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Autore: IleWriters    28/06/2014    5 recensioni
Dal primo capitolo
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Mi alzo, poggiando i piedi nudi sulle mattonelle fredde e mi dirigo verso la finestra, guardo fuori e li vedo... Quelle cose... Inumane... Morti che camminano... Io li chiamo i semimorti.
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Non so precisamente come tutta questa merda sia iniziata, so solo che mi ci sono ritrovata catapultata dentro, nessuno mi ha chiesto se volevo farne parte. Mi ci hanno semplicemente scagliata dentro e ora vedo il mondo che sprofonda sempre di più in questa merda.
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Probabilmente sono più morta io dentro dei semimorti la fuori.
Genere: Horror, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Nathaniel, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Tic... Tic... Tic...

 

La pioggia tamburella sul vetro della finestra nella mia stanza. Il cielo grigio incupisce ancora di più il luogo. Alzo gli occhi sull'orologio appeso alla parete sopra la porta in legno bianca. Sono le 10:20, di un lugubre 27 maggio. 3 anni fa mi sarei lamentata su un banco di scuola, ma ormai la scuola non esiste più.

Mi alzo, poggiando i piedi nudi sulle mattonelle fredde e mi dirigo verso la finestra, guardo fuori e li vedo... Quelle cose... Inumane... Morti che camminano... Io li chiamo i semimorti.

 

Tic... Tic... Tic...

 

La pioggia bagna i loro corpi freddi e cinerei, non sbattono le palpebre nonostante la pioggia gli cada dritta negli occhi vitrei e rivolti all'insù, spalancati in maniera anormale... Ma loro non sono più umani. Riconosco il nostro ex professore di scienze mentre cammina barcollando, i vestiti strappati, lerci e sporchi di sangue, come le sue labbra violacee coperte di rosso. Cammina con estrema lentezza verso il cancello della scuola, sbattendoci contro per entrare. I semimorti non sono certamente ciechi, ma ormai delle azioni normali tipo aprire un cancello non le sanno più fare, ormai loro per aprire le porte ci sbattono contro finché i cardini non cedono sotto le loro spinte violente. E insieme a lui ci sono alcuni dei nostri ex compagni e altri semimorti, vestiti come quel maledetto giorno.

 

Non so precisamente come tutta questa merda sia iniziata, so solo che mi ci sono ritrovata catapultata dentro, nessuno mi ha chiesto se volevo farne parte. Mi ci hanno semplicemente scagliata dentro e ora vedo il mondo che sprofonda sempre di più in questa merda.

 

Mentre guardo questo scenario deprimente vedo avvicinarsi il furgoncino del nostro “Liceo” se ancora possiamo chiamarlo così, ormai è la nostra base, il nostro campo di addestramento.

Certo abbiamo perso molte persone mentre cercavamo di buttare fuori e uccidere gli zombie degli studenti e professori che erano in giro per il liceo, ma alla fine ce l'abbiamo fatta, eravamo partiti per questa missione suicida in 70 e siamo rimasti in 40, ma ora siamo allenati, siamo preparati e sappiamo cosa troveremo durante le missioni fuori dal liceo. Il “Dolce Amoris”... In questi periodi non direi che sia il nome più indicato, ma abbiamo problemi ben più seri di un nome. Tipo allenarci a mirare sempre, o almeno quasi, alla testa. Nessuno di noi è nato con l'abilità di centrare un bersaglio in movimento con una pistola alla testa.

 

Il furgoncino supera il cancello principale che oggi è completamente accerchiato dai semimorti e fa il giro del liceo, segno che entrerà dal secondo cancello, quello sul retro, dove i cadaveri viventi sono in minor numero, quindi non sono tutto questo problema, un paio di mazzate nella testa e finalmente anche loro troveranno la loro pace eterna.

 

Sento bussare alla porta così mi dirigo verso di essa e la apro, trovandomi stagliata davanti la muscolosa figura di mio fratello maggiore Castiel.

 

«Ile, hai mica te il mio iPod» chiede in tono molto cortese.

«Ciao Ilenia, come stai? Felice che la missione che hai fatto ieri sera non ti abbia fatta diventare un semimorto a cui dovrò spaccare la testa. Prego entra pure caro fratello» dico ironicamente mentre mi inchino.

«Smetti di dire cavolate» risponde lui «Mi sono informato appena siete tornati. Sapevo benissimo che eri viva e ancora tra le scatole» mentre lo dice mi sorride e mi accarezza una guancia con il pollice.

 

Proprio come faceva Damon.

 

Scuoto la testa per scacciare l'amaro ricordo e gli sorrido mentre entra nella mia stanza, per poi buttarsi nel mio letto.

 

«Vuoi rompermi di nuovo le stecche del letto?» chiedo stendendomi accanto a lui. «No perché nel caso questa volta ci vai tu in missione al supermercato per riprendermele eh»

«Ok ok ho afferrato il concetto» gira la testa e mi guarda. «Senti so di essere tuo fratello e che da bambini abbiamo fatto pure le docce insieme, ma ti costa tanto metterti dei pantaloni?» ride mentre io avvampo.

«Cretino!» esclamo alzandomi in fretta dal letto.

 

Apro l'armadio e tiro fuori un paio di pantaloni di tuta grigi, vecchiotti ma mi stanno ancora a pennello, così me li infilo e mi rimetto accanto a mio fratello.

 

«Comunque il tuo iPod l'ho prestato a Asia» dico facendo spallucce, al che Castiel sbuffa

«Ma c'è una volta che non lo presti a destra e a manca?» mi guarda con i suoi occhi grigi scuro scocciati.

«Sai che sono una ragazza gentile» affermo ridendo e scompigliandogli i capelli rossi lunghi sino a poco sopra le spalle.

«Eh no, questo non dovevi farlo» dice mentre si toglie la giacchetta in pelle nera. «Ora subirai il peggiore dei castighi... Il solletico» e detto questo inizia a solleticarmi.

 

Io rido e mi dimeno sotto il corpo di Castiel, pregandolo di smettere mentre lui, crudelmente, continua a solleticarmi, sotto le braccia, sui fianchi e nel collo.

Quando imploro pietà per la centesima volta lui smette di solleticarmi e io sputo via dalla bocca i miei lunghi capelli ricci biondi per poi guardarlo male mentre lui ride guardandomi.

 

«Hai dei capelli da pazza» afferma mentre ancora ride, beccandosi un cuscino in faccia da parte mia.

«Ok me lo sono meritato» ridacchia poi mi guarda in modo serio. «Senti, ho fatto domanda per venire a stare nella tua camera»

«E perché mai?» chiedo alzandomi dal letto e spostando il cavalletto di legno che un tempo serviva per mantenere le tele durante le lezioni di arte, invece ora mantiene il mio specchio.

«Perché dalla morte di Damon ti sei rinchiusa tra queste quattro mura, nessuno ti vede più se non durante le missioni, spesso Asia ti porta il cibo e poco dopo ritorna in mensa dicendo che hai mangiato poco e nulla. Sto iniziando a preoccuparmi davvero tanto Ile» mentre parla si è avvicinato a me mi tiene per le spalle guardandomi dritto negli occhi. Blu notte contro grigio scuro.

«Secondo me state solo gonfiando il tutto» scrollo le spalle mentre affermo ciò.

«Ilenia a me non puoi dire cazzate, agli altri forse sì, ma a me non puoi dirne. Domani sarò i tuo nuovo compagno di stanza» dice mentre apre la porta, con ancora appeso sopra “Aula di Arte”.

«Dake si sentirà solo senza di te» mi aggrappo a ogni scusa pur di non farlo venire nella mia stanza.

«Non credo proprio, potrà portarsi le ragazze in camera ogni volta che vuole e scopare senza problemi. Ah e ti conviene farti vedere a pranzo, sennò verrò a prenderti personalmente di peso» detto questo esce, richiudendo la porta dietro di se.

 

Mi butto nel letto e guardo la giacchetta che ha lasciato nella mia stanza, presa da uno scatto d'ira la afferro e la scaglio dall'altra parte della stanza.

Non voglio che Castiel venga a dormire qui, non perché avessi più feeling con Demon, il mio ormai defunto gemello, ma solo perché voglio restare sola. Non voglio venire salvata dal mio senso di colpa che mi divora da un anno. Voglio che questo mare oscuro mi copra del tutto, che mi trascini sul fondo. Voglio che mi anneghi. Non voglio un fottuto salvagente.

 

 

Le persone al liceo dicono che esagero, tutti tranne Alexy e Armin, loro forse mi comprendono. Non è facile andare avanti dopo che hai spaccato la testa tra le lacrime al tuo gemello.

 

Tutto questo perché sostenevo di poter farcela da sola e entrai in un magazzino che pululava di semimorti, avevo sparato in testa a tre di loro, poi la mia pistola si era inceppata, urlai in preda al panico e venni accerchiata. Vedevo i semimorti correre barcollando verso di me, che avevo la schiena al muro. Molti di loro mentre correvano chiudevano e riaprivano le mascelle facendo sbattere i denti gialli chiazzati di sangue secco in un rumore spaventoso. La mia fine era vicina, sarei diventata una semimorta, quando a un certo punto vidi una di loro, forse al tempo era una maestra, cadere a terra. Il sangue rossastro tendente al nero che si riversava fuori dal buco che aveva sulla fronte. Le macchiava i capelli neri , lucidi e lerci. Il rumore dello sparo coprì quello dell'osso del cranico che si schianta contro il pavimento di cemento.

Vidi il sorriso angelico di Damon mentre sparava a un altro semimorto.

 

«Prendi quello per cui siamo venuti e filiamocela! Boris, Dake, Asia e Armin ci stanno aspettando» urlava per superare il rumore degli spari.

 

Io mi alzai mentre Damon mi lanciò una mazza da baseball di metallo. L'afferrai al volo e mi feci strada tra i semimorti spaccando teste e spezzando ginocchia, che non li uccide, ma li rallenta ancora più, e finalmente arrivai alla mia meta, delle scorte di medicinali, così con una rapida bracciata sul tavolo, lasciai cadere i medicinali dentro lo zaino, lo richiusi e tornai di corsa dal mio gemello che mi sorrideva, con le sue adorabili fossette sulle guance e gli occhi blu gentili, nonostante fossimo entrambi macchiati di sangue ci abbracciammo, felici di esser sopravvissuti ancora una volta insieme. O almeno così pensavamo.

 

«Grande la mia piccola e esile spina di grano» disse sorridendo mentre mi scompigliava i capelli.

«Anche tu lo sei stato, limone» risposi ridendo poi poco dopo spalancai gli occhi.

 

Urlai nello stesso momento in cui il semimorto morse la spalla di mio fratello, che spalancò gli occhi blu e cercava di staccarselo dal braccio urlando. Istintivamente io presi la pistola di Damon e sparai dritto in testa al semimorto, che poco dopo cadde senza vita, definitamente, a terra. Immobile.

Dam si accasciò a terra, tenendosi la spalla che gli sporcava la maglietta a maniche corte militare di rosso sangue. Un fiume di sangue. Lacrimavo e mi sedetti accanto a lui.

 

«Mi dispiace così tanto Dam» piangevo e lo abbracciai, nascondendo il volto nel suo petto muscoloso, nonostante i suoi 17 anni.

«Ehi, va tutto bene spiga di grano» mi accarezzava i capelli mentre cercava di consolarmi.

«Non dire cazzate! Tutto questo è successo per colpa del mio stupido orgoglio. TU STAI PER MORIRE ED E' SOLO COLPA MIA!» urlavo, ero fuori di me.

 

Dam aprì le labbra carnose e rosee per rispondermi, ma tossì fuori sangue, sangue che era ancora rosso, ma con delle sfumature nerastre, stava diventando un semimorto e io non potevo impedirlo.

Indicò la sua pistola e sorrise a bocca chiusa, le labbra macchiate di rosso.

 

«Sparami, ti prego. Non voglio diventare uno di quelle cose»

«Non posso... Dam vedrai trov-»

«NON DIRE CAZZATE!» urlò Dam, interropendomi. «Non dire che troveremo una cura, non ci devi nemmeno sperare. Non c'è salvezza. Spiga di grano, io ti voglio bene, tu me ne vuoi?» mi chiese.

«Non è il momento di domande cretine» risposi con gli occhi bassi

«Rispondimi!» esclamò, per poi tossire altro sangue. La sua pelle era sempre più pallida. Gli occhi sempre più vitrei. Non avrei avuto più occasione di dirglielo.

«Sì, sai che ti voglio bene Dam, ti voglio un mondo di bene» ero di nuovo in lacrime. «Per questo non posso spararti... Io... NON POSSO UCCIDERTI!» piangevo di nuovo.

«Ti voglio bene sorellina. Dì anche a Cass che gli voglio bene, e anche a Asia e tutti gli altri» sorrise per l'ultima volta poi chiuse gli occhi. Il suo corpo si rilassò e la mano che teneva sulla spalla cadde a terra.

 

Mi avvicinai al corpo di Damon e lo abbracciai piangendo, forse passarono ore, ma era più probabile che fossero minuti quando sentì sotto di me il corpo di Dam muoversi. Una scintilla di speranza si accese in me.

 

«Dam? Limone?» chiesi tra le lacrime mentre gli scostai i capelli biondi e ricci dalla fronte.

 

Ma la mia scintilla morì quando aprì gli occhi blu, vitrei e rivolti verso l'alto e spalancati in modo esagerato.

Mi allontanai strisciando all'indietro, gli occhi spalancati mentre il corpo di mio fratello, pallido e leggermene gobbo si alzava in piedi, emettendo versi inumani e puntandomi contro il suo sguardo di vetro, privo della solarità e ironia che sempre aveva illuminato quei due occhi.

 

Ormai lui non era più il mio limone. Non era più Damon. Era un semimorto.

 

Mi tirai in piedi tra le lacrime e gli puntai la pistola contro, mentre vedevo appannato per colpa delle lacrime.

 

«Scusami Damon» dissi mentre lui si avvicinava a passo lento e barcollando, facendo quello strano verso, un sibilo ringhiato, chiusi l'occhio sinistro per prendere la mira e posai l'indice sul grilletto. «Ti voglio bene» e premetti sul grilletto.

 

La pistola rinculò leggermente e il proiettile traforò da parte a parte la testa del mio gemello, che cadde a terra.

Lasciai la pistola e corsi verso il cadavere di Damon, lo abbracciai forte e iniziai a piangere. Piansi sino a esaurire le lacrime e lo strinsi forte a me, fregandomene dei vestiti che si stavano impregnando di sangue.

Dopo qualche minuto Armin venne a richiamarmi. Lo guardai, scossa dai singhiozzi e le guance umide e rigate dalle lacrime. Armin mi aiutò a rialzarmi e mi abbracciò forte, solo che io lo scostai bruscamente e tolsi la targhetta di riconoscimento a Dam.

 

«Porta via il corpo» dissi secca mentre mi mettevo la targhetta di Damon

«Quindi domani ci sarà il funerale?» mi chiese Armin, e io mi limitai ad annuire mentre uscivo dal magazzino.

 

Dake e Armin misero il corpo di Dam in una cassa di legno, che caricarono nel retro del furgoncino, poi salirono e ci avviammo al liceo con il morale sotto i piedi.

 

Il giorno del funerale era un ricordo confuso, ricordo solo che odiavo tutti quei “Ti capisco” e quelle maledette condoglianze. Odiai la divisa militare preferita di Dam, che ora vestiva il suo cadavere. Odiai la terra che ne ricoprì la cassa e odiai la lapide improvvisata, fatta di cemento, le scritte in cemento dipinto di verde e la foto murata in quella lapide.

Andai in camera e iniziai a odiare. I semimorti in primis. Poi tutti quelli che erano in missione, nessuno era entrato con Damon e nessuno era entrato per fermarmi e ucciderlo al mio posto. Odiavo ogni persona che bussava alla mia porta una, due, tre volte per poi andarsene. E così iniziai a tagliarmi e stare chiusa in camera.

 

 

Mi riscuoto da questo pensiero doloroso e corro in bagno.

Gli occhi sono lucidi mentre cerco nel cassetto la lametta presa ieri, durante la missione al centro commerciale.

Una volta trovata la piccola lametta, mi alzo la manica della felpa grigia che uso per dormire e lascio che la lama affilata della lametta laceri la mia carne pallida e morbida, dove ancora l'altra lametta non ha deturpato la carne soffice, lascio che la lametta mi laceri il braccio come il dolore lacera il mio cuore.

Faccio un taglio netto e profondo, lascio che il sangue rosso fuoriesca abbastanza copiosamente dalla ferita, facendo piccoli sentieri rossi lungo il braccio per poi cadere a terra, macchiando il pavimento.

Faccio quattro tagli in tutto e guardo il liquido scarlatto che ne fuoriesce, e lascio che mi sporchi il braccio e il pavimento, mentre le lacrime amare bagnano le mie guance e le mie labbra.

 

Tic... Tic... Tic...

 

Lacrime e sangue cadono a terra in modo regolare, sporcando me e il pavimento.

 

Probabilmente sono più morta io dentro dei semimorti la fuori.


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Angolo dell'autrice della schizzoide:

Saaaaaalve v.v era da un po' che pensavo a scrivere una storia sul genere horror/triste-deprimente, ed eccola qui v.v non è proprio il mio stile ma vabbè xD
Ero indecisa se mettere rating rosso o arancione, ho scelto arancione v.v ma se fosse da rosso ditemelo che modico subito (: detto questo buona lettura e, se ne avete voglia, recensite che mi fa sempre piacere leggere cosa ne pensano le lettrici (:

  
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