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Autore: GoldSaints    22/08/2008    6 recensioni
Eidelon come immagine, come riflesso in uno specchio. Due coppie di fratelli, l'una davanti all'altra. Nella loro diversità li scopriamo perfettamente speculari, da togliere il fiato. Aioros e Aioria da una parte, Saga e Kanon dall'altra, durante la stessa notte, nello stesso ambiente, nella stessa situazione. E due capitoli: ve li proponiamo insieme - in un unica volta - perchè sono inscindibili l'uno dall'altro, come i loro protagonisti. Un omaggio all'amore fraterno di Ren-Chan e LeFleurDuMal. <3 A voi.
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga, Leo Aiolia, Sagittarius Aiolos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eidelon

Ti ho creato nella gioia e nel pianto:

tanti sono i fatti, tanti gli eventi

che sei diventato tutto sentimento, per me.

[C. KAVAFIS, Sullo stesso luogo]

 

 

Sbadigliò e si strofinò gli occhi con le mani. La fiamma della lampada, sul tavolo davanti a lui, venne scossa dal suo respiro e tornò calma. Allora Aioria si alzò sulla sedia, puntellandosi sulle ginocchia, si spalmò per metà sul tavolo e guardò la fiamma dentro il capannello di vetro, con enorme interesse.

Aioros, seduto sul bordo della branda, si sporse a controllare che il fratellino non si bruciasse la faccia, intento com’era nella sua contemplazione, poi tornò a slacciarsi i calzari: era stata una giornata lunga che lo aveva visto impegnarsi nel proprio allenamento e nell’accurato addestramento del fratello minore.

Cavaliere d’Oro del Sagittario, gli avevano detto. Sarai Cavaliere d’Oro del Sagittario, le stelle ti hanno scelto. E tuo fratello, il tuo piccolo Aioria, lo sarà del Leone. Vi hanno scelto le stelle.

Aioros era orgoglioso e grato dell’onore concesso e ogni giorno chiedeva il massimo al proprio corpo e al proprio spirito. E chiedeva il più possibile al piccolo affidatogli prima dal destino – che li aveva privati della famiglia – poi dal Santuario.

Aioria  piantò le manine ai lati della lampada e, con cautela, soffiò dentro. La fiamma danzò, solleticata, poi si mosse rabbiosa, per l’oltraggio del soffio più forte del bambino.

“Aioria” lo rimproverò gentilmente il fratello. Stava sistemando gli abiti sulla sedia di legno appoggiata al muro e aveva visto le ciocche ribelli del bambino pericolosamente vicine alla fiamma.

Aioros non aveva bisogno di parlare troppo per redarguire: bastava che lo chiamasse perché il piccolo gli dedicasse la più competa attenzione. Aioria si sedette composto, lasciando in pace il fuoco, e si appoggiò allo schienale.

Sbatté le palpebre. Sbadigliò ancora. E si sfregò gli occhi.

La notte era calata da tempo e le stelle erano luminose. Le avevano guardate fino ad un attimo prima, riconoscendo le costellazioni più nitide, poi erano rientrati.

Era, la loro, una casa piccola e modesta, con le pareti di pietra nuda e di due stanze. Una con un tavolo e un paio di sedie, qualche sasso che Aioria aveva voluto conservare a tutti i costi, perché gli ricordavano animali fantastici con le loro forme strane, e una cassapanca con i motivi artigianali di Atene, contenete gli abiti e gli accessori necessari all’addestramento.

L’altra stanza, più piccola, vedeva due brande appoggiate al muro, unite insieme. Le lenzuola erano grezze, ma pulite. In un angolo, il necessario togliersi di dosso la polvere e la fatica della giornata.

Era tutto quello che offriva il Santuario di Atene ai suoi allievi, che dovevano formarsi nel rigore fisico e morale per essere in grado di affrontare le prove dure che la dea metteva sulla strada di un suo Sacro Guerriero. Una volta ricevuta l’investitura, Aioria ed Aioros avrebbero avuto la possibilità di ascendere agli alloggi dei Dodici Templi, nel nucleo del Santuario, ma adesso era in quella casa spoglia eppure così intima che conducevano le loro esistenze.

A compensare la rigidità c’era la bellezza della campagna di Atene, con le sue stelle e i suoi grilli, l’odore del mare che saliva dalla costa e degli ulivi arrampicati fino allo Star Hill.

Né Aioros né Aioria si erano mai sentiti in diritto di lamentarsi di quello che avevano.

“Hai sonno?” il fratello maggiore, finalmente libero dai paramenti, raggiunse il più piccolo. Appoggiò i palmi delle mani forti - per quanto fossero quelle di un ragazzo così giovane – sulla tavola ai lati del bambino, e si chinò protettivo su di lui. Gli smosse i riccioli con le labbra, poi lo baciò sulla nuca, fraterno.

L’affetto che lo legava ad Aioria era così potente che era come se il piccolo fosse una parte di sé: il suo cuore, forse, o il suo stesso spirito.

Aioros era troppo giovane per farsi un’idea a tutto tondo dell’amore che provava per il bambino, l’amore orgoglioso di un padre che desidera che il figlio cresca forte e senza paure. Gli piaceva pensare, però, che Aioria fosse un germoglio nato da poco che aveva bisogno di cure e di luce, di rettitudine e guida.

Il ragazzino si strofinò gli occhi. “No”.

Aioros gli tolse le mani impolverate dagli occhi, pazientemente. “Così ti farai male”.

“Mh. No, non ho sonno, Aioros”.

“A me pare di si”.

“No… Non è vero. Voglio una storia. Me la racconti?” non trattenne uno sbadiglio, che gli deformò la faccia in una smorfia così divertente che la ripropose al fratello, aggiungendo le mani all’altezza delle orecchie: un mostro marino.

Aioros rise e gli scompigliò i capelli.

“Te la racconto. Ma tu devi lavarti”.

Aioria si imbronciò, ma perlopiù per questioni sceniche. Perché non si poteva andare a letto e basta? Poi, però, cedette e si lavò, assieme al fratello, come tutte le sere, con l’attenzione che Aioros gli insegnava nella cura di sé come nelle tecniche di combattimento – nonostante fosse lui un bambino così piccolo, osservando il fratello più grande, il maestro attraverso il riflesso di quel minuscolo rettangolo che era lo specchio sopra il lavabo.

Mentre Aioria si lavava i denti, producendo con lo spazzolino una schiuma fresca di menta, Aioros finì la storia, rubata ad Esopo. Una tutte le sere, andava avanti così, l’appallottolarsi di Aioria contro il petto del fratello come un cucciolo assonnato.

Ormai le aveva finite, ma aveva scoperto che mischiando eventi e personaggi poteva arricchire i sogni del fratellino – di tutta la famiglia che gli restava – con colori e forme sempre nuove.

“Svelto, a letto, adesso. Domani sarà una bellissima giornata.”

Il futuro Cavaliere d’Oro di Sagitter sollevò il lenzuolo e batte la mano sul materasso. Aioria rispose immediatamente all’invito e ci corse sotto, raggomitolandosi contro di lui.

 

Aioria riaprì gli occhi nella penombra. Aioros aveva aspettato che si addormentasse, prima di spegnere la lampada nella stanzetta da letto, e l’unica fiamma che ardeva era quella piccola e vibrante sul tavolo, che inondava d’ombre dense la casa di pietra.

Aioria era un bambino coraggioso, eppure fu contento di essere al sicuro contro il corpo caldo del fratello maggiore, che tutto poteva, invece che in un lettino da solo, come molti allievi del Santuario erano. Non aveva paura delle ombre, non ancora. Che suo fratello non era stato ancora accusato di tradimento e ancora era vivo accanto a lui. Non aveva paura delle ombre, ma quelle dense negli angoli sembravano minacciose e forse avrebbe chiuso gli occhi per dormire e non vederle se fosse stato solo. Ma non era solo, era con Aioros.

“Aioros?”

Argentino, chiamò nel silenzio della notte ateniese.

Il giovane aprì gli occhi in quelli del bambino: iridi verdi spalancate in iridi verdi. Fece scivolare una mano al di fuori delle lenzuola per accarezzare i capelli del piccolo.

“Che cosa c’è?”

“Niente. Volevo vedere se rispondevi”.

Aioros increspò le labbra in un sorriso. “E perché non avrei dovuto?”

Il piccolo sporse il labbro inferiore. Fece spallucce. “Così”.

Il fratello si puntellò sul gomito, per guardarlo meglio, il bel volto serio: “Qualunque cosa accada, piccolo Aioria, io risponderò, quando tu mi chiamerai. Sempre. Non dovrai fare altro che chiamarmi e mettere il Cosmo in comunione con il mio.”

“Come?” domandò il bambino affascinato, spalancando gli occhi. Conosceva il Cosmo da un paio d’anni, ma da meno aveva imparato ad usarlo. Era difficile concentrarlo in sé ed impiegarlo così, come si impugna una matita.

“Prova.” Aioros lo incoraggiò. Gli accarezzò i riccioli, attento, mentre bruciava il proprio, per confortare quello del bambino. Il piccolo annuì, pieno di fiducia, cercando in sé la scintilla di vita.

Quando la trovò, poco a poco, la fece divampare.

Allora spalancò gli occhioni e la bocca, fremente, perché il suo cosmo aveva toccato quello di Aioros e insieme avevano risuonato.

“Aioros! Aioros! Hai sentito?” trillò.

Il fratello gli sorrise, pieno di orgoglio, che aveva sentito. “Conosci ora il potere del Cosmo anche in questo modo, piccolo Aioria. Quando mi chiamerai e sarò troppo lontano per udirti, cercami così. Ovunque sarò, ti sentirò.”

Aioros pensava, in quel momento, agli allenamenti che teneva solo, alla scogliera, oppure con Saga, lontano dal fratello, o ancora a qualche missione lontana dalla terra di Grecia che avrebbero potuto affidargli.

Non immaginava che, negli anni a venire, molte volte Aioria avrebbe spalancato il Cosmo per chiamarlo a sé e lui, dai Campi Elisi, non avrebbe potuto rispondere quasi mai. Quasi.

Il bambino rise, ignaro allo stesso modo.

“Aioros è una cosa bellissima!” lo fece risuonare ancora. E ancora rise, elettrizzato. Si aggrappò con le braccia al collo del fratello maggiore e appoggiò brevemente le labbra sulle sue, in un bacio morbido, da bambino.

Aioros accolse il gesto tenero e gli scompigliò i capelli, affettuoso. Poco dopo, il fratellino respirava sereno contro al suo petto, sprofondato nel sonno.

Il giovane sbadigliò nel cuscino, le braccia strette protettivamente attorno al piccolo. La fiamma della lampada, sul tavolo nell’altra stanza, venne scossa un alito di vento e tornò calma.

Si spense dopo che anche Aioros ebbe chiuso gli occhi, abbandonandosi a sonni sereni.

 

 

 

   
 
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