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Autore: Bec77    20/08/2008    3 recensioni
Quel giorno era successo qualcosa di particolare. Nella loro guerra "segreta" era rimasta vittima troppa gente, soprattutto in quella giornata; vittime innocenti di una guerra mandata avanti proprio per loro e per la loro salvezza. Ichigo non riesce ad accettarlo e quando vede Kisshu non può fare a meno di sfoderare rabbiosa gli artigli... ma non sempre tutto va come ti immagini.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Tokyo, ore 03

Note One-shot senza pretese, scritta in un momento di “quiete serale”, come sempre in questi ultimi mesi. Kisshu e Ichigo vi potranno sembrare molto diversi dal solito, probabilmente, ma tutto perché forse questa è una situazione completamente diversa dalle solite, per loro. Credo… Ho un po’ penato per trovare il titolo. Forse è addirittura banale, ma per una volta ho trovato che un titolo lungo ci poteva stare…

Frozen_Whitefox

 

 

 

 

Quando la battaglia non infuria ed il cuore comanda

# Dialogo al chiaro di luna #

 

Tokyo, ore 03.00

 

Le vie della città brulicavano di gente anche a quell’ora tarda. Il vociferare era alto nonostante tutto e le auto circolavano come se fosse pieno giorno. Da qualche parte si potevano addirittura vedere formarsi degli ingorghi, ma ciò avveniva soprattutto nei quartieri a luci rosse della città. Tokyo era una città stupenda. Ma stupida. Stupenda per tutte quelle luci colorate che sembravano voler ravvivare quell’ambiente grigio e perennemente sporco – e qui non si parlava solamente di fumi e gas prodotti dalle auto. Si parlava di uno sporco che aveva ben poco a che fare con tutto questo! Stupida perché tutta quella fatica era sprecata. Tokyo non sarebbe mai apparsa ai suoi occhi meravigliosa. Certo, ciò avveniva solo se pensava ad un solo particolare.

Si librò in aria senza sforzi, stringendo i pugni.

Il piccolo particolare abitava in una delle tante villette a schiera fuori dal centro, separata da tutto quello sporco da un bellissimo parco, i cui alberi erano finalmente in fiore. Il panorama che si godeva sorvolando un tale magico paesaggio era magnifico, provocava una sensazione di pace vedere tutti quei colori così differenti eppure così simili mescolarsi fra loro. Come tanti popoli amici.

“Che ironia della sorte pensare a una cosa del genere” si disse con un’espressione amara, “Proprio io che non posso fare amicizia con questo popolo mi sono andato ad innamorare di una di loro” aggiunse mentalmente.

Non si rese conto di essere arrivato a destinazione se non quando riaprì gli occhi. Inconsciamente si era fermato proprio sopra il tetto di quella casa, così simile alle altre ma altrettanto diversa: per il solo fatto che vi abitasse una persona per lui speciale sembrava splendere di luce propria. Il suo inconscio doveva averla riconosciuta per questo. Strinse i pugni, pensando a cosa fare ora che era lì: solitamente si limitava a guardarla da fuori la finestra, attraverso quel vetro opaco che era la sua porta sul balcone. Gli bastava guardarla e riempirsi gli occhi delle sue forme e dei suoi colori per stare meglio. Quella sera però il senso che avvertiva ogni volta era più forte, non era sicuro di riuscire a rimanere fermo davanti ad una sua possibile visione.

Strinse in modo convulso le mani fra loro mentre il suo viso ricalcava esattamente le sue emozioni: ansia, apprensione, indecisione. Cosa fare? Cosa non fare? Poteva resistere o sarebbe entrato?

Si mandò al Diavolo e prese a discendere verso il balcone in muratura candida, stando attento a non farsi sentire. La luce della stanza era spenta, segno che probabilmente la ragazza era ormai a letto, probabilmente anche da un pezzo; aveva imparato a memoria gli orari in cui lei tornava a casa e persino l’ora in cui, puntualmente, si addormentava. Giusto per essere sicuro che lei non lo avrebbe visto. Ultimamente inoltre il robottino batuffoloso che si portava sempre dietro, quello che la avvertiva della presenza degli alieni e dei chimeri, era fuori uso. Era stato lasciato a quello strano Caffè dalle mura rosa confetto e shocking – colori che sembravano volerlo accecare da quanto fossero forti, probabilmente i due umani avevano scelto quelli apposta!

La fortuna sembrava dalla sua parte in quei giorni, ecco perché aveva raddoppiato il numero di visite che si impegnava a farle. Andava lì con regolarità, con meticolosa attenzione a non farsi vedere da lei: la spiava nei momenti forse meno opportuni, addirittura appena uscita dalla doccia – non se ne vergognava a pensarlo o a dirlo, ammise a stesso. Momenti che lui si godeva appieno, cercando di calmare i battiti del suo cuore impazzito che sembrava volerlo far scoprire.

Si azzardò a poggiare un piede sulla ringhiera in muratura per poi saltare silenziosamente sulla superficie del balcone. Osservò l’oscurità all’intero della stanza, curandosi di non farsi vedere nel caso lei fosse in realtà sveglia. Quando fu sicuro che niente all’interno della stanza si stesse muovendo, si azzardò ad appoggiare una mano sul vetro, facendolo scorrere silenziosamente. L’aria calda dell’interno fece a pugni con quella gelata che proveniva dall’esterno; diversi odori diversi colpirono l’olfatto del ragazzo, che per un attimo temette di doversi portare due dita al naso per tapparlo. Fortunatamente fu solo momentaneo, e pochi secondi dopo era dentro la stanza buia con la porta di vetro chiusa alle spalle.

“Che silenzio” pensò, “Qui dentro si sente solo il suo lieve respiro...

Aveva imparato che la sua micetta non russava affatto come pensava facessero tutti gli umani. Aveva un respiro regolare, lieve. Sembrava quasi quello di un gatto che sonnecchiava placido all’ombra di un albero, in attesa che la calura diminuisse. Ed in effetti trovava che il paragone fosse anche piuttosto azzeccato per lei: in fondo la si poteva definire una ragazza per metà gatto e per metà donna.

Improvvisamente si rese conto che il respiro della ragazza si era troncato improvvisamente. Talmente era concentrato sui suoi pensieri che non sentì nemmeno il cigolio delle molle del letto; non sentì nemmeno i passi lievi ma affrettati che calpestavano la moquette morbida della stanza; e nemmeno il momento in cui lei gli era arrivata alle spalle bloccandolo per i polsi delle mani. Fu talmente sconvolto da tanta irruenza da parte di lei e sconsideratezza da parte sua, che non riuscì nemmeno a parlare per i primi minuti. Fortunatamente ci pensò lei a toglierlo dall’impaccio.

- Ti sei divertito fin ora, vero Kisshu? – gli domandò.

Inizialmente l’alieno dagli occhi dorati non sembrò capire l’antifona. Poi capì che evidentemente lei sapeva tutto già da un pezzo: del suo spiarla, del fatto che regolarmente ogni notte andava a vegliare sul suo sonno…

- Sì, abbastanza – trovò il coraggio di replicare.

Con una stretta più forte sui polsi Mew Ichigo gli intimò il silenzio. Poté però sentire che la stretta era tremante, piuttosto debole nonostante tutta la forza che la Mew Mew ci stava mettendo.

- Cos’hai, koneko cara? – le chiese soavemente.

- Stai zitto, taci maledetto…! –

La ragazza non completò la frase, ma Kisshu sentì la stretta farsi improvvisamente più salda. Tutti quegli scatti improvvisi potevano essere segno solo di ansia, paura o rabbia. Li conosceva troppo bene per non distinguerli dai normali movimenti di una persona. Inoltre la sua adorata koneko non era tipo da fare cose del genere, non lo aveva mai attaccato alle spalle: forse aveva le lacrime agli occhi e per non farsi vedere gli si era piantata alle spalle, si disse. Questo spiegava anche gli scatti improvvisi che sentiva provenire da dietro di lui.

- Non ti fa bene reprimere le emozioni, koneko! – la sobillò.

Lei non rispose, da parte sua solo silenzio.

- Che hai, Ichigo? – le chiese seriamente.

Il tono che aveva sempre usato con lei era scherzoso, quello di qualcuno che vuole provocare per divertirsi un po’ e per vedere le reazioni dell’altro. Questo invece era completamente diverso, inoltre Kisshu si arrischiava poche volte a pronunciare il nome di Ichigo. Ma ora si stava seriamente preoccupando.

- Cos’ho? Mi chiedi cos’ho? – scattò lei.

- Sì. Te lo chiedo perché sono preoccupato… - fu la risposta di Kisshu, immobile.

- Preoccupato? Non farmi ridere – sibilò lei, - Tu non puoi essere preoccupato per me… -

- Invece sì! Cos’hai Ichigo, cos’è successo?! – la interruppe Kisshu.

- Fermo! – lo rimbeccò lei, stringendo la presa attorno ai polsi del giovane. Un lamento fu il segno che gli aveva davvero fatto male questa volta, probabilmente sarebbe rimasto il livido.

Dopo parecchi secondi di silenzio, pesanti quanto macigni sullo stomaco di Kisshu, la Mew Rosa riprese a parlare, più pacata ma notevolmente più fredda.

- Ci avete attaccato, oggi –

Non era una novità. Lui e i suoi due fratelli avevano pensato di intensificare gli attacchi sulla città di Tokyo per riuscire ad avere più acqua cristallo. Ma fu il tono ostico in cui lei lo disse che preoccupò maggiormente l’alieno.

- E allora? Lo facciamo sempre, non mi sembra una novità… -

La sua risposta venne troncata a metà da quella di Ichigo.

- Non credevo sareste arrivati a tanto, Kisshu. O almeno non tu… Pensavo di conoscerti abbastanza… -

- Ichigo, dannazione! Vuoi dirmi cosa ti rende tanto rabbiosa sta sera? – esplose Kisshu.

- Avete ucciso una bambina… - fu il sibilo di Ichigo.

- Una…? -, Kisshu non riuscì a pronunciare quel nome.

- Sì, una bambina. Una bimba piccola ed innocente, il futuro di una famiglia intera! – mormorò rabbiosa la rossa stringendo la presa sui polsi di lui.

Probabilmente gli stava facendo male, era questo che forse stava pensando secondo Kisshu, ma in quel momento non doveva importarle. Aver visto la morte di una bimba innocente doveva averle fatto capire che la guerra era un orrore da evitare; l’aveva capito troppo tardi però, quando probabilmente il sangue della bimba usciva a fiotti dalle ferite. Per un attimo nella mente di Kisshu passarono una serie di immagini, fra cui quella di una bimba schiacciata sotto a delle macerie. Il sangue era stato molto quel giorno, le vittime erano state oltre cinquanta ed i morti circa una ventina.

- Oggi avete fatto male a troppa gente, Kisshu… - mormorò con i singhiozzi bloccati in gola, lei.

- E’ quello che facciamo ogni giorno… -

- No! – lo fermò lei, - Non è quello che fate ogni giorno! Quello che fate ad ogni attacco è provocarci, cercare un modo per farci uscire allo scoperto ed ucciderci! Voi non avete mai tentato di ammazzare qualcuno che non fosse noi probabilmente, né ne avete mai avuto l’intenzione, ammettilo! – sbottò la rossa, ormai in lacrime.

La presa di Ichigo si allentò e la trasformazione, in un lieve bagliore rosato, si annullò. Kisshu si trovò ad osservare con la coda dell’occhio e l’espressione piena di amarezza e consapevolezza una ragazza in lacrime per la morte di tanta gente.

- E’ questa la guerra, Ichigo - si trovò a mormorarle, - E’ morte. E’ distruzione. La fine di tutto ciò che ami e che sei sempre stato abituato a vedere sotto agli occhi – le spiegò freddamente l’alieno.

- Perché…? – singhiozzò però la rossa.

Ichigo si aggrappò con tutte le sue forze alla maglia dell’alieno, attirandolo verso di sé. Kisshu, precedentemente abbassatosi sulle ginocchia, si lasciò portare più vicino sino a che non se la trovò piangente e singhiozzante fra le braccia. Le passò le mani sulla schiena senza dire nulla ed appoggiò il mento nell’incavo del suo collo, aspirando il suo profumo.

La sua Ichigo non aveva un profumo particolare o troppo forte. Era fruttato, di questo ne era certo, ed era altrettanto dolce. Forse era una sua sensazione ma l’odore sembrava quello delle fragole selvatiche che si trovavano nei boschi.

- Mi dispiace per quella bimba – le sussurrò all’orecchio, - Era innocente, lo so. Forse ho anche intravisto il suo corpo mentre abbandonavo il campo volando verso il passaggio dimensionale… Anzi, sono sicuro di averlo visto. Mi dispiace, davvero… Ma le vittime della guerra potrebbero essere molte di più se ci ostiniamo a combattere… - le sussurrò, attorcigliando su un dito diafano i corti capelli rossi di lei. Lo affascinava vedere quanto il colore solitamente vivo ed acceso dei suoi capelli si affievolisse alla luce lunare.

- Non capisco, Kisshu. Non capisco! Perché combattiamo? A volte mi dico che è veramente per difendere il nostro pianeta, ma altre volte… quando sono sconvolta ed ho un’opprimente e brutta sensazione che mi pesa sul cuore… , quelle volte do ragione a Retasu: perché combattiamo? Perché non cerchiamo un modo per convivere pacificamente, senza lotte e sangue? –

- Perché noi non possiamo. Deep Blue vuole tutto questo. Lui è il capo, lui comanda, lui è il salvatore della nostra gente. E la nostra gente reclama il diritto di essere la sola a vivere sulla Terra, perché questo era il nostro pianeta prima ancora che diventasse vostro… La guerra non può essere evitata in questo caso – fu la spiegazione più semplice che Kisshu riuscì a dare.

I singhiozzi si erano andati placando durante quel breve ma intenso botta e risposta. Ichigo però non sentiva di volersi staccare, nemmeno quando pensava a Masaya e a cosa avrebbe pensato vedendola fra le braccia del nemico. Traditrice…

- Come hai fatto a sapere che ero io e non un comune ladro? – le domandò improvvisamente Kisshu.

- Masha mi ha avvisataRyou e Keiichiro hanno finito di aggiustarlo oggi. Mi ha avvertita ed io sono rimasta immobile… La tua figura si poteva vedere stagliarsi contro la luce della luna… Vedevo la tua sagoma proiettata sulla moquette… - spiegò imbarazzata.

- Ah, capisco… - fu la semplice risposta di lui.

Quel momento sembrava voler durare per l’eternità. Kisshu ne sarebbe stato oltremodo felice, certo, ma semplicemente tutto era destinato a finire. Si separò a malincuore da lei, inspirando ancora un po’ di quel suo profumo dolciastro e che gli riportava alla mente i boschi terrestri che soleva visitare di tanto in tanto, per curiosità.

- Posso tornare, koneko? – le chiese sussurrando.

Il mento di lei fra le dita di lui. I loro visi erano vicinissimi, mancava pochissimo per colmare quella distanza. Eppure nessuno dei due si mosse in avanti, rimasero semplicemente a bearsi della sensazione che gli provocava sentire l’altro così vicino. Con un cenno sicuro del capo Ichigo assentì.

- Svegliami però… Intendo la notte. Parlare con te mi ha illuminata… - mormorò ironica Ichigo.

- Contaci, micetta. Lo farò se vuoi… Ora però devo andare… - momorò l’alieno, indeciso se fissare le labbra di lei o i suoi caldi occhi castani. Optò per alzarsi ed avvicinarsi con mezzo passo alla finestra di vetro.

- Allora ci vediamo domani, koneko. Dormi… e buonanotte – le disse con un piccolo e dolce sorriso.

- Buona notte anche a te… Kisshu – mormorò lei in risposta, rimanendo seduta sul pavimento.

Con un piccolo salto l’alieno fu sul balcone di lei ed infine si librò in volo, sparendo dopo pochi secondi alla vista di Ichigo.

Quella notte sarebbe rimasta nei loro cuori per sempre, ne erano sicuri.

   
 
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