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Autore: YOUSHOULDLETMEBE    25/06/2014    1 recensioni
Le cinque protagoniste di Pretty little liars diventano le cinque protagoniste di Divergent.
***
Dal testo: «Io e te saremo sempre un porto sicuro in cui approdare, per quanto agitato possa essere il mare.»
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanna Marin
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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POV HANNA
 
Mi sveglio poco prima dell’alba e, quando il sonno non da segni di voler farsi sentire di nuovo, esco dal dormitorio silenziosamente prendendo i vestiti dal mio comodino.
Vado nel bagno e per la prima volta da quando sono qui lo trovo vuoto e silenzioso, tanto meglio.
Mi lavo e mi vesto con estrema lentezza e, quando il grande orologio nel corridoio che porta i trasfazione al pozzo rintocca le sette, lascio il bagno andando all’esplorazione della mia nuova grande casa.
Il pozzo è silenzioso poco meno del dormitorio; la vita degli intrepidi  non inizia prima delle dieci del mattino.
Il rumore dei miei passi è tutto ciò che riesco a sentire, oltre il lontano infrangersi delle onde sugli scogli, giù allo strapiombo, gioco con il bordo del mio vestito a campana nero quando sento una voce chiamare il mio nome.
Mi giro più lentamente del solito lasciando stare il tessuto tormentato e riconosco Alison che se ne sta in piedi a una decina di metri dalle mie spalle.
Anche alle otto di mattina è favolosa come sempre; guardo me, con il vestito sgualcito e i capelli scombinati, l’unico trucco che ho in viso sono gli aloni rimasti dalla sera prima: il mascara sbavato, l’ombra dell’eyeliner e il candido rossore sulle labbra che non mi sono preoccupata di rimuovere, né ‘sta mattina, né ieri sera. Mi sento imbarazzata dal mio aspetto ma poi decido che non me ne importa.
«Alison!» sorrido evidentemente avvicinandomi alla bionda che intanto mi viene incontro «Cosa ci fai qui?» la ragazza alza le spalle «Credo di essere l’unica intrepida mattutina» sussurra facendomi sfuggire una risatina «E tu?» mi chiede «Non avevo sonno» liquido la questione con un gesto noncurante della mano e poi mi passo le dita chiuse a pugno sotto gli occhi nella speranza di darmi un aspetto meno disgustoso eliminando i rimasugli di trucco sciolto.
«Tutto bene?» io annuisco poco convinta. Non mi ci sono mai soffermata, in queste ultime ore, su come mi sento, e per la prima volta mi ritrovo a pensarci davvero.
Come sto? Mi sento tradita, vorrei dire, tradita dalla mia migliore amica, dal mio punto fermo, dalla mia ancora.
Eppure mi sento anche felice, felice per tutta questa nuova vita, felice per aver conosciuto Aria, Spencer, Emily, Alison, Lucas e Caleb.
Caleb… Come potrei non essere felice se penso a lui? La vita mi ha dato l’opportunità di conoscere una persona buona, un coraggioso d’oro.
La mia nuova vita mi ha dato tanto, ma forse ho perso più di quanto ho guadagnato, forse dovrei provare a tenermi stretta la mia migliore amica perché è per lei se ho avuto l’opportunità di ricevere così tanto. Ma le persone cambiano, e lei sta cambiando, lo sento come sento il sole sulla pelle, lo sento come si sente il dolore quando ci si spezza un braccio o una gamba, e la Mona che sta diventando non è la mia migliore amica, non è la bambina con cui giocavo da piccola, non è nemmeno la ragazza con cui sono saltata sul treno, la ragazza per cui ho lasciato tutto, e quindi come posso stare bene? Come posso stare bene se sto perdendo lei? Lei che per me è tutto. Come posso stare bene se sto perdendo tutto e non faccio niente per non lasciarmelo scappare?
«Tutto bene» mento «E tu?» lei annuisce «Va tutto alla grande» sorride pensando a qualcos’altro «E perché va tutto così bene?» sorrido contagiata dalla sua allegria, lei scuote la testa «Lo saprai quando sarà tutto ufficiale, te lo prometto» sorride ancora di più, a trentadue denti «Io vado Han, ci vediamo dopo» nemmeno il tempo di salutarla che la bionda sta già correndo via.
«A dopo» sussurro quando ormai è troppo lontana per sentirmi, e me ne torno indietro, verso il bagno del dormitorio.
Ancora una volta lo trovo vuoto e silenzioso e ne approfitto per rifarmi il trucco sbavato.
Dieci minuti dopo, a lavoro finito, torno nel corridoio e indugio sulla porta del dormitorio, prima di lasciarla a se stessa e sedermi accanto al muro, sul pavimento di pietra freddo.
**
«Hanna! Hanna svegliati!» La voce di Spencer è ferma e risoluta, con una nota di preoccupazione.
Apro gli occhi a fatica e, dietro la ragazza che mi sta svegliando, ne noto un’altra, più bassa e meno snella, dai capelli e la pelle più scuri, Emily.
«Spence...» Mi guardo intorno grattandomi la testa con una mano, sono nel corridoio, appiattita a terra contro il muro, i capelli scombinati.
«Che ore sono?» Guardo in alto, dove so che troverò un orologio «Sono quasi le dieci Hanna, siamo state le prime a svegliarci» mi informa Emily dandomi un leggero senso di sollievo, nessun altro mi ha vista così.
**
Non appena entro nella palestra i miei occhi scrutano con foga la lavagna con i nomi dei ragazzi che si scontreranno tra loro.
Il mio è affiancato da quello di una ragazza bruna, bassina e con le spalle larghe, Maggie.
Fantastico, penso. Vincerò contro qualcuno di non troppo fragile, dimostrerò di cosa sono fatta.
Certo, preferirei  combattere con Mona, ma non importa, potrò vendicarmi in un altro momento, adesso l’importante è guadagnarmi un posto fisso tra gli intrepidi.
Quando arriva il mio turno salgo sicura di me sul tappeto con una certa fretta e aspetto Maggie per qualche istante; quando è difronte a me la scruto silenziosa partendo prima dagli occhi, preoccupati ma sicuri, e soffermandomi poi sul resto del corpo: le spalle larghe e la corporatura robusta mi fanno pensare che conterà sulla forza, perfetto, mi dico, io punterò sulla velocità.
Lo scontro inizia e già il mio pugno colpisce veloce la gola di Maggie, che, al tocco, indietreggia stringendosi il collo tra le mani.
Ha esitato solo un attimo, mi dico, bene, un attimo è già abbastanza.
Piego le braccia davanti al busto per proteggermi vedendo la mia avversaria alzare le dita chiuse per colpirmi ma il mio piede centra il suo ginocchio prima che le sue dita possano sfiorarmi, lei cade a terra.
«Sono le basi tesoro, le gambe non si tengono perfettamente dritte.» sussurro, certa che lei non mi abbia sentito.
Mi avvicino a lei con passo leggero e non estremamente veloce; Maggie sferra un calcio all’aria nella mia direzione che mi colpirebbe se non indietreggiassi, ma ho perso tempo, e lei è di nuovo in piedi, ferma davanti a me.
Per un attimo è immobile prima che un mio pugno le colpisca il labbro una volta, e poi un’altra ancora.
Mi allontano di poco permettendole di pulirsi il volto dal sangue versato, le mie nocche sono sporche dello stesso rosso matto, ma non lo pulisco, quasi come potesse darmi più forza.
Con la stessa mano colpisco subito il suo stomaco facendola piegare su se stessa e gemere dal dolore.
Un lampo mi si insinua in mente quando colpisco con un calcio in pieno viso Maggie.
Stai facendo proprio come Mona, mi dice quel lampo, la stai finendo senza pietà.
No, non è la stessa cosa, gli rispondo, io non avevo promesso un bel niente.
Eppure non illudo nemmeno me stessa, ingoio un groppo di saliva e finisco la mia avversaria con un calcio più veloce di un lampo, dritto nello stomaco che ora non è più stretto tra le sue mani.
«Mi dispiace» sussurro così piano che solo Maggie può sentirmi, poco prima che i suoi occhi si chiudano.
Ezra sale sul tappeto e mi incorona vincitrice. Con un gesto fulmineo lascio il “ring” e corro fuori dalla palestra, infilandomi nel labirinto di corridoi che conosco a malapena.
Mi appoggio ad un muro freddo e scuro e mi ci lascio cadere, poi piango, piango tanto quanto non ho mai fatto prima. Piango per me, per Mona, per Caleb, per Lucas, per mia madre e per tutto questo inferno che dovrò accettare di cominciare a chiamare vita.
**
Apro gli occhi all’improvviso e realizzo dove sono solo dopo essermi fatta prendere dal panico: sono in uno stretto, buio e angusto corridoio, con le guance piene di lacrime seccate, devo essermi addormentata.
Mi alzo dal pavimento di pietra e percorro il corridoio con le mani appoggiate alla parete fredda sbucando poco distante dalla palestra.
Guardo l’orologio digitale piazzato in alto, sul muro, e rabbrividisco notando che è quasi l’ora di tornare ai miei allenamenti: ho dormito fino alle 15:30.
Vado in mensa scoprendomi affamata e la trovo quasi del tutto vuota, ma poco importa, mi avvicino al bancone e afferro una mela rossa, addentandola all’istante.
Quando torno nella palestra la trovo piena di iniziati, ma ancora Ezra non c’è.
Raggiungo le ragazze in un angolo subito dopo essermi accertata dell’assenza di Mona dal gruppo.
«Hanna! Dove sei stata? Ti abbiamo cercata ovunque!» Spencer mi abbraccia velocemente prima di tornare al suo posto, in attesa di una risposta.
«Ciao ragazze…» mi rivolgo a Spencer «Mi ero seduta in un corridoio e… mi sono addormentata» scrollo le spalle «Sapete dov’è Mona?» Aria mi indica con il mento un punto dall’altro lato della palestra, Mona sta tranquillamente parlando con Travis.
«È un po’ strana in questi giorni…» fa Aria, io annuisco «È fredda.» concludo e, senza lasciare alle altre il tempo per ribattere, Ezra inizia a spiegarci come funziona una pistola e come usarla.
Non presto ascolto ad una sola delle parole dell’istruttore, ma quando è il nostro turno, io sono la prima a centrare il bersaglio e quasi l’unica a restare costante.
Ogni mio proiettile si conficca perfettamente nel cuore o nella testa del manichino: dopo due ore di torture, è ridotto a brandelli.
«Ma come fai?» mi chiede Emily, guardandomi sbalordita «Semplice, immagino che quello non sia un manichino ma qualcuno che odio».
Mi volto un’ultima volta verso il mio bersaglio e, dopo aver immaginato il viso inespressivo di Mona sovrapporsi con il suo semidistrutto, colpisco ancora la testa del manichino.
Ezra ci congeda e, dopo essersi complimentato personalmente con me, mi lascia andare.
Ripenso alle mie parole: immagino che quello non sia un manichino ma qualcuno che odio. Senza alcun dubbio stavo pensando a Mona in quel momento, ma com’è possibile che tutto l’amore e l’affetto che provavo per lei si siano già trasformati in odio?
«Hanna Marin!» Senza nemmeno rendermene conto, sono arrivata davanti al dormitorio, e adesso, sull’uscio della porta, Caleb mi sta aspettando impaziente.
Gli vado incontro e, prima che io posa salutarlo, le sue labbra sono già sulle mie, in un gesto veloce e naturale che mi sorprende e conforta.
«Caleb Rivers!» dico separandomi da lui «Cosa ci fai qui?» sorrido ai suoi occhi dolci, che in un solo istante mi hanno fatto dimenticare tutte le preoccupazioni. «Avevo voglia di vederti… Come mai non c’eri a pranzo?» alzo le spalle «Mi sono addormentata» lui sorride da orecchio a orecchio «Oh, allora sarai affamata, dai, andiamo in mensa» lo scruto per un attimo mentre mi tende la mano «Dovrei cambiarmi, sono tutta sudata, aspettami qui, cinque minuti e andiamo okay?» «Sei bellissima anche così Hanna Marin» mi prende per il braccio e mi trascina in mensa, nonostante cerchi di oppormi.
«Mi hanno detto che sei stata grandiosa oggi» dice aprendomi le porte della mensa «Avevi qualche dubbio Rivers?» lui alza le mani sorridendo «Mai» sorrido di ricambio.
«Dopo ti va se ce ne andiamo a fare una passeggiata?» butto lì, riempiendomi il piatto di pasta, sono affamata!
«Sarebbe grandioso, certo che mi va» inizio a mangiare guardandomi intorno, senza concentrarmi sulla mano di Caleb che, senza che me ne rendessi conto, si è stretta attorno alla mia.
I miei occhi trovano Mona a qualche tavolo di distanza, seduta con Travis e un mucchio di iniziati interni.
Aggrotto le sopracciglia sperando che nessuno mi veda. Troppo tardi. «Han, che succede?» la voce di Spencer mi risveglia dai miei pensieri «Da quando Mona è diventata amica di Travis?» mi concentro sugli occhi di Spencer adesso, seduta di fronte a me. Lei alza le spalle «La vedo distante… Non saprei» già, distante. Io la vedo diversa, invece.
Scrollo le spalle, tornando a Caleb. «Com’è andato l’allenamento oggi?» Fa un’espressione noncurante con le labbra «Niente di che, come al solito» sorrido allontanando il mio piatto con una mano, Caleb mi guarda interrogativo.
«Non ho fame» il mio stomaco non sembra andare d’accordo con le mie parole, ma poco importa, non riesco a mangiare. Non riesco a fare niente.
Allontano la sedia e mi alzo, lentamente.
«Dove vai?» senza che me ne renda conto, Caleb si alza e mi stringe per un polso.
«Io… Io…. Non ce la faccio a stare qui» affermo incerta, con le parole che mi mancano.
«Vengo con te» scuoto la testa alle parole di Caleb e inizio a sentire la stanza girare attorno a me.
«Voglio stare un po’ da sola» il ragazzo allenta la presa sul mio polso ed io lo libero dalla sua mano.
La stanza inizia a girare più veloce, le palpebre faticano a restare alzate, così io. Mi reggo ad uno spigolo del tavolo.
«Hanna, tu non stai bene» la sua voce è ferma, decisa, mi stringe la vita dandomi stabilità e per un attimo mi sembra che la stanza si sia fermata, ma poi ricomincia a girare.
«N-no sto bene, non è niente, davvero» la sua presa attorno a me si fa più salda,  non ha intenzione di lasciarmi andare.
«Mangia qualcosa prima, okay?» fa un po’ di pressione sui miei fianchi e crollo a sedere sulla sedia, la stanza si ferma all’istante.
«Okay» accetto la sua offerta e, controvoglia, svuoto tutto il mio piatto di pasta, il mio stomaco mi ringrazia.
«Posso andare ora o c’è qualche altra cosa?»  la mia voce risulta esasperata, più di quanto desideri.
«Mi preoccupo soltanto per te» risponde lui in tono comprensivo, ma con un pizzico di ostilità.
«Sono abbastanza grande per preoccuparmi da sola, grazie» aggiungo aspra, e poi vado via, percorrendo a grandi falcate la stanza fino alla porta della mensa.
Quando raggiungo il corridoio, una mano fredda mi stringe il polso, facendomi rabbrividire, la conosco fin troppo bene quella stretta.
«Lasciami, Mona» affermo prima di voltarmi a guardarla, preparandomi a incontrare quegli occhi inespressivi che mi stanno rovinando.
«Non adesso» continuo quando la sua presa si fa più salda.
Alzo gli occhi e incontro i suoi, che mi sorprendono per la prima volta, forse.
Sono occhi tristi, arrabbiati, comprensivi, e, soprattutto, non sono occhi vuoti.
«Come mai te ne sei andata così?» sbuffo «Da quando te ne importa Mona?» libero il mio polso con un gesto rapido, sorprendendola.
«Da quando abbiamo tre anni, più o meno» risponde lei, spiazzandomi «Oh beh, non si direbbe» faccio per voltarmi ma le sue parole mi spingono a restare.
«Mi dispiace Han, okay? Non lo so che cosa mi stia succedendo. Sto cambiando, come stai facendo tu, come stanno facendo Aria, e Spencer, e Emily. Questo posto ci sta facendo diventare adulte, e ci sta cambiando profondamente»
«Bel cambiamento Mon»
«Non ho mai detto di star cambiando in meglio!» sbotta lei «Ma non ci capisco più niente! Non so cosa mi aspetta, e ho paura, cazzo quanto ho paura, non voglio diventare un’esclusa e devo fare tutto quello che posso per non diventarlo, capisci Han?» sospira quando non rispondo.
«Non lo so cosa mi riserva il futuro, non so un bel niente, l’unica cosa che so è che voglio che tu ne faccia parte.»
Non rispondo. Ma non posso negare che le sue parole mi abbiano toccata.
Si alza la maglia leggera fino alle costole, scoprendo l’ancora e la pelle d’oca.
«Tu sei la mia ancora, ricordi?» mi chiede, con un filo di speranza nella voce.
Chi se ne frega di Lucas, di Caleb, degli errori e delle cazzate, stringo forte la mia migliore amica, perché si, cazzo, si che me lo ricordo che sono la sua ancora, perché mi ricordo che lei è la mia. E per quanto in questi giorni avrei voluto cancellarlo, non si cancella il passato.
«E tu la mia» affermo con il viso tra i suoi capelli scuri, mentre lei mi stringe di più.
**
Busso tre volte sulla porta scura, tenendo gli occhi bassi.
«Chi è??» La voce di Caleb non è più ostile come a cena, forse perché non sa che sono io.
«Hanna» mormoro, la voce bassa, ma sicura, alzo gli occhi quando lui apre la porta.
«Che vuoi, Hanna?» guardo le mie mani, stanno tremando, ma di certo, non per il freddo.
«Volevo dirti che mi dispiace» affermo «È tutto un casino, un casino enorme, e io ti ci sto buttando dentro, e tu non c’entri, ma me la prendo con te comunque. Non mi sono mai sentita così vicina a qualcuno prima, non lo so come dovrei comportarmi, e poi c’è tutto il resto, che mi sta sovrastando e io non faccio altro che buttare giù anche te. Mi dispiace, Caleb.» affermo tutto d’un fiato, quasi scordando di respirare.
Guardo in basso aspettando una risposta, e preparandomi al peggio, ma sento soltanto il rumore di una porta che si chiude, e per un terribile attimo penso davvero che se ne sia fregato delle mie scuse, ma poi due mani calde mi afferrano il viso, costringendomi a guardare Caleb negli occhi, quegli occhi scuri che si fanno sempre più vicini.
E le sue labbra sono di nuovo sulle mie, con più forza e calore del solito.
   
 
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