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Autore: Layla    27/06/2014    1 recensioni
Lui sta per sedersi a un tavolo quando la porta si apre violentemente e due rapinatori entrano nel locale puntando la pistola su di noi.
“Consegnaci l’incasso!”
Mi urlano, io corro al ricevitore di cassa, prelevo i soldi e schiaccio l’allarme, poi consegno tutto ai banditi che iniziano a far passare i clienti.
Arrivati a Tom lui si rifiuta di collaborare e tenta di disarmare uno di loro.
È questioni di attimi, il rapinatore – troppo teso ed eccitato, forse un eroinomane – perde il controllo e gli spara. L’altro impreca e lo trascina via, lasciando Tom steso a terra.
Dovrei aspettare l’ambulanza, ma i miei piedi si muovono da soli e con un unico movimento mi inginocchio accanto a lui e gli premo la mano dove è stato colpito.
Mi concentro e una leggera luce scaturisce dalla mia mano, fortunatamente nessuno lo nota e io continuo fino a quando non sento tutti i tessuti e gli organi tornare normali e la pallottola svanire completamente.
Genere: Generale, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Hoppus, Nuovo personaggio, Tom DeLonge, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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 24)Sole spento.

 

Dire che amo Tom è scontato, ma in questo momento va ricordato.
Si è preso cura di me e lo sta facendo anche ora, mentre mangiamo una pizza in un locale addobbato con candele e fiori.
Mangiamo la torta che c’è di dolce e all’improvviso sento la voglia di baciarlo, così lo attiro a me e lo coinvolgo in un bacio mozzafiato.
Immediatamente sento le sue mani infilarsi sotto il vestito e le mie cercare di togliergli la maglia per sentire la sua pelle sotto le mie dita.
Continuiamo così per un po’, poi mi ferma gentilmente e mi fa alzare, non prima di essersi tolto la maglia.
Mano nella mano lo seguo al piano inferiore, dove ci siamo allenati tante volte – e rimango senza parole. Ora c’è una grande piscina illuminata da dei faretti e una sorta di gazebo pieno di cuscini.
“Wow!”
Esclamo senza fiato.
Lui ride e si toglie i pantaloni, calzini e scarpe, poi guarda me malizioso come solo lui sa essere.
“Adesso è il tuo turno!”
Sospirando mi tolgo il vestito, le calze e gli anfibi, poi senza preavviso mi prende in braccio e saltiamo in piscina insieme sollevando uno tsunami di spruzzi.
Sott’acqua mi lasci andare e riemergiamo vicini.
“Tom, questa cosa è meravigliosa!”
Lo abbraccio e lo bacio, avvolgendo il suo bacino con le mie gambe e affondando le mani nei suoi capelli, lui sorride contro il mio bacio e ricambia.
Ci baciamo ancora un po’, poi lui si stacca e inizia a nuotare, costringendomi a seguirlo, si sta divertendo un mondo a farmi eccitare e poi scappare via all’ultimo secondo.
Piace anche a me questo giochetto, ma ora mi sta stancando, voglio lui!
Finalmente riesco a bloccarlo in un angolo e riprendo a baciarlo, credo sia stanco anche lui perché traffica un po’ con la chiusura del mio reggiseno e alla fine riesce a togliermelo.
Mi lascia una scia di baci che vanno dall’angolo della bocca fino al collo, mentre con le mani tortura abilmente i miei seni, tanto che quando li tocca con la lingua urlo dal piacere.
“Tom!”
“Zitta!”
Riprende di nuovo a baciarmi e a giocare con i miei seni, la mia mano scende automaticamente verso il basso, verso di lui.
Si infila con un po’ di fatica nei suoi boxer e cerca di ricambiare le attenzione, sento il respiro di Tom farsi più veloce, gli scappa addirittura un gemito.
“Dio, non smettere ancora per un po’!”
Mi dice appoggiando la testa sulla mia spalla.
Io lo accontento fino a che lui non mi toglie la mano e mi prende in braccio portandomi fuori dalla piscina e adagiandomi poi su uno dei cuscini del gazebo.
Riprendiamo a baciarci e un suo dito scivola dentro la mia femminilità, in breve sono due e i miei gemiti sono fortissimi.
Non vedo l’ora che questa tortura finisca!
Poco prima che io raggiunga il punto di non ritorno mi toglie le mutandine e poi si toglie i boxer.
Mi prende per le mani e mi bacia teneramente il naso.
“Pronta?”
Io annuisco e lui entra in me, si muove con spinte lente e lunghe fino a che non diventa insopportabile anche per lui  tenere questo ritmo, poi aumenta.
Arriviamo insieme all’orgasmo e lui ricade ansante e sudato su di me, facendomi sorridere.
Gli accarezzo piano i capelli e penso che fare l’amore con lui è sempre bellissimo e che non voglio separarmi da lui per nessun motivo.
“Bello, vero?”
Mi chiede dopo un po’, i nostri corpi si sono parzialmente asciugati, qui fa caldo.
“Sì, molto.
Vorrei vedere una pioggia di stelle.”
Che cosa stupida che ho detto!
Lui però alza la mano e tante piccole lucine cadono su di noi.
“Eccoti accontentata.”
“Fai davvero progressi con i tuoi poteri.”
“Ora sono un alieno anche io!”
Sembra quasi soddisfatto.
“Alla fine vi ho stanati!”
“Ti penti mai di averlo fatto?”
Lui torna serio.
“No, altrimenti non avrei te accanto e questo conta molto più di ogni verifica alla mia teoria se gli alieni esistano o meno.”
Due lacrime scendono dai miei occhi.
“Grazie, sono delle parole davvero belle! Anche a me ha fatto piacere incontrarvi, anche se ogni tanto penso che se non fosse stato per me Isabel sarebbe ancora viva.”
“Lei avrebbe voluto che tu continuassi a vivere la tua vita, ti voleva molto bene.”
“Ecco a cosa l’ha portata volermi bene.”
Lui mi bacia i capelli.
“Sh! Smettila di colpevolizzarti, ti prego.”
“Hai ragione. Mi hai donato una serata meravigliosa ed è giusto che me la goda fino in fondo.”
Mi rannicchio tra le sue braccia e mi sento al sicuro, tra le luci danzanti sotto il gazebo.
“Hai fatto un ottimo lavoro, sono una ragazza fortunata.”
“Molto!”
Io rido.
“Sei il solito modesto.”
“Eh, cosa vuoi farci?”
Mi dice ridendo.
“Adesso, però, dormi. Si vede che hai difficoltà a dormire, le occhiaie non ti donano.”
Effettivamente ha ragione, non dormo molto bene da quella sera,c osì decido di lasciarmi andare al sonno tra le braccia del mio ragazzo.
Sorrido.

 

La mattina dopo i nostri vestiti sono completamente asciutti e ci rivestiamo.
Tom fa tornare la stanza normale e poi saliamo al piano di sopra, lui fa sparire candele e fiori, io ficco i cartoni delle pizze in una borsetta di plastica, credo li scaricherò al prossimo cassonetto.
“Adesso cosa facciamo?”
Gli chiedo.
“Beh, usciamo da qui e affrontiamo il mondo.”
“Dobbiamo? Non è che muoia dalla voglia!”
Lui mi prende per mano.
“Ci sono io, insieme ce la faremo e vendicheremo chi ha ucciso Isabel.”
Io annuisco, ma la tentazione di rimanere in questa piccola bolla con lui soltanto è molto forte, vorrei non tornare a casa e trovare mio padre triste, mia madre apatica e il peso di una missione che si sta trasformando in un incubo.
“Facciamo colazione insieme?”
“Sì, dai al bar che c’è in piazza, lì fanno un cappuccino strepitoso!”
Approva Tom.
“Non è che mi daresti un passaggio?”
Mi chiede poi, io annuisco.
Usciamo dalla casa nel deserto tenendoci per mano, venti minuti dopo siamo nella mia macchina e in circa un quarto d’ora passiamo dalla dune bianche alla neve insolita di Poway. Non nevica più, ma il ghiaccio l’ha cristallizzata lì.
Parcheggio davanti al bar e scendo con Tom, siamo mano nella mano ed entrando notiamo Mark da solo, così decidiamo di avvicinarci.
“Ehi!”
Mark alza gli occhi e tenta di sorridere.
“Ehi.”
“Vuoi un po’ di compagnia o preferisci rimanere da solo?”
Gli chiedo io, lui si strofina gli occhi.
“No, un po’ di compagnia mi farà bene, sedetevi.”
Ci sediamo, non ha una bella faccia, è triste e con due occhiaie che gli arrivano fino ai piedi.
“Come va?”
Lui sospira.
“Mi manca tantissimo, io …. Io avrei dovuto proteggerla, la mia piccola Isabel.
Lei si fidava così tanto di me, diceva che ero il suo punto fermo dopo te e guarda come è finita. Io sono qui in un bar chiedendomi che senso ha la mia vita e lei è sepolta al cimitero senza essere nemmeno arrivata ai diciotto anni.”
Io annuisco.
Sono le stesse cose che torturano me, io e Mark portiamo lo stesso fardello.
“Lei ti amava. Non sarebbe felice di sentirti dire queste cose, forse vorrebbe che andassimo avanti.”
“Io, senza di lei, non vado da nessuna parte.”
Mi risponde serio Mark e so che in qualche modo ha ragione, perché io provo le stesse identiche sensazioni, eppure so anche che lei non vorrebbe che ci  fossilizzassimo su di lei.
Isabel amava la vita, amava vedere
attorno a lei gente  felice, non gente che piangeva. Adesso fa male sentir dire queste cose, ma forse sono quelle giuste, forse lei ci spronerebbe ad andare avanti.
“Lo so, Mark. Ogni giorno che passa senza la mia sorellina è un giorno triste, ma so anche che le avrebbe voluto che fossimo sempre o quasi felici. Pensaci.
Andare avanti non vuol dire dimenticarla, ma solo esaudire il suo ultimo desiderio.”
Mark addenta un muffin poco convinto, anche a me queste parole ora suonano senza senso, ma sono le uniche che so che lei avrebbe detto.
Chiacchieriamo ancora un po’, davanti alla nostra colazione, poi io accompagno a casa Tom.
Lo saluto con un bacio particolarmente sentito.
“Grazie per questa notte meravigliosa, ti amo.”
“Ti amo anche io.”
Risponde sorridendo.
Io sospiro, adesso devo andare a casa mia e spero di trovare mia madre sveglia, mi farebbe un immenso piacere, sono stanca di andare a stanarla a letto per farle vivere un minimo di vita.
Parcheggio la macchina in garage ed entro in casa, mia madre è in piedi vicino al camino.
“Ciao, mamma!”
“Ciao, cara. Isabel dov’è?”
Io guardo un attimo mio padre e poi rispondo senza pensarci, ignorando il suo sguardo.
“È morta, mamma.”
Lei mi dà una sberla, io mi tocco la guancia incredula.
“Queste cose non si dicono, Chiara.”
Mio padre si alza dal divano e mi porta in cucina.
“Bravo, sgridala per bene!”
Urla lei.
“Cosa è successo?
Come mai mi ha chiesto di Izzie?”
“Stamattina si è alzata come se non fosse successo nulla, compresa la morte di tua sorella, crede che sia ancora viva.”
Io deglutisco.
“Ho chiamato il dottore, tra poco dovrebbe arrivare.”
La cosa non mi piace per niente.
“Papà, pensi che la cosa sia grave?”
“Mi preoccupa molto.”
Poco dopo suona il campanello e vado ad aprire la porta, trovandomi davanti la faccia sorridente del nostro medico di famiglia.
Io lo conduco in salotto e poi torno in cucina secondo le sue istruzioni, vuole parlare da solo con mia madre, la cosa mi piace molto poco.
Quando torno in cucina mio padre mi guarda curioso.
“Il dottore vuole parlare da solo con mamma.”
Lui annuisce, ma sulla sua fronte si forma un’altra ruga di preoccupazione, questa cosa non lo tranquillizza affatto.
Il dottore rimane una mezz’oretta a parlare con lei, intanto noi gironzoliamo per la stessa, mangiucchiamo qualche pancake e fumiamo qualche sigaretta.
Alla fine il dottore entra, ha un’aria molto preoccupata.
“Sua moglie sta avendo una reazione allo shock per la morte di vostra figlia, crede che sia ancora viva. Io vi consiglierei  di portarla da uno psicologo o di ricoverarla direttamente.
Lì riceverà tutta l’assistenza di cui ha bisogno, senza fretta.”
“Lei mi consiglia di portare mia moglie al manicomio?!”
“È una situazione grave, ha bisogno di tempo per essere risolta e – anche se ora sembra calma – potrebbe diventare pericolosa.
Sarà questione di qualche mese, non di più. Non sarà per sempre.
Potrebbe anche durare di meno, dipende da quanto collaborerà la paziente.”
Mio padre sviene, il medico gli solleva prontamente le gambe e mi chiede di preparare un bicchiere di acqua e zucchero, io eseguo alla svelta.
Mio padre apre gli occhi poco dopo, il medico prende il bicchiere e gli fa bere il contenuto poco alla volta. Lo aiuta a rialzarsi e lo fa sedere su una sedia.
“Lo so che è difficile, ma purtroppo è l’unica strada. Non voglio fare il cattivo, cerco di fare il bene di sua moglie.
Queste sono le carte che dovrà presentare domani per il ricovero e questa è una ricetta per lei: xanax. Ne ha bisogno e le do anche il bigliettino di uno psicologo mio amico, lei e Chia non potete affrontare tutto da soli, avete bisogno di una mano.”
Mio padre annuisce.
“Grazie, dottore.”
“Di nulla.”
L’uomo esce dalla stanza, mio padre si prende la testa tra le mani.
“La mia famiglia, la mia vita sta andando a puttane.”
Io lo abbraccio, pensando che ha perfettamente ragione, nulla è più al suo posto. È come se il sole si fosse spento e noi fossimo tanti pianeti che vagano senza avere un’idea su dove andare.
“Ce la faremo, papà.
Mamma tornerà quella di una volta.”
Mi concentro un attimo su di lei e sento che qualcosa non va: ci sono altri due piccoli cuoricini che battono oltre al suo: è incinta.
Non dico nulla, ma internamente tiro un sospiro di sollievo, visto che tra poco Chiara Malone dovrà morire e io dovrò scegliermi un’altra identità lasciandoli soli.

 
Questo lunedì è il peggiore che la mia famiglia ricordi da quando è morta la nonna.
Mio padre convince con qualche difficoltà la mamma a salire in macchina, io salgo accanto a lei.
Per tutto il viaggio non fa altro che chiedermi di mia sorella, io trattengo le lacrime e non rispondo, se non vuole accettare che sia morta è inutile che io glielo ripeta.
Arriviamo in ospedale e insieme ci dirigiamo all’accettazione, quando capisce dove l’abbiamo portata si mette a urlare.
“Bastardi! Traditori!
Ridatemi mia figlia!”
Un’infermiera corpulenta la placca e la fa entrare in reparto, le sue urla continuano a riecheggiare per la struttura, facendoci sentire dei vermi.
Dobbiamo averlo in faccia perché la donna dell’accettazione ci sorride rassicurante.
“Non vi preoccupate, è normale. Reagiscono tutti così, poi però si calmano e sono felici di vedere i parenti.”
Mio padre annuisce debolmente.
“Adesso cosa le faranno?”
“La sederanno, in questo stato non si può fare molto. Poi inizieranno le terapie, gli orari di visita li sapete, vero?”
“Sì.”
Le mostro un foglio, lei annuisce.
“State facendo la cosa giusta.”
Non so se sia vero, temo più che altro che stiamo facendo l’unica cosa possibile. Usciamo dal reparto e torniamo alla macchina.
Potrei andare a scuola ed entrare leggermente più tardi, ma il pensiero non mi sfiora nemmeno, voglio stare da sola, così quando arrivo a casa mi chiudo in camera.
Lì sfoglio di nuovo l’album con le foto, le ultime sono quelle del ballo.
Eravamo belli e felici allora.
I sorrisi miei, di Izzie, Mark, Tom e quello dei miei mi guardano plastificati, racchiusi in un attimo eterno e sospeso nel tempo.
Non saremo mai più gli stessi di allora.
Mai.
Anche se mamma guarisse, ci sarebbe un’ombra sulla nostra vita.
Sospirando, mi tolgo i vestiti e mi metto il pigiama.
Una bella dormita è quello che ci vuole, non risolve i problemi, ma almeno ti permette di avere un attimo di pace in cui ricaricare la batterie.
Immagino che dopo qualcuno passerà a trovarmi, chi per i compiti, chi per ricordarmi i miei doveri da principessa.
Che palle!
Abbracciando il cuscino e fingendo che sia Tom mi addormento.
Mi risveglio che sono le due di pomeriggio, mio padre sta guardando la tv senza vederla e non ha ancora preparato nulla da mangiare.
Io non ho voglia di cucinare.
“Papà, andiamo al Mac?”
Gli chiedo, lui annuisce.
Ci rendiamo di nuovo presentabili e andiamo all’unico Mac del paese e ordiniamo i nostri hamburger, nessuno dei due parla molto. Credo sia il senso di colpa.
Alle tre siamo a casa, io pulisco un po’ il soggiorno,il bagno e la camera dei miei.
Alle quattro suona il campanello, sono Tom e Keisha.
“Ciao, ragazzi!”
“Ciao, questi sono i gli appunti delle lezioni e i compiti che ti sei persa.”
Io prendo in mano una bella risma di carta e la vado ad appoggiare sul tavolo.
“Mi spiace chiedertelo in un momento del genere, ma abbiamo bisogno di te.”
Io sospiro e mi massaggio la fronte.
“Lo dico a mio padre e arrivo, se proprio non potete fare a meno di me.”
Trovo mio padre in camera sua che guarda la foto di matrimonio con mamma.
“Era così bella Kate il giorno in cui ci siamo sposati, era la donna più bella del mondo.”
Io rimango un attimo in silenzio, imbarazzata.
“Papà, io devo andare un attimo da Keisha.”
“Vai pure, cara. Io starò qui buono buono, non fare troppo tardi che dobbiamo andare a far visita alla mamma.”
“Sì, papà.”
Scendo da Keisha e dal  mio ragazzo, che mi bacia e mi passa un braccio intorno alla vita e me ne vado.
“Come mai non c’eri oggi?”
Mi chiede l’aliena.
“Abbiamo dovuto portare mia madre in psichiatria.”
Rispondo asciutta.
“Coma mai?”
“Non riesce ad accettare la morte di Isabel, crede che lei sia ancora viva.”
Keisha non dice nulla per po’.
“Si hanno notizie dell’assassino?”
“No.”
Sì, vive con te e aspetto che ci attiri nella trappola che ha programmato fin dall’inizio in modo da poterlo uccidere e vendicare mia sorella.
Arriviamo alla casa nel deserto e scendiamo dalla macchina.
Il fatto di dover vedere Joel mi dà il voltastomaco, ma devo essere forte, devo fingere, non devo fargli capire assolutamente che io so.
Non è lontano il giorno in cui lo farò fuori, ma per ora devo agire come un’ingenua e continuare a considerarlo un nostro amico.
Entriamo e trovo il resto della truppa divisa in gruppetti che chiacchiera, a parte Joel, ora sono loro la mia famiglia.
Mi viene spontaneo sorridere.
Non è un periodo facile, ma forse ce la posso fare.
Isabel, ti vendicherò!
 

 

 

   
 
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