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Autore: vegeta4e    30/06/2014    3 recensioni
Haytham e Connor sono alla ricerca di B. Church, colpevole di aver tradito l'Ordine Templare e di aver sottratto a Washington i rifornimenti destinati all'Esercito Continentale. Il birrificio di New York è palesemente abbandonato e questo piccolo dettaglio obbligherà padre e figlio a collaborare, costringendo il Gran Maestro a lavorare separatamente sia con Charles sia con il figlio. Successivamente Haytham li convincerà a cooperare, tentando di metter da parte l'odio tra Assassini e Templari per raggiungere uno scopo più grande, desiderato da entrambe le fazioni: vincere la guerra contro gli Inglesi.
Ma non sarà questo l'unico intoppo. Torneranno vecchie conoscenze, vecchi problemi che H. Kenway credeva di essersi lasciato alle spalle. A cosa dare la precedenza? Ad una richiesta d'aiuto o a Washington che, battaglia dopo battaglia, sta perdendo sempre più terreno?
Questi eventi coinvolgeranno anche Connor e Charles Lee, nel bene e nel male.
Dal testo:
Charles e Connor entrarono nella sala, notandomi assente e pensieroso.
«Signore? Che succede?» Sospirai nuovamente, premendomi due dita alla base del naso.
«Temo di dovervi lasciare soli nelle prossime missioni. Devo tornare in Europa» annunciai tornando in posizione eretta per darmi un contegno.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Lee, Connor Kenway, Haytham Kenway, Jenny Kenway
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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A Emilia.

Sì, ricambio anche io con un giorno di ritardo, happy B. Day!

 

Capitolo 2

 

Mi addormentai seduto alla scrivania con il diario ancora aperto sotto gli avambracci, ai quali ero appoggiato. All’improvviso mi sentii scuotere e aprii infastidito gli occhi, trovandomi la mano di Connor sulla spalla e il suo viso poco distante dal mio. Mi destai di botto come se mi fossi scottato, affrettandomi poi a richiudere il quadernetto su cui appuntavo, più o meno regolarmente, la mia vita.

«Perché hai dormito qui?» domandò con quella sua solita espressione ebete che tanto m’irritava.

«Mi sono alzato un attimo, ma tu hai pensato bene di occupare tutto il letto nel frattempo.» borbottai indispettito. Mi passai una mano sugli occhi, Dio, ero distrutto. Lo scostai per alzarmi, raggiunsi il gancio al quale avevo appeso la redingote e, constatando che si era asciugata, la indossai sopra la camicia, così come il tricorno. Mentre Connor si vestiva, tornai alla scrivania e presi il diario per infilarlo nella tasca interna della veste.

«Cosa facciamo? Church sarà chissà dove con il carico che ha rubato a Washington.»

«Beh, per prima cosa direi di fare colazione, poi ho appuntamento con uno dei miei informatori, chiederò a lui se sa qualcosa.» e, senza aspettare risposta, mi diressi verso la porta. Lui mi seguì senza esitare, evidentemente allettato dall’idea di mettere del cibo nello stomaco.

Solo una volta che uscimmo da Fort George mi accorsi che il cielo era ancora coperto da nuvoloni grigi, mentre la via era cosparsa di pozzanghere qua e là. Mi misi subito a lato della strada per evitare di venire inzuppato al passaggio di qualche carrozza e iniziai a ragionare: non potevo di certo portare Connor al Green Dragon. Era la base per le nostre ricerche, quindi optai saggiamente per la prima taverna che incontrai sul mio cammino.

Una volta entrati presi posto al primo tavolo libero che vidi e Connor occupò la sedia di fronte alla mia. La fortuna volle che fossimo leggermente più distanti dagli altri che, nonostante fosse mattina, stavano già facendo baldoria brindando con boccali di birra. Bella la vita di chi non ha un cazzo da fare, vero?

Dopo qualche minuto una delle cameriere si avvicinò a noi con un sorrisino inequivocabilmente malizioso, per poi appoggiarsi al nostro tavolo lasciando che la scollatura fosse in bella vista. E che vista.

«Qualcosa da mangiare e da bere, grazie.» tagliai corto, mi ci mancavano le donnicciole vogliose di prima mattina. Vedendo che l’avevo liquidata senza batter ciglio fece una smorfia contrariata, allontanandosi con aria stizzita. Notai che Connor la seguì con lo sguardo per un paio di metri, quindi decisi di stuzzicarlo un po’. Adoravo farlo, mi mandava in estasi.

«Ti allettava l’idea? Potevi dirlo, non l’avrei stroncata in quel modo.» arrossì violentemente.

«Ma cosa dici!? Non sono interessato a certe cose, ho faccende ben più importanti a cui pensare.» tentava di mantenere uno sguardo serio e furioso, ma ahimè, non avrebbe spaventato nemmeno un poppante. Decisi di divertirmi ancora un po’.

«Suvvia, figliolo, ci sarebbe da stupirsi se fosse il contrario. Specialmente alla tua età.» sogghignai.

«Non è che, in realtà, sei tu quello avrebbe voluto la sua compagnia?» oh, rigirava la frittata, il ragazzo?

«Affatto, guarda cos’è successo l’ultima volta che una donna mi si è concessa.»

«Di che parli?» santo cielo, perché era così dannatamente stupido? Come poteva essere davvero mio figlio?

«È seduto di fronte a me.» aggrottò le sopracciglia, offeso per ciò che avevo detto ed io soffocai una risata « Siamo permalosi, eh?» lui grugnì qualcosa, proprio mentre la cameriera di prima appoggiava al centro del tavolo due bicchieri d’acqua e un piatto fondo con dentro pane, brioches e delle salse.

Se io avevo preso con due dita un pezzo di pane, Connor afferrò una brioche a mano aperta, per poi morderla fino a metà. Restai immobile a fissarlo con il braccio sospeso nel vuoto. Lui, sentendosi osservato, smise di masticare.

«Che c’è?» domandò a bocca piena. Ebbi un flashback di me, di appena otto anni, venire colpito sulle dita dal mio precettore Fayling per aver osato mettere in discussione ciò che mi insegnava. E poi mi tornò in mente Edith, una delle mie bambinaie, riprendermi severamente, ma con garbo, quando facevo qualcosa di sbagliato.

Li immaginai entrambi alle prese con Connor e non ebbi dubbi su come sarebbe andata a finire la faccenda: sarebbero fuggiti a gambe levate dopo un giorno, mio figlio era un caso perso.

Sbattei un paio di volte le palpebre per destarmi e iniziai a mangiare, provando sollievo mentre riempivo lo stomaco che già da un po’ aveva iniziato a gorgogliare. Ci rilassammo –per così dire- nella locanda per una ventina di minuti, mangiammo con tutta calma, poi mi pulii la bocca un con tovagliolo –da buon gentiluomo- mentre Connor si passava la manica della tunica sulle labbra.

Scossi il capo ma non dissi nulla, quindi mi alzai e mi diressi verso il bancone, poggiando tre monete sul legno consumato. Pagai istintivamente anche per il ragazzo, mi sarei giocato qualsiasi cosa che non avesse denaro con sé. Una volta usciti dalla taverna giunsi le mani dietro la schiena, venendo affiancato da mio figlio.

«Grazie.» farfugliò senza guardarmi. Capii immediatamente a cosa si riferiva e ricambiai con un cenno del capo, poi, senza indugiare oltre, mi incamminai verso il porto, dove mi aspettava il mio informatore. Raggiunsi il luogo dell’incontro passando per strade secondarie, volevo evitare le giubbe rosse, chiunque potesse infastidirmi o riferire a Charles che mi aveva visto in compagnia di Connor e, una volta arrivati, mi appoggiai con disinvoltura ad una pila di casse di legno sistemate vicino ad una bancarella. Pochi secondi dopo imprecai a denti serrati intravedendo, una trentina di metri davanti a noi, un gruppo di soldati Inglesi.

«Merda.» sibilai afferrando Connor e tirandolo dietro di me.

«Che accidenti fai!?» mi riservò un’occhiataccia, ma la ignorai totalmente.

«Maledetto Achille quando ha deciso di darti questa cazzo di tunica!» sibilai nella sua direzione «Me lo devi spiegare, Connor, come fate ad agire nell’ombra per servire la luce con queste divise tanto vistose!» continuai tenendo d’occhio la mezza dozzina di soldati che, marciando, stava venendo verso di noi.

Ultimamente incrociavo un po’ troppe giubbe rosse; parlavano tutti di un ragazzo e delle sue gloriose rivolte, chissà a chi si riferivano. Una volta. Una fottutissima volta, da quando ero nelle Colonie, mi ero concesso una donna e guarda il casino che andavo a combinare.

Cercai di calmarmi, incrociai le braccia al petto e regolai il respiro. Mostrai indifferenza quando mi passarono davanti, che cercavo di coprire Connor seminascosto dietro di me e le casse impilate. Addirittura sollevai leggermente la punta del cappello, guadagnandomi un’occhiata diffidente da una delle guardie. Ringhiai tra me e me.

Connor venne salvato –perché giuro che l’avrei preso a sberle- dall’arrivo del mio uomo che, come una manna dal cielo, sbucò dalla folla venendomi incontro con passo rapido ma non sospetto. Sciolsi le braccia serrate al petto e le portai dietro le schiena, staccandomi dalla pila di casse.

«Eccoti, finalmente. Hai scoperto qualcosa su Church? E sugli Inglesi?» cercai di mantenere la lucidità, anche se in realtà mi ribolliva il sangue nelle vene.

«Sugli Inglesi nessuna notizia, Signore, ma ho scoperto che Benjamin Church è partito per la Martinica a bordo di una corvetta chiamata Welcome.» aveva detto frettolosamente e a bassa voce.

«Vecchio stronzo.» borbottai spostando lo sguardo sulle navi attraccate «Ben fatto, James. Continua a indagare sui piani degli Inglesi e fammi sapere il prima possibile.» gli diedi una pacca sul braccio e lo lasciai andare. Si abbassò il tricorno sugli occhi e, dopo aver lanciato occhiate qua e là, si allontanò di corsa; quindi mi voltai verso Connor.

«Ora che sappiamo dove si nasconde, non ci resta che trovarlo e dargli una lezione.» sibilai con odio.

«E riprendere i rifornimenti rubati!» aggiunse con ardore. Sgranai leggermente gli occhi e allargai le braccia con fare drammatico.

«Dio, che sbadato, hai ragione figliolo. Riprendiamo i rifornimenti, li riportiamo al caro vecchio George, gli lasciamo perdere la guerra e poi vado a pestare a sangue Church, va bene?» lui ignorò deliberatamente il mio sarcasmo. Questo era un motivo più che valido per rifiutarlo come figlio.

«Ho una nave già pronta. Dimmi quando vuoi partire.»

«Direi che non c’è altro tempo da perdere!» lui mi fissò per qualche secondo, poi si voltò facendomi strada verso la sua nave, o meglio, quella che avremmo usato per trovare Benjamin.

 

Dopo un giorno di viaggio avevo ormai perso le speranze.

Me ne stavo appoggiato al parapetto del cassero affiancando Connor che gestiva la nave, convinto ormai che stessimo vagando a vuoto quando, all’improvviso, vidi qualcosa all’orizzonte. Strappai il cannocchiale dalla cintura di mio figlio e lo portai all’occhio destro. Ghignai.

«Eccolo! Accelera, figliolo, dobbiamo raggiungerlo!» abbassai le braccia, poggiando una mano sul legno consumato e umido. Già pregustavo il momento, volevo averlo tra le mani per ucciderlo a pugni.

«Spiegate le vele!» urlò Connor ai marinai. In pochi secondi guadagnammo velocità e, pochi minuti dopo, potevamo vedere la Welcome a un centinaio di metri da noi.

«Sembra tu voglia farlo scappare, Connor! Fai andare più veloce questa bagnarola!» battei un pugno sul legno. Ci stavamo avvicinando, sì, ma troppo lentamente ed io non ce la facevo più ad aspettare. Ovviamente era più importante aggirare gli scogli per non danneggiare la nave, certo, facciamo fuggire Church! Come se non bastasse iniziarono a spararci contro palle di cannone, i nostri rispondevano, ma Connor preferiva tenersi distante per non subire danni maggiori.

Al diavolo. Imprecai a mezza voce e lo spinsi via dal timone senza troppe cerimonie, prendendo il comando della situazione. Che diamine, avevo sangue pirata nelle vene!

«Che fai!?» sbottò mio figlio una volta recuperato l’equilibrio. Già, l’avevo quasi mandato fuori bordo, dritto in pasto ai pesci.

«Adesso basta!» virai con veemenza speronando la nave su cui si nascondeva Benjamin con la prua dell’Aquila, quindi lasciai il timone, presi la rincorsa e saltai dal parapetto, aggrappandomi a quello dell’altra nave –il tutto sotto lo sguardo scioccato di Connor. Avevo cinquant’anni, d’accordo, ma ero un Kenway!-.

Mi issai e salii sulla Welcome. L’equipaggio mi imitò e un fragore di spade mi fracassò i timpani, quando la mia attenzione si concentrò su un soldato che stava correndo verso di me brandendo una spada corta con il braccio alzato.

Idiota. Fianco destro scoperto: non fu difficile per me conficcargli la lama celata nelle costole. Lo feci senza esitazione, poi ne approfittai per scendere sottocoperta sperando di trovare Church, ma con mia grande sorpresa non trovai nulla: né lui né la merce rubata a Washington. Mi guardai intorno e avanzai di qualche passo stando attento a non far rumore, era sicuramente lì vicino e, col trambusto che c’era sul ponte, non si sarebbe accorto di me. O almeno lo speravo.

Perlustrai ovunque, ma di Benjamin non c’era traccia. Solo un paio di botti e qualche cima arrotolata.

Pochi secondi più tardi vidi sulla sinistra una porta, sogghignai e, dopo essermi avvicinato silenziosamente, la spalancai con un calcio, trovandomi davanti il mio ex socio. Tremava chiaramente, era pallido, ma cercava di mantenere un’espressione aggressiva.

«Chi non muore si rivede, vero Haytham?» sorrisi.

«Già, anche se tu tra poco lascerai questo mondo.» lo afferrai dai capelli per poi caricare un destro e colpirlo sul naso. Il suo volto divenne una maschera di sangue nel giro di due secondi, così come il mio pugno. Non mi bastò vederlo a terra sanguinante, quindi mi inginocchiai su di lui continuando a colpirlo.

«È stata una lunga avventura, credimi, riuscire a schivare tutti i tuoi trucchetti e le tue trappole. Astute! Alcune di loro, almeno. Questo lo ammetto. E la freddezza con cui mi hai voltato le spalle…» gli colpii per l’ennesima volta il naso, rotto ormai da un pezzo. «Avevamo un sogno, Benjamin!» stavolta urlai, ero fuori di me. Era stato un colpo basso, il suo. Mi sarei aspettato un comportamento simile da tutti, meno che lui –e Charles, s’intende-. Gli avevo salvato la vita, cristo, e mi ripagava così «Un sogno che hai voluto distruggere! E per questo, mio vecchio amico, per questo la pagherai cara!» continuai ad infierire su di lui tenendolo per il colletto con la mano sinistra, mentre la destra ormai si muoveva da sola.

La porta alla mia sinistra si aprì di nuovo e Connor ci trovò così. Gli diedi un altro pugno.

«Basta! Siamo qui per un motivo.» disse provando pena per Church. Dio, mi veniva da vomitare. Il suo atteggiamento mi mandava in bestia, non esagero. Perché si imponeva il ruolo di persona migliore che non prova mai rabbia o rancore?, che non cedeva alla voglia di vendicarsi? Eppure, come me, aveva perso sua madre davanti ai suoi occhi. E se proprio bisogna esser pignoli, io mio padre l’avevo visto morire per mano dei suoi sicari. Come aveva potuto, scoprendo di avere davanti il colpevole, non attaccare Washington? Non riuscivo a capacitarmi di questo suo comportamento. Chi sbagliava tra i due?

«Per motivi diversi, temo.» lo fissai negli occhi e lo colpii per un’ultima violentissima volta. Poi mi alzai, la mano mi faceva male. Si avvicinò Connor stavolta, si abbassò con fare misericordioso e con gentilezza chiese:

«Dov’è la merce che hai rubato?» Church sollevò il busto di poco e, con quel poco e fetido fiato che aveva ancora in corpo, riuscì a rispondere.

«Va all’inferno!» sussurrò, ma Connor, colto dall’ira, gli conficcò la lama celata nel fianco, riuscendo a strappargli di bocca il luogo dove erano nascosti i rifornimenti.

 

 

Salve!

Come si può notare, la storia sta prendendo forma. Da ora in avanti i riferimenti alla trama di Assassin’s Creed III saranno un po’ più vaghi e si inizierà a capire cosa sta escogitando il vecchio Haytham.

Mille volte grazie a chi ha lasciato un commento al primo capitolo, a chi ha iniziato a seguire la storia e a chi leggerà soltanto.

Alla prossima!

   
 
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