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Autore: grenade_    24/06/2014    2 recensioni
Alzai lo sguardo sui suoi occhi scuri, sorrisi amaramente. «Non riesco a capirlo, sai? Sembra quasi mi detesti, critica ogni cosa che faccio o dico e non ne so neppure il motivo. Penso che non me ne importi niente invece ci sto male, e tutto quello che vorrei è essere solo un fratello maggiore degno di quel titolo.» feci una pausa, sospirando. Un ricordo mi attraversò la mente, e sorrisi istintivamente. «Forse ce l'ha ancora con me per via di Teddy.»
Lei assottigliò lo sguardo, confusa. «Teddy?»
«Sì, il suo orsacchiotto di peluche.» ricordai. «E' accidentalmente finito nel tritarifiuti.» mi giustificai, gli occhi fissi su di lei e un sorriso innocente con cui speravo di convincerla che non fossi stato io, a buttarlo lì dentro.
Mantenne lo sguardo indagatore fisso sul mio per qualche istante, poi si sciolse in un sorriso e scosse la testa. «Siete i gemelli più strani che conosca.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tenni lo sguardo fisso sul libro di biologia per dei buoni minuti, concentrato. Lo studio non era stato mai il mio forte, tuttavia stavo cercando di dare il mio meglio negli ultimi giorni, in vista degli esami finali.
Il campionato di basket era terminato e avevamo riportato una grossa vittoria, in contrasto alle nostre premonizioni di squadra, e adesso che non avevo più nulla di importante da fare per occupare i miei pomeriggi e gli esami si facevano sempre più vicini, potevo finalmente dedicarmi allo studio e fare una full-immersion nell’intero programma dell’ultimo anno, di cui mi resi presto conto di non conoscere un accidente. Non ero mai stato un bravo studente, e ad una sola settimana dall’inizio delle prove mi ero accorto che non mi sarebbe rimasto che fare soltanto una cosa: studiare. Quindi avevo deciso di mettermi sotto coi libri ed assimilare il più possibile in quei sette giorni, così da poter fare una figura più o meno decente alle prove scritte e a quella orale. Speravo di raggiungere almeno la sufficienza, che mi avrebbe evitato di ripetere l’anno, ed ero disposto a tutto pur di ottenerla, persino studiare quei grossi tomi dal contenuto incomprensibile al mio cervello.
Distolsi un momento l’attenzione dal libro di biologia per farlo vagare sulla catasta di altri libri ad un lato della scrivania, e sospirai sconsolato.
Non ce la farò mai.
Avrei voluto essere per una volta il mio fratello gemello, così intelligente e dedito allo studio da riuscire a superare due sessioni d’esame anziché una col minimo sforzo. Ero certo che lui conoscesse a memoria il contenuto di quei libri, e quando scartai l’idea di convincerlo a clonarsi per affrontare anche i miei esami, decisi che potevo chiedergli un aiutino.
Quindi mi alzai dalla sedia girevole, nuovamente animato, ed uscii dalla mia stanza per raggiungere quella opposta alla mia, appartenente a mio fratello.
Speravo davvero potesse aiutarmi. Con il suo aiuto sarei senza dubbio riuscito a capire qualcosa di quelle pagine scritte in arabo, e anche se chiedergli aiuto significava ammettere le mie difficoltà e sorbirmi le sue prediche e i suoi “te l’avevo detto” per tutto il tempo, ero disposto a mordermi la lingua e fare questo piccolo sforzo, affinché la mia carriera scolastica ne uscisse – quasi – indenne. 
Avevo inoltre pensato a Stephanie come tutor per il mio studio, ma gli impegni con gli ultimi preparativi del ballo e il suo stesso studio la rendevano inaccessibile ai miei desideri e capricci, così mi ero rassegnato a svolgere quel grande passo da solo. Oltretutto, non ero affatto convinto che stare a stretto contatto con lei avrebbe portato grandi frutti, visto che tendevo a distrarmi facilmente in sua compagnia. Sapevo benissimo che le nostre sessioni di studio sarebbero terminate con baci o sesso, e preferivo accantonare certi privilegi per il momento, ritardandoli a quando avrei almeno imparato la struttura dell’apparato cardiovascolare.
Respirai profondamente quando fui davanti alla stanza e, stranamente dalle mie abitudini, bussai piano alla porta. Mi conveniva essere gentile e cordiale con mio fratello, oppure avrei potuto sognarmi che lui mi aiutasse.
Dall’interno della stanza non percepii nessuna voce. Del tono annoiato di Martin o dei suoi sbuffi nemmeno la traccia, ma solo un disarmante silenzio provenire da essa. Provai a bussare nuovamente e chiamare il suo nome, ma nessuno mi rispondeva. Il pensiero che Martin non potesse essere in camera sua mi balenò nella mente per un attimo ma lo accantonai, ripetendomi che era praticamente impossibile che mio fratello non fosse a studiare, visto che era quello che ormai faceva tutti i pomeriggi da quando lo conoscevo.
Preoccupato, spinsi poco indietro la porta in legno senza fare troppo rumore, mentre tenevo i libri stretti al fianco con l’altro braccio, e mi inoltrai piano e cautamente all’interno della sua stanza. Questa era completamente buia, e dovetti strizzare gli occhi per poter mettere a fuoco la figura di un ragazzo sul letto ad un piazza e mezza al centro della stanza, che successivamente riconobbi come mio fratello.
Tutto quel buio dava un’aria decisamente tetra alla situazione, ma quando mi avvicinai per scorgere meglio i tratti del suo viso, lo scoprii dormiente. Se ne stava steso su un fianco e aveva l’espressione del viso rilassata, e il suo respiro regolare e il suo leggero russare mi avvertì che doveva essersi addormentato da un bel po’, visto che non mi aveva nemmeno sentito bussare o chiamarlo.
Sembrava incredibile ma mio fratello, il mio paranoico fratellino, stava davvero dormendo beatamente, nonostante mancassero solo sette giorni all’inizio degli esami e lui fosse in sé per sé la persona più ansiosa e nervosa che avessi mai conosciuto. Ma comunque, anche l’unica persona che potesse concedersi un sonnellino durante quel periodo di tensione.
Mi rassegnai a lasciarlo dormire ed uscii dalla sua camera facendo attenzione allo scricchiolare delle scarpe non svegliarlo, e quando fui fuori mi lasciai andare ad un sospiro esasperato. A questo punto, visto che Martin poteva considerarsi del tutto inutile al mio caso, non mi restava che aggrapparmi a Stephanie.
Tornai nella mia stanza e posai i libri sulla scrivania pesantemente, per poi recuperare il cellulare e lasciarmi cadere sul letto, mentre digitavo il suo numero e portavo il ricevitore all’orecchio.
Restai col cellulare attaccato all’orecchio, in attesa, ma quando la chiamata attaccò con la segreteria telefonica lo allontanai, premendo la cornetta rossa per terminare la telefonata. Diedi un lieve scorcio alla mia memoria per trovare l’impegno che l’aveva probabilmente tenuta a spegnere il cellulare, e mi ricordai che proprio quel pomeriggio lei e le ragazze avevano l’ultimo incontro alla palestra, per studiare nel dettaglio la scaletta del ballo e porre rimedio a qualsivoglia contrattempo. Mi ero persino offerto di aiutarla, ma lei aveva ribadito che il mio studio aveva la priorità al momento, e pertanto le sarebbe piaciuto sapermi a casa a studiare, anziché ronzarle attorno. Le avevo promesso che avrei fatto il mio meglio per superare quelle prove, e lei aveva riposto la sua totale fiducia in me, ed ecco perché in gran parte sentivo di tenerci particolarmente: non volevo essere una delusione per lei.
Viste le mie difficoltà e la completa inutilità di mio fratello, però, mi vedevo costretto a chiederle aiuto. E al diavolo i miei capricci, avrei tenuto duro e dato il mio meglio per riuscire a studiare, perché lei potesse essere orgogliosa di me.
Infilai frettolosamente i libri nella tracolla e scesi le scale, apprestandomi a salutare mia madre per poi sgusciare fuori di casa, assicurandole che sarei tornato per l’ora di pranzo.
Mi inoltrai in strada e decisi che potevo fare una passeggiata sino a scuola quella volta, dato che non avevo fretta e Stephanie non mi avrebbe prestato attenzione prima delle sei, orario in cui le altre ragazze andavano via. Quindi camminavo a passo moderato, godendomi il sole di giugno battere sulla mia pelle.
Mi trovai a pensare che mancavano solo due giorni al ballo di fine anno. Stephanie l’aveva organizzato con così tanto impegno che alla fine era riuscita davvero a trasformare la palestra in una sala elegante e raffinata e, contrariamente a quello che avrei pensato in un passato remoto, ero esaltato all’idea di trascorrervi la serata tra due giorni. Vi avrei portato la mia ragazza, ed ero intenzionato ad essere il gentleman che l’occasione richiedeva: l’avrei trattata come una principessa per quella sera, non avrei avuto occhi che per lei, e l’avrei trascinata sulla pista da ballo ogni volta che se ne sarebbe stata in disparte, facendole trascorrere una delle serate più magiche e piacevoli della sua vita, come era da tradizione la sera del ballo scolastico.
Mentre camminavo verso la scuola mi appuntai nella mente di noleggiare uno smoking o qualcosa di simile, magari da abbinare al suo vestito. Non avevo idea di come avesse deciso di vestirsi, non ne avevamo parlato o forse avevamo entrambi dimenticato l’evento, ma gliel’avrei chiesto non appena avessimo avuto un attimo di tranquillità.
Arrivato a destinazione, spalancai il portone all’ingresso e presi a camminare per i corridoi con una meta precisa, che si trovava infondo al secondo corridoio a destra.
Mi fermai davanti all’ingresso notai e luci all’interno della sala ancora accese, segno che vi era qualcuno all’interno. Controllai l’orologio, e appurai che Tina, Zoe e Kelsey dovevano essersene appena andate, così spinsi il portone e mi addentrai nella palestra, sicuro che avrei trovato Stephanie lì, a crogiolarsi sull’ultimo dettaglio affinché tutto fosse perfetto e secondo le sue aspettative.
Mi guardai intorno e sorrisi automaticamente, notando l’intero abitacolo decorato e adornato a festa. Le ragazze avevano fatto davvero un ottimo lavoro, e l’idea che presto quella sala sarebbe stata invasa da studenti mi solleticò la mente, lasciando che il mio sorriso si ampliasse.
Stephanie uscì fuori da sotto una lunga tovaglia di colore blu elettrico, che aveva sistemato sul tavolo del buffet in modo da dare un’impressione iniziale. Sorrisi istintivamente alla sua vista e decisi di avvicinarmi cauto per farle una sorpresa, dato che non aveva ancora notato la mia presenza.
Posai delicatamente la tracolla sul pavimento e camminai quatto quatto verso la sua direzione, cercando di fare il meno rumore possibile, fin quando non le fui abbastanza vicino da afferrarla per la vita e stringerla al mio petto, libero di poter tornare a respirare il suo profumo.
La sentii sussultare e sobbalzare sul posto, colta di sorpresa, quindi la strinsi più forte e lasciai entrambi a dondolare, schioccandole poi un sonoro bacio sulla guancia. «Ciao piccola mia» sussurrai dolcemente al suo orecchio il mio abituale saluto.
Stephanie si irrigidì leggermente quando capii che ero stata io a stringerla, e si lasciò cullare per qualche secondo, sospirando impercettibilmente. Mi sembrò quasi avesse trattenuto il respiro, ma non vi diedi importanza.
Allentai la presa sul suo busto e mi allontanai di poco, per poter passare di fronte a lei. «So che studiare insieme non è una buona idea, ma ho un disperato bisogno di te.» le spiegai, usando il tono di voce più dolce che riuscissi a imitare; «Non riuscivo a studiare, e così ho pensato di chiedere a Martin di aiutarmi, ma quando sono andato in camera sua dormiva, perciò…» mi bloccai, osservando attentamente l’espressione del suo viso. Sembrava assente, irrequieta, e per alcuni tratti triste, e notai che non aveva puntato lo sguardo sul mio nemmeno per un secondo, preferendo tenerlo fisso su alcune cianfrusaglie all’angolo della stanza. Mi avvicinai ulteriormente a lei e «Steph, va tutto bene?» mormorai preoccupato, ponendo una della mie mani sul suo braccio.
Lei volse automaticamente lo sguardo sulla mano che l’aveva sfiorata, ed ebbi come l’impressione di vedere le sue labbra tremare. Scrollò la spalla così da allontanare la mia mano ed abbassò lo sguardo, prendendo a fare qualche passo agitata. Si portò una mano tra i capelli, paonazza in volto.
«No, non va per bene per niente.» mormorò nervosa, continuando a passarsi le dita tra i capelli e camminare sul posto, quasi fosse sull’orlo di una crisi di nervi. Alzò lo sguardo sul mio, e quando notai i suoi occhi essersi fatti lucidi, capii che c’era sicuramente qualcosa che non andava.
Tentai di avvicinarmi a lei, perplesso da quel comportamento, ma Stephanie fece un altro passo indietro, suggerendomi coi palmi della mani di non avvicinarmi oltre. Scosse la testa agitata e «Io non so con quale coraggio tu possa venire qui e comportarti come se non fosse successo nulla, ma io non ne ho intenzione» disse tra qualche balbettio, scuotendo la testa ritmicamente e deglutendo a vuoto.
Corrugai la fronte, confuso. «Di cosa parli?» le chiesi, osservando attentamente quegli atteggiamenti. Non l’avevo mai vista comportarsi in quel modo, e non potevo fare a meno di preoccuparmi e chiedermi cosa diavolo fosse successo tanto da sconcertarla in quella maniera.
Assottigliò le labbra in un mezzo sorriso derisorio, poi tornò a guardarmi. «So tutto, Zack» parlò, fissandomi coi suoi grandi occhi accusatori, «So tutto quanto quello che fai quando non siamo insieme.».
Stavolta esibii un’espressione ancora più confusa della precedente se possibile, e passai in rassegna ogni idea il mio cervello mi suggerisse, per poi vederne una lampeggiare minacciosamente nella mia testa.
Mi rabbuiai d’istinto, e preferii abbassare lo sguardo per non sostenere il suo, deglutendo.
Come aveva fatto a scoprire di Sarah? Chi gliel’aveva raccontato, e da quanto ne era a conoscenza? Doveva averci dato parecchio peso, visto che quella a cui stavo assistendo era una vera e propria scenata. Il solo pensiero che Sarah potesse averle spifferato tutto solo per farmi un danno mi riempì di rabbia e mi portò a premere le unghie contro la carne della mia pelle in un pugno, il desiderio crescente di sputarle in faccia il mio astio nei suoi confronti.
C’era qualcosa, però, che non quadrava in quella versione. Non vedevo Sarah da molto prima che noi due avessimo cominciato a frequentarci, e pertanto Stephanie non poteva farmi una colpa di qualcosa che avevo fatto in precedenza, a meno che lei non avesse alterato la versione dei fatti.
Alzai lo sguardo su di lei e feci qualche passo avanti nonostante le sue raccomandazioni, deciso a convincerla che niente di quello che aveva scoperto era vero, o almeno solo una piccola parte. «Ascolta» cominciai, portando le mie mani alle sue braccia, «qualsiasi cosa ti abbiano detto, non è assolutamente…».
«Non m’importa delle tue scuse, Zack!» mi interruppe, prorompendo in un pianto liberatorio che la portò a strattonarsi nuovamente dalla mia presa. «Non m’importa di quello che hai da dire, non m’importa delle tue fottute promesse e delle tue parole, che hai appena mandato a fanculo!» urlò tra i singhiozzi e le lacrime.
Rimasi a fissarla dare di matto, inerme davanti alla sua sfuriata. Avrei voluto parlarle, spiegarle com’era andata davvero, ma Stephanie continuava a sfogarsi e a gridare, forte, e non mi avrebbe mai permesso di parlarle, per cui cosa potevo fare io, oltre ad assistere in silenzio? Sapevo di avere torto, sapevo di aver sbagliato, e avevo appena capito che quello sbaglio mi sarebbe costato la sua fiducia e la sua amicizia. Qualsiasi cosa pensassi a quel punto per riuscire a calmarla mi sembrava del tutto inutile, ed ero quasi caduto in uno stato di semi-shock, mentre lei continuava ad urlarmi addosso il suo disprezzo.
Quelle parole, quelle lacrime, quei singhiozzi, erano tutto ciò che avevo sempre temuto. Mai avrei voluto sentire la sua bocca pronunciare certe frasi, e desideravo ardentemente che tutto quello fosse solo un incubo, uno stupidissimo incubo, e che al risveglio l’avrei trovata al mio fianco, addormentata tranquillamente al mio petto. Ma sapevo di stare solo sognando, perché quelle grida e quelle parole erano troppo reali per permettermi di rifugiarmi nei miei pensieri, dove stavo lentamente pentendomi di tutto ciò che avevo fatto e ripercorrendo ogni momento dell’ultimo mese passato insieme a lei, con la strana e amara consapevolezza che di quei attimi di felicità ne sarebbe rimasto solo un meraviglioso ricordo.
«E sai cosa?» mormorò, con gli occhi colmi di lacrime e la voce strozzata in gola «Non mi importa più nemmeno niente di te.».
Singhiozzò e tirò su col naso, e non opposi resistenza quando volle raccogliere le sue cose ed andarsene, fuggire da me, sentendomi svuotato di un importante pezzo della mia vita non appena lei aveva varcato la soglia.
 
Lo sbattere di alcune pentole mi aveva inevitabilmente destato dal sonno. Sbuffai annoiato e premetti il viso contro il cuscino, nella speranza che quei rumori si affievolissero ed io potessi tornare a dormire tranquillamente.
Ci avevo messo parecchio ad addormentarmi, ed era stato l’unico metodo che ero riuscito a trovare pur di smettere di pensare, e cercare di rilassarmi.
Gli esami erano imminenti, e nonostante sapessi che rimuginare sull’intera situazione non facesse che peggiorarla, non potevo farne a meno. Tutto quello a cui riuscivo a pensare era Emma, il suo viso, lo stupore sul suo viso quando l’avevo baciata, e il terribile silenzio con cui mi aveva lasciato andare via, senza darmi la possibilità di parlarle.
Avevo deciso, per una volta nella mia vita, di abbandonare il mio lato razionale e agire d’istinto, e quello che ne era venuto fuori era la prova di quanto poco si adattasse a me quel tipo di azioni. Avrei dovuto rifletterci almeno un altro po’, trattenermi, contare fino a cento prima di compiere quello che avevo fatto, ma la verità era che non ce la facevo. Dopo anni passati ad osservarla da lontano, sentivo di non essere più di grado di limitarmi a quello, di amarla nella mia esclusiva autonomia, e avevo il bisogno di mostrarmi a lei per quello ch’ero davvero, per quelli che erano i miei veri sentimenti. Il risultato, come volevasi dimostrare, era stato un completo disastro, e per quanto ci provassi non riuscivo a togliermelo dalla testa.
Quando diedi un’occhiata all’orologio e constatai che fosse quasi l’ora di cena, capii perché mia madre non avrebbe smesso di arrecare rumore con le pentole. Probabilmente ne aveva fatte cadere alcune, perché avvertii la sua voce irritata seguire il tonfo delle padelle.
Rassegnato all’idea che non sarei riuscito a riaddormentarmi, decisi che era giunto il momento di mettermi in piedi. Mi alzai dal letto e infilai le ciabatte, stiracchiando le ossa e sbadigliando. Mi recai verso l’interruttore della luce e lo pigiai, in modo da donare un po’ di luce al buio di quella stanza.
I libri di scuola giacevano dimenticati sul tappeto, ma non avevo né la voglia né la forza per studiare. Ci avevo provato in un primo momento, ma tutto quanto mi era sembrato completamente inutile e privo di senso, e così mi ero lasciato andare ad un sonnellino liberatorio. Persino la tv non riusciva a placare i miei pensieri, e ora che ero sveglio la mia mente non poteva fare a meno di rievocare cattivi ricordi, ed io non potevo restarmene stravaccato sul divano a lasciarmi sopraffare e ad assumere un atteggiamento apatico.
Come la sera della partita, esattamente dopo aver fatto un solo passo fuori da casa di Emma, sentivo il bisogno di avere Stephanie accanto. Quella sera ero del tutto sconvolto, sconcertato, e non mi ero fatto scrupoli a contattarla e chiedere la sua compagnia, perché sapevo che, anche se il nostro rapporto negli ultimi giorni non era stato dei migliori, non avrebbe rifiutato di soccorrermi e stare al mio fianco. Infondo era la mia migliore amica, la persona di cui maggiormente mi fidassi e quella a cui tenevo più di tutto, ed ero sicuro che sarebbe corsa per aiutarmi. Lo faceva da anni, e quella volta non sarebbe stato diverso.
Non le telefonai o le inviai un messaggio per avvertirla del mio arrivo, sicuro che l’avrei trovata in casa all’ora di cena, ed uscii da casa disposto soltanto del cellulare.
Se pensavo al modo in cui mi ero presentato a lei qualche sera prima, disperato e con gli occhi colmi di lacrime, mi rendevo conto di quanto il mio stato fosse stato pietoso. Ed era bastato un semplice rifiuto dalla ragazza che amavo a ridurmi in quel modo. Mi sentivo vuoto, ed avevo finito per diventare un sociopatico in casa, ed era per questo che più di qualsiasi altra cosa avevo bisogno di evadere e rifugiarmi da Stephanie.
Quando arrivai a casa sua, ad accogliermi fu sua madre. Mi salutò col suo abituale sorriso e mi invitò ad entrare, avvertendomi che Stephanie era in camera sua. Le sorrisi e la ringraziai dell’informazione, poi mi inoltrai piano verso l’ultima stanza del corridoio a destra,  bussando alla porta quando vi fui davanti.
Una voce sottile sibilò un flebile “avanti”, e così spinsi la porta di legno indietro, lasciandomi entrare. La richiusi alle spalle quasi immediatamente onde evitare che suo fratello Chris vi si intrufolasse, com’era successo qualche volta. Stephanie detestava che lo facesse.
La mia migliore amica se ne stava distesa sul letto a pancia in giù come un relitto, a stringere il cuscino con le braccia. Ebbi una lieve sensazione di déjà-vu quando vidi i suoi libri stare sulla scrivania, completamente intatti. Era chiaro che non avesse nemmeno provato a studiare.
«Hey» la salutai, fingendo un piccolo sorriso. Lei comunque teneva il volto premuto contro il cuscino, perciò non poteva vedermi. Mi avvicinai e mi sedetti ad un lato del suo letto accanto a lei, cercando di non darle troppo fastidio.
«Martin» mormorò lei, quasi si stesse accertando fossi davvero io «Non sono sicura di essere in grado di poterti vedere, in questo momento».
Aggrottai la fronte, confuso. Possibile che fosse ancora arrabbiata con me? Mi pareva impossibile, visto che la scorsa sera ci aveva riuniti nuovamente, e così «Perché?» domandai, perplesso.
La sentii inspirare fortemente, subito dopo muovere il materasso, segno che lei stessa si stava muovendo. Si mise su un fianco per potermi guardare, e la mia attenzione fu immediatamente catturata dalla sua mano, che passò sui suoi occhi, tirando sul col naso. Sembrava stesse piangendo.
«Cos’è successo?» chiesi preoccupato, portando una mia mano a passarle istintivamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Deglutì e passò ancora le dita sugli occhi, poi posò un braccio a premere contro il materasso, in modo da mantenersi sollevata. «Credo di non potertelo dire, se prima non ti racconto una storia.».
Restai a guardarla con l’aria disorientata, chiedendomi cosa fosse successo e di quale storia stesse parlando, finché per la mia mente passò un unico pensiero. Sospirai, socchiusi gli occhi per un momento e scossi la testa, interrompendo qualsiasi parola stesse uscendo dalla sua bocca. «Se vuoi parlarmi di te e Zack, sappi che non ce n’è bisogno.»
L’espressione di Stephanie si trasformò da mesta e amareggiata a sorpresa, stupita. Sgranò gli occhi e schiuse la bocca, senza smettere di guardarmi. «T-tu… tu come..?»
«Non chiedermi come l’abbia scoperto, ma lo so.» la precedetti.
«E perché non me ne hai mai parlato?»
«Perché, tu?» controbattei, con un tono di voce leggermente irritato, «Perché non me ne hai parlato? Sono il tuo migliore amico e lui è mio fratello, credo che ne avrei avuto il più che pieno diritto!»
Le mie parole dovettero colpirla, perché si rabbuiò quasi immediatamente, abbassando lo sguardo e prendendo  a giocare con le dita della mani, fingendo che il suo fosse solo un guardarsi intorno e non un evitare il mio sguardo. Dovevo aver fatto riaffiorare i suoi sensi di colpa, e mi sentii un vero schifo quando avvertii le sue labbra tremare. Riconoscevo quel gesto, lo faceva ogni volta che era tesa e stava per scoppiare in un pianto.
«Non ce l’ho con te, Steph.» le strinsi quindi un braccio attorno alle spalle, attirandola al mio petto, «Capisco che dirmelo possa essere stato difficile per te, e non te ne sto facendo una colpa. Infondo ho avuto la stessa identica reazione che tu t’eri immaginata, allontanandomi da te come uno stupido.»
Si accoccolò al mio petto ed alzò lo sguardo sul mio. «E’ per questo che non mi hai parlato per così tanto tempo?»
Annuii, prendendo ad accarezzarle delicatamente la schiena. «Ero confuso, quasi sotto shock, e non riuscivo ad accettare che voi due poteste avermi nascosto una cosa simile, quindi sono stato un po’ assente, agendo come un bambino. Mi dispiace.»
Fece di no con la testa, contraddicendomi. «Ho sbagliato io a tenermi questa cosa per me.»; fece una pausa, sospirando, «Avrei voluto dirti tutto, ma avevo paura che non avresti accettato…» disse con tono basso, come lo era il suo sguardo adesso.
«E avevi ragione, non l’avrei accettato.» annuii, concorde «Ma avrei provato a capire. Infondo siete due delle persone che mi sono più care, se siete felici a me va bene, non sono nessuno per impedirvi di stare insieme.»
Anche se immaginare Zack e Stephanie insieme era una delle cose che mai mi sarei sognato di vedere, non mi restava che accettarlo. Se loro stessi avevano deciso di stare insieme un motivo doveva esserci, ed io non avrei potuto mettermi in mezzo e creare così un problema, perché avrebbero finito con l’anteporre la mia felicità alla loro, e non potevo permettergli di accantonare il loro rapporto, amore, o qualsiasi cosa ci fosse tra loro solo perché a me non andava bene. Mi bastava solo che entrambi fossero felici, l’una con l’altra.
Stephanie esibì un mezzo sorriso triste. «Non dovrai preoccuparti di niente, perché non credo che staremo insieme ancora…» mormorò, stringendo appena la presa sulla mia vita. «L’ho lasciato poche ore fa.» spiegò infine, sebbene sospettassi che ammetterlo le avesse causato una piccola lacrima.
Sgranai occhi e bocca sorpreso, e «Perché?» chiesi spiegazioni. Proprio ora che stavo cercando di abituarmi a loro due insieme, le cose si erano capovolte e quel “loro” non esisteva più, almeno a come diceva Stephanie.
Ne seguì un piccolo periodo di assoluto silenzio, in cui pensai che ricordare per Stephie si stesse rivelando difficile, ma infine parlò. «La sera della partita, mentre ero con te in corridoio…» cominciò, mentre io riportavo alla mente quella sera e quell’esatto momento «Le porte della palestra si sono aperte, e quando mi sono affacciata per vedere chi vi fosse uscito lui era lì, a baciare un’altra.»
Dovetti assumere l’espressione di uno a cui avevano appena raccontato di aver visto gli alieni, perché non riuscivo proprio a credere a ciò che Stephanie mi aveva appena detto.
Zack l’aveva tradita. L’aveva tradita e l’aveva trattata come lui di solito trattava le sue ragazze, con superficialità e disinteresse. Eppure per quanto mi sforzassi di immaginarmi la scena, tutto mi sembrava sbagliato, impensabile. Io stesso avevo notato la differenza di umore di mio fratello da quando stava con lei, e non riuscivo a credere che l’avesse fatto davvero, che avesse davvero tradito la sua fiducia in quel modo e rovinato il loro rapporto, al quale mi sembrava tenesse moltissimo.
Tuttavia, una certa dose di rabbia e disprezzo non poté fare a meno di manifestarsi e fluire nelle mie vene, tanto che non mi ero neppure accorto di aver chiuso le mani in pugni. Ero arrabbiato, furioso, e giurai che appena l’avrei visto gliene avrei dette di tutti i colori, perché se c’era una cosa che non doveva assolutamente fare e di cui non avevo avuto la possibilità di avvertirlo, era che non avrebbe dovuto farla soffrire. Invece Stephanie piangeva,  stava male, e mi stringeva quasi fossi la sua unica ancora di salvezza.
Ma avevo anche notato i cambiamenti che Stephanie aveva avuto in quel periodo. Era quasi sempre di buon umore, sembrava aver sviluppato una certa nota di ottimismo e di positività che non mi sarei mai aspettato da lei, ed ero certo che Zack l’avesse fatta stare bene, bene davvero e per la prima volta. Lei stessa sembrava essersi addolcita, sollevata, come se mio fratello l’avesse aiutata a distruggere quel muro che aveva installato e che impediva ai suoi sentimenti di mostrarsi davvero, alleggerendo le sue giornate.
E’ per questo che «Ma tu lo ami.» affermai con convinzione.
Quella mia affermazione peggiorò la situazione, perché dovette socchiudere gli occhi per evitare di piangere, come se sentirlo pronunciare ad alta voce e da un’altra persona facesse molto più male che pensarlo solamente.
Annuii, esattamente secondo le mie aspettative. «Ma che senso ha amare una persona se quella non ti ricambia?»
Pensai a quelle parole. Già, che senso aveva amare se non si è amati di rimando?
Che senso aveva che Stephanie continuasse ad amare Zack se lui non vi aveva dato il minimo peso, tradendola e distruggendola sentimentalmente? Era completamente inutile, ci si avrebbe ricavato soltanto un’enorme dose di sofferenza. Sofferenza che avrebbe finito col demolirti, fisicamente e mentalmente, finché non saresti riuscito a dimenticare e cambiare pagina. Quello era esattamente ciò che ci voleva, dimenticare tutto quanto e cambiare pagina, libro, qualsiasi cosa avessi costruito nel periodo in cui quell’amore ti era sembrato ricambiato.
Ed era quello che anch’io avrei dovuto fare. Porre un enorme mattone sull’importante capitolo della mia vita che era Emma, dimenticarla. Ed avrei fatto di tutto, purché sia io che Stephanie ci riuscissimo, insieme.

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D'accordo, so che probabilmente vorrete uccidermi, ma devo avvisarvi di una cosa.... 
Mancano solo uno o due capitoli sul ballo, più epilogo, e questa fanfiction avrà una fine. Non mi sembrava vero, e invece... 
Purtroppo, ora che siamo alla fine, non mi tocca che distruggere le coppie. E questi sono senza dubbio i capitoli più difficili che abbia mai scritto, persino a me dispiace scriverli. Ma devo, perciò... 
Comunque, le cose non andranno male per sempre. Posso darvi la conferma che si risolveranno e troveranno la loro pace :)
Intanto, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e, come al solito, alla prossima!


 
 
  
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