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Autore: kiara_star    26/06/2014    4 recensioni
[Sequel de “La carezza di un'altra illusione”]
[a sort of Thorki; fem!Thor]
~~~
C'erano cose di cui Thor non parlava mai, c'erano storie che forse non avrebbe mai narrato. C'erano domande che Steve porgeva con qualche dubbio.
“Perché continui a vedere del buono in Loki?”
“Perché io so che c'è del buono.”
[...]
Siamo ancora su quel balcone?
Ci sono solo io?
Ci sei solo tu?

“Hai la mia parola, Loki, non cambierà nulla.”
Ma era già cambiato tutto dopo quella prima menzogna e non era stato suo fratello a pronunciarla.
~~~
~~
Ancora oggi Nygis riempie il cielo di stelle continuando a piangere per il suo unico amore, nella speranza che un dì ella possa tornare da lui.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La leggenda di Nygis'
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cap30
L' ultima lacrima



XXX.





Steve si guardò intorno. Era una stanza come quella dei grandi hotel. C'era stato un paio di volte per presenziare a qualche conferenza stampa in giro per il mondo, ma poteva dire di preferire la sobrietà della sua camera allo S.H.I.E.L.D., e ovviamente quella della sua vecchia casa a Brooklyn.
Dopo aver parlato con Odino, quest'ultimo lo aveva fatto accompagnare da una guardia proprio in quella stanza, e aveva detto che sarebbe stata a sua disposizione per tutta la permanenza ad Asgard.
Non gli piaceva per nulla. C'era un'aria strana, quasi come se ogni singolo oggetto posto avesse un suo motivo per essere lì.
Guardò il letto, enorme, come non ne aveva mai visti. Il baldacchino con veli che potevano essere di seta o roba simile. Un balcone che dava sulla città con tende così spesse che una volta lasciate cadere avrebbero creato un buio pesto.
Si avvicinò proprio alle tende e le sfiorò con le dita.
Quello era il mondo dove Thor era cresciuto, era casa sua. Eppure Thor era una persona semplice. Certo, aveva il suo carattere esuberante e forse arrogante alle volte, ma non sembrava qualcuno nato in un mondo così prezioso.
Aveva visto tanta servitù, aveva visto tanti inchini e tanti sguardi bassi, tanto timore in quegli occhi chiari.
Non poteva non pensare a Linn, alla sua vita fra quelle mura.
Voleva vederla, voleva assicurarsi che stesse bene.
Nessuno gli aveva detto che doveva rimanere in quella stanza, e sebbene fosse notte inoltrata, non c'era nessun comando che lo obbligasse ad attendere l'alba steso a guardare quel inquietante baldacchino.
Poggiò lo scudo accanto al letto - qualcosa gli diceva che nessuno avrebbe osato portarlo via - e raggiunse la porta per spingerla e uscire. Non cigolò, non fece un solo rumore neanche quando si chiuse alle sue spalle.
I corridoi erano cosparsi di lumiere che rendevano l'ambiente quasi sinistro.
Altro che palazzo d'oro, sembrava più simile a uno di quei castelli da film dell'orrore.
Scosse il capo per scacciare quel pensiero, quando il viso di Tony che rideva di lui comparve nella sua testa.
«Stark saprebbe orientarsi, però» sospirò a se stesso voltando per l'ennesima volta in un corridoio che pareva identico al precedente. Con ogni probabilità adesso tornare indietro sarebbe stato impossibile. Non aveva neanche potuto prendere qualche riferimento: quei corridoi erano dannatamente simili fra di loro.
«Dovevo portarmi lo scudo...» brontolò sommessamente, in solitudine, assottigliando lo sguardo per scrutare l'ennesima svolta.
Colonne, lumiere, quadri, affreschi. E poi altre colonne, altre lumiere, altri quadri e altri affreschi.
Quasi ebbe l'istinto di sospirare avvilito mentre si passava una mano fra i capelli tenendo l'altra poggiata sul fianco.
Avrebbe dovuto cercare una guardia o qualcuno che lo riconducesse nella sua stanza o chiedere direttamente dove poteva trovare Linn.
Uno sperduto forestiero in una terra sconosciuta. Adesso sì che capiva come si era sentito Thor quella prima volta, in qualche maniera era un po' risvegliassi di nuovo da un lungo sonno, con la differenza di trovarsi su un luogo diverso e non un tempo.
«Dove vado adesso?» Si interrogò nuovamente guardando un nuovo bivio.
Non era un palazzo, era un labirinto.
Sul fondo alla sua destra però proveniva una luce più forte che si avvicinava. Almeno c'era qualcuno con cui parlare.
Gli andò in contro con un filo in più di rassicurazione ma quando pochi metri li dividevano, vide brillare davanti agli occhi quella che scoprì essere una spada.
La luce lo colpì in pieno causandogli l'impossibilita momentanea di mettere a fuoco chiunque avesse di fronte.
Alzò comunque entrambe le mani per mostrarle prive di armi.
«Chi è che si aggira furtivamente per i corridoi del palazzo?» chiese una voce maschile.
Steve provò a socchiudere gli occhi e cercare di riconoscere il volto di chi aveva parlato. Riusciva come sempre solo a vederne i capelli di un caldo biondo e due iridi nere che ci avrebbe scommesso essere in realtà azzurre.
«Sono il Capitano Steve Rogers, e cercavo solo la mia stanza.» Perché mi sono perso come un ragazzino.
Il suo orgoglio gli impedì di aggiungerlo.
«Steve Rogers?» Il suo tonò mostrava un certo interesse. La luce della lanterna che stringeva nella mano sinistra fu abbassata e la spada sottile rifoderata.
Steve abbassò le braccia osservando un sorriso bianco che si stendeva sul viso dell'uomo.
«Sif aveva detto che eri giunto qui,» disse quest'ultimo mentre la luce ne illuminava meglio i lineamenti eleganti e il biondo pizzetto che incorniciava le sue labbra. «Io sono Fandral. Piacere di conoscerti, capitano.»
A quel nome sospirò sorridendo a sua volta e allungò una mano aspettando che l'altro la stringesse.
«Steve. Piacere mio.»


«Dai racconti di Thor ti facevo più robusto.»
«Ah sì?»
«E il tuo scudo? Parla sempre del tuo scudo che nessuna lancia potrebbe infrangere.»
«È in un posto sicuro.»
«Certo. Mai abbassare la guardia.»
Una cosa era certa: a Fandral piaceva parlare, piaceva parlare molto. Avrebbe dovuto ricordarselo, perché parecchie volte aveva sentito Thor dirlo.
Due amici di due mondi lontani che avevano in comune l'affetto per la stessa persona.
Steve aveva sentito parlare di Fandral così come Fandral doveva aver sentito parlare di lui, perché Thor amava i suoi compagni, i suoi fratelli di armi.
Mentre camminavano per i corridoi, ogni parola pronunziata dall'asgardiano aveva fatto comprendere quanta stima e quanto rispetto provava per Thor, quello stesso rispetto che provava lui... che aveva provato.
La storia di Loki, di quello che era stato, di Sigyn, non poteva negarlo: aveva alquanto destabilizzato i suoi sentimenti verso di lui. Era stata più di una doccia fredda, era stata una delusione.
Si sentiva così ingiusto e meschino, eppure come poteva mentire a se stesso?
«Ti accompagno fino alle stanze comuni, lì di certo un paggio saprà condurti nelle tue camere.»
«Grazie Fandral, sei stato gentile.»
«Solo un piacere, mio buon amico terrestre.» Steve lo guardò con la coda dell'occhio scorgendone il sorriso amichevole. «Fortuna esserci incontrati, altrimenti avresti peregrinato fino all'alba.»
Non represse una risata colpevole.
«I navigatori satellitari hanno assopito il mio naturale senso dell'orientamento» mormorò senza chiedersi se Fandral sarebbe stato confuso dalle sue parole. «Meno male che eri di guardia.»
A quel punto fu Fandral a ridere.
«Non era il dovere a tenermi sveglio, capitano, ma il piacere» confessò sistemandosi con la mano libera la folta chioma bionda. «Porgevo una dolce notte a un altrettanto dolce fanciulla.»
«Oh, capisco.» Tagliò corto alquanto imbarazzato. «Siamo arrivati?» chiese poi cambiando discorso.
Fandral annuì indicandogli la fine del corridoio.
«Quasi, però è davvero un peccato non poter bere un boccale di birra insieme. Volstagg e Hogun avrebbero volentieri fatto la tua conoscenza.»
Si ritrovò a sorridere.
«Non mancherà tempo» disse e Fandral gli fece un cenno del capo.
«Al termine di questa guerra, se mai ci sarà, Odino proclamerà quaranta giorni di festeggiamenti, come accadde per la vittoria di Nornheim. Oh, fu un grande giubilo: l'idromele scorreva a fiumi, le donne più belle di Asgard ci allietavano con la loro compagnia. Ogni sera c'erano lotte e duelli, e decine di scommesse. Thor rischiò anche di essere diseredato perché si presentò ubriaco a una delle assemblee del consiglio.» Fandral rise. «Sono certo che ha sbadatamente mancato di inserire questo episodio fra i suoi racconti, vero?»
Una tristezza fiorì nel petto di Steve.
«No, mi ha detto di quel giorno. Odino era così infuriato che voleva decapitarlo...» Perché Thor gli raccontava tutto, non aveva segreti. Così aveva sempre creduto. E si era sbagliato.
«In verità non mi sorprende. Thor è sincero come pochi.»
Non seppe ribattere, tenne per sé pensieri e parole.
Erano ormai giunti al termine del corridoio quando un'altra figura si avvicinò nel verso opposto, stavolta nonostante il buio e le candele sui muri, Steve riconobbe immediatamente il suo viso.
«Linn?» la chiamò velocizzando il passo e lasciando così indietro Fandral.
«Steve!» Si ritrovò le sue braccia attorno alle spalle e il suo respiro sulla pelle. «Ti ho cercato tanto, Steve.»
«E io mi sono perso per cercare te.» Le confidò guardandola in viso ed era così bella... Dio, se era bella.
«Non vorrei essere di troppo...» mormorò Fandral raggiungendoli con un sorriso sul viso.
Steve si sentì in imbarazzo e sciolse l'abbraccio permettendo a Linn di ritrovare il suo atteggiamento elegante e cortese.
«Lord Fandral,» lo salutò lei con un cenno del capo. «Non vi avevo veduto nel buio.»
«Avevi lo sguardo impegnato su qualcun altro, bella Linn, nessun rancore. Anzi... » L'asgardiano le prese poi una mano e le posò galante un bacio sul dorso. «Sei incantevole stasera.»
No, a Steve non piacque quel gesto e lasciò che il suo sguardo glielo trasmettesse.
Ma Fandral sembrava immune a certi taciti discorsi, dal momento che tornò in posizione eretta con le labbra ancora curvate amabilmente.
«Grazie, Lord Fandral.» Anche Linn si mostrò a disagio per quel gesto ma Steve non sapeva dire se fosse per il bacio in sé o perché era avvenuto davanti ai suoi occhi.
«Bene, non voglio disturbare l'incontro audace di due giovani amanti.» Ci fu un inchino che pareva finto tanto perfetto fu. «Una intensa notte a entrambi.» E poi il lungo mantello danzò alle spalle di Fandral quando si allontanò nel verso opposto del corridoio.
«È un tipo... bizzarro» esclamò Steve quando la luce della lanterna del asgardiano sfumò dietro un angolo. Si voltò poi a guardare Linn.
Ci fu silenzio, poi un sorriso, poi un dolce bacio.
Le accarezzò una guancia con il dorso delle dita.
«Hai parlato con il Padre degli Dèi?» gli chiese Linn prendendo quelle dita fra le proprie.
Steve annuì e sospirò.
«Secondo lui dovrei essere in grado di sollevare il martello di Thor e in questo modo spezzare quella specie di incantesimo fatto da Loki e Amora.»
Un'ombra triste dipinse gli occhi di Linn.
«Mi dispiace» le sospirò sapendo bene cosa volesse dire per lei.
«No, non devi. Asgard ti sarà grata per il tuo aiuto, Steve.» Sforzò un sorriso che però era solo una lacrima asciutta sulle labbra. «Ciò vuol dire che resterai qui per un po'?»
Annuì.
«Finché non inizierà questa guerra, anche se a me sembra che sia iniziata da tempo.»
«Steve, ascoltami...» Linn abbassò lo sguardo e poi lo risollevò sul suo viso. «Vorrei che tu parlassi con Lady Sigyn, che l'ascoltassi... Lei ha bisogno della tua amicizia e del tuo perdono.»
Si sentì quasi schiacciare dallo sguardo supplichevole di Linn, dalle sue parole e dal silenzio che ne seguì.
«Quindi l'hai vista...» mormorò retorico ma Linn annuì comunque.
«Sono di ritorno dalle sue stanze. Se volessi-»
«No, non adesso» rispose prima che gli venisse posta quella domanda. Non era ancora pronto ad affrontare quello sguardo, la sua voce e le parole che avrebbe pronunziato. «Domattina, forse.» Forse una notte non sarebbe bastata, ma a Linn quella promessa parve farlo.
Gli sorrise e avvolse le dita della mano fra le sue.
«Ti accompagno nelle tue stanze, capitano.»
Steve scosse la testa imbarazzato. «Non ho idea di dove siano, veramente... Io... te l'ho detto: mi sono perso.» Alla sua confessione ci fu una piccola risata. Linn tenne di fronte la lumiera per far luce nei corridoi e prese il passo.
«Sei un ospite di rara preziosità, è probabile che il Padre degli Dèi ti abbia riservato un alloggio nell'ala degli Eterei, è la zona più raffinata e protetta del palazzo» spiegò voltando con facilità per i corridoio, e Steve le andava dietro ascoltandola parlare di quell'enorme castello come fosse la più semplice delle dimore. «Sarebbe sconveniente disturbare per chiedere, quindi cercheremo di ritrovare la via smarrita da noi. A Odino non farebbe una buona impressione sapere che il suo salvatore giunto da Midgard vaga spaesato per la sua casa...»
Steve arrossì ma sorrise divertito dal modo con cui Linn sembrava felice di essere lì. Forse perché era ad Asgard, forse perché aveva potuto rivedere e parlare con Sigyn, forse perché c'era lui con lei.
Qualunque fosse il motivo andava bene: era solo bello vederla sorridere.
«Aspetta, ricordo questo dipinto con i due cavalieri!» Arrestò il passo indicando l'enorme affresco su una parete. Steve aveva sempre amato l'arte e non poteva negare che Asgard sembrava davvero uscita fuori dal pennello di un artista, tanto magnifica era nelle sue forme, nelle luci e perfino nelle ombre.
«Allora avevo ragione...» disse Linn facendo luce sulla parete e poi nuovamente per il corridoio.
Steve si permise di guardarla, di guardarla nei suoi abiti asgardiani, con i capelli raccolti e il dolce tintinnio dei bracciali. Le sue spalle nude e la scollatura profonda sulla schiena.
Aveva una sensualità di cui neanche era conscia e che gli faceva mozzare il fiato in gola.
«Se riconosci-»
Tacitò le sue parole, quando le avvolse un braccio attorno alla vita e la tirò a sé, premendo le labbra sulle sue.
«Credo sia questa» sospirò contro la sua bocca spingendo la porta di una delle stanze.
Al suo interno il suo scudo brillò sotto la luce della lanterna.
Linn aveva ancora le labbra schiuse e non disse niente. Lo guardava soltanto con le gote arrossate.
Steve la teneva ancora stretta, fermo sulla soglia ormai aperta.
Scivolò nei suoi occhi e la baciò ancora accarezzandole la pelle morbida sulla schiena.
«Linn...?» sospirò con affanno ma Linn sorrise e gli avvolse le braccia attorno alle spalle.
«Non chiederlo neanche, capitano» rispose tirandolo dentro la stanza.
Steve chiuse la porta con una mano e Linn poggiò distrattamente la lanterna sulla prima superficie libera.



*



Le dita picchiarono sulla scrivania più volte. Sigyn guardò la fiamma della candela che danzava a ogni suo respiro.
Allungò l'indice e la sfiorò. Il polpastrello si annerì ma non sentì bruciarlo.
Nell'ombra della notte vide qualcosa brillare nel suo palmo: era la runa disegnata da Loki.
Sospirò e strinse la mano affondando il viso fra le braccia piegate sul legno.
Linn era andata via da qualche minuto. Le aveva detto che Loki era sulla Terra, in mano ai suoi compagni Vendicatori, e lì sarebbe restato fino alla fine.
È una fine sarebbe stata.
Respirò profondamente e sollevò la testa. La candela ancora tremava nella sua tenue luce.
Voltò poi lo sguardo verso la balconata, poi verso la porta chiusa.
Attendere, attendere e ancora attendere.
Non sarebbe mai riuscita in quell'intento.
Il folle desiderio di raggiungere il Bifrost crebbe nei suoi pensieri. Avrebbe potuto supplicare Heimdall affinché le aprisse la via per la Terra e...
E poi? Cosa sarebbe accaduto una volta giunta lì?
Avrebbe solo ravvivato l'ira di Odino, resa più profonda la sua delusione e creato un riflesso perfino nel cuore di sua madre.
Raggiunse invece il letto e vi si gettò con stanchezza.
I capelli le ricaddero sul lato sinistro del viso offuscandole la vista.
Era orribile sentirsi così impotente. Sbuffò sentendo una pesante inquietudine crescere nel suo ventre e si voltò spalle alle lenzuola per fissare il soffitto buio.
Forse c'era un modo, una soluzione per non perdere tutto. Ma cosa le era rimasto in fondo da perdere ancora?
Il rispetto di suo padre si era frantumato come una foglia di vetro gettata sul pavimento, quello dei suoi compagni aveva seguito il medesimo destino e, se avesse avuto modo di rivedere lo sguardo di Steve... non sapeva neanche se aveva il coraggio di tenerlo.
Negli occhi di Sif era anche peggio guardare, perché c'era ancora la tossica menzogna a specchiarsi, e così sarebbe stato per quelli di Volstagg, di Fandral e di Hogun.
Gli occhi di Jane forse non avrebbe più potuto vederli, non meritava nulla fuorché le sue spalle, fuorché il suo disprezzo.
Jane, la sua amata Jane.
Quanto male le aveva fatto, quante gliene stava ancora facendo adesso, perché nel martellare dei suoi rimpianti, i colpi più forti battevano non per lei, non per i suoi compagni, non per suo padre né sua madre... battevano per lui, per quegli occhi verdi che le sarebbero mancati più di tutti, gli unici in cui avrebbe voluto annegare per l'eternità. Gli occhi di suo fratello, del suo nemico più brutale, del suo unico vero amante.
E non avrebbe più potuto vedere quegli occhi sciogliersi e guardarla come nessuno mai aveva fatto, con tale devozione e passione, con tale disperazione. Perché fare l'amore con Loki era disperazione, lasciarsi prendere e perdersi lo era; ogni bacio, ogni gemito, ogni goccia di sudore era disperazione. E nulla era più vivo di quella disperazione. Sigyn non era mai realmente viva se non quando era fra le sue braccia, cullata dal suo desiderio e dalla sua passione.
...Se solo potessi toccarti...
Risentì la sua voce mentre chiudeva gli occhi e la mano scivolava sul suo corpo, mentre si sfiorava i seni stretti nel bustino pensando fossero sue le dita.
Se solo fossi tu a toccarmi...
Lasciò salire un debole gemito mentre le carezze danzarono sul suo ventre ancora coperto fino a fermarsi dove sentiva nascere e crescere il più folle dei battiti.
Sigyn lasciò che le dita si infilassero sotto la pelle nera dei suoi pantaloni e sfiorassero quel calore che solo lui sapeva toccare davvero.
Ed erano quelle pallide dita gentili e audaci che la stavano accarezzando adesso, era il suo sorriso quello che vedeva brillare nell'ombra dei suoi occhi, era la sua voce a farla tremare. Loki era lì, con lei, perché era di questo che aveva bisogno: averlo al suo fianco, ad affrontare ogni guerra e ogni sconfitta, a condividerne i trionfi e le lacrime.
Era lì a toccarla e amarla e farla sentire sua, come fosse davvero quella stella di cui indossava il nome.
Fiorì ancora un gemito e poi ancora uno, folle e imperdonabile come quel loro legame illecito.
E quando l'immagine di Loki sfumò dai suoi occhi che si aprirono a mirare nuovamente un soffitto nero, Sigyn guardò quella mano umida e calda, la mano dove brillava il verde del suo seiðr. Una lacrima rotolò dai suoi occhi bagnando la stoffa del cuscino mentre la stringeva contro il petto, contro un cuore che batteva troppo forte.
Cuore mio...
Sarà sempre tuo, fratello.











Quando Loki si svegliò si accorse che qualcosa era diverso. Sbatté le palpebre un paio di volte avvertendo una leggera emicrania e si passò le dita fra i capelli.
Era allungato su una branda, una semplice branda in quella stupida cella dove Stark lo aveva chiuso. Si tirò a sedere e lo sguardo cadde sulle sue vesti che non erano più quelle che indossava.
«Eri inquietante con quella vestagliona nera.» All'udire quella voce alzò gli occhi verso una vetrata. Stark lo guardava con un sorriso divertito mentre mangiava qualcosa. «Questa divisa rispecchia meglio la tua condizione da detenuto.»
Loki aprì le braccia per guardare incredulo i pantaloni grigi di misero cotone e la maglia a maniche corte del medesimo colore e stoffa.
«Hai osato svestirmi?» chiese quasi inorridito.
«Ma dico, scherzi?! Chi ci tiene a vederti nudo!?» sbottò l'umano facendo una palla con la carta bianca che aveva fra le mani e lanciandola verso un cesto di metallo a qualche metro di distanza. «È stato Bruce a occuparsi di te e, se ti posso dare un consiglio, più che al tuo look dovresti badare a quel piccolo cip che ti è stato impiantato nel collo.»
La mano saettò sul retro del collo e quando sfiorò la pelle, Loki sentì la carne pungere. Non c'era però nessun cip o chissà quale altra diavoleria nel suo collo.
«Che cosa mi hai fatto, dannato Stark?» domandò furente scattando in piedi.
Tony sospirò e incrociò le braccia sul petto, solo allora Loki notò che anche lui non indossava più gli abiti di quando l'aveva veduto prima di perdere i sensi.
Doveva essere passato forse un giorno o più.
«Dal momento che ti vanti tanto delle tue fughe, Scofield[1], Nick ha pensato bene di fare in modo che in caso ti venisse idea di rifare qualcun altro dei tuoi brillanti piani di evasione, ci fosse più semplice rintracciare il tuo culo.» Stark poi si toccò il proprio collo per indicargli la zona che poco prima aveva lui stesso sfiorato. «È un rilevatore di posizione. Se metti un piede fuori da questa cella ci basterà tenere sotto occhio un piccolo e adorabile puntino rosso su uno schermo. È un sistema che si usa anche per i cani quando si perdono, lo sai? Oh, ma non vorrei offendere i cani paragonandoli a te, ecco» farfugliò fastidiosamente ancora il terrestre. «Ti basti sapere che se solo provi a estrarlo, a parte farti un male atroce, automaticamente sarà rilasciata una quantità minima di GTA 5 che, nel caso te lo stessi chiedendo, è una tossina paralizzante. Cadrai a terra come un sasso e puff! Fine dei giochi.» Stark fece schioccare le dita di entrambe le mani con fare divertito e poi gli sorrise ancora. «Tutto chiaro, bad boy?»
Loki non era neanche riuscito a reprimere i respiri affannosi che stavano smuovendo le sue spalle. Strinse i pugni delle mani furioso e guardò con la stessa furia la faccia di quel mostriciattolo.
«Ti scuoierò vivo, e userò le tue interiora come cibo per i corvi...» minacciò con voce roca, ma Tony non sembrò per nulla curarsi delle sue parole né della sua ira, prese a salire le scale e mosse annoiato le dita della mano.
«Sì, sì, come ti pare...»
«Stark!» urlò Loki mentre l'uomo saliva i pioli allontanandosi dalla sua visuale. «Mi hai sentito, Stark? Ti farò soffrire! Soffrirai come non hai idea!» Il resto delle minacce fu ascoltato solo dal silenzio.
Loki sbatté rabbiosamente il pugno contro il vetro. Non ci fu alcuna scossa ad attraversare il suo braccio, ma il tacito luccicare di una spia rossa nell'angolo della cella era anche peggio.



*



Bruce sospirò mentre Tony lo affiancava.
«Era necessario?» Gli chiese alternando lo sguardo dal suo viso al monitor dove era visualizzata la cella di Loki.
«Necessario forse no, divertente... Oh, dio, assolutamente!»
Sebbene fosse inappropriato, condivise quel sorriso divertito.
«Perché gli hai detto quella stupidata del paralizzante?» chiese ancora e Tony alzò le spalle.
«È solo un deterrente per evitare un futuro tentativo di levarsi il nostro trasmettitore.»
«Sei sicuro che l'abbia bevuta, almeno?... Andiamo... GTA 5?»
Tony rise di gusto. «Ma sì che l'ha fatto, e poi è vero: quando giochi a GTA ti paralizzi davanti alla console[2],» gli rispose. «E comunque penso che stavolta non proverà neanche a scappare» affermò poi.
«Sarà...» Bruce sospirò poco convinto. Se Loki voleva scappare si sarebbe inventato qualcosa e l'avrebbe fatto, ormai era assodato che quello lì ne conoscesse una più del diavolo. «Pensi che collaborerà fino al ritorno di Steve?»
«Basta che se ne stia buono lì dentro. Non è che gli costi un grande sforzo, e se farà il bravo gli darò qualche foto di Sigyn come ricompensa.»
Bruce lo guardò con rimprovero e Tony sorrise.
«Gli daremo anche un pareo. Tranquillo, Bruce: nessuno vuole vedere i suoi lavori di mano.»
«Per l'amor della decenza, Tony!» sbraitò imbarazzato il dottore coprendosi pudicamente gli occhi con il palmo della mano e facendo ridere ulteriormente l'amico. Tony gli avvolse poi un braccio attorno alle spalle e lo scosse un po'.
«Il Capitano farà il suo dovere da eroe e metterà le cose a posto.» Puntò poi l'indice verso lo schermo e Bruce seguì la sua direzione con lo sguardo. «Godiamoci un po' di relax, nel frattempo. Ce lo siamo meritato.»
Il dottore sospirò mentre vedeva Loki che sedeva nervosamente sulla branda.
«Se questo è relax...» mormorò guardando poi il viso di Tony al suo fianco.
Tony gli schiaffeggiò affettuosamente una guancia con le dita.
«Lo è, credimi. Lo è.»
Bruce continuava a esserne poco convinto.






 




Il sole iniziò a diventare fastidioso e Steve fu costretto a sollevare le palpebre. Lasciare le tende aperte era stata una pessima idea: l'alba di Asgard sembrava dieci volte più intensa di quella della terra. C'erano sfumature arancioni più calde e un blu del cielo che pareva dipinto.
Brontolò coprendosi gli occhi con un braccio allungando l'altro alla sua sinistra.
Era vuota.
Si sollevò immediatamente scoprendo le lenzuola in disordine e il cuscino sgualcito, ma Linn non era lì.
Si passò una mano sul viso ancora piegato dal sonno e scese dal letto recuperando i boxer da terra.
«Linn?» la chiamò, e quando non udì risposta la chiamò ancora. La cercò anche nella stanza da bagno  direttamente collegata alla camera, ma era vuota.
Dov'era? Forse era andata via prima dell'alba perché sarebbe stato inopportuno farsi vedere uscire dalla sua stanza. Era qualcosa che poteva appartenere al suo comportamento. Non riuscì comunque a sopprimere il senso di delusione nello svegliarsi in solitudine, non dopo la notte dolce e passionale che avevano appena trascorso.
A volte dimenticava che Linn era un'ancella e che lo era sempre, in ogni attimo della sua vita. Aveva dei doveri, degli impegni a cui non si sarebbe mai sottratta.
Si sedette stancamente sul letto e accarezzò con le dita la stoffa. Avrebbe solo voluto tenerla lì con lui per tutto il giorno e non pensare a ciò che sarebbe seguito, alla missione che gli era stata data da Odino stesso, alla speranza che riservavano in lui.
E se avesse fallito? Se arrivato lì non fosse riuscito nel suo compito?
Odino aveva parlato di guerra, Odino parlava di guerra con gli occhi di chi ne aveva visto ogni lato, con lo stesso sguardo che Steve vedeva ogni mattina quando si guardava allo specchio.
Qualunque sia il prezzo da pagare...
Al rimembrare le sue parole e la sua voce, sentì nuovamente quel brivido.
Fu scosso dal suo pensare solo nel momento in cui qualcuno bussò alla sua porta.
Attese un secondo tocco e poi cercò con lo sguardo il resto dei suoi vestiti.
«Un attimo!» disse infilandosi i jeans e poi la t-shirt. «Arrivo!» Nel caso fosse stato proprio Odino, non Sarebbe stato opportuno aprire in mutande.
Quando arrivò alla porta e afferrò la maniglia si trovò davanti non il padre di Thor, ma un ragazzino con un vassoio fra le mani.
«Capitano Rogers» lo salutò quest'ultimo chinando umilmente il capo e tenendo sempre lo sguardo basso disse ancora: «Sono Jóel, e mi hanno comandato di portarvi la colazione, Capitano Rogers.»
Steve si sentì a disagio per quel comportamento così servile.
«Oh, grazie...» sospirò grattandosi la nuca e aprendo subito dopo la porta. «Prego, entra.» Lo invitò gentilmente e il ragazzo entrò.
Raggiunse silente un tavolo e vi poggiò il vassoio. Poi si voltò tenendo le mani congiunte sul davanti e sempre lo sguardo al pavimento.
«Mi è stato detto di chiedervi se necessitate di indumenti freschi.»
A quella domanda indiretta si ritrovò ad arrossire, in effetti non aveva pensato di portare dietro un cambio o altro, credendo forse che il tutto si sarebbe risolto nel giro di un paio di ore. Era stato poco previdente.
Si guardò indosso e poi guardò il giovane.
«Credo di essere apposto così» rifiutò con leggero impaccio e Jóel fece un cenno del capo.
«Come desiderate. Se c'è bisogno che faccia qualcosa per voi, mio signore, comandate pure.»
«Cosa? No, no non c'è nulla. Davvero. Grazie, Jóel.»
Comandate? Mio signore?
Come si poteva vivere in un posto simile?
Ripensò a Linn, a come l'aveva conosciuta, a come gli era sembrato insolito e sgradevole l'essere oggetto di una simile riverenza. Non poteva accettare che avesse vissuto tutti quegli anni con il capo chino, a chiedere di essere comandata, a ringraziare per ognuno di quegli ordini.
Guardò con rabbia quel vassoio che il giovane gli aveva portato e quasi ebbe l'istinto di chiedergli cortesemente di portarlo via.
Ma non poteva offendere così il suo lavoro, la sua stessa persona.
Lo ringraziò ancora e gli disse che era stato gentile a portargli la colazione.
Jóel alzò il capo con un sorriso timido. «È stato un piacere, Capitano Rogers.»
«Steve,» lo corresse amichevole. «Chiamami Steve, ok?»
Il ragazzo sembrò confuso da quella richiesta ma accettò con un altro sorriso.
Lo accompagnò fino alla porta ma prima di varcarla il giovane tirò fuori da una tasca un piccolo biglietto piegato.
«Da parte di Linn.»
Steve abbassò lo sguardo sul foglio e poi lo prese.
«Grazie mille.»
Jóel chinò il capo stavolta con meno umiltà e sincera gratitudine e poi uscì.
Il capitano accompagnò la porta con la mano ma tutta la sua attenzione era sempre per quel biglietto.
Lo aprì passeggiando verso il tavolo e sorrise nello scorgere la calligrafia elegante di Linn.
Mio Capitano, perdonami per essere andata via prima del tuo risveglio...”
Già le prime parole gli provocarono un'ondata di calore, già leggere quel Mio Capitano scritto di nero sulla pallida carta.
Steve continuò a leggere raccogliendo distrattamente della frutta dal vassoio che gli era stato portato.
Linn diceva che era dovuta andare via perché la sua regina aveva bisogno di lei, non c'erano dettagli in merito, e poi continuava:
Quando i raggi colpiranno la torre a sud del palazzo, io sarò nei giardini reali. Chiedi pure a Jóel di condurti lì. Aspetterò con ansia di vederti giungere.
Eternamente tua, Linn.
Sorrise dolcemente guardando ogni singola morbida curva delle lettere e poi avvicinò al viso il foglio di carta, quasi potesse sentire il suo profumo.



*



Frigga le aveva fatto visita nella mattinata per informarla di ciò che era stato deciso in merito al coinvolgimento di Steve. Non si era sorpresa del suo consenso, né del giudizio positivo che sua madre aveva avuto di lui.
Un giovane pieno di spirito e giuste convinzioni, così lo aveva descritto.
Sigyn aveva sorriso ritrovando nelle parole di Frigga davvero un ritratto onesto del suo buon amico.
Puoi passeggiare con me nei giardini, se vuoi. Non ti è proibito.
Ma aveva rifiutato il gentile invito di sua madre. Il suo cuore non aveva luce né calore da poter essere una buona compagnia.
Le aveva baciato il dorso della mano e le aveva detto che sarebbe rimasta nella sua stanza a rispettare i voleri di suo padre.
Era una comoda scusante, era una codarda soluzione a tutto.
Quando Frigga era uscita chiudendosi la porta alle spalle, Sigyn era scivolata nuovamente nella sua malinconia, aveva cancellato ogni sorriso ed era tornata a tormentarsi con sensi di colpa. Ed erano così tanti che quasi le sembrava di soffocare.
Non riusciva a restare a letto senza sentire freddo sulla pelle, non riusciva a guardare il grande specchio senza provare desiderio di infrangerlo, non riusciva a toccare le sue armi, sparse per la stanza, senza avvertire la voglia di urlare di rabbia.
Uscì da quella camera e fece l'unica cosa che le dava un po' di sollievo: raggiunse la porta vicina e la spinse. Attraversò la stanza in ombra con una sottile coltre di polvere e arrivò alla balconata. Ne tirò le tende e lasciò che Asgard si versasse nei suoi occhi. La guardava e si diceva che doveva fare in modo di salvarla, di salvare ogni singolo uomo giusto che l'abitava. Era per Asgard che non avrebbe ceduto, per la sua casa.
Ne accarezzava i profili con lo sguardo, i tetti delle case e le morbide curve delle colline. Ispirava l'odore dei mille fiori che l'adornavano e ascoltava il canto degli uccelli così dolcemente ignari di ciò che stava accadendo. Spiegavano le loro ali e potevano volare via da tutto, in alto, lontano, fino a raggiungere il più azzurro dei cieli e i raggi più caldi di ogni stella.
Sfiorò con le dita il parapetto ricordando quando si sedeva con le gambe verso il vuoto, con Loki che diceva di stare attento, che se fosse caduto, Padre si sarebbe arrabbiato con lui.
Se vuoi gettarti da un balcone, usa quello della tua stanza!” Gli consigliava con il suo tono di bambino troppo intelligente per la sua età. Thor rideva e calciava l'aria stringendo i pugni sulla pietra.
Il tuo ha una vista migliore, fratellino.” Lasciava che il vento gli soffiasse via i capelli dalla fronte e aspettava che Loki lo affiancasse poggiando i gomiti accanto a lui.
Non è ciò che vedi, Thor, ma come lo vedi.” Diceva, e Thor non capiva. Non capiva la sua espressione, l'ombra nei suoi occhi. Per anni, secoli, Thor non aveva capito.
Adesso capiva, adesso che era troppo tardi.
Portò lo sguardo al verde dei giardini, dove sua madre stava passeggiando. Poteva scorgerne le bionde chiome e le balze morbide delle vesti. Saperla baciata dal sole e nella compagnia silente dei suoi amati fiori, le acquietava un po' il cuore.
Sorrise e la guardò accarezzare con la punta delle dita la foglia umida di una pianta, avvicinare il viso per sentirne il profumo.
Loki amava guardarla, Loki restava ore su quella balconata con un libro sulle ginocchia e un sorriso sulle labbra quando la vedeva passeggiare.
Fratello! Vieni giù a prendere aria, altrimenti ammuffirai come i tuoi libri!” Thor gli urlava dal basso, con una risata divertita e la compagnia dei suoi amici più fedeli e Loki lo ignorava, tornava a leggere e non sorrideva più.
Si passò una mano sul viso.
Quanto stupido era stato, quanto male gli aveva fatto senza accorgersene... e ora avrebbe solo voluto che fosse lì, accanto, a guardare nella stessa direzione.











Pepper provò a fermarla fisicamente, trattenendola per un polso, ma seppure aveva una struttura ossea minuta, Jane sembrava possedere la forza di un culturista. Di certo era merito dell'adrenalina che le stava scorrendo nelle vene.
«Non è per niente una buona idea, credimi!» le consigliò.
Jane però strattonò il braccio dalla sua presa e la guardò risoluta.
«Non tenterò di strangolarlo. Voglio solo parlargli.»
«Hai visto com'è andata a finire ieri? Quello è una serpe, dirà qualsiasi cosa per farti del male e tu non devi dargli volutamente questa soddisfazione.»
«Stavolta non riuscirà a farmi nulla, Pep. Voglio solo che mi guardi in faccia e mi risponda.»
Pepper aveva dovuto tenere sotto stretta sorveglianza Jane da quando Nick aveva deciso di utilizzare la cella anti-Hulk della Tower come momentaneo alloggio per Loki. Senza poteri era comunque abbastanza innocuo da poter essere chiuso in una comune prigione, ma forse Nick sapeva che nessuno avrebbe avuto più volontà è caparbietà nel tenerlo dentro dei Vendicatori, Tony in primis, dal momento che aveva tirato loro più di un tiro mancino.
Ma che Jane adesso se ne andasse a parlare con lui... no, era proprio una pessima idea.
«Sono finiti i tempi dei dubbi, adesso voglio le risposte a tutte le domande che mi hanno ossessionato nell'ultima settimana. So che è una serpe, so che è perfido e gode nel fare del male, soprattutto nel farlo a me, ma so anche che conosce quelle risposte.»
Pepper riuscì solo a lasciar andare un breve sospiro.
«Jane, le risposte che cerchi devi averle da Thor non da lui... Cerca di capirlo: prenderà la verità e la plasmerà fino a che non sarà solo un'arma da usare contro di te, e contro di Thor.»
Ma non c'era incertezza negli occhi di Jane, non c'era nulla che facesse intuire che avrebbe dato retta alle sue parole.
«Sono pronta ad ascoltarla, Pepper.»
E non c'era niente che avrebbe potuto fare per impedirglielo.



*



Se ne stava sdraiato a guardare il soffitto bianco, con quella odiosa luce rossa che si accendeva e spegneva a intermittenza. Non aveva detto una parola, né fatto alcun gesto per dare reale soddisfazione a quei terrestri. In vero, non aveva neanche nulla che volesse realmente fare, a parte staccare a ognuno di loro la testa dal collo. Ma quello sarebbe venuto un giorno, con il tempo...
Un braccio piegato dietro la testa e le caviglie intrecciate. Avrebbe potuto chiudere gli occhi e sarebbe sembrato assopito, ma Loki non aveva interesse a celare la sua veglia.
Sentì poi dei passi, i primi da quando aveva veduto Stark l'ultima volta.
Non alzò il capo e aspetto che i passi si arrestassero davanti alla vetrata.
«Secondo i miei esami anche il tuo organismo necessita di cibo, quindi...»
Voltò solo la testa e incrociò il viso di Banner, fra le mani un vassoio con un piatto.
Sorrise.
«Allora entra. Questa è la tua cella, suppongo» affermò con leggerezza mettendosi a sedere.
Banner però era bravo a tenere per sé le sue reazioni, il che era paradossale.
«Confido che non cercherai di attaccarmi alle spalle, non sarebbe una scelta consigliata.» Gli raccomandò soltanto mentre una porta di vetro si spostò sulla sinistra permettendogli il passaggio. Loki seguì i suoi passi finché non poggiò il vassoio sull'unico spoglio tavolo di fronte alla branda. Gettò un occhio alla porta ancora aperta ma non tentò di fare nulla. Lasciò che Banner uscisse e che il vetro si richiudesse tornando un tutt'uno con la parete.
Tornò quindi a stendersi spalle al sottile materasso, ignorando il piatto.
«Sei stato elevato allo status di servo, Banner? Un bel passo avanti per un mostro.»
«Loki, lo sai che con me questi giochi non funzionano.»
Ridacchiò sommessamente alla sua replica inarcando un po' di più il collo per guardarlo. Se ne stava con le braccia piegate sul petto, nella sua classica posizione ricurva e sulla difensiva, con l'aria di chi tiene sott'occhio ogni via di fuga.
Era di certo colui con il potere maggiori in quella banda. Da solo avrebbe potuto annientare uno per uno ognuno dei suoi compagni, avrebbe potuto conquistare interamente quel piccolo mondo e invece... invece fuggiva dalla sua forza, quasi fosse una vergogna. Loki lo chiamava mostro, ma in realtà non l'aveva mai considerato tale. Hulk era una creatura straordinaria che avrebbe potuto essere un valido alleato se solo si fossero incontrati in circostanze diverse. Ma Banner lo soffocava, lo teneva rinchiuso nel suo piccolo cuore di uomo spaventato. Un uomo così intelligente e al contempo stupido come pochi.
«E se un giorno non riuscissi a governarlo?... Ci hai mai pensato?» chiese senza sorrisi, senza tono canzonatorio, ma con semplice e naturale curiosità.
Banner non rispose e lui si tirò nuovamente a sedere.
«Potresti distruggere tutto e tutti, le tue mani gronderebbero il sangue dei tuoi stessi amici e tu non potresti fare nulla.»
«Mi stai chiedendo cosa farei se mi ritrovassi nella tua posizione? Se perdessi tutto ciò a cui tengo perché non sono riuscito a controllarmi?»
A quell'insinuazione sentì un fremito fastidioso allo stomaco e il suo sguardo sul viso di Banner si indurì.
«Io ho fatto le scelte che ho fatto con la volontà di farle, Banner. Non sono vittima di istinti che non riesco a governare.»
Il terrestre piegò le labbra in un sorriso.
«Ma l'amore è il più grande degli istinti privi di controllo. Sbaglio?»
Sorrise a sua volta scuotendo il capo.
Impertinente... eppure nel giusto.
«Mi consideri un debole che cede ai sentimenti? Oh, non sai quanto ti sbagli.» Ma Banner non parve credere alla sua menzogna, perché chi custodisce una bestia dentro ne riconosce sempre i riflessi negli occhi di un altro.
«Anche il dolore è un sentimento, anche la rabbia e la delusione, anche il desiderio di vendetta lo è... perciò sì, ti considero tanto debole da cedere a ognuno di essi, ma se vuoi farmi credere che erano loro a guidare le tue azioni... Beh, mi spiace ma non ci riuscirai.»
«Io volevo solo umiliare e distruggere Thor ed è ciò che ho fatto!» affermò scattando in piedi. «Potete portarlo indietro, potete fermare Styrkárr e Amora e ogni altra minaccia, ma sono io ad aver vinto stavolta e voi lo sapete.» Sorrise in maniera sinistra avvicinandosi alla parete trasparente che li divideva. «Thor non è più niente, né un dio, né un eroe... È ciò che è sempre stato, che io ho sempre visto ma che l'universo, cieco e stolto, si rifiutava di vedere: una bugia.»
«Una bugia?»
Rise.
«Sì, una menzogna. Il suo coraggio, il suo valore, la sua perfezione... Nulla di più falso e io, che ne sono il Signore, ho portato finalmente alla luce la più sordida di ogni menzogna. Il principe d'oro si è infranto fra le mie mani e ciò che ne resta adesso, è solo polvere.» Sorrise ancora, sentendosi soffocare da ognuna di quelle parole che aveva pronunciato con fredda convinzione, con veleno e soddisfazione, sentendo solo la voglia di urlare al cielo.
«È questo quello che pensi?»
La voce che giunse a porre quella domanda non era quella di Banner, era una voce più sottile, più lontana che però divenne vicina nel momento in cui Loki scorse il viso di Jane.
«Jane, non dovresti essere qui.» Le disse il dottore, ma lei lo ignorò e lo affiancò guardando Loki dritto in viso, e sul quel viso un sorriso crudele non era ancora andato via.
«Vuoi darmi un altro schiaffo, dottoressa? Perché stavolta mi sembra un'impresa un po' più ostica» mormorò ironico sfiorando il vetro con la punta delle dita.
«Pensi di aver distrutto Thor? Sul serio?» Adesso un sorriso piegava anche le sue piccole labbra e Loki si costrinse a non far sfiorire il suo. «Thor non era perfetto, non è perfetto e nessuno di noi lo ha mai ritenuto tale. Pensi di aver compromesso l'affetto dei suoi amici? Dei suoi genitori? Il loro rispetto? Beh, ti sbagli, perché tutti stanno lottando per lui e tutti lotteranno sempre per Thor.»
Proruppe in una risata stridula accentuandola volutamente.
«Oh, piccola sciocca umana, non sai cosa stai dicendo. La guerra che si sta per consumare ha ragioni che esulano quell'idiota, e nel momento in cui tornerà non avrà più niente. Gli ho tolto tutto. Tutto!»
«Avrà me!» affermò quindi Jane con impeto e Loki sentì di voler frantumare all'istante quella parete per fracassare la sua testa fra le mani. «Io sarò qui e lui lo sa, e tornerà da me.»
Si avvicinò ulteriormente al vetro appannandone quasi la superficie con il fiato.
«Non sarà mai tuo...»
«Lo è già.»
Sorrise, fra il disperato e il divertito.
«No, non lo è mai stato. Il suo cuore mi appartiene e mi apparterrà sempre, perché io l'ho ferito e colpito, io l'ho fatto sanguinare nei più crudeli modi. Quel cuore è mio perché nessuno potrà mai cancellare il dolore che gli ho causato e che lui ha causato a me... Credi di conoscere l'amore, Jane? Se non conosci la disperazione che esso provoca allora non ne sai nulla.»
Si allontanò dal vetro lentamente, con lo sguardo incatenato al suo, a scambiare la stessa rabbia e la stessa sofferenza. Tanto simili eppure mai più distanti.
«Jane, adesso andiamo.» Banner provò a portarla via ma lei rimase contro quella parete, così piccola e al contempo così sicura.
«No, Bruce, vai tu. Io voglio ancora scambiare due parole con lui.»
«Cos'altro vuoi sentirti dire, Jane? Che tutto ciò che faceva a letto con te lo ha appreso da me?» Rise crudelmente ma Jane mostrò un'invidiabile freddezza.
«Credi davvero che mi disturbi pensare che siete stati a letto insieme?» Gli rispose a tono. «Quello che davvero mi disturba è che tu abbia gettato via il suo amore e la sua fiducia, che abbia calpestato i suoi sentimenti solo perché sei un bambino arrabbiato.»
Loki forzò il suo sorriso sebbene la rabbia inacidisse il suo stomaco.
«Attenta alle parole che escono da quella bocca, perché questo vetro potrebbe non bastare.»
«E tu attento a quelle che escono dalla tua perché ormai hanno perso di significato. Tu hai perso di significato, Loki.»
La guardò a lungo, silente e sciolse ogni sorriso perché in fondo cosa ne poteva sapere quella piccola donna della profondità del suo tormento e di quello che avevano diviso con Thor? Erano solo gocce di verità quelle di cui disponevano gli altri. Ciò che era stato ciò che era ancora, solo lui poteva saperlo; il male che ancora sentiva tagliargli la carne, solo Loki poteva percepirlo.
«Quando tornerà, se sei così convinta che lo farà, chiedigli di Hela,» disse con un filo di voce, senza maschere. «Chiedigli del suo significato, Jane Foster, e chiedigli se lo ha mai perso.»
Voltò le spalle e tornò alla sua branda, udì ancora voci, ancora Banner che la spingeva ad andare via, e lei che si opponeva.
Poi furono passi, poi fu di nuovo silenzio. Poi fu di nuovo solo dolore
.











***






Note:
[1] Scofield, riferimento a Michael Scofield, protagonista del telefilm Prison Break. [Wikipedia]

[2] GTA 5 è ovviamente è il famoso videogioco della Rockstar Games. [Wikipedia



NdA.
Un altro giorno è trascorso. Steve cerca di godersi il suo soggiorno asgardiano, con l'aiuto di Linn, Sigyn inizia a sentire la mancanza di suo fratello e quest'ultimo è bullizzato dalla qualunque. Possiamo dire che è la classica situazione di preguerra, ecco XDDD
Scherzi a parte siamo davvero davvero agli sgoccioli. Sto scrivendo in questi giorni gli ultimissimi capitoli e posso dire con quasi certezza che la storia si concluderà con il 35. Cifra tonda, yes ^^
Wow... sarà la mia storia più lunga di sempre!
Alla prossima con l'ultimo capitolo di “pace.”
Kiss kiss Chiara
  
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