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Autore: Yajirushi    26/06/2014    1 recensioni
Presi il mio diario e cominciai a scarabocchiarci qualcosa, quando “Lo conosci?” mi chiese, fissando il soffitto. Esitai. “Chi, il biondo?” lo vidi annuire e sospirai. “No, ma comunque non sono affari tuoi” e saltò giù dal letto meglio di uno stuntman, facendomi quasi venire un infarto e parandosi davanti a me, le braccia spalancate e un’espressione spaventosa. “Se quello ti sfiora con un dito, io glielo spezzo” quasi ringhiò “quel tipo non mi piace” Cosa? E chi era lui per giudicare uno sconosciuto? Forse non si era mai soffermato più di tanto a giudicare se stesso. Sentirlo parlare di me con tanta autorità, comunque, mi infastidì. “Ripeto: non sono affari che ti riguardano” Calum sospirò bloccandosi all’improvviso, forse rendendosi conto di quanto stavamo esagerando, e si rituffò sul mio letto, in silenzio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Calum Hood, Luke Hemmings, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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#Letter#

“Ecco” sobbalzai, lo schermo super luminoso di un cellulare si era appena materializzato davanti ai miei occhi. Affilai lo sguardo, la mia espressione concentrata doveva essere davvero inguardabile perché, pochi secondi dopo, Ashton allontanò il cellulare dal mio naso e “Sei strabica per caso?” domandò, coprendosi la bocca e scoppiando a ridere da solo. Gli sottrassi nuovamente il cellulare e osservai meglio quella foto. Un ragazzo, curvo su un banco pieno di fiale blu, scarabocchiava qualcosa su un quaderno. Il viso si vedeva appena, ma quel tanto bastava a riconoscere in lui un ragazzo davvero carino, con un particolare alquanto strano che, di certo, non passava inosservato: i suoi capelli, arruffati e pieni di cera, erano di un curioso blu oltremare. Guardai interrogativamente Ashton che arrossì, dandomi una pacca amichevole sulla spalla che però bastò a farmi cadere dal letto. Sì, quando Ashton era in imbarazzo, diventava inconsapevolmente violento. “Allora?” lo fissai, gli occhi lucidi e un sorriso da ebete che non accennava a diminuire. “E’ il ragazzo che mi piace” asserì, lasciando una me stupita e ancora dolorante immobile sul pavimento, impietrita. Le possibili opzioni erano due: la prima, abbracciare Ashton per la gioia fino a farlo soffocare e tempestarlo di domande; la seconda, comportarmi da adulta, farmi un po’ gli affari miei e lasciare che se la cavasse da solo. Ovviamente, scelsi la prima opzione. “Come si chiama? Quanti anni ha? Come l’hai conosciuto? È..” “FRENA!” Ashton mi schiaffò una mano in faccia, nel tentativo malriuscito di tapparmi la bocca. Dio, quant’era sudato! “Si chiama Michael, è un anno più grande di me e, non ci crederai, l’ho conosciuto grazie a te, fiorellino!” e mi abbracciò, mi stritolò talmente forte che del suo interminabile racconto capii soltanto che Ashton e Michael si erano conosciuti il giorno prima, scontrandosi in corridoio mentre Ashton cercava il mio libro di storia dopo aver terminato il suo test di matematica – libro che,tra l’altro,non aveva trovato. Perciò, a conti fatti... sì, quell’incontro era stato proprio merito mio. E gli avrei fatto pesare quel debito a mio favore per tutta la vita. Chi l’avrebbe detto che sono anche un bravo cupido? Ridevamo per non so cosa quando, infilando la mano sotto al cuscino, Ashton ne tirò fuori una piccola lettera dalla busta rossa su cui spuntavano due piccole parole nere. Vidi Ashton tentare di fare il misterioso, lo sguardo corrucciato e una mano a grattarsi i ricci che gli cascavano sugli occhi. Strinse forte la busta, la girò, la annusò persino. Poi, come se niente fosse, la lasciò penzolare davanti ai miei occhi tenendola ferma tra indice e pollice. “Cos’è?” chiesi, osservandola a mia volta. Ash sorrise quasi... malizioso? e “E’ per te, mi sembra” rispose, lasciandola cadere sulle mie gambe. L’afferrai subito e “Per Elizabeth” lessi, cominciando ad aprirla prima con calma, poi con sempre più fretta fino a ridurre la carta in un’ infinità di coriandoli rossi. Mi irrigidii leggendo un nome nell’angolo in basso a destra, un nome che di certo non mi aspettavo di trovare proprio lì, in una lettera destinata a me. Calum. Cosa poteva aver scritto? Che aveva deciso di lasciare l’appartamento? Di cambiare città? Oppure aveva trovato un lavoro? Oppure... “Chi l’ha scritta?” ringraziai Ashton mentalmente per aver interrotto quel flusso interminabile di pensieri. Lo guardai negli occhi e lui fece lo stesso, e per qualche istante era come se Ashton leggesse i miei pensieri, tutte le domande insensate che mi stavo ponendo senza motivo. Annuì semplicemente, mi disse di aver capito. Recuperò il suo cellulare avvicinandosi alla porta e “Chiamami” ordinò con un sorriso tirato sulle labbra, uscendo e sparendo lungo le scale. Io, intanto, sentivo di amare sempre di più quell’amico, quello strano tipo che solo un anno prima reputavo un pazzo che ci provava, mentre adesso per me era tutto. Era un fratello. Scossi il capo, adesso non potevo pensare a lui. Adesso, dovevo pensare ad un altro fratello, uno più silenzioso e truce, uno che in tanti anni non ero mai riuscita a comprendere. Presi un respiro profondo e...

 

Ciao, Elizabeth (non ti chiamo Lizzie, so che ti infastidisce),

questa è la lettera che ho scritto per te questa notte e che non credo riceverai mai. Se stai leggendo adesso, vuol dire che ci ho pensato su e ho cambiato idea. Oppure, cosa improbabile, l’ho semplicemente dimenticata in giro... –se è così, allora rimettila subito a posto!!!-

Comunque, ti scrivo perché ci sono un paio di cose che devodirti prima di partire, cose che devi sapere, ma che non avrò mai il coraggio di dire guardandoti negli occhi.

Prima di tutto, io so.. lo so che mi odi. E lo capisco, fidati, perché anch’io ricordo come, appena arrivato nella mia nuova casa- la tua casa- i nostri genitori prestavano infinite attenzioni a me trascurando, involontariamente, te.

Inoltre c’è una cosa che devi sapere sui tuoi genitori, Fred e Lorna. Entrambi erano stimati giudici, con diverse lauree a carico e specializzazioni che li rendevano richiestissimi nel mondo giuridico. Quando mi adottarono venne affidato loro un caso, uno di quegli omicidi a sangue freddo ad opera della... mafia. Fred sapeva che i mafiosi si sarebbero vendicati, in caso di condanna dell’accusato. Ma lui andò avanti comunque.

Seguì i suoi principi morali. E un certo Morrison fu incarcerato.

Due giorni dopo, la loro auto era in fiamme... e Fred e Lorna bruciavano con essa.

Poco prima dell’incidente Lorna mi chiamò al cellulare. Mi diceva di restare sempre con te, di proteggerti in ogni momento, sempre e comunque. E di non abbandonarti neanche se avessimo litigato... Quella chiamata mi colse alla sprovvista e io annuii semplicemente, in silenzio.

Non sapevo che proteggerti fosse una vera promessa.

Essendo un idiota, scappai comunque.

I tuoi nonni materni si occuparono per un anno o due di te mentre io tornai al mio paese da suor Marie, che mi accolse come un figlio in convento.

Ma nonostante questo, non riuscivo a dormire. Il viso di Lorna mi tornava in mente di continuo, e più sognavo lei, più mi accorgevo delle somiglianze che esistono fra voi.

Stesse labbra sottili; stessi capelli neri, corti e riccissimi; stesso naso irregolare.

E stessi occhi, grandi e marroni. Incredibilmente luminosi.

Dovevo tener fede alla promessa fatta a Lorna se volevo far pace con me stesso; se volevo perdonarmi quella stupida fuga inutile. Dovevo proteggere te, una mini-Lorna, in ricordo di quella vera.

Perciò.. qualche giorno fa sono tornato a Sidney. Ho scoperto che l’appartamento in cui abiti è situato proprio in centro, a poca distanza dalla ferrovia. Così ho contattato il tuo affittuario e gli ho pagato l’affitto del prossimo mese in anticipo così, anche se tu volessi cacciarmi, in realtà non potresti.

Io ho pagato, io resto nell’appartamento con te.

Sono un genio del male, lo so. E questo genio ti proteggerà come promise a Lorna, perciò aspettati che i prossimi affitti saranno magicamente detratti dalla paga di qualcun altro...

Comunque, adesso vivo qui. Vivevo, qui.

Sì, perché stare attento che tu non combini guai, che non ti succeda niente, che torni sempre a casa tutta intera è... una grande, grandissima faticaccia.

E in più, tu non mi ascolti.

Per te è come se fossi inesistente, per te la mia opinione non conta. È ingiusto? Sì, lo è. Mi dai addosso senza sapere niente di me? Sì, lo fai.

Beh, se stai leggendo forse, forse cambierà qualcosa. Ma comunque io non ci sarò più. Parto. Non ti dico dove sono diretto. Però a fine lettera ti lascio il mio numero che, guarda caso, non mi hai mai dato l’occasione di darti. (E lo faccio solo in caso ne avessi estremo bisogno)

Perché parto? Ho gettato la spugna, con te.

E poi volevo dirti che...

Quel tipo, quel Luke... posso dirti solo questo: l’ho già visto da qualche altra parte.. magari in uno di quei brutti, bruttissimi posti che frequentavo anch’io anni fa e... insomma, quel viso non mi ispira certo fiducia..

Ti ho detto di non parlarci, che gli avrei spezzato un dito, altrimenti. Ma tu non mi ascolti e io ho paura. Paura che combini qualche disastro, paura che, anziché perdere tempo ad arrabbiarti con me, dicendomi che io ti sottraggo aria, che ti importuno dandoti ordini che... che io non sono tuo fratello e non deve fregarmi nulla di te –tutte cose che mi hai detto l’altra sera, te l’assicuro- tu perda tempo con quel Luke faccia d’angelo ficcandoti in qualche casino.

Sono stato troppo diretto?

Se lo pensi, allora hai ragione.

Ma io sono così: diretto e spigliato, soprattutto quando tengo a una persona e faccio di tutto per starle accanto, per guardarle le spalle.

Se ancora non capisci cosa ho cercato di fare per Lorna, per Fred... per te.. allora partire è una scelta giusta, un toccasana anche,anzi, soprattutto, per te.

Ti lascerò nonostante quella promessa.

Non mi vedrai più,

nonostante io...

Calum

P.S. Cell. 5678976543

P.P.S. Cerca comunque di non chiamarmi.. vorrei voltare pagina una volta per tutte.

Rimasi lì impietrita, le labbra ancora schiuse su quella frase non terminata, quel ‘nonostante io..’ che mi riempiva di dubbi e sensi di colpa. Sensi di colpa. Con quella lettera Calum mi aveva confessato tutto, dal motivo della morte dei miei- etichettato dai giornalisti sotto la spunta ‘incidenti mortali’- al motivo che l’ha portato qui da me, nel mio appartamento. In una città che a lui ricorda solo cose spiacevoli. L’ha fatto per me. O meglio, per una promessa fatta a mia madre e di cui non mi aveva mai parlato.

Devi dirgli grazie, grazie di tutto.

Sentii una chiave intrufolarsi nella toppa e.. Scattò il panico. Afferrai la lettera infilandola sotto il cuscino, presi un calzino che, usando come uno spolverino, risultò davvero molto utile per raccattare i coriandoli di carta rossa e sotterrarli sotto il letto. C’era solo un’altra persona che possedeva le chiavi dell’appartamento. E quella persona era il mio coinquilino, ovviamente. Sobbalzai scattando inspiegabilmente in piedi appena Calum si mostrò, la giacca e i pantaloni scuri eleganti, da cerimonia. Sul suo petto sbucava persino un cravattino rosso. Che andasse ad una festa? Entrò in silenzio, ignorandomi completamente. Lo seguii con lo sguardo per tutto il tragitto che lo portò al suo letto finché... infilò la mano sotto il cuscino. Sentii il cuore perdere un battito, fermarsi letteralmente nel petto per poi ricominciare a pompare quando Calum si allontanò di lì, lo sguardo diretto al mobile accanto. Aprì un cassetto. Lo richiuse, confuso. Sta cercando la lettera. Lo vidi entrare in un panico silenzioso e sofferente che volevo bloccare. Lo arpionai con entrambe le mani con gesto fulmineo appena mi sfiorò, passandomi accanto. A quel tocco rimase inspiegabilmente immobile. Non batteva ciglio, come se la cosa non lo infastidisse e, anzi, infondo forse non lo sorprendesse affatto. Giurai di vedere uno striscione passarmi davanti agli occhi con la scritta:Vuole delle scuse, grande genia. Mi preparai mentalmente, mi schiarii la voce e “Davvero parti?” C..cosa? COOSA?! Non volevo dire questo io.. adesso avrebbe scoperto della lettera e.. Addio, mondo crudele. Aspettai una sua risposta che arrivò inaspettata solo pochi attimi dopo, e che riuscì a deviare il discorso su qualcosa di molto, molto più serio. “Forse” rispose, mettendosi allo specchio e sistemandosi il cravattino, raccolse i miei occhi nel riflesso alle sue spalle e “A te interessa?” In un attimo avevo scoperto un’altra qualità/difetto di Calum: la sua terribile abilità nel mettermi in difficoltà. Lo fissai, mordendomi un labbro che lui fissò a sua volta nello specchio. Intrecciai le dita sul ventre. Abbassai il capo. Mi interessava? Beh, infondo Calum voleva... sì, cercava di proteggermi, insomma. E poi io non volevo restare sola, non di nuovo. A quel pensiero il viso di mia madre s’intrufolò prepotente nella mia mente. Sentivo la sua voce chiedermi di abbracciarlo, di accettare finalmente mio fratello. E se me lo diceva lei, quella era la scelta giusta. “Mi dispiace!” urlai, qualcosa a pungere gli angoli degli occhi “Non è vero che tu mi togli aria! Non è vero che.. che ti odio o che non sei mio fratello perché tu.. tu..” mi bloccai, all’improvviso quel torrente di parole sembrava essersi interrotto. Calum si voltò e mi sorrise. Quel suo sorriso. Era la prima volta che me lo mostrava, e pensai che gli donasse molto, che con i denti bianchi in mostra e le labbra schiuse fosse davvero... carino. Mi aspettavo un abbraccio, ma lui sollevò un sopracciglio e “Perché tu..?” chiese, impaziente. “Perché tu sei mio fratello, Cal.” Perfetto, la prima volta che lo ammettevo e lui era lì ad ascoltarmi, ad allargare sempre più quel bel sorriso luminoso. “E io sono proprio...” “Una stupida?” m’interruppe, sogghignando. Gli feci la linguaccia e “Io avrei detto fortunata ma... va bene anche così” Gli chiesi che diavolo ci faceva vestito così, con quello smoking elegante che, sinceramente, gli stava proprio bene... ok, quest’ultima parte l’ho solo pensata. Calum non rispose, la sua attenzione fu catturata da qualcosa ai miei piedi. Si chinò, posando le ginocchia a terra e afferrando qualcosa di piccolissimo che scomparve nella sua mano. Mi fissò. “Hai visto in giro una busta rossa, per caso?” Rabbrividii, scuotendo il capo forse con troppa forza. Mostrò un ghigno, sollevò un sopracciglio e “Chissà perché...” aprì la mano mostrandomi un coriandolo rosso “...non ti credo”.

Volevo sotterrarmi.

Quello sguardo divertito poteva significare solo una cosa:

Vendetta.

 

  
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