Retrace I: Locked in a Cage.
Kuroko si
trovava a casa di Akashi, seduto di fronte a lui e con una tazza di tè fumante
tra le mani, tuttavia non aveva ancora ben chiaro come fosse potuta succedere
una cosa del genere.
No, in
realtà lo sapeva fin troppo bene, solo che faceva ancora fatica a metabolizzare
l’accaduto: quella mattina a scuola il ragazzo lo aveva fermato nel corridoio e
lo aveva invitato a casa sua nel pomeriggio, senza neanche un minimo accenno al
motivo di quella richiesta.
Non era riuscito
a nascondere tutta la sua riluttanza, dopotutto si conoscevano da pochissimo e
nonostante Akashi lo avesse aiutato ad entrare in prima squadra, non si sentiva
ancora così tanto in confidenza con lui da accettare, ma rifiutare sarebbe
stato maleducato, no?
Alla fine
non gli era restato che accettare, anche perché quello di Akashi più che un
invito era sembrato un vero e proprio ordine, ma avrebbe anche potuto
sbagliarsi.
Scacciò
quei pensieri dalla sua mente e tornò alla realtà in cui era davvero a casa del
compagno di squadra; bevve un generoso sorso dalla sua tazza, osservando Akashi
di sottecchi, cercando di capire quale potesse essere il suo scopo.
«Sono molto
interessato alla tua Misdirection» rivelò infine Akashi, guardandolo con
attenzione.
Non disse
nulla, come ad esortarlo ad andare avanti, cominciando a sentirsi abbastanza
incuriosito.
«Unito alla
tua poca presenza può trasformarsi in un’arma invincibile, non solo per quanto
riguarda il Basket, anzi, sarebbe un peccato sprecare il tuo talento
limitandolo allo sport».
Kuroko
venne colto da un brutto presentimento, tuttavia non se ne preoccupò più di
tanto, dopotutto stava solo parlando con Akashi.
Certo, gli
sembrava strano che l’avesse invitato da lui solo per parlare della sua
Misdirection e in più non capiva proprio in che altro ambito avrebbe potuta
usarla, ma decise di scacciare del tutto quella brutta sensazione che sentiva
sottopelle, tacciandosi di essere paranoico: Akashi si era sempre comportato in
modo più che corretto con lui e non c’era nulla che potesse fargli pensare che
questa volta sarebbe stato diverso.
Il ragazzo
dovette intuire in parte i suoi pensieri e gli dedicò un sorriso di
circostanza,
«Tetsuya,
ti piacerebbe aiutare i tuoi genitori? Mi sembra che la vostra situazione
economica sia a dir poco disastrosa» disse seriamente, lasciando ancora a
Kuroko l’impressione che più che una proposta fosse un’ingiunzione.
Sgranò gli
occhi per lo stupore, ma si impose di non abbassare lo sguardo.
“Come fa a sapere una cosa del
genere?” pensò,
esitante.
«Io so
tutto, Tetsuya, sempre».
«Akashi-kun,
ho molto da studiare per domani. Se non ti dispiace, tolgo il disturbo» disse
con tutta la cortesia di cui era capace, facendo per alzarsi.
Non fece in
tempo, Akashi riprese subito il discorso e lui si ritrovò costretto dalla
propria educazione a non potersi muovere finché l’altro non avesse finito di
parlare.
«Devo
dedurne che non vuoi aiutare la tua famiglia ad uscire da questo periodo nero?»
domandò; il tono di voce era calmo, come se avesse la certezza assoluta di
avere la situazione in pugno. Non era solo un’impressione, Akashi era davvero
convinto che sarebbe riuscito a persuadere in poco tempo il compagno di squadra.
Kuroko dal
canto suo cominciava a sentirsi davvero infastidito dalla situazione e dovette
usare tutto il suo autocontrollo per impedirsi di consigliare ad Akashi di farsi gli affari suoi.
Quell’argomento
era il suo punto debole, odiava parlarne e non sopportava che gli venisse
rinfacciata la sua completa inutilità di fronte ad una situazione come quella
della sua famiglia.
Nonostante
ciò, il suo desiderio di aiutare ebbe la meglio sull’irritazione e si convinse
ad ascoltare fino in fondo ciò che l’altro aveva da dirgli.
“Insomma, se Akashi-kun potesse davvero
aiutarmi ad essere più utile per la mia famiglia, sarebbe stupido tirarsi
indietro” si disse, mordicchiandosi appena un labbro, per poi tornare a
concentrare tutta la sua attenzione su Akashi, che si permise un sorriso
compiaciuto
«Lasciami
premettere una cosa» esordì Seijuro, il tono di voce era diventato
all’improvviso mortalmente serio, «dal momento in cui ti farò la mia proposta, non
potrai rifiutare per nessun motivo al mondo, ma tieni presente che la mia
famiglia in uno schiocco di dita può annullare tutti i debiti della tua. Hai un
minuto per decidere se andartene o ascoltare cosa ho da dirti».
“Quindi non è nulla di legale…” pensò con un lieve sospiro. La
decisione, suo malgrado, l’aveva presa nel momento stesso in cui si era seduto
per la seconda volta su quella sedia.
Ormai non
poteva andarsene, sapendo di avere tra le mani una scappatoia per la sua
famiglia.
Quel minuto
concesso da Akashi passò in un’eternità, come se ogni secondo rintoccato
dall’orologio volesse metterlo in guardia su quanto stesse prendendo la strada
sbagliata.
Akashi
sorrise ancora, soddisfatto dalla piega che stava prendendo la situazione «hai
preso la decisione giusta».
“Comincio ad avere qualche dubbio al
riguardo” pensò, ma
si astenne dal dirlo.
«Allora,
Tetsuya, conosci l’associazione Amnesty?»
In quel
momento, Kuroko capì che la sua vita poteva considerarsi finita.
Era ovvio
che conoscesse l’associazione Amnesty, ma non credeva esistesse davvero,
pensava fosse una leggenda metropolitana.
Amnesty era
un’organizzazione di assassini che
operava con il benestare del governo Giapponese, benché non ci fossero prove
effettive della sua esistenza.
“Insomma, è
solo una storiella, no? Non può esistere davvero” si disse, deglutendo a
fatica. Qualcosa nello sguardo di Akashi gli fece pensare, per assurdo, che
forse poteva non essere solo una leggenda metropolitana, anche se ciò che
rimaneva del suo lato razionale urlava che non era per nulla possibile.
«Sì, dalla
tua faccia direi che la conosci» riprese Akashi, dopo aver osservato con
attenzione la sua espressione smarrita, «esiste davvero e la mia famiglia ne è
a capo».
Kuroko fece
per scostare la sedia e andarsene, ma bastò uno sguardo autoritario di Akashi
per congelarlo sul posto.
«Alzati da
quella sedia e lo prenderò come un rifiuto da parte tua ed allora non potrei
farti uscire vivo da questa stanza» disse, gelido, guardandolo dritto negli
occhi.
Si impose
la calma e prese di nuovo la tazza di tè, bevendone un sorso per dissimulare la
paura.
«La
capacità di non essere visto, di essere un’ombra,
è essenziale per un killer».
«Mi stai
proponendo di diventare un assassino?» chiese con cautela Kuroko, incerto su
cosa pensare.
Dopo la
premessa fatta da Akashi, si era immaginato di tutto, perfino che gli volesse
proporre di prostituirsi, ma una cosa del genere superava di gran lunga tutte
le cose assurde che gli erano passate per la mente.
«No,
Tetsuya, non te lo sto proponendo, te lo sto ordinando». Kuroko fece per
ribattere, indignato, ma Akashi lo fermò con un gesto della mano, «te l’ho
detto prima: ormai non puoi tirarti indietro se tieni alla tua vita».
«Akashi-kun,
tutto questo è assurdo. Non mi piacciono gli scherzi» Si alzò e fece per
uscire, quando un coltello si conficcò nella porta, a pochi centimetri da lui.
Si paralizzò subito, senza nemmeno il coraggio di girarsi verso l’altro.
«Non è uno
scherzo. Un altro passo verso quella porta ed il prossimo coltello ti colpirà
in pieno» disse Akashi, così tremendamente serio che non gli restò che tornare
a quella sedia per l’ennesima volta, avendo cura di tenere le mani sotto al
tavolo, per nascondere quanto tremassero.
Akashi lo
guardò per lunghi secondi, prima di lasciarsi andare ad un sospiro liberatorio,
rilassando le spalle «Meno male che sei un ragazzo intelligente, per un momento
ho creduto davvero di doverti uccidere e credimi, sarebbe stata una grossa
perdita per me».
Kuroko non
rispose nulla, limitandosi ad ascoltare Akashi, non osando abbassare la guardia
nemmeno per un secondo, nonostante la tensione nell’aria si fosse sciolta nel
momento stesso in cui l’altro si era rilassato.
«Posso
contare su di te, Tetsuya?»
Aveva davvero
scelta? No, ovviamente sapeva già di non averne. Se se
ne fosse andato, Akashi lo avrebbe ucciso–ormai su questo non aveva più dubbi-
e soprattutto non avrebbe potuto aiutare la sua famiglia. Se fosse restato,
sarebbe stato l’inizio del suo inferno personale, ma almeno avrebbe fatto
qualcosa di utile per i suoi genitori e per sua nonna; loro tre non avrebbero
mai più dovuto preoccuparsi di nulla.
«Puoi
fidarti, Akashi-kun» disse, deciso, nonostante l’assurdità di tutta quella
situazione.
«Bene».
[…]
Ormai era
una proprietà di Akashi.
Questo
pensiero lo sfiorò nel momento stesso in cui acconsentì alla sua proposta e si
odiò per aver concepito un’idea simile. Si ripromise che qualunque cosa fosse
successa da quel momento in poi, sarebbe appartenuto sempre e solo a se stesso.
Era bastata
una telefonata di pochi secondi, poi Akashi gli aveva comunicato che tutti i
debiti della sua famiglia erano stati estinti e che l’avrebbe condotto nel
luogo dove avrebbe fin da subito iniziato il suo addestramento.
Seguì
Akashi in quello che scoprì essere il quartier generale dell’Amnesty, un luogo
esposto in modo così eccessivo allo sguardo del mondo esterno da essere
ridicolo. Poi ci pensò meglio.
“Io stesso sono la prova che si tende ad
ignorare ciò che si ha sotto il naso” pensò, guardandosi attorno.
L’ambiente
era quasi del tutto spoglio, era tutto così bianco
e asettico da sembrare quasi un ospedale. C’erano solo corridoi infiniti e
scale, il tutto contornato da porte chiuse in cui lui non aveva il permesso di
entrare.
Akashi gli
spiegò che per il momento poteva avere accesso solo ai locali adibiti
all’addestramento, che si trovavano al livello più basso dell’edificio, a
diversi metri sotto terra.
Kuroko
non era mai stato claustrofobico o cose simili, ma l’idea di essere intrappolato sotto terra gli metteva i
brividi.
“E’ come se stessi
camminando verso la mia tomba”
si ritrovò a pensare mentre scendeva e scendeva gradini, non avendo nulla
avanti a sé se non la schiena di Akashi.
Infine,
Seijuro aprì la porta e lo trascinò all’interno della “palestra”. Anche in quella stanza regnava un candore così falso da
dargli il voltastomaco; le due pareti principali erano del tutto rivestite di
armi da ogni tipo ed il locale era diviso a zone: ogni zona era dedicata ad un
allenamento specifico.
Akashi
gli lasciò il tempo necessario a guardarsi attorno, poi gli fece cenno di
seguirlo e si avvicinò ad una pedana dove due ragazzi si stavano allenando nel
corpo a corpo; uno doveva avere circa venticinque anni e l’altro –quello che
stava avendo la meglio-notò strabiliato che doveva avere circa la sua età;
qualcosa, però, stonava in modo terribile, lo sguardo di quel ragazzo non aveva
nulla di umano. Aveva qualcosa di completamente folle, che al momento non
riuscì ad inquadrare. Si rese conto solo dopo, osservandolo mentre rompeva un
braccio al suo avversario, che quella scintilla di follia doveva essere causata
dall’evidente piacere che quel ragazzo provava nel provocare sofferenza.
Sbatté
con forza l’avversario a terra e gli premette un piede sulla gola, guardandolo
dall’alto con aria strafottente, «se questo non fosse un addestramento, potrei
ucciderti in questo istante» biascicò con un ghigno.
Akashi
guardò in modo grave il ragazzo steso a terra. «Tre missioni fallite su tre e
non riesci neanche a tenere testa ad un ragazzino» poi lo sguardo si posò
sull’altro, «Se vuoi puoi eliminarlo, è inutile per l’Amnesty».
Nemmeno
il tempo di un battito di ciglia che il piede del ragazzo si abbatté con così
tanta forza sul collo dell’altro da spezzarlo.
Kuroko
si impose di non indietreggiare, usando ogni minima goccia di autocontrollo.
Un
uomo era appena stato ucciso sotto i suoi occhi.
Un
uomo era stato ucciso e non solo lui non aveva potuto far nulla per impedirlo,
ma in quel momento si rese davvero conto di cosa significasse la sua presenza
lì. Da quel momento l’unico scopo della sua esistenza sarebbe stato quello di
togliere la vita agli altri.
«Lui
chi è? Altra spazzatura?»
Akashi
lanciò ad entrambi un’occhiata valutativa e poi si concesse qualche secondo
prima di rispondere. «Forse, no. Makoto, lui è Kuroko Tetsuya; Tetsuya, lui è
Hanamiya Makoto. Da oggi vi allenerete insieme».
Death Note:
Okay, questo capitolo è stato ri-pubblicato dopo che
quella santa donna di Rota mi ha aiutata (dopo mie suppliche xD) per quanto riguarda la forma e l’IC –ma anche certi
Orrori grammaticali che mi erano sfuggiti xD-
Quindi,
la ringrazio davvero tanto <3
Ringrazio
anche quella poveretta di _Doll, che è stata
costretta a leggere i capitoli nonostante il fandom
non le vada troppo a genio 3
Detto
questo… SONO UNA PERSONA SPREGIEVOLE.
E,
niente, vi amo tutti <3 *sparge fiorellini ovunque*