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Autore: Maryleescence    24/06/2014    0 recensioni
[Tom Odell]
[Tom Odell][Tom Odell] Lavinia Marika Emberson, è un'avvincente cassiera di ventidue anni che sta per diventare la moglie di James Odell, il fratello di Tom Peter Odell, un famoso cantante britannico. La ragazza, si trasferisce nella lussuosa villa di campagna della famiglia Odell, per accogliere i primi ospiti. Proprio lì, Tom e Lavinia si conoscono per la prima volta e dal loro incontro nascerà un amore travolgente, passionale, ma soprattutto clandestino a un passo dalla cerimonia nuziale, riportando alla mente l'astio presente tra i due fratelli, poiché James era stato l'amante di Jane, l'ex fidanzata di Tom, all'epoca in cui stavano insieme. Ciò porterà alla gelosia sfrenata, ma soprattutto alla pazzia.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 2°: Verità nascoste.
 
Tom.

 

Avvertì la presenza di qualcuno, anzi, quel qualcuno mi stava fissando.
Rimasi sorpreso nel vedere una ragazza nel mio nascondiglio segreto. Lei era alta, con i capelli castani chiaro e occhi verdi che mi guardavano perplessi.
Non sapevo chi fosse, ma probabilmente la mia presenza l’aveva infastidita, o peggio ancora spaventata. Nonostante tutto, pareva una ragazza timida e riservata, se non altro con buone doti intellettive e scarsa manualità. Percepivo le persone nell’animo, poiché avevo imparato a interpretare i loro occhi dopo moltitudini di delusioni per essermi fidato di stupide menzogne.
Ma lei ai miei occhi, mi parve una persona vera. Una donna, che si mostrava per quello che era e non per quello che voleva apparire.
<< Sc-scusa, non volevo disturbarti… >> farfugliò, ancora perplessa.
<< Oh, tranquilla… >> la rassicurai. << Hai solo scoperto il mio nascondiglio segreto, ma non sei la prima… >> continuai, alzandomi in piedi e appoggiandomi al pianoforte.
Sotto quelle labbra sottili, mi sembrò di vedere un accenno di sorriso, ma probabilmente mi sbagliavo ed era stata solo la mia autoconvinzione.
<< Lavinia! >> la sentì chiamare.
Riconobbi la voce e, infatti, non mi sbagliai.
Da quel corridoio oscuro e impetuoso, spuntò mio fratello più tosto nervoso nel vedermi conversare con quella ragazza. Eppure capì immediatamente: quella era la sua futura moglie.
Una donna così sincera e così vera, era caduta nelle mani di un mostro e di un losco traditore, capace di distruggere tutto ciò che si trovava attorno a se.
<< Vedo che hai conosciuto Tom, mio fratello… >> disse, rompendo il silenzio che si era innescato al suo arrivo.
<< H-ho bisogno di una sigaretta… >> rispose Lavinia, fuggendo.
Lo sguardo mio e di James, s’incrociò.
Non ci guardavamo così da circa tre anni e non potevo certamente essere contento di ritrovarmelo davanti dopo tutto il male che mi aveva fatto. Probabilmente non l’avrei mai perdonato.
Me ne andai impassibile, mentre lui si rese conto della rabbia che ribolliva ancora forte dentro di me.
Mi recai nella mia camera, salendo le scale di marmo bianco. Non era molto grande rispetto al resto della villa, ma davanti a me si estese un letto matrimoniale dalle coperte rosse e due comodini su cui erano appoggiati un orologio digitale e delle mie vecchie foto.
Ne presi una e incominciai a scrutarne ogni dettaglio.
Raffigurava me e un’altra ragazza che conoscevo bene, mentre ci abbracciavamo: Jane Curtley. Ancora mi ricordavo il suo odore e quanto mi confortava la sua presenza. Di una cosa in quel momento ero certo, senza di lei mi sentivo una nullità. Ero diventato incapace di amare o di mostrare i miei sentimenti alle persone, almeno che non ci fosse un pianoforte.
Eppure, quella rabbia e quel rancore, dentro di me non erano spariti.
I miei occhi diventarono lucidi e fu in quel momento che raccolsi tutte quelle foto che erano nostre e le strappai. Aprì la finestra e le gettai.
Mi sentivo libero da un peso che continuava a schiacciarmi quasi come una morsa e restai a guardare l’avvincente panorama che offriva il giardino. Il prato era ben curato e verdeggiante, infondo eravamo in pieno Luglio. Guardai il sole che splendeva e mi chiedevo continuamente perché non riuscivo a essere felice.  Quel senso di libertà che avevo assaporato era già svanito. C’era qualcosa che continuava ad appesantirmi, come quando un individuo cerca di nuotare ma ha un masso legato al piede.
Affonda.
Era esattamente così che mi sentivo. Affondavo continuamente nei miei sentimenti contrastanti e in quei ricordi atroci che assomigliavano per lo più a degli incubi. Questi m’illudevano che qualcosa un giorno avrebbe potuto cambiare.
Eppure, avevo tutto. Un lavoro, soldi, dei genitori che mi volevano bene, ma non riuscivo a trovare la felicità sperata.
Mancava un pezzo del puzzle.
Mi guardai allo specchio fissando il mio abbigliamento troppo classico – camicia e jeans – che facevano di me un ragazzo probabilmente noioso ed enciclopedico. Forse proprio per questo motivo, Jane aveva preferito altro, a me.
Ecco che ricaddi ancora in quel vortice oscuro e pessimistico che mi travolgeva ogni volta che pensavo a lei. Sembrava impossibile, ma ogni cosa mi ricordava Jane e suoi splendenti occhi azzurri.
Fissai il mio volto deturpato dall’angoscia, riflesso nello specchio. Quello ero io: Tom Peter Odell, un cantante noioso e depresso, che era rimasto completamente solo.
Tutti lo avevano abbandonato alle sue sorti.
Mi recai in cucina per bere qualcosa che potesse liberarmi da quei pensieri soffocanti.
Dal frigo estrassi una birra, che in seguito aprì con un cavatappi.
<< Ehi Tom, allora come va? >> mi chiese mia madre che era seduta sulla sedia accanto al tavolo.
Non mi ero neanche reso conto della sua presenza.
<< Ehi, bene dai… >> risposi appoggiandomi con il fondoschiena alle portelle dei mobili.
<< Sono contenta che tu abbia deciso di venire e di perdonare tuo fratello… >> continuò, sorseggiando la sua spremuta all’arancia.
Quelle furono parole che mi toccarono.
Perdonato, probabilmente mai.
Lui sapeva quanto tenevo a Jane, ma aveva preferito comunque portarsela al letto. Quando lo scoprì, mi allontanai da quella casa e vissi Londra per parecchio tempo, partendo solo qualche anno dopo per una tournée che mi rese famoso.
Ero ritornato solo per rendere felice mia madre che pretendeva a tutti i costi la mia presenza. Ma quanto importasse di ciò a mio fratello, non lo sapevo e non m’interessava.
 << Mamma… >> dissi prendendo un bel respiro. << Io non l’ho perdonato. Se sono qui è solo per te e papà…>> continuai.
<< James ha sbagliato, ma questo è accaduto parecchi anni fa. Potresti fare uno sforzo… >>.
Strinsi forte la bottiglia di birra che avevo tra le mani e respirai profondamente.
<< Non puoi capire… >>.
Preso dalla rabbia che mi ribolliva nelle vene, corsi fuori dalla stanza e mi diressi in giardino sbattendo la porta dal vetro colorato.
In quel momento mi accorsi della presenza di Lavinia. Era seduta su una sedia prima dell’ampia scalinata e sulle sue ginocchia continuava a tenere una ceneriera che conteneva già cinque sigarette spente.
Non pensavo fumasse così tanto.
I nostri sguardi s’incrociarono, ma il suo fu tempestivo e veloce. La sua espressione era furiosa e triste. Con ogni probabilità aveva litigato con James e pensavo con tutta onestà, che Lavinia meritasse di meglio e non quello sporco verme.
Oh quanto mi ricordava Jane con quella sua pelle chiara e un po’ arrossata sulle guance. I suoi occhi, ancora, mi parlavano di se stessa e di quanto fosse emotiva e fragile. Chi sa se James se ne era mai reso conto di quel particolare.
“Ecco cosa succede a bere la birra…” pensai guardando la bottiglia verde tra le mie mani.
<< Hai intenzione di restare lì a fissarmi per molto? >> mi chiese con tono acido, nonostante guardasse altrove.
<< Mi stavo solo chiedendo se stavi meglio… Sembravi molto turbata nella stanza segreta… >> risposi, mentendo.
Lei si girò e accavallò le sue gambe magre. Mi fissò con una tale intensità che rimasi colpito: non sembrava la stessa persona che avevo conosciuto pochi attimi prima. Forse era solo una mia impressione o la stanchezza del viaggio che mi giocava brutti scherzi.
Appoggiai la bottiglia di birra sul davanzale della finestra e risvoltai le maniche della mia camicia blu, sedendomi davanti a lei su uno sgabello nero.
<< Stavo bene anche prima, grazie … >>.
La sua agitazione nel vedermi lì era grande, ma cercai di non farglielo notare per farla sentire al suo agio.
<< Allora… >> dissi, incrociando le braccia al petto. << Sei emozionata per il fatidico giorno? >> continuai.
<< Sì… Tu hai già preparato i tuoi spartiti? >>.
<< Vedo che ti hanno già informata che suonerò alla cerimonia… >>.
<< Sono la sposa, è mio obbligo sapere queste cose… >> rispose.
Prese il pacchetto di sigarette dalla borsetta che aveva appoggiato a terra e accese la settima sigaretta di fila. Le misi una mano sulla sua e le presi la sigaretta e il posacenere. In seguito la spensi al suo interno.
<< Che cosa fai?! >> urlò.
<< Non ti fanno bene tutte queste sigarette… >>.
<< So io quello che fa per me, non ho bisogno che un cantante superficiale sprechi la sua voce per dirmelo! >>.
A quelle parole mi scappò una risata, che non riuscì a trattenere.
<< Perché ridi? Sono seria! >>.
Le rubai il pacchetto di sigarette dalla borsa e scappai percorrendo a grande velocità le rampe di scale bianche.
Sentì la sua voce urlare: << Tom Peter Odell! Torna immediatamente qui! >>, ma non lo feci.
Per una volta mi sentivo libero di ridere, per qualcosa che mi faceva stare bene, ma non né conoscevo ancora il motivo.

   
 
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