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Autore: deli98    25/06/2014    1 recensioni
Questa è una storia che si è ripetuta più volte e come vedrete ha sempre come protagonisti i due fratelli italici.
Chissà perché alla fine tendiamo a fare gli stessi errori, senza accorgersi di esserci già passati.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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10 giugno 1940: una data che vorrei dimenticare, il giorno in cui siamo entrati ufficialmente in guerra sotto il comando di Mussolini.
Con Feliciano ho discusso per mesi se entrare a far parte delle Forze dell' Asse o meno ed io ovviamente sono contrario, ma lui no e litighiamo ancora per questo, perchè sostiene gli ideali di Germania e così anche Mussolini, che si è convinto di poter vincere la guerra a fianco di Hitler nel giro di un anno. 
Sono impazziti tutti, secondo me.
Per festeggiare l'entrata in guerra Germania ci ha invitati tutti a casa sua. Un disastro completo dall'inizio alla fine.

-Dai Romano! Non farti supplicare! Esci di li!- E intanto mi strattona per la manica della giacca mentre sono seduto comodamente sul sedile della mia auto.
-Col cazzo! Vai pure senza di me, io resto qui ad aspettare.- Preferisco morire piuttosto che andare a quella stupidissima festa organizzata in nostro onore.
-Ma dai, non dire così! Mi avevi promesso che saresti venuto! Ricordatelo.- Già, è vero. Gli ho detto che sarei andato con lui a casa di Germania, ma solo perchè mi tormenta da settimane con storie del tipo "rappresentiamo un'unica nazione quindi devi venire anche tu" e per farlo stare zitto ho promesso. Solo che ora vorrei andarmene da questo posto: anche se è giugno è nuvoloso e tira un vento freddo che ti penetra tra le fibre dei tessuti facendoti venire i brividi.
-Uff. Va bene. Spero solo che sia rapido e indolore.- E sbuffando mi alzo e chiudo la portiera dietro di me. Ma mio fratello è felice, come sempre.
-Togliti quel cazzo di sorriso dalla faccia. Non c'è niente per cui essere felici.- Attraversiamo in silenzio il vialetto che porta ad una lussuosa villa situata nel 
centro della città tedesca. Dall' altra parte c'è la piazza gremita di gente che aspetta con ansia la comparsa del loro capo di stato per annunciare la buona (e tragica per me) notizia. Il giardino e l'atrio della villa sono controllati da soldati tedeschi che mi mettono i brividi. Ci fanno tutti il saluto con il braccio teso e alzato gridando "Heil Hitler", ma io non rispondo mai a quello stupido saluto, a differenza di Feliciano che lo ripete alla perfezione. Diciamo che rispondo a modo mio...
Dentro l'atrio ci sono Hitler e Mussolini circondati da ufficiali vestiti in alta divisa che sembrano discutere rilassati di argomenti che non centrano a nulla con
la guerra. Mi metto in disparte ad osservare la gente nell'atrio cercando la faccia di quel mangia-patate e noto che anche Feliciano fa altrettanto. Ad un tratto si lancia nella folla e ne riesce un minuto dopo con il bastardo tedesco sotto braccio, e sembra venire proprio nella mia direzione! No cazzo, non ora!
-Ti presento Romano, mio fratello.- E il crucco mi porge la mano per stringerla e per un attimo sono tentato di sputarci sopra, ma Feliciano sembra aver intercettato i miei pensieri, perchè incrociando il suo sguardo ho visto un'espressione di disapprovazione. E allora che mi resta da fare? Stringo la mano ma senza troppa convinzione.
-Io sono Ludwig, piacere.- E si presenta anche lui. Ma a me che importa di come si chiama? Feliciano sussurra due parole al suo orecchio e entrambi si allontanano scusandosi. E rimango da solo. Mi guardo intorno per cercare qualche faccia familiare, ma sono tutti tedeschi.
Dopo una decina di minuti viene trasmesso ad alta voce un messaggio ai due capi di stato dicendo di prepararsi per il discorso alla folla.
Siamo stati tutti invitati a recarci al secondo piano ed accomodarci in una sala con un grande balcone che si affaccia sulla piazza gremita di gente. 
Subito dopo hanno fatto il loro ingresso Hitler e Mussolini seguiti da Feliciano e Ludwig, e sono andati tutti e quattro dritti spediti verso il balcone, subito 
accolti dal boato della folla.
Mi sento escluso. Anche io dovrei essere su quel balcone con tutti gli altri! Ma allora perchè? Per tutto il tempo ripenso a questa domanda cercando di darle una risposta sensata, ma senza alcun risultato. Esigo delle spiegazioni.
Per primo c'è stato il lungo e a dir poco agghiacciante discorso di Hitler, insensato, inumano e ideali e speranze che non stano nè in cielo e nè in terra. 
Ma gli ufficiali presenti nella sala sembrano pendere dalle sue labbra. Mi sembrano tutti dei burattini senza anima e senza cuore.
Subito seguito del discorso di Mussolini, decisamente più rapido e conciso. Anche lui si è messo a sparare un mucchio di cazzate, e tutti approvano le sue parole.
Ma sono l'unico sano di mente qua dentro? Finito anche l'ultimo discorso, si sono trattenuti ancora un attimo sul balcone per essere ammirati per bene dalla folla festante. Quando rientrano vanno tutti spediti verso l'uscita. Incrocio lo sguardo di Feliciano, che si allontana senza aspettarmi e nei suoi occhi vedo quella pazzia che sembrano avere tutti e tanta superbia e superiorità, senza il suo perenne sorriso. Da quel momento ho capito di averlo perso per sempre.

Per tutto il resto della mattinata ho cercato di prenderlo in disparte per parlargli, ma lui non mi degna neanche di uno sguardo e continua ad ignorarmi. Ma cosa gli è preso? Perchè si comporta così tutto a un tratto? Che cazzo.
Aspetto il pranzo in modo tale da poterlo prendere in disparte più facilmente. Infatti mentre tutti prendono posto al lungo tavolo dell'enorme sala da pranzo, 
lo prendo per il braccio e lo trascino fuori quasi a forza fino all'atrio.
-Ma cosa fai? Sei impazzito per caso?- E mi rimprovera con un tono superbo nella voce. Non è più lui.
-Potrei farti la stessa domanda! Cosa ti è preso?- Ci sfidiamo a vicenda con lo sguardo e lui non demorde nemmeno per un secondo.
-Che cosa intendi?- Si fa sospettoso. Davvero non capisce?
-Perchè non mi hai fatto venire con te su quel maledetto balcone? Perchè mi ignori come se non esistessi? Perchè? Dimmelo.- Sto incominciano ad innervosirmi per quel suo sguardo strafottente che mi studia dall'alto al basso. Questo non è il mio dolce e ingenuo fratellino.
-Vuoi proprio saperlo?- fa una pausa e si mette a sghignazzare -Tu sei sempre stato contrario a questa guerra. Sei inutile e mi metteresti solo i bastoni tra le ruote.
Io vincerò questa guerra e la vincerò senza di te.- Gli spaccherei la faccia per quello che ha appena detto.
-Bene. Allora se le cose stanno così toglierò il disturbo all'istante. Ma fatti prima dire una cosa. TU DA ADESSO NON SEI PIÙ MIO FRATELLO. Non sei nessuno per me.
Non esisti. Prego perchè tu e la tua patata bastarda perdiate questa guerra. Maledico te e questa impresa assurda che vi siete messi in testa. Mi fai schifo. 
Non meriti di vivere! Non provi dei sentimenti? Niente? Non sei umano. Non meriteresti il paradiso e l'inferno sarebbe troppo poco. Buon appetito. Spero che ti vada tutto per traverso e che poi muori soffocato.- E che cazzo! Quello che penso l'ho detto senza esitare e lui è diventato tutto rosso per la rabbia. Gli sta solo bene.
-Vattene. Tornatene da dove sei venuto.- lo ha detto sibilando tra i denti. 
-Non aspettavo altro!- Alzo lo sguardo e vedo che alla finestra del primo piano c'è proprio la patata bastarda che ci guarda.
-C'è la fidanzata che ti aspetta al piano di sopra. Meglio non farla attendere, ti pare?- lo dico in tono provocatorio e ha proprio l'effetto che speravo: si è 
incavolato ancora di più.
-Cosa aspetti ad andare?- Adesso urla. No. Non è proprio mio fratello. Sento il cielo che tuona e si prepara per un temporale.
-Spero che un giorno il mio vero fratello torni indietro. Il nuovo Feliciano fa proprio schifo. Nazista.- detto questo gli sputo sullo stivale e in un certo senso mi pento di averlo fatto. Lui tira fuori la pistola e me la punta contro.
-Non farti più vedere!- So che non sparerà mai. Mi volto verso il viale e mi incammino verso la mia macchina. I soldati presenti non erano intervenuti assistendo alla sua sceneggiata.
-Heil Hitler!- urlano tutti in coro al mio passaggio.
-Che si fotta.- Rispondo a bassa voce. Ha incominciato a piovere e il cielo è diventato scuro come se stesse calado la sera.
Mentre attraverso il viale tutta la mia determinazione se ne va, lasciando posto alle lacrime e alla frustrazione. Entro in auto e metto subito in moto.
Dallo specchietto retrovisore vedo che Feliciano si sta voltando per rientrare nella villa e il crucco è scomparso dalla finestra.
-Che si fotta davvero.- cerco di concentrarmi sulla strada per non pensare troppo alla spiacevole conversazione appena finita.
Piango dalla rabbia e non tento nemmeno di fermare le lacrime. Lascio che scorrano liberamente fino all'ultima goccia. Ho tanti chilometri davanti a me da 
percorrere. Con il passare del tempo la rabbia se ne va, però continuano a girarmi in testa le parole che ci siamo scambiati. E poi mi riaffiora alla mente un ricordo lontano ma molto chiaro: siamo noi due da soli in una tenda, è già mattino ma c'è ancora la lampada ad olio accesa. Siamo entrambi su un letto di paglia, entrambi vestiti di rosso. E poi lui mi fa un giuramento dicendo che non mi abbandonerà mai, che saremo sempre insieme nel bene o nel male. E io gli credo, voglio credergli, perchè siamo fratelli e i fratelli si vogliono bene. O almeno dovrebbero. 
E infatti guarda come siamo uniti! Dov'è il nostro amore fraterno? Lui mi ha cacciato via dalla sua vita e io ho fatto altrettanto rinnegandolo.
Stringo più forte il volante dell'auto e schiaccio più a fondo l'acceleratore. All'improvviso mi è venuta una voglia irrefrenabile di tornarmene a casa.
Mi fermo poche volte per delle brevi soste e arrivo a Roma all'alba. La mia adorata città... lei non cambia mai.
Esco dall'abitacolo e sbatto la portiera. Non me ne frega un cazzo se qualcuno si sveglia. Entro in casa chiudendo la porta a chiave e stacco il telefono dalla 
corrente. Non voglio essere disturbato e raggiunto da nessuno per i prossimi mesi. Tanto adesso ho più nessuno a cui pensare, nessun parente stretto. Nessuno.
  
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