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Autore: camvibe    30/06/2014    1 recensioni
Dimenticatevi tutto quello che succede nella seconda e nella terza stagione, nessun Capitan Uncino e nessun Robin Hood, solo Regina e la mia personale versione di quello che avrebbe potuto e dovuto essere il suo lento e molto umano percorso di redenzione dopo che la maledizione viene spezzata. Un percorso che inizia per recuperare l'amore di Henry e che poi si intreccia e non può più prescindere da Emma.
Queste due insieme profumano di inevitabilità ed è giusto e doverso quantomeno provare a rendere giustizia a due bellissimi personaggi. Soprattuto visto come li stanno lentamente rovinando e snaturalizzando in questo periodo coloro che li hanno creati ed ideati.
Se gli scrittori non ci riescono o non vogliono, beh allora proviamoci noi.
Enjoy.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Regina si girò, dopo aver preso due sorsate generose di quel liquido ambrato. Emma non fu sorpresa dal fatto che non avesse scelto il suo famoso sidro di mele: dal tremolio incessante delle sue mani capiva che Regina aveva bisogno di qualcosa di più forte.
 
 
Ciò che la sorprese, invece, fu il notare un leggero velo di lacrime avvolgerle gli occhi arrossati. Luccicavano, umidi e pronti per liberarle dalle loro prigioni, in cui erano fuori posto come una coperta pesante d’estate.
Ecco perché si era voltata. Per non farsi vedere mentre piangeva, per nascondere quella sua strana debolezza. Regina non era stupida: sapeva che prima o poi Emma avrebbe notato gli occhi lucidi e gonfi, ma stava evidentemente tentando di limitare i danni.
 
“Non credevo che le regine cattive sapessero piangere…” disse Emma, e subito si morse la lingua, maledicendosi per quell’innata capacità di essere sempre così inopportuna. Aveva voluto esprimere quello che era il suo più sincero stupore, ma subito comprese che le sue parole potevano essere facilmente scambiate per  un tentativo mal riuscito di insultare la sua interlocutrice, approfittando della sua temporanea debolezza emotiva. “Scusa, io non volevo dire…insomma, sì, volevo ma non nel senso…”. La bionda tentò di rimediare, senza successo.
 
Regina scosse la testa piano, come per dirle che non c’era bisogno di spiegare, che aveva capito cosa intendeva. Poi, dopo un attimo di esitazione, aggiunse: “Al contrario, signorina Swan, è proprio dalle tante, troppe lacrime che nascono le regine più cattive. Come le fenici dalle loro ceneri…solo, molto più pericolose”.
 
Quelle poche parole colpirono Emma come uno schiaffo, così forti nella chiarezza del loro significato. Strabordarono dalla sfera dell'uditivo per sfiorare quella del tattile e le arrivarono dritte in faccia: quasi riuscì a sentirle. Spostavano aria e prendevano pelle, quelle parole: invadevano spazi.  
 
Non sono sempre stata così, mi hanno costretto a diventarlo.
 
Ci sono due versioni di ogni storia.
 
Il tempo di sbattere le palpebre due volte, e Regina si rese conto di quello che si era fatta sfuggire. Tentò di sminuire la portata della sua confessione, senza però riuscirci.  “Scusi la sincerità. È molto tardi e tutti questi discorsi su Henry non aiutano…mi sono lasciata trascinare”.
 
“Non c’è niente di cui tu ti debba scusare, Regina” iniziò Emma.
Poi si fermò, indecisa, come chi ad un bivio debba scegliere da che parte andare. Regina evidentemente percepì lo stato d’animo della bionda perché la spronò ad esplicitare i suoi pensieri. Le pose finalmente la domanda che aveva sulla punta della lingua da tutta la sera.
 
“Perché è qui? Non mi fraintenda. Non che non apprezzi essere aggiornata su come stiano lo cose, o su come stia…mio figlio. Mi riempie di gioia sapere che sia vivo e che…malgrado mi sembri surreale, prenda addirittura le mie parti. Ma…ho come l’impressione che ci sia qualcosa di più. Qualcosa che non mi ha ancora detto”. 
 
La strana delicatezza con cui la bruna le si rivolse –chiedendole qualcosa invece di pretenderlo di diritto, come di solito avrebbe fatto- fece sorridere Emma. Doveva essere un record: più di cinque minuti senza nemmeno un insulto. La prova che sapevano comportarsi come due persone adulte.
Emma sapeva che la calma avrebbe avuto vita breve: la loro era una dinamica tempestosa e avrebbe inevitabilmente continuato ad esserlo, ma anche solo pochi attimi di conversazione civile erano una bella novità ed Emma aveva tutta l’intenzione di godere di quella tregua apparente il più a lungo possibile. Parlare con Regina era sempre stato faticoso fisicamente: era tutto un pulsare di tempie, accompagnato da urla roche ed ampi gesti violenti. Vista la natura delicata della conversazione, Emma decise che avrebbe approfittato di quella calma prima della tempesta, che si sarebbe sforzata di mantenere la situazione pacifica. Forse si cstava concedendo una speranza prematura, ma la bionda intravedeva addirittura la possibilità di  uscire da casa di Regina avendo concluso qualcosa, senza essere accompagnata dalla solita, pulsante emicrania. Quella che le faceva visita quando uno semplice scambio verbale con la bruna puntualmente degenerava in litigio.
 
Considerati gli sforzi di Regina, Emma decise di ripagarla con la stessa sincerità: “Non ti sbagli. Sono qui perché qualcuno mi ha mandata.
È da giorni che non ti vediamo in giro – non che i primi tempi ti si vedesse spesso, ma perlomenoti vedevo da Granny’s la mattina, quando credevi fosse ancora troppo presto perché qualcuno fosse sveglio…non era tanto, ma era già qualcosa...”
 
“Come diavolo…?”. Regina alzò vertiginosamente un sopracciglio: Emma Swan le stava forse dicendo che la pedinava? Non avrebbe certo sopportato un tale affronto.
 
“Okay, prima che la cosa degeneri: devi sapere che faccio una corsa di mezz’ora tutte le mattine", si affrontò a puntualizzare Emma, che intravide negli occhi di Regina una scintilla di antico pericolo, "Esco di casa alle sei in punto, e faccio il giro della città. E’ un abitudine che ho da quando…insomma, da quando sono uscita di prigione. Prima, lo facevo solo per sfogarmi, per staccare la testa. Ora, devo ammettere che l’esercizio fisico mi torna utile in modi che mai avrei pensato. Avere fiato aiuta, sia quando sei lo sceriffo e devi rincorrere i ragazzini della squarda di hockey che rubano le caramelle al supermercato, sia quando sei la salvatrice e ti trovi a combattere contro draghi grossi come grattacieli”.  
Emma accompagnò la sua spiegazione con un mezzo sorriso, sperando così di rimettere Regina a suo agio. Sapeva che un frase male interpretata, una parola sbagliata, un tono di voce equivocabile l’avrebbero fatta scattare, e addio alla calma piatta e alla possibilità di parlare in modo ragionevole.
“Comunque, durante il mio percorso abituale, ti ho vista da Granny’s.  Tutti i giorni, seduta al bancone con la tua tazza di caffè nero e…Regina, quella volta, erano…sì, insomma, erano pancakes?”.
 
Emma non riuscì a trattenersi dal chiedere: era curiosità stupida, potenzilamente disatrosa, ma aveva preso a divorarla dal momento in cui aveva visto Regina, attraverso la vetrina della tavola calda, portarsi alla bocca una forchettata di quelli che le erano sembrati proprio pancakes, grondanti per di più di un liquido marrone che aveva tutta l’aria di essere sciroppo d’acero. Ma stava correndo, e quindi c’era anche la possibilità che si fosse sbagliata, che avesse visto male.
 
Successe una cosa che la sorprese e che implicitamente le diede la risposta tanto attesa.
 
Regina arrossì.
 
Ma non di un rossore lieve, gentile, graduale: furono due fiamme, che improvvisamente le tinsero le guance di un intenso color cremisi, così aggressive nel loro mostrarsi da sembrare finte. Emma non seppe bene come reagire: era indecisa tra darsi un pizzicotto per svegliarsi da quello che non poteva che essere un sogno piuttosto strambo, o mettersi a battere le mani con fanciullesco entusiasmo davanti a quello spettacolo adorabile a cui le era stato apparentemente concesso il privilegio di assistere. Non ebbe però il tempo di fare nessuna delle due cose, perché Regina la fulminò con uno sguardo, minaccioso malgrado l’imbarazzo.
 
“E’ stata una volta. Un minuscolo, irrilevante strappo alla regola. Non che io mi debba giustificare con lei, ma ero di un umore pessimo quella mattina, ed Eugenia ha insistito sul fatto che assumere un po’ di zucchero mi avrebbe fatto bene e…Signorina Swan se anche solo si azzarda a raccontarlo a qualcuno, io…”.
 
Emma non le permise neanche di formulare qualunque violenta e sanguinosa ipotesi Regina avesse in mente di utilizzare per dissuaderla dal vuotare il sacco; si limitò ad alzare le braccia con aria innocente e a dire: “Tranquilla, con me il tuo segreto è al sicuro. E poi non penso che nessuno ci crederebbe, anche se lo raccontassi…”.
Era chiaro ad entrambe che Emma si stava sforzando per non scoppiare in una fragorosa risata. Sapeva che Regina l’avrebbe presa sul personale, ma era più forte di lei: con tutte le cose che già circolavano sul suo conto (tutte piuttosto gravi e piuttosto vere), Regina ancora si preoccupava delle conseguenze che avrebbe potuto avere lo spargersi della voce che la regina cattiva ogni tanto mangiava pancakes a colazione. Emma non escludeva anzi la paradossale possibilità che la rivelazione avrebbe potuto avere insperati risvolti positivi. Une regina -per quanto cattiva- con un debole per lo sciroppo d'acero diventava immediatamente meno minacciosa...
 
“Sono contenta che la pensi così, Sceriffo, perché ne va della sua integrità fisica. Ora, se non le dispiace, continui con la sua spiegazione…”. Regina tagliò corto, infastidita dall’ilarità che la questione sembrava suscitare in Emma.
 
Per un attimo, sentendosi chiamata in causa con quell’appellativo, ad Emma sembrò quasi di essere tornata al periodo che nella sua testa aveva preso ad etichettare come “pre-maledizione”. Si stupì nel pensarci quasi con nostalgia, scoprendo che la sua mente lo aveva incassettato come qualcosa di vicino alla normalità, e quindi stranamente desiderabile. Per quanto contorta, era pur sempre diventata la sua quotidianità, ed un po’ le mancava.
 
“Sì, certo. Prima…posso farti una domanda?” s’arrischiò Emma, fiduciosa.
 
“Lei può farmi tutte le domande che vuole. Questo non vuol dire però che io decida di rispondere, Sceriffo”.
 
“Hai detto Eugenia…la chiami per nome? La conosci? Non credevo che foste…non fraintendermi, non voglio in alcun modo insultarti…credevo che anche lei…?”.
 
“Vedo che la sua corsa verso l'analfabetismo è ormai galoppante, Signorina Swan. Credeva che anche Eugenia Lucas fosse tra il novero di chi vuole la mia testa sul proverbiale piatto di argento” continuò per lei Regina, ed era più un’affermazione che una domanda. Emma si limitò ad annuire. Non poteva sbagliare, si disse, stando in silenzio. Ed era curiosa di sapere.
 
“A quanto pare, il quoziente intellettivo della nonna di Ruby Lucas si è dimostrato essere leggermente superiore a quella media davvero bassa che si ottiene sommando quelli degli altri abitanti di questa città. O forse si tratta solo di compassione, non saprei dirle. In ogni caso, non ci definirei amiche…più che altro, conoscenti. La signora Lucas ha la saggezza necessaria –forse dovuta all’età, forse alla sua storia personale- per capire che tra il bianco e il nero c’è anche il grigio. Dettaglio che ancora sembra sfuggire –un esempio a caso- a sua madre, signorina Swan. Il suo mondo è sempre stato senza sfumature - sempre così estrema, ingenua, esagerata, sin da piccola.
In ogni caso, da quando la maledizione si è rotta, ho trovato in Eugenia un inaspettato alleato. La tavola calda alle sei di mattina in questi giorni è stata per me…come la Svizzera. Un luogo neutrale, pronto a regalarmi una preziosa ora di calma fuori da casa. Questo posto può diventare…pesante, a passarci chiusa dentro ogni minuto della giornata. Fare colazione da Granny’s è una nuova abitudine…piacevole, malgrado le circostanze. Un posto sicuro. Posso starci senza che nessuno mi giudichi, senza che mi si squadri dall’alto in basso. Senza il bisogno di parlare quando non ne ho voglia: Eugenia è piuttosto burbera e schietta, non sono obbligata a mantenere nessuna formalità, con lei. Ce ne stiamo più che altro in silenzio, ma è un silenzio…sano. Comodo.
Ma mi sto di nuovo dilungando, signorina Swan, la prego: torni a parlare della sua snervante opera di stalkeraggio che a quanto mi par di capire ha messo in atto nei miei confronti nelle ultime settimane”.
 
“Ehi!” rispose Emma, scandalizzata, decidendo consciamente di non commentare l’ennesima, piccola confessione che Regina le aveva offerto, perché era un argomento troppo personale e delicato da poter affrontare senza rischiare di far scoppiare quella bolla di calma in cui erano finite. Le aveva praticamente confessato di sentirsi sola e giudicata, ed Emma non aveva assolutamente nessuna intenzione di parlarne. Non da sobria, perlomeno.
 
“Io non…non ti sto pedinando, Regina, se è questo che vuoi insinuare. Si tratta di una coincidenza. Te l’ho detto, corsa mattutina. In ogni caso non…ecco, non ti ho più vista fare colazione gli ultimi due giorni, e quando ho riferito ad Henry del cambiamento si è preoccupato. Vederti da Granny’s la mattina ci permetteva di sapere che eri viva, che stavi beni e che non te eri andata, insomma…”.
 
A quelle parole, un lampo di comprensione attraversò il volto della bruna.

“Henry credeva che fossi andata via” affermò bruscamente, interrompendo Emma e il suo discorso.
 
“Credeva…credeva che avessi preferito andarmene. O peggio credeva…che stessi tramando qualcosa. Non è così?”.
 
Emma sussultò alla perspicacia della bruna, e non si preoccupò di costruire una bugia fragile che Regina sarebbe riuscita a smontare facilmente. Annuì, la mascella serrata le conferiva un’espressione seria e scura.
 
“E’ per questo che è venuta a cercarmi. Per vedere se c’ero. È per questo che è sembrata così…sollevata nel vedermi. È per questo che…”, Regina esitò un millisecondo, “…che mi ha abbracciato, prima, sulla porta”.
 
“La risposta è sì, a tutte le tue ipotesi. Henry mi ha pregato di venire a controllare ed io…condividendo in parte suoi timori, ho pensato che fosse una buona idea”.
 
“Beh, sono qui. Non sono andata da nessuna parte. Non ho attaccato nessuno. Ho mantenuto la mia parte di promessa…cosa che, a quanto mi ha detto prima, gli altri non sono riusciti a fare”. Affermò Regina con orgoglio quasi regale, alzando il mento.
 
“Non devi preoccuparti degli altri. Ora che so di Eugenia, potrebbe rivelarsi anche per me un valido alleato: essendo in quattro, posso tenere la situazione sotto controllo. Ancora per un po’. Non voglio…”, ed anche Emma si trovò ad esitare, sentendo che si stavano inoltrando in un territorio pericoloso e delicato, “non voglio che tu pensi che noi non ci fidiamo. Insomma, capisci anche tu, la maledizione, tutte quelle favole che si sono rivelate non essere favole…è stato un colpo, non lo nego, per me, per Henry. Ma non voglio sminuire i tuoi sforzi delle ultime settimane. Io…Regina io credo davvero nel compromesso che ti ho proposto, altrimenti non te l’avrei proposto. Ed Henry…Henry ci crede anche più di me. e se c’è una cosa che tutto questo casino mi ha insegnato a fare…è fidarmi delle impressioni di quel ragazzino, perché c’è una buonissima possibilità che abbia ragione”.

La verità dei quell'asserzione commosse entrambe. Restarono un poco in silenzio, immerse nell'affetto che tutte e due provavano per loro figlio.
 
“Henry vuole che…che io mi redima”. Sussurrò poi Regina, e fu di nuovo un affermazione, non una domanda.
 
“Più di ogni altra cosa, sì” confermò Emma, seria, ancora un po’ commossa, sollevata e spaventata di essere arrivata al nocciolo della questione. “Sai, anche tu gli manchi…non passa giorno senza che ti nomini. Paradossalmente. il fatto di scoprire di aver avuto ragione si dall'inizio sulla maledizione e su di te, sembra avergli regalato una nuova consapevolezza: dice che non sei cattiva come tutti dicono. Che hai fatto delle cose brutte, ma che puoi cambiare. A volte lo guardo e mi chiedo davvero se abbia solo undici anni”.
 
“E’ sempre stato molto sveglio” commentò Regina, e questa volta non potè impedire una singola, pesante lacrima di scorrerle sul viso. Umida, lucente come una perla, sincera e sentita, la piccola gocciolina salata le rigò  la pelle della guancia destra, arrivandole fino al mento.
 
“Emma, sei qui per chiedermi” continuò Regina, ed Emma cercò di non saltare sulla poltrona per la sorpresa di sentirsi chiamare per nome “…sei qui per chiedermi se posso, vero?”.
 
“Sono qui per conto di Henry, per chiederti se puoi”, confermò la bionda.


Il silenzio che seguì si protrasse così a lungo da diventare opprimente, ma Emma non lo ruppe. Avrebbe regalato alla madre di suo figlio tutto il silenzio che le serviva, perchè Regina le aveva regalato suo figlio, e lasciarle del tempo per pensare, metabolizzare, elaborare era il minimo che potesse fare.

La risposta che arrivò, però, la fece infuriare.

"Non lo so. Io...ci ho provato molte volte, e non sono mai riuscita a...devi capire, ci sono sempre ricaduta, è più forte di me". Regina tremava come una foglia e non le era mai sembrata così piccola. Insignifucante, quasi.

Emma quasi tremò di indignazione, e -forse troppo impulsivamente, una fiamma alimentata dalla benzina della'affetto, delusa da una Regina che apparentemente non aveva neanche la forza di provarci- si alzò bruscamente dalla poltrona, stupendo se stessa.

Era stufa.

Stufa delle sue debolezze e delle sue giustificazioni.

Henry meritava di meglio.

Emma, fuori di sè, mentre Regina ancora la fissava a bocca aperta, si voltò verso la porta a lunghi, violenti passi, con tutta l'intenzione di andarsene.

Una voce, urlante, disperata, la fermò a metà strada.

"Emma! Aspetta!".

Emma si fermò ma non si voltò, non aveva la forza di affrontare Regina.

"Io... forse non ci sono mai riuscita perchè non avevo...non avevo niente per cui valesse la pena provare. Ora con Henry...potrei. Gli diresti...gli diresti da parte mia che ci proverò? Per favore".

Percependo, pur non guardandola in viso, la sincerità nelle parole di Regina, Emma questa volta si voltò. Sorridente, sollevata.

Per un attimo aveva creduto di aver perso.

Poi disse:"Domani. Granny's. Solita ora".

Prima di potersi pentire della sua decisione, senza neanche attendere una risposta di Regina che sarebbe stata superflua, consumò la distanza che la separava dalla porta ed uscì. L'aria fredda la colpì in faccia come un balsamo. Era agitata, accaldata, emozionata, preoccupata.
 
Aveva appena concesso una seconda possibilità ad una donna per 28 anni aveva controllato la vita ed i cuori di un’intera città. Una donna che aveva ucciso, torturato, inflitto sofferenza fisica e psichica, spesso sensa valide ragioni. Una donna che tutti in città le dipingevano come un mostro. Un caso di crudeltà irrecuperabile, un cuore così nero da essere marcio. La regina cattiva, il timore di tutta la foresta incantata.

Lo aveva fatto, perchè ad Emma quella sera era sembrato di aver a che fare con un’altra persona. Certo, Regina era sempre stata un tipo difficile. Una sfida costante. Ma la bionda proprio faceva fatica a far coincidere l’immagine che gli altri le dipingevano con quella che Emma aveva di lei. Faceva sempre più  fatica a credere che Regina Mills e la regina cattiva fossero la stessa persona. Per un attimo prese addirittura in considerazione lo sdoppiamento di personalità, o l'ipotesi che Regina avesse una gemella crudele di cui nessuno sapeva niente e con cui era stata scambiata, un po' come era successo a David.

Perché certo non s’era mai vista, una regina cattiva che piangeva, arrossiva, mangiava pancakes…

La bruna che le diceva con il cuore in mano di quanto suo figlio le mancasse, presa da una sincerità irrefrenabile, non era certo la regina cattiva. Non in quel momento, non quella sera. In quel momento, era semplicemente -oltre ad una donna che aveva fatto molti errori- la madre di suo figlio.

E forse per la regina cattiva non c’erano possibilità di redenzione. Ma per Regina Mills, il motivo per cui Henry era diventato il ragazzino educato, prezioso, nobile di spirito e generoso che era…per quella donna forse ancora c’era una seconda possibilità. Henry, tipicamente ottimista e testardo nel vedere sempre il buono nelle persone, l’aveva vista fin da subito, ed anche Emma, dopo quella serata sincera e inaspettata. iniziava ad intravederla.

Una via d’uscita.

Una lenta, difficilissima, faticosa redenzione...per  la madre di suo figlio.
   
 
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