8
Libera
“Che
diamine ci fai tu qui?”
Chino
sulla figura immobile della ragazza, Severus Piton riponeva cautamente
la
bacchetta.
“Ho
posto fine ai tormenti di questa giovane.”
Non
poteva essere.
Mi
avvicinai, scostandolo in malo modo, allungando una mano verso la mia
prigioniera.
“Stai
davvero per… toccarla?”
Mi
ritrassi bruscamente, disgustata.
Non
avevo bisogno di fare altro se non di guardarla: pallida come la neve,
esangue,
completamente immobile… era palesemente morta.
Un
leggero tremolio mi spinse a prendere la bacchetta e a sollevarla
contro
quell’infimo traditore.
“Come
hai osato!” Urlai, scossa dall’ira.
“Abbassa
la bacchetta, Bellatrix.”
Un
piccolo guizzo nel polso, la tensione sul mio volto, la sinistra
alzata. Capì
che stavo per scagliargli contro una maledizione e smise di
temporeggiare.
“È
stato l’Oscuro Signore ad ordinarmelo.”
Il
braccio mi ricadde lungo il fianco, inerme.
“Perché?”
Piton
sembrava irritato.
“Perché
si era stancato di vederti perdere il tuo tempo qua sotto.”
Disse con il suo
tono beffardo. “Stavi trascurando i tuoi doveri a causa del
tuo disgustoso
passatempo.”
Avvertii
una morsa al petto a quelle parole. Serrai la mano sul punto in cui
c’era il
mio cuore. Il dolore era inebriante ma straziante allo stesso tempo.
Avevo
deluso l’Oscuro Signore.
Piton
mi osservava con la sua solita freddezza, quasi annoiato più
che disgustato
dalla mia vista.
“Capirai
perché abbia dato a me il compito di porre fine alla
faccenda.”
Con
un colpo di bacchetta le funi che tenevano sospeso il corpo esanime
della
ragazza si spezzarono, e lei cadde a terra con un tonfo.
Un
altro tocco e la ragazza si sollevò a mezz’aria,
il capo afflosciato, il corpo
molle. Una bambola di pezza.
Piton
mi precedette verso la porta, e rimasi lì, ad osservare
entrambi abbandonare il
sotterraneo.
Sola,
mi accasciai a terra, disperata. La mia opera era stata distrutta un
passo
prima della fine. Era lì, incompleta e quasi perfetta,
pronta a divenire un
capolavoro. Ed era stata dilaniata, estirpata, distrutta…
Iniziai
a tirarmi i capelli, all’ira si sommava la disperazione
più totale. Non avrei
mai avuto modo di vederla per davvero, di vedere la vera anima di
quella
ragazzina. Non avrei mai avuto nessun altro come lei, nessun
altro…
Iniziai
a ridere. Era morta. Ridevo e ridevo, e la stanza ripeteva le mie risa,
ancora
e ancora. Era morta ed era salva.
Era
salva.
***
“Huh?”
“Pensi mai al futuro?”
“…”
“Io sì. Voglio
viaggiare.”
“E dove vorresti
andare?”
“Ovunque.”
“E perché?”
“Perché voglio vedere il
mondo. Voglio essere libera.”
“E qui non puoi
esserlo?”
“… Non completamente.
Voglio una libertà che abbia il sapore del mare, della neve,
della pioggia, del
deserto, dell’aurora boreale…”
“Vuoi avere tutto.”
“Sì, voglio tutto. Sono
avida.”
“Vai.”
“Come la fai facile. Un
giorno, stabilendo delle cose, organizzando altre… Un
giorno.”
“Come la fai difficile.
Vuoi essere libera ma ti fai legare dai dubbi.”
“La vita non è semplice,
Draco.”
“Lo so.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Non mi dirai altro,
vero?”
“No.”
“Sei antipatico.”
“Anche tu.”
“Verresti con me?”
“… In giro per il
mondo?”
“Sì.”
“No.”
“Perché?”
“Il mio futuro è già
deciso.”
“Ma se tu potessi…
verresti con me?”
“Perché dovrei?”
“Perché no?”
“Forse.”
“Allora è un sì.”
“Ho detto forse…”
“Non hai detto no, e non
dici mai forse. È un sì.”
“Sei insopportabile.”
“Anche tu. Ma mi piaci
così.”
“…”
Ero
in una pace ovattata, immersa nel torpore più totale.
Galleggiavo beatamente
nel nulla, libera da ogni dolore, da ogni paura, da ogni sensazione.
È
questa la morte?
Non
era poi così male. Finalmente ero libera, libera dalla mia
prigionia.
Potevo
volare lontano, e viaggiare come uno spirito attraverso
l’universo intero.
E
mentre continuavo a galleggiare a mezz’aria, sentii un forte
strattone.
Il
torpore iniziò a svanire, la sensazione di leggerezza si
trasformò in un enorme
peso che mi trascinò a terra.
Sentii
un fruscio, un suono, ma non colsi nulla.
No,
non voglio tornare!
Voglio continuare a volare!
Di
nuovo quel suono, che questa volta mi giunse più forte ma
restava ancora
incomprensibile.
Iniziai
a sentire il mio corpo terreno, tutto stava ritornando: il freddo, la
stanchezza, il dolore.
“Svegliati,
ragazzina!”
Spalancai
gli occhi, intontita.
Il
torpore stava svanendo, e cominciai a sentire un fastidioso formicolio
in tutto
il corpo. Iniziai a respirare a pieni polmoni e mi risvegliai tossendo.
Aprii
gli occhi, sbattendo le palpebre più volte e cercando di
mettere a fuoco ciò
che avevo attorno, tra un colpo di tosse e l’altro. Alzando
lo sguardo vidi due
occhi neri come la notte che mi osservavano dall’alto, occhi
che emanavano un
puro disprezzo.
La
tosse si placò, e cercando di recuperare fiato arretrai fino
a sbattere contro
la parete alle mie spalle. Mi guardai attorno, freneticamente,
scorgendo solo
assi di legno e vecchi attrezzi agricoli: probabilmente mi trovavo in
un
capannone di qualche contadino.
“Chi
sei? Cosa vuoi da me?”
L’uomo
dal naso adunco e il mantello nero continuò a scrutarmi
intensamente, senza
rispondere.
Il
mio sguardo saettava intorno a me, cercando un’arma per
difendermi.
Dovette
accorgersene, e lo vidi estrarre rapidamente qualcosa dalla manica del
mantello.
Urlai
e mi protessi con le braccia. Fu più forte di me, e mi odiai
per quel gesto di
debolezza.
“Non
intendo farle del male, ma deve restare ferma e buona.”
Alzai
lentamente lo sguardo: le mani erano giunte sul ventre, completamente
vuote.
“Perché
dovrei fidarmi di un mago?” Gli chiesi, mentre cercavo di
capire se mi fossi
solo immaginata la bacchetta nella sua destra.
“Non
ho alcun interesse nel guadagnare la sua fiducia. Resta il fatto che
non mi
sarei dato tanta pena per salvarla se poi avessi voluto
ucciderla.”
Esitai
e infine chinai le braccia. Ma non mi fidavo.
“Perché
l’ha fatto?”
L’uomo
continuava a guardarmi irritato. “Non l’ho fatto di
certo per lei. Ho corso…
anzi, sto correndo… un rischio enorme.”
“Mi
guarda con un tale disprezzo anche se non mi conosce affatto.”
Stranamente
sorrise, un ghigno divertito ma sincero. “Lei è la
causa per cui Draco è quasi
morto, signorina Collins. E non può nemmeno immaginare
quanto questo mi
riguardi.”
Un
tuffo al cuore, un’immagine improvvisa davanti agli occhi:
Draco pallido, una
ferita sul petto, il sangue ovunque…
Mi
coprii gli occhi, sbattendo la testa contro il muro alle mie spalle. Il
dolore
mi schiarì la mente, e misi di nuovo a fuoco
l’uomo dinanzi a me. Non aveva
battuto ciglio.
“Se
il solo nominarlo la fa scattare in questo modo…”
La
porta alle sue spalle si aprì. La luce accecante che si
riversò all’interno mi
abbagliò, permettendomi di vedere solo una sagoma scura
ergersi sulla soglia.
Fece
un passo dentro, e si bloccò… avanzò
ancora, temporeggiando. Infine corse e mi
si buttò contro, abbracciandomi.
“Teresia…”
Ero
scombussolata, intontita, vagamente cosciente di quel profumo
conosciuto, e di
quel calore quasi estraneo.
Alzai
una mano e la passai tra quei soffici e sottili capelli biondi e,
ancora
incapace di metabolizzare ciò che stava accadendo,
sussurrai: “Draco?”
Lui
arretrò piano, mantenendo il contatto stringendomi i polsi.
Lo
scrutai in viso, scioccata dal suo aspetto distrutto: la guance
scavate, gli
occhi infossati, le labbra smorte.
Sembrava
un fantasma.
“Teresia…”
Sembrava incapace di dire altro se non il mio nome.
Gli
accarezzai una guancia e lo vidi rabbrividire contro il mio tocco.
Chiuse gli
occhi e respirò piano.
Un
ricordo mi invase, prepotente, facendomi ritrarre la mano.
Lui
spalancò gli occhi, immobile, terrorizzato.
Rividi
il sotterraneo, le funi, il sangue incrostato per terra. Rividi lui,
gli occhi
sbarrati, la mano tremante… la bacchetta puntata contro di
me.
Iniziai
a divincolarmi, improvvisamente conscia della situazione.
“Lasciami!
Lasciami andare!”
Ignorando
la mia richiesta, mi strinse più forte. “Ti
prego…”
Lo
guardai negli occhi, e qualunque cosa vi lesse, lo fece arretrare
terrorizzato,
mollando la presa.
“Draco.”
L’uomo vestito di nero fece un passo avanti. “Ti
avevo avvisato delle possibili
conseguenze…”
“Sta’
zitto. Non è diventata pazza!” Lo sguardo di fuoco
che gli rivolse non causò
alcun cambiamento nell’atteggiamento austero
dell’uomo. “Aspetta fuori.”
Non
protestò, cosa che mi sorprese, nonostante non sapessi bene
il perché. Non mi
sembrava il tipo disposto a prendere ordini da un ragazzino.
Una
volta uscito, restai sola con Draco… e la cosa mi
terrorizzò.
Sconosciuto
o meno, l’uomo mi aveva salvato la vita, qualunque fossero
state le sue reali
intenzioni… adesso ero in balia di Draco.
Mi
fissò con sguardo ardente, si sedette scompostamente e fece
un lungo respiro prima
di dire: “Non mi avvicinerò, ma devi
ascoltarmi.”
Risi,
istericamente. Poi annuii, conscia di quanto la mia mente vagasse senza
misura
in cerca di qualcosa a cui aggrapparmi.
“Hai
paura di me?”
Il
suo sguardo era fisso nel mio, ed io non riuscivo a smettere di
guardarlo.
“Forse. Non lo so… Credo solo di
odiarti.”
“Perché?”
“Perché
non sei venuto a salvarmi…” Mi interruppi, mentre
il dolore attraversava il suo
viso. Ma mi ricordai di un altro dolore, forte, prepotente, che mi
aveva scosso
le membra e distrutto la mente giorno dopo giorno.
Ed
iniziai a vomitare parole, in un crescendo di volume.
“Perché quando ti sei
finalmente mostrato non hai fatto altro che guardarmi con indifferenza,
osservando tua zia mentre mi torturava senza alcuna pietà,
ignorando le mie
grida, e alla fine… alla fine hai avuto anche il barbaro
coraggio di puntarmi
quell’oggetto demoniaco contro! Lo stesso che mi stava
lacerando dentro!”
Mi
ritrovai senza fiato. Iniziai a tossire, e caddi in avanti,
sorreggendomi con
una mano. Alzai lo sguardo e vidi Draco impietrito, completamente
sbiancato e
immobile.
Restammo
a fissarci, mentre la tosse terminava ed io tornavo a respirare.
Avrei
voluto dire ancora altre cose, ma la mia mente vagava, perdendosi in
punti
vuoti della stanza, fissandoli senza nemmeno vederli. Restare
concentrata stava
divenendo assurdamente difficile.
“Mi
dispiace.” Alzai a fatica lo sguardo e mi concentrai sulle
sue labbra, cercando
di afferrare ogni sua parola. “So che non serve a nulla. Non
ti ridarà le
ultime settimane, non cancellerà il tuo dolore…
ma voglio che tu sappia che non
avrei mai voluto che tutto ciò accedesse. Ho dovuto fingere
quando ero lì, e
non puoi nemmeno immaginare quanto sia stato
doloroso…”
La
risata prorompente che scaturì dalla mia persona
sembrò quasi quella di una
estranea. “Oppure è stato esilarante, e non sapevi
come trattenere le risate.”
Sbatté
un pugno a terra che mi fece sobbalzare. Mi rannicchiai contro la
parete,
sentendo quel suono rimbombarmi ripetutamente nelle orecchie.
“Non
lo fare, Teresia. So che sei arrabbiata, e distrutta dal dolore, so che
pensi
che io ti abbia tradita, ma non è così. Sono
rimasto sempre dalla tua parte.”
Iniziai
a giocherellare con un filo di paglia accanto a me. Il mio tono era
completamente atono mentre sussurravo: “Ma non ti sei fatto
avanti per me.”
“Non
capisci? Non l’ho fatto per proteggere me!” Sentivo
il suo sguardo penetrarmi
le ossa, ma non avevo alcuna voglia di guardarlo in quel momento.
“Se mi fossi
lasciato andare, se avessi mostrato anche solo un minimo di
compassione…
Saresti stata tu a subirne le conseguenze, non io.”
Il
filo di paglia si spezzò tra le mie dita. Mi voltai di
scatto verso di lui, e
mentre lo fissavo mi strappai freneticamente il resto della manica
lacera e
sudicia che ricopriva il mio braccio destro.
Lui
lo fissò, inorridito.
“Cosa…
cosa pensi che potesse farmi di peggio, eh?” Mi avvicinai a
lui, strisciando
sul pavimento, spingendogli contro gli occhi l’avambraccio
marchiato a fuoco in
più punti. “Poteva solo uccidermi, ma non
è nella sua filosofia.”
Draco,
nonostante il terrore negli occhi, alzò una mano tremante e
mi bloccò il
braccio. Le sue dita indugiarono sulle cicatrici, fino a rimanere fisse
su
un’unica frase: non verrà.
Calde
lacrime iniziarono a sgorgargli dagli occhi. Cercai di ritrarre il
braccio, ma
lui lo trattenne e, inaspettatamente, baciò quelle parole.
Mi
focalizzai totalmente su quel gesto, tanto da riuscire a mettere
chiaramente a
fuoco la scena senza che altro mi distraesse.
Quando
si staccò, mi prese il viso tra le mani, dicendo:
“Non
posso cambiare ciò che è stato, ma posso cambiare
ciò che sarà. Sarai libera e
non dovrai mai più preoccuparti di mia zia, di questo
mondo… Non dovrai
scappare, potrai tornare alla tua vita di sempre. Da tua
madre…” La voce gli si
incrinò, ma gli occhi restarono immobili e seri.
“Come?”
“Conosco
solo un modo… Ed è tramite la magia.”
Mi
tirai indietro all’istante, sfuggendo alla sua presa,
schiacciandomi contro il
muro, il più lontano possibile da quelle parole.
“Non
ti chiedo di fidarti di me, ma dell’uomo che ti ha salvata.
Il suo nome è
Severus Piton, sarà lui ad aiutarti.”
Non
riuscivo a muovermi, ero pietrificata. La mia mente continuava a
tornare sulle
parole “l’uomo che ti ha salvata”,
cercando di andare oltre al significato letterale.
Voltai lo sguardo e mi accorsi che ormai Draco era in piedi e mi
guardava
intensamente. Si voltò per andarsene, ma una voce soffocata
uscì dal mio essere
in un sussurro quasi impercettibile.
“Aspetta…”
Ma
lui lo sentì, si voltò ma non si
avvicinò. Rimase fermo ad osservarmi, tremante
e assurdamente triste.
“Quell’uomo…
Piton.” Dovetti fare uno sforzo enorme per ricordare quel
nome pronunciato solo
alcuni minuti prima. “Ha detto che non lo ha fatto per
me… Non mi ha salvata
per un atto di pura bontà. Glielo hai chiesto tu?”
Draco
annuì leggermente, come se avesse paura della mia reazione.
Attese
pazientemente il mio lunghissimo silenzio, mentre la mia attenzione era
stata
catturata dalle sua mani giunte sul ventre, affusolate e bianche come
la neve,
immobili.
Alla
fine, parlai di nuovo. “Perché hai aspettato
così tanto?”
“Perché
avevo un piano per farti fuggire. Fino al momento prima che mia zia mi
costringesse a scendere nel sotterraneo, credevo che ci volesse ancora
del
tempo per attuarlo, che stessi rimandando perché era
incompleto… Ma poi… La
verità era, ed è, che sono un codardo. Avevo
paura delle conseguenze, e non
solo per la mia vita… ma anche per la tua. E sapevo di non
potercela fare da
solo, perché io non sono un eroe. Non faccio parte dei
buoni, non salvo le
persone… Io le tormento, le distruggo, e mi ritrovo
circondato da leccapiedi
piuttosto che da amici. E poi ho pensato a Piton, l’unico che
sarebbe disposto
a dare la vita per me, a mettersi contro la mia famiglia pur di
proteggermi. Lui
è un vero eroe nonostante tutto… Non ha esitato
nemmeno un secondo, ha fatto in
modo che il Signore Oscuro la vedesse come lui, ossia che Bellatrix
stesse
trascurando i suoi doveri a causa tua, gli ha promesso che se ne
sarebbe occupato
personalmente, ha pianificato la tua finta morte con il Distillato
della Morte
Vivente, ha mentito a Bellatrix, e ti ha portato via da quel
sotterraneo
maledetto.” Prese un lungo respiro, cercando di non far
tremare la voce. “E mi
ha proposto l’unico modo per far sì che tu possa,
un giorno, essere di nuovo
felice.”
Mi
alzai, lentamente. Mi avvicinai a lui, e lo schiaffeggiai.
Lui
non mosse un muscolo, non disse una parola.
Sorrisi,
tra le lacrime. “Sapevo che non mi avrebbe dato alcuna
soddisfazione… ”
Lo
abbracciai e lo sentii sciogliersi completamente tra le mie braccia.
“Lo
so che, il solo restare qui a parlare con me è un rischio. E
lo apprezzo.”
Singhiozzai,
mentre lui mi stringeva ancora più forte a sé.
“Voglio crederti Draco, voglio
fidarmi di te ancora una volta. Perché, nonostante tutto,
alla fine… sei
venuto.”
***
Un mese
dopo
Non
si fece attendere, e la porta si spalancò.
“Dottore!
La stavamo aspettando. Si accomodi.”
La
casetta era davvero carina, tutta in tinta pastello, senza fronzoli
eccessivi,
essenziale e accogliente.
“Come
sta oggi?”
La
signora Collins preparò il tè, sorridendo
mestamente. “Molto meglio, rispetto a
quando l’ha visitata una settimana fa. Mangia di sua
spontanea volontà adesso.”
Il
dottore fece un cenno di assenso, felice a sua volta di quel passo in
avanti.
“I suoi cali d’attenzione?”
La
signora Collins versò l’Earl Grey in tre tazze
mentre valutava la domanda. “Direi
meglio. Adesso non resta solo ad ascoltarmi, risponde, restiamo anche
un’ora a
chiacchierare… Quando vedo che non mi sta ascoltando,
attendo pazientemente che
se ne accorga da sola, come lei mi ha consigliato. Si scusa e ritorna a
conversare.”
Il
dottore prese una tazza di tè, aggiungendogli tre zollette
di zucchero. Ignorò
lo sguardo divertito della signora. Nonostante fosse stato in quella
casa già
una decina di volte, più spesso i primi tempi, non era
ancora abituato al rito
del tè di questa famiglia inglese. E, quando educatamente
fece notare alla
signora che in America non era un’usanza comune, lei fece
spallucce dicendo che
era una tradizione che nessuno avrebbe potuto strapparle. Il dottore,
con la
sua frecciatina probabilmente non compresa (ma dal sorrisetto della
donna si
intuiva che era stata semplicemente ignorata), avrebbe preferito che la
signora
la smettesse di offrirglielo ogni volta che veniva. E, non essendo
nella sua
indole essere scortese, non rifiutava mai.
“Ha
fatto bene, continui così.”
La
terza tazza venne portata di sopra, nella stanza azzurro cielo,
completamente
spoglia di foto o poster, o qualunque altra cosa un adolescente avrebbe
potuto
affiggere alle pareti. C’era una libreria però,
stracolma di volumi, ed una
finestra con un largo davanzale dove, in quel momento, era seduta una
fanciulla
che scrutava l’esterno.
“Tesoro,
guarda chi è venuto a trovarti.”
Due
occhi scuri, penetranti, si voltarono verso il dottore. La ragazza
sorrise,
salutandolo dolcemente. “Buon pomeriggio. Come sta?”
Iniziò
una breve conversazione, permettendo alla ragazza di sorseggiare la sua
tazza
di tè, dopodiché il dottore la visitò,
per poi salutare ed andare via.
Madre
e figlia restarono nella stanza, in silenzio, finché la
ragazza non lo ruppe.
“Mamma
io… vorrei…” Esitò,
fissandosi le mani in grembo.
“Non
avere paura, dimmi.”
La
ragazza alzò lo sguardo, titubante. Da quando era stata
ritrovata sua madre
aveva completamente cambiato personalità. Era divenuta
dolce, apprensiva,
sempre disposta a stare con lei in ogni suo minuto libero. I suoi
atteggiamenti
austeri erano spariti: era diventata completamente mite, quasi
addomesticata.
“Vorrei…
uscire un po’.”
La
figlia fissò intensamente negli occhi la madre, aspettandosi
un dolce, misurato
e calmo diniego.
La
madre sorrise mestamente, prima di rispondere.
“Certo… ma io verrò con te. O,
se preferisci, può accompagnarti William appena torna dal
lavoro.”
Fu
così sorpresa che non riuscì a dire alcuna
parola. Si grattò il braccio destro,
inconsciamente, sull’avambraccio, cosa che faceva spesso
quando era turbata.
La
madre fissò la pelle liscia e immacolata che la figlia stava
arrossando con il
suo tocco, domandandosi se avesse preso quell’abitudine
durante la sua assenza
da casa.
“Potremmo
uscire tutti e tre.” Esclamò la ragazza, alla fine.
La
madre sorrise raggiante, e nonostante l’impulso di
abbracciarla, rimase al suo
posto. Teresia rifuggiva quelle forme di affetto da quando era stata
ritrovata…
Quando la madre l’aveva avuta davanti, con l’aria
spaesata, magra fino
all’osso, gli occhi vacui, le occhiaie e il viso esangue, era
corsa ad
abbracciarla, ma lei si era spaventata e si era rannicchiata a terra,
tremante.
Il
dottore era stato chiaro, ci voleva tempo. La natura del trauma di
Teresia era
ancora oscura, ma una cosa era certa: aveva vissuto pene indicibili.
Era
da quando si erano trasferiti che la madre la teneva chiusa in casa.
Non era
cattiveria o crudeltà, ma Teresia era stata instabile i
primi tempi: non mangiava,
non parlava, non dormiva, non si faceva avvicinare dai
dottori… All’inizio ci
erano voluti i farmaci per farla riposare, mentre adesso dormiva da
sola, anche
se aveva bisogno della luce accesa per riuscirci.
Non
farla uscire era stato un metodo per tenerla al sicuro, ma anche la
madre sapeva
che questo non le avrebbe giovato a lungo termine.
“C’è un parco, nelle
vicinanze… Potremmo
andare a fare un giro lì.”
Teresia
osservò la madre a lungo, senza rispondere. Infine
annuì.
“Senti,
mamma… A proposito di William…”
La
madre si irrigidì, ma non disse nulla.
“Volevo
dirti che… che sono contenta per voi due.”
La
signora Collins provò ad accarezzarle la mano, ma lei la
ritrasse. La ritirò
cautamente e sorrise raggiante. “Sono felice che tu abbia
avuto modo di
conoscerlo. Non ha fatto altro che cercarti assieme a me, quando
pensavamo che
fossi scappata.”
Teresia
si mise a guardare il cielo al di fuori della finestra.
“Scappata,
eh?”
“Non
sapevo che pensare all’inizio…”
Una
lacrima le scese sul viso, ma cercò di trattenersi.
Mostrarsi debole non era
d’aiuto per la figlia, e doveva essere forte e sorridente per
lei.
La
madre stava per continuare, quando suonò il campanello.
“Deve
essere William, dimentica sempre le chiavi!”
Scese
giù e lasciò Teresia da sola. Ancora pensierosa,
si alzò e si diresse alla
libreria.
Gettò
un’occhiata alle sue spalle, per assicurarsi di non essere
vista, dopodiché si
mise a frugare tra i libri dello scaffale più basso. Prese
un volume, un libro
fantasy dal titolo decisamente lungo, e lo aprì a
metà. Ne tirò fuori una sorta
di piccolo opuscolo fatto di pergamena. Esso conteneva una storia breve
e sulla
copertina non recava alcun titolo.
Portò
il libro fantasy con sé, ma solo come copertura e arrivata
alla finestra si
sedette sul davanzale e si mise a leggere la storia breve.
I due, all’inizio, non
furono subito amici… Ma qualcosa li attirò
l’uno all’altro… e quel giorno, la
vita di entrambi cambiò.
Il ragazzo, infatti,
nascondeva un oscuro passato, presente e futuro… E non si
apriva mai davvero
con la dolce fanciulla che, invece, lasciava trasparire ogni suo
pensiero e
ogni sua debolezza.
Il ragazzo, però, aveva
paura di ciò che stava facendo… Conseguenze assai
gravi si sarebbero riversate
sulla ragazza se la sua famiglia avesse saputo di quella strana ma
reale
amicizia.
E, quando tale amicizia
stava sbocciando in qualcosa di più, i timori del ragazzo si
realizzarono.
La ragazza venne
catturata dalla famiglia di lui e il ragazzo, inerme, non riusciva a
trovare il
coraggio di salvarla…
Un giorno, grazie ad un
fedele alleato, la ragazza venne portata in salvo… Ma le
cattiverie che aveva
subito erano grandi, e la sua psiche era quasi al collasso.
Il ragazzo veniva
respinto, c’era tanta amarezza negli occhi di lei…
Amarezza che venne messa
da parte, che venne sopraffatta dalla consapevolezza che, alla fine,
lui aveva
rischiato tutto per salvarla.
Ma i due ragazzi non
potevano restare assieme e il ragazzo sapeva che quella fanciulla che
lui amava
così tanto era ancora in pericolo e che, a causa sua, lo
sarebbe sempre stata.
E fu così che il fedele
alleato fece cadere la giovane in un dolce oblio: dimenticò
il tempo trascorso
con il ragazzo, la cattura e le malignità subite…
dimenticò completamente il
suo giovane innamorato.
Non essere triste,
lettore, perché ciò che hai appena letto non
è un finale infelice… Tale
sacrificio è stato un atto d’amore,
perché il ragazzo sa che, anche senza i
suoi ricordi, lui apparterrà a lei, per sempre.
D.
M.
Aveva
riletto quella storiella almeno un centinaio di volte da quando era
tornata.
Non sapeva come fosse finita nel suo libro preferito, né
tantomeno di chi
l’avesse messa proprio lì.
Non
era nulla di particolare, scritta anche in maniera
approssimativa…
Eppure
le sembrava così familiare.
In
fondo, come la protagonista anche lei aveva perso la memoria; e, da
quel che
ricordava, o meglio, non ricordava, poteva essere lei stessa la
protagonista di
quel racconto.
Rise,
pensando all’assurdità della cosa.
Tu
innamorata, Teresia?
Chiuse
il tomo, nascondendo accuratamente la storia tra le sue pagine: non
sapeva
perché, ma non voleva che sua madre, o William, o il dottor
Malcolm la
leggessero.
Appoggiandolo
sulle ginocchia, si mise a riflettere. Non ricordava ciò che
le era accaduto,
non sapeva dove fosse sparita per tutto quel tempo né che
cosa le fosse
accaduto.
E,
non sapeva il perché, ma non aveva alcuna voglia di
scoprirlo. Era una strana
sensazione, quella. Sembrava che l’inconscio le suggerisse
che, tutto sommato,
era meglio non saperlo. Assieme ai medici aveva vagliato un ipotesi che
ora era
divenuta realtà assoluta per lei:
era
scappata di casa in un momento di rabbia nei confronti di sua madre a
causa
della permanenza ormai effettiva di William in casa loro, aveva vissuto
per
strada e, probabilmente, avrebbe voluto ritornare dalla madre quasi
subito rendendosi
conto dello sbaglio commesso; ma forse non aveva avuto il denaro per
tornare, o
aveva perso la strada viaggiando attraverso le campagne isolate dello
Wiltshire; poi, un giorno, una volta ritrovata la strada di casa, aveva
sbattuto la testa a pochi passi dalla meta, e ciò le aveva
causato una perdita
di memoria.
Sapeva
che qualcosa non quadrava, ma francamente non le importava. Adorava
quella
versione: era razionale tutto sommato, e molto probabile vista la sua
testardaggine.
Era
sicura che, in quel momento di pazzia, aveva deciso di iniziare il
viaggio che
si era prefissata sin da quando suo padre era morto.
E
quell’esperienza era stata, nonostante tutto, una spinta
verso una vita
migliore: il rapporto con sua madre era migliorato tantissimo in
quell’unico
mese e aveva capito quanto William fosse una persona gentile,
premurosa,
aiutando sua madre e sostenendola in quel momento così
difficile.
Forse
le cose non erano andate così lisce ma, se non ne hai
più memoria, che importa?
La vita è fatta dai ricordi, e se essi vengono meno, cosa ti
rimane di
quell’esperienza, o di quella persona, o di quel luogo?
Abbassò
lo sguardo sul libro.
Pensò
ai protagonisti del racconto: la ragazza non si sarebbe più
ricordata di quel
ragazzo ma lei, lettrice, spia di quella storia rubata, lo avrebbe
fatto al suo
posto.
Anche
se non aveva idea
di chi fossero quei due personaggi, anche se non sapeva
perché fosse attratta
irresistibilmente da quella storia, sapeva, lo sentiva, che avrebbe
fatto
indissolubilmente parte di lei.
Per sempre.
***
Un mese
prima
Draco
si mise a sbuffare, infastidito. “Dobbiamo proprio conversare?”
Aveva
sputato fuori l’ultima parola come se fosse un insulto.
Piton
lo scrutò intensamente, e nonostante non fosse nel suo
stile, insistette. “Da
domani non inizia solo la scuola, per te.”
Draco
finse che tali parole non lo avessero turbato, ma la destra corse a
stringere
il braccio sinistro.
“Lo
so perfettamente.”
Si
trovavano nel parco di Font Hill, vicino al lago. Seduti su una
panchina, Draco
non riusciva proprio a capire cosa diavolo ci facessero lì.
Quando glielo aveva
chiesto, Piton si era limitato a dirgli che aveva bisogno di rilassarsi.
“Possiamo
tornare a casa? Devo ancora preparare delle cose per domani.”
Non
era vero, ma non aveva alcun desiderio di parlare.
“Stare
qui ti infastidisce?”
Draco
non rispose.
Piton
lo scrutava intensamente, come aspettandosi un qualche atto di pazzia
da un
momento all’altro.
Draco,
impaziente, scattò. “La smetti di
fissarmi?” Si guardò intorno, desiderando
altamente di essere solo.
Piton
si alzò in piedi. “Hai un’ora, non di
più.”
Lo
vide allontanarsi, ma scattò in piedi a sua volta.
“Era
assolutamente necessario usare l’Oblivion su di me?”
Piton
si voltò, e nonostante il suo classico sorrisetto superiore,
non riuscì a
celare la strana tristezza che gli balenò sul viso.
“Non
posso dirti nulla al riguardo, te l’ho già
detto…”
Draco
strinse i pugni, cercando di trattenere la rabbia. “Ero
consenziente? Esigo
sapere almeno questo!”
Piton
sostenne il suo sguardo fermamente. Sembrò riflettere su
quanto lasciar
trapelare e, soppesando le parole, infine disse:
“È stata una tua personale
richiesta, che io ho eseguito.”
Non
era la risposta che si aspettava ma, ragionandoci, era felice di essere
stato
lui a decidere una cosa così importante, tutto sommato. Non
dubitò delle parole
di Piton, perché sapeva quanto fosse una persona leale per
la sua famiglia. Si
abbandonò sulla panchina, pensieroso.
“Hai
fatto la cosa giusta, Draco. E il Signore Oscuro ha perdonato tutto
ciò che hai
fatto in funzione di questa tua scelta.”
Piton
non aggiunse altro e, alla fine, si avviò verso la Malfoy
Manor, lasciandolo da
solo a riflettere.
Ora,
nella pace assoluta di quel luogo, Draco non cercava di ricordare:
sapeva che,
qualunque accadimento fosse avvenuto, se lui stesso aveva deciso di
farsi
modificare la memoria, probabilmente era stato per il meglio.
Si
distese sulla panchina, incrociando le mani dietro la testa. Stava
quasi per
chiudere gli occhi quando un dettaglio catturò la sua
attenzione.
Nel
legno dello schienale, nell’angolo, nascosto e quasi
invisibile, c’era un
intaglio. Era così leggero che doveva essere stato fatto con
un rametto
piuttosto che un coltello.
T
e D = ?
Rimase
un minuto intero a fissare quelle lettere. Che cosa mai poteva
significare il
punto interrogativo?
Scosse
il capo, pensando a quanto fossero stupidi i babbani. Questi T. e D.
erano
probabilmente due ragazzini che non sapevano cosa fossero
l’uno per l’altro, e
l’idea geniale era stata quella di rendere questo concetto
con un punto
interrogativo.
Draco
si chiese, senza sapere bene il perché gli importasse, se
quel simbolo sarebbe
cambiato prima o poi.
Pensò
che, magari, durante le vacanze di Natale sarebbe tornato a casa, in
quel
parco, su quella panchina, e vi avrebbe trovato un cambiamento,
un’evoluzione.
Un
groppo in gola lo fece alzare di scatto. Osservò a lungo
quelle lettere,
sentendo che, in fondo al cuore, non sarebbero mutate.
Alla
fine si alzò, dirigendosi verso casa.
Non
sarebbe tornato a controllare, il prossimo Natale.
Questa
storia è (finalmente) giunta alla fine.
Spero
di essere riuscita nel mio intento di creare una “Missing
Moments”, era un mio
grande desiderio.
Grazie
a tutti, di cuore.
Un
bacio,
Lily