Risate
e divertimento
inondavano la palestra con centinaia di persone, che poi, tralasciando
gli
istruttori, erano tutti bambini con un’età
compresa tra i 4 e gli 11 anni ed
eravamo tutti divisi in gruppi. E le povere
“maestre”, poche in confronto ai
bambini da gestire, dovevano darsi un bel da fare per tenere sotto
controllo
noi pesti scatenate, il cui obiettivo pareva essere proprio quello di
disubbidire e fare impazzire gli adulti.
Sorridendo,
posso ammettere “obiettivo
raggiunto!”.
Non
essendo una vera e
propria palestra, ma un palazzetto dello sport come ho già
detto, all’interno
venivano praticati diversi sport, come la pallacanestro, la ginnastica
ritmica
ed infine, la ginnastica artistica sia femminile che maschile.
Quello a cui inizialmente
facevo parte io, non posso dire che fosse realmente ginnastica
artistica, anche
se era quello che credevo; ma piuttosto, un avviamento per la
ginnastica. Anche
perché a quell’età non potevano certo
pretendere che facessi già salti mortali!
Infatti non lo pretendevano.
Pretendevano che mi limitassi
ad eseguire percorsi tutt’intorno alla
“palestra”.
Cammino
a gattoni sopra la
panca. Scendo. Salto dentro ai cerchi colorati per terra. Mi aggrappo
alla fune
e mi dondolo per poi lasciarmi cadere sopra ad un morbido tappeto, con
i
capelli che mi ricadevano sul viso tutti arruffati.
E
si ripeteva per numerose
volte, cambiando però percorso di giorno in giorno.
Accidenti
come mi divertivo!
Io
come tutti, s’intende. Vabbè,
tutti, tranne il gruppo di ragazzi e ragazze più grandi che
noi guardavamo
allenarsi con tanta ammirazione e che si divertivano, sì, ma
a vedere noi marmocchietti
che saltellavamo qua e là. Sguardi di tenerezza, che
riportavano al passato, perché
tutti ci erano passati, indipendentemente da quale sport tu facessi in
seguito,
terminato il periodo che gli istruttori (o meglio, istruttrici, di uomo
ce n’era
solo uno e allenava i ragazzi della ginnastica maschile) chiamano
“psicomotricità
infantile”.
Al sentire quelle strane
parole, io con le mie amichette, ci dilettavamo a ripetere quel
difficilissimo
scioglilingua.
Il
tempo passava, ed io
crescevo. E dal gruppo dei bambini di
“psicomotricità infantile” finalmente
passavo,
eccitata ma già nostalgica dei giorni passati a giocare, al
gruppo dei “grandi”,
quelli che già provavano quelle che sono le basi della
ginnastica artistica.
Capriole avanti, indietro,
ruote, verticali…
(credo
che tutti conoscano questi pochi elementi e sono
convinta che non ci sia nessuno che non abbia provato almeno una volta
ad
eseguirne uno, perciò non spreco tempo in ulteriori
spiegazioni. Se, al
contrario, ce ne fosse qualcuno, lo incito a provare e mi scuso)
Tutte
cose che mi sembravano
impossibili, ma che in poco tempo, anzi stranamente pochissimo, riuscii
anch’io
a svolgere, con tutto l’appoggio e la contentezza dei miei
genitori, che dagli
spalti mi guardavano allenare e…crescere.
Quando
ebbi imparato a fare
gli elementi e i salti necessari per partecipare ad una gara, quella
che
sarebbe stata la mia prima gara, l’istruttrice, Grazia, mi
insegno come
affrontarla.
Quello che in quell’ambiente
non insegnavano era, non si sa se fosse un bene o no, dipende
probabilmente dai
punti di vista, la serietà.
Mi preparai, senza vedere l’ora
che arrivasse quel fatidico giorno. Lo aspettavo con gioia e
trepidazione, non
lasciando all’agitazione pre-gara di influenzarmi.
Non
sapevo ancora cosa fosse,
a dir la verità.
Arrivò
il momento di
scoprirlo.