell'uomo vi era inciso qualcosa...
"Gwen?"
L'improvvisa voce di Duncan la fece voltare. Lo vide sulla soglia ad attenderla. Istantaneamente sorrise, per poi voltarsi verso Edward, salutarlo, ed accostarsi al punk. Gli diede un dolce e delicato bacio a fior di labbra, prima di incamminarsi con lui attraverso i corridoi.

"Sono certo che riusciremo ad andarcene nuovamente." le disse Duncan, spezzando il silenzio che si era posato tra i due mentre camminavano. I loro passi rimbombavano per i corridoi illuminati solo da qualche fioca candela.
"Sei davvero ottimista... Vorrei essere come te." si lasciò sfuggire lei in un sospiro incerto, mentre mille incertezze la assalivano. Non sarebbe stato affatto facile attraversare l'intera Desert_Zone per tornare al confine nord. Per quanto Scott avesse compiuto la scelta giusta, conducendoli a sud, presto avrebbero dovuto fronteggiare la possibilità -inaccettabile- di non potere più abbadonare la prigione più famigerata mai esistita.
"Oh, Gwen, ma tu sei milioni di volte meglio di me. Io sono solo un povero convertito che chiede asilo." le rispose lui, facendola leggermente sorridere. I loro passi si arrestarono. Erano giunti di fronte la camera di Gwen. La ragazza rabbrividì all'idea di doversi separare dal militare.
"Duncan, mi fai una promessa?" gli domandò insicura. Sino a quel momento gliene aveva affidate tante, e lui le aveva sempre mantenute. L'aveva persino uccisa, pur di mantenersi fedele alla propria parola.
"Qualsiasi cosa." le disse lui in tono dolce, ammirandole il volto pallido, abbellito da quegli occhi tanto contrastanti, color dell'ebano più splendido e ricercato. Gwen si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo.
"Promettimi che avremo una casa."
Il militare sussultò leggermente di fronte quella richiesta detta si fretta e con agitazione. Eppure, non le disse nulla per schernirla od altro. Rimase semplicemente in silenzio, in attesa che lei continuasse.
"Promettimi che avremo una casa tutta nostra, un giorno. Promettimi che ci sarà un giardino, ed un bambino -non importa se maschio o femmina- che ci giocherà tutti i pomeriggi." la dark chiuse gli occhi ormai fattisi lucidi, mentre un singhiozzo struggente la attraversava. Poteva chidergli una cosa del genere, no? Magari sarebbe stato tutto fittizio, ma non le interessava. Dentro di se sentiva la necessità di trovare una sensazione di pace infondo al tutto, e di poterne donare anche ad una creatura totalmente sua.
"Promettimi che avremo una vita tutta per noi un giorno, magari anche solo in un sogno." sussurrò infine.
Lui la osservò qualche istante. In quel momento le parve davvero minuscola, avvolta in una canottiera troppo grande e con degli stivali che le arrivavano sino alle ginocchia. Gli parve debole ed indifesa, nonostante ella non lo fosse affatto. Gwen era una forza della natura, rappresentava il vento di un turbolento tornado, e vederla in quello stato lo fece quasi tremare. Non era come quando si era ritrovata costretta a morire, persino in quel momento si era mostrata coraggiosa. Per la prima volta, Gwen gli stava mostrando quel lato indifeso di cui lei stessa si vergognava.
E lui, in risposta, la avvolse totalmente tra le proprie braccia. La cullò per minuti interi, mentre lei singhiozzava senza freno. Le baciò dolcemente la testa, tuffandosi tra i suoi capelli scuri come il firmamento notturno, e poi le rispose "Ti prometto che, se non potremo averla in questa vita, allora ti cercherò nella prossima, ed ogni notte nei miei sogni ne costruirò una."
La dark sorrise leggermente, per poi staccarsi da lui. Il pianto era scemato, e tutto ciò che ne restava erano i suoi occhi lucidi ed il suo respiro scosso. Lo guardò qualche istante prima di alzarsi in punta di piedi e cercare le sue labbra, che incontrò disperate e bisognose. Ne assaporò il sapore e ne vezzeggiò la superficie. Schiuse poi la bocca, facendo scontrare la propria lingua con quella di lui, mentre le sue mani si tuffavano tra i capelli del punk. Duncan posò invece le sue sui fianchi snelli e sensuali di lei, per poi premere maggiormente il suo corpo contro quello del ragazzo. La sensazione che Gwen avvertì scorrerle nelle vene fu così nuova ed afrodisiaca, da renderla irrimediabilmente schiava di quei tocchi leggeri, appena accennati, ma al contempo rudi.  Si staccarono solo quando l'aria mancò ad entrambi, nel loro sguardo si poteva leggere un desiderio profondo.
"Ti amo." mormorò Gwen all'orecchio di Duncan.
"Anche io, Gwen." rispose lui, facendo scorrere una mano tra i suoi lunghissimi capelli neri. Lei sorrise leggermente, per poi mordersi il labbro inferiore.
"Resta con me questa notte."

Si fecero largo nella piccola stanza della dark, continuando a baciarsi sino allo sfinimento. I loro corpi si scontravano in una danza continua ed affascinante fatta di pura bramosia. Le mani ricercavano il corpo dell'altro vicendevolmente, vezzeggiandolo con tocchi leggeri o carezze colme di lussuria. I loro baci proseguirono a lungo, sino a che Duncan non iniziò ad abbassarsi lentamente, sino ad arrivare in corrispondenza della clavicola della dark. La saggiò con la lingua ed altrettanto fece con il suo niveo e perlato collo. La sua pelle non gli era mai parsa tanto liscia e meravigliosa. Gwen, seppur più timidamente, ricambiò ogni gesto del militare. Ogni volta che il piacere si irradiava in lei, immediatamente la ragazza si sentiva in dovere di ricambiare  quel meraviglioso supplizio. Poteva sentire i muscoli del militare fremere sotto i suoi tocchi, e questo mandava la giovane su di giri. 
Quando infine si lasciarono cadere sul letto, divennero un'unica cosa.

Fu la prima volta per entrambi. Da un lato vi era Gwen, la ragazza giovane ed inesperta, vissuta principalmente tra le mura di una prigione, rimasta a lungo totalmente priva di sbocchi o possibilità. La ragazza cresciuta con un ideale in particolare nella mente: la libertà giusta e a favore di tutti.
Dall'altro lato vi era invece Duncan, un repressore stimato e popolare, ma che aveva dovuto sottostare per tutta la propria vita alle regole ben definite e rigide del Governo, una dittatura che non ammetteva un rapporto nato dall'amore incondizionato, ma solo dall'accordo di due famiglie benestanti. In tutta la propria vita, il militare non avrebbe mai immaginato che avrebbe fatto l'amore con la creatura più bella dell'universo intero. Eppure, quando si voltò verso di lei, rigirandosi lentamente tra le lenzuola, Gwen era davvero lì. Dormiva, sorridendo sincera, respirando lentamente e rilassandosi nel mondo dei sogni.

Le sistemò una ciocca scura dietro l'orecchio, per poi mormorare un'ennesima, giusta volta "Ti amo."





































* per chi non lo sapesse -nessuno nasce imparato u.u- 'Free' significa liberoin inglese :)

Allooooora, che dire? In questi giorni mi sono divorata il secondo Hunger Games, ed ora sono a metà del terzo (il primo lo avevo letto da anni, ma detestando Peeta, non riuscivo a proseguire), ahah! Non arabbiatevi fan del panettiere! Ognuno ha le proprie opinioni u.u
Comunque sia, ho aggiunto a questo mix un po' fantascientifico anche un paio di visioni di Capitan Harlock, quindi il concetto di libertà e giustizia mi fa scrivere capitoli infiniti, pardon :')

Duncan e Gwen lo hanno fattoooo! Lo so, non ci potete credere ed è stata una cosa poco dettagliata (la mia mente perversa è delusa di me stessa), ma non ero certa di restare nei limiti del raiting, e dopo che una mia amica è stata tristemente costretta ad eliminare la propria storia, così è andata T.T


Ok, ora vado! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e mi farebbe sapere il vostro parere :)
  
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