Dire
che amo Tom è scontato, ma in questo momento va ricordato.
Si
è preso cura di me e lo sta facendo anche ora, mentre
mangiamo una pizza in un
locale addobbato con candele e fiori.
Mangiamo
la torta che c’è di dolce e
all’improvviso sento la voglia di baciarlo, così
lo
attiro a me e lo coinvolgo in un bacio mozzafiato.
Immediatamente
sento le sue mani infilarsi sotto il vestito e le mie cercare di
togliergli la
maglia per sentire la sua pelle sotto le mie dita.
Continuiamo
così per un po’, poi mi ferma gentilmente e mi fa
alzare, non prima di essersi
tolto la maglia.
Mano
nella mano lo seguo al piano inferiore, dove ci siamo allenati tante
volte – e
rimango senza parole. Ora c’è una grande piscina
illuminata da dei faretti e
una sorta di gazebo pieno di cuscini.
“Wow!”
Esclamo
senza fiato.
Lui
ride e si toglie i pantaloni, calzini e scarpe, poi guarda me malizioso
come
solo lui sa essere.
“Adesso
è il tuo turno!”
Sospirando
mi tolgo il vestito, le calze e gli anfibi, poi senza preavviso mi
prende in
braccio e saltiamo in piscina insieme sollevando uno tsunami di spruzzi.
Sott’acqua
mi lasci andare e riemergiamo vicini.
“Tom,
questa cosa è meravigliosa!”
Lo
abbraccio e lo bacio, avvolgendo il suo bacino con le mie gambe e
affondando le
mani nei suoi capelli, lui sorride contro il mio bacio e ricambia.
Ci
baciamo ancora un po’, poi lui si stacca e inizia a nuotare,
costringendomi a
seguirlo, si sta divertendo un mondo a farmi eccitare e poi scappare
via
all’ultimo secondo.
Piace
anche a me questo giochetto, ma ora mi sta stancando, voglio lui!
Finalmente
riesco a bloccarlo in un angolo e riprendo a baciarlo, credo sia stanco
anche lui perché traffica un po’ con la chiusura
del mio reggiseno e alla fine
riesce a togliermelo.
Mi
lascia una scia di baci che vanno dall’angolo della bocca
fino al collo, mentre
con le mani tortura abilmente i miei seni, tanto che quando li tocca
con la
lingua urlo dal piacere.
“Tom!”
“Zitta!”
Riprende
di nuovo a baciarmi e a giocare con i miei seni, la mia mano scende
automaticamente verso il basso, verso di lui.
Si
infila con un po’ di fatica nei suoi boxer e cerca di
ricambiare le attenzione,
sento il respiro di Tom farsi più veloce, gli scappa
addirittura un gemito.
“Dio,
non smettere ancora per un po’!”
Mi
dice appoggiando la testa sulla mia spalla.
Io
lo accontento fino a che lui non mi toglie la mano e mi prende in
braccio
portandomi fuori dalla piscina e adagiandomi poi su uno dei cuscini del
gazebo.
Riprendiamo
a baciarci e un suo dito scivola dentro la mia femminilità,
in breve sono due e
i miei gemiti sono fortissimi.
Non
vedo l’ora che questa tortura finisca!
Poco
prima che io raggiunga il punto di non ritorno mi toglie le mutandine e
poi si
toglie i boxer.
Mi
prende per le mani e mi bacia teneramente il naso.
“Pronta?”
Io
annuisco e lui entra in me, si muove con spinte lente e lunghe fino a
che non
diventa insopportabile anche per lui
tenere questo ritmo, poi aumenta.
Arriviamo
insieme all’orgasmo e lui ricade ansante e sudato su di me,
facendomi
sorridere.
Gli
accarezzo piano i capelli e penso che fare l’amore con lui
è sempre bellissimo
e che non voglio separarmi da lui per nessun motivo.
“Bello,
vero?”
Mi
chiede dopo un po’, i nostri corpi si sono parzialmente
asciugati, qui fa
caldo.
“Sì,
molto.
Vorrei
vedere una pioggia di stelle.”
Che
cosa stupida che ho detto!
Lui
però alza la mano e tante piccole lucine cadono su di noi.
“Eccoti
accontentata.”
“Fai
davvero progressi con i tuoi poteri.”
“Ora
sono un alieno anche io!”
Sembra
quasi soddisfatto.
“Alla
fine vi ho stanati!”
“Ti
penti mai di averlo fatto?”
Lui
torna serio.
“No,
altrimenti non avrei te accanto e questo conta molto più di
ogni verifica alla
mia teoria se gli alieni esistano o meno.”
Due
lacrime scendono dai miei occhi.
“Grazie,
sono delle parole davvero belle! Anche a me ha fatto piacere
incontrarvi, anche
se ogni tanto penso che se non fosse stato per me Isabel sarebbe ancora
viva.”
“Lei
avrebbe voluto che tu continuassi a vivere la tua vita, ti voleva molto
bene.”
“Ecco
a cosa l’ha portata volermi bene.”
Lui
mi bacia i capelli.
“Sh!
Smettila di colpevolizzarti, ti prego.”
“Hai
ragione. Mi hai donato una serata meravigliosa ed è giusto
che me la goda fino
in fondo.”
Mi
rannicchio tra le sue braccia e mi sento al sicuro, tra le luci
danzanti sotto
il gazebo.
“Hai
fatto un ottimo lavoro, sono una ragazza fortunata.”
“Molto!”
Io
rido.
“Sei
il solito modesto.”
“Eh,
cosa vuoi farci?”
Mi
dice ridendo.
“Adesso,
però, dormi. Si vede che hai difficoltà a
dormire, le occhiaie non ti donano.”
Effettivamente
ha ragione, non dormo molto bene da quella sera,c osì decido
di lasciarmi
andare al sonno tra le braccia del mio ragazzo.
Sorrido.
La
mattina dopo i nostri vestiti sono completamente asciutti e ci
rivestiamo.
Tom
fa tornare la stanza normale e poi saliamo al piano di sopra, lui fa
sparire
candele e fiori, io ficco i cartoni delle pizze in una borsetta di
plastica,
credo li scaricherò al prossimo cassonetto.
“Adesso
cosa facciamo?”
Gli
chiedo.
“Beh,
usciamo da qui e affrontiamo il mondo.”
“Dobbiamo?
Non è che muoia dalla voglia!”
Lui
mi prende per mano.
“Ci
sono io, insieme ce la faremo e vendicheremo chi ha ucciso
Isabel.”
Io
annuisco, ma la tentazione di rimanere in questa piccola bolla con lui
soltanto
è molto forte, vorrei non tornare a casa e trovare mio padre
triste, mia madre
apatica e il peso di una missione che si sta trasformando in un incubo.
“Facciamo
colazione insieme?”
“Sì,
dai al bar che c’è in piazza, lì fanno
un cappuccino strepitoso!”
Approva
Tom.
“Non
è che mi daresti un passaggio?”
Mi
chiede poi, io annuisco.
Usciamo
dalla casa nel deserto tenendoci per mano, venti minuti dopo siamo
nella mia
macchina e in circa un quarto d’ora passiamo dalla dune
bianche alla neve
insolita di Poway. Non nevica più, ma il ghiaccio
l’ha cristallizzata lì.
Parcheggio
davanti al bar e scendo con Tom, siamo mano nella mano ed entrando
notiamo Mark
da solo, così decidiamo di avvicinarci.
“Ehi!”
Mark
alza gli occhi e tenta di sorridere.
“Ehi.”
“Vuoi
un po’ di compagnia o preferisci rimanere da solo?”
Gli
chiedo io, lui si strofina gli occhi.
“No,
un po’ di compagnia mi farà bene,
sedetevi.”
Ci
sediamo, non ha una bella faccia, è triste e con due
occhiaie che gli arrivano
fino ai piedi.
“Come
va?”
Lui
sospira.
“Mi
manca tantissimo, io …. Io avrei dovuto proteggerla, la mia
piccola Isabel.
Lei
si fidava così tanto di me, diceva che ero il suo punto
fermo dopo te e guarda
come è finita. Io sono qui in un bar chiedendomi che senso
ha la mia vita e lei
è sepolta al cimitero senza essere nemmeno arrivata ai
diciotto anni.”
Io
annuisco.
Sono
le stesse cose che torturano me, io e Mark portiamo lo stesso fardello.
“Lei
ti amava. Non sarebbe felice di sentirti dire queste cose, forse
vorrebbe che
andassimo avanti.”
“Io,
senza di lei, non vado da nessuna parte.”
Mi
risponde serio Mark e so che in qualche modo ha ragione,
perché io provo le
stesse identiche sensazioni, eppure so anche che lei non vorrebbe che ci fossilizzassimo su di lei.
Isabel
amava la vita, amava vedere attorno a lei gente felice, non gente
che
piangeva. Adesso fa male sentir dire queste cose, ma forse sono quelle
giuste,
forse lei ci spronerebbe ad andare avanti.
“Lo
so, Mark. Ogni giorno che passa senza la mia sorellina è un
giorno triste, ma
so anche che le avrebbe voluto che fossimo sempre o quasi felici.
Pensaci.
Andare
avanti non vuol dire dimenticarla, ma solo esaudire il suo ultimo
desiderio.”
Mark addenta un muffin poco convinto, anche a me queste parole ora
suonano
senza senso, ma sono le uniche che so che lei avrebbe detto.
Chiacchieriamo
ancora un po’, davanti alla nostra colazione, poi io
accompagno a casa Tom.
Lo
saluto con un bacio particolarmente sentito.
“Grazie
per questa notte meravigliosa, ti amo.”
“Ti
amo anche io.”
Risponde
sorridendo.
Io
sospiro, adesso devo andare a casa mia e spero di trovare mia madre
sveglia, mi
farebbe un immenso piacere, sono stanca di andare a stanarla a letto
per farle
vivere un minimo di vita.
Parcheggio
la macchina in garage ed entro in casa, mia madre è in piedi
vicino al camino.
“Ciao,
mamma!”
“Ciao,
cara. Isabel dov’è?”
Io
guardo un attimo mio padre e poi rispondo senza pensarci, ignorando il
suo
sguardo.
“È
morta, mamma.”
Lei
mi dà una sberla, io mi tocco la guancia incredula.
“Queste
cose non si dicono, Chiara.”
Mio
padre si alza dal divano e mi porta in cucina.
“Bravo,
sgridala per bene!”
Urla
lei.
“Cosa
è successo?
Come
mai mi ha chiesto di Izzie?”
“Stamattina
si è alzata come se non fosse successo nulla, compresa la
morte di tua sorella,
crede che sia ancora viva.”
Io
deglutisco.
“Ho
chiamato il dottore, tra poco dovrebbe arrivare.”
La
cosa non mi piace per niente.
“Papà,
pensi che la cosa sia grave?”
“Mi
preoccupa molto.”
Poco
dopo suona il campanello e vado ad aprire la porta, trovandomi davanti
la
faccia sorridente del nostro medico di famiglia.
Io
lo conduco in salotto e poi torno in cucina secondo le sue istruzioni,
vuole
parlare da solo con mia madre, la cosa mi piace molto poco.
Quando
torno in cucina mio padre mi guarda curioso.
“Il
dottore vuole parlare da solo con mamma.”
Lui
annuisce, ma sulla sua fronte si forma un’altra ruga di
preoccupazione, questa
cosa non lo tranquillizza affatto.
Il
dottore rimane una mezz’oretta a parlare con lei, intanto noi
gironzoliamo per
la stessa, mangiucchiamo qualche pancake e fumiamo qualche sigaretta.
Alla
fine il dottore entra, ha un’aria molto preoccupata.
“Sua
moglie sta avendo una reazione allo shock per la morte di vostra
figlia, crede
che sia ancora viva. Io vi consiglierei
di portarla da uno psicologo o di ricoverarla direttamente.
Lì
riceverà tutta l’assistenza di cui ha bisogno,
senza fretta.”
“Lei
mi consiglia di portare mia moglie al manicomio?!”
“È
una situazione grave, ha bisogno di tempo per essere risolta e
– anche se ora
sembra calma – potrebbe diventare pericolosa.
Sarà
questione di qualche mese, non di più. Non sarà
per sempre.
Potrebbe
anche durare di meno, dipende da quanto collaborerà la
paziente.”
Mio
padre sviene, il medico gli solleva prontamente le gambe e mi chiede di
preparare un bicchiere di acqua e zucchero, io eseguo alla svelta.
Mio
padre apre gli occhi poco dopo, il medico prende il bicchiere e gli fa
bere il
contenuto poco alla volta. Lo aiuta a rialzarsi e lo fa sedere su una
sedia.
“Lo
so che è difficile, ma purtroppo è
l’unica strada. Non voglio fare il cattivo,
cerco di fare il bene di sua moglie.
Queste
sono le carte che dovrà presentare domani per il ricovero e
questa è una
ricetta per lei: xanax. Ne ha bisogno e le do anche il bigliettino di
uno
psicologo mio amico, lei e Chia non potete affrontare tutto da soli,
avete
bisogno di una mano.”
Mio
padre annuisce.
“Grazie,
dottore.”
“Di
nulla.”
L’uomo
esce dalla stanza, mio padre si prende la testa tra le mani.
“La
mia famiglia, la mia vita sta andando a puttane.”
Io
lo abbraccio, pensando che ha perfettamente ragione, nulla è
più al suo posto.
È come se il sole si fosse spento e noi fossimo tanti
pianeti che vagano senza
avere un’idea su dove andare.
“Ce
la faremo, papà.
Mamma
tornerà quella di una volta.”
Mi
concentro un attimo su di lei e sento che qualcosa non va: ci sono
altri due
piccoli cuoricini che battono oltre al suo: è incinta.
Non
dico nulla, ma internamente tiro un sospiro di sollievo, visto che tra
poco
Chiara Malone dovrà morire e io dovrò scegliermi
un’altra identità lasciandoli
soli.
Questo
lunedì è il peggiore che la mia famiglia ricordi
da quando è morta la nonna.
Mio
padre convince con qualche difficoltà la mamma a salire in
macchina, io salgo
accanto a lei.
Per
tutto il viaggio non fa altro che chiedermi di mia sorella, io
trattengo le
lacrime e non rispondo, se non vuole accettare che sia morta
è inutile che io
glielo ripeta.
Arriviamo
in ospedale e insieme ci dirigiamo all’accettazione, quando
capisce dove
l’abbiamo portata si mette a urlare.
“Bastardi!
Traditori!
Ridatemi
mia figlia!”
Un’infermiera
corpulenta la placca e la fa entrare in reparto, le sue urla continuano
a
riecheggiare per la struttura, facendoci sentire dei vermi.
Dobbiamo
averlo in faccia perché la donna dell’accettazione
ci sorride rassicurante.
“Non
vi preoccupate, è normale. Reagiscono tutti così,
poi però si calmano e sono
felici di vedere i parenti.”
Mio
padre annuisce debolmente.
“Adesso
cosa le faranno?”
“La
sederanno, in questo stato non si può fare molto. Poi
inizieranno le terapie,
gli orari di visita li sapete, vero?”
“Sì.”
Le
mostro un foglio, lei annuisce.
“State
facendo la cosa giusta.”
Non
so se sia vero, temo più che altro che stiamo facendo
l’unica cosa possibile.
Usciamo dal reparto e torniamo alla macchina.
Potrei
andare a scuola ed entrare leggermente più tardi, ma il
pensiero non mi sfiora
nemmeno, voglio stare da sola, così quando arrivo a casa mi
chiudo in camera.
Lì
sfoglio di nuovo l’album con le foto, le ultime sono quelle
del ballo.
Eravamo
belli e felici allora.
I
sorrisi miei, di Izzie, Mark, Tom e quello dei miei mi guardano
plastificati,
racchiusi in un attimo eterno e sospeso nel tempo.
Non
saremo mai più gli stessi di allora.
Mai.
Anche
se mamma guarisse, ci sarebbe un’ombra sulla nostra vita.
Sospirando,
mi tolgo i vestiti e mi metto il pigiama.
Una
bella dormita è quello che ci vuole, non risolve i problemi,
ma almeno ti
permette di avere un attimo di pace in cui ricaricare la batterie.
Immagino
che dopo qualcuno passerà a trovarmi, chi per i compiti, chi
per ricordarmi i
miei doveri da principessa.
Che
palle!
Abbracciando
il cuscino e fingendo che sia Tom mi addormento.
Mi
risveglio che sono le due di pomeriggio, mio padre sta guardando la tv
senza
vederla e non ha ancora preparato nulla da mangiare.
Io
non ho voglia di cucinare.
“Papà,
andiamo al Mac?”
Gli
chiedo, lui annuisce.
Ci
rendiamo di nuovo presentabili e andiamo all’unico Mac del
paese e ordiniamo i
nostri hamburger, nessuno dei due parla molto. Credo sia il senso di
colpa.
Alle
tre siamo a casa, io pulisco un po’ il soggiorno,il bagno e
la camera dei miei.
Alle
quattro suona il campanello, sono Tom e Keisha.
“Ciao,
ragazzi!”
“Ciao,
questi sono i gli appunti delle lezioni e i compiti che ti sei
persa.”
Io
prendo in mano una bella risma di carta e la vado ad appoggiare sul
tavolo.
“Mi
spiace chiedertelo in un momento del genere, ma abbiamo bisogno di
te.”
Io
sospiro e mi massaggio la fronte.
“Lo
dico a mio padre e arrivo, se proprio non potete fare a meno di
me.”
Trovo
mio padre in camera sua che guarda la foto di matrimonio con mamma.
“Era
così bella Kate il giorno in cui ci siamo sposati, era la
donna più bella del
mondo.”
Io
rimango un attimo in silenzio, imbarazzata.
“Papà,
io devo andare un attimo da Keisha.”
“Vai
pure, cara. Io starò qui buono buono, non fare troppo tardi
che dobbiamo andare
a far visita alla mamma.”
“Sì,
papà.”
Scendo
da Keisha e dal mio
ragazzo, che mi
bacia e mi passa un braccio intorno alla vita e me ne vado.
“Come
mai non c’eri oggi?”
Mi
chiede l’aliena.
“Abbiamo
dovuto portare mia madre in psichiatria.”
Rispondo
asciutta.
“Coma
mai?”
“Non
riesce ad accettare la morte di Isabel, crede che lei sia ancora
viva.”
Keisha
non dice nulla per po’.
“Si
hanno notizie dell’assassino?”
“No.”
Sì,
vive con te e aspetto che ci attiri nella trappola che ha programmato
fin
dall’inizio in modo da poterlo uccidere e vendicare mia
sorella.
Arriviamo
alla casa nel deserto e scendiamo dalla macchina.
Il
fatto di dover vedere Joel mi dà il voltastomaco, ma devo
essere forte, devo
fingere, non devo fargli capire assolutamente che io so.
Non
è lontano il giorno in cui lo farò fuori, ma per
ora devo agire come un’ingenua
e continuare a considerarlo un nostro amico.
Entriamo
e trovo il resto della truppa divisa in gruppetti che chiacchiera, a
parte
Joel, ora sono loro la mia famiglia.
Mi
viene spontaneo sorridere.
Non
è un periodo facile, ma forse ce la posso fare.
Isabel,
ti vendicherò!