A Emilia.
Sì, ricambio anche io con un giorno di ritardo, happy B. Day!
Capitolo 2
Mi addormentai seduto alla
scrivania con il diario ancora aperto sotto gli avambracci, ai quali ero appoggiato.
All’improvviso mi sentii scuotere e aprii infastidito gli occhi, trovandomi la
mano di Connor sulla spalla e il suo viso poco distante dal mio. Mi destai di
botto come se mi fossi scottato, affrettandomi poi a richiudere il quadernetto
su cui appuntavo, più o meno regolarmente, la mia vita.
«Perché hai dormito qui?»
domandò con quella sua solita espressione ebete che tanto m’irritava.
«Mi sono alzato un attimo,
ma tu hai pensato bene di occupare tutto il letto nel frattempo.» borbottai
indispettito. Mi passai una mano sugli occhi, Dio, ero distrutto. Lo scostai
per alzarmi, raggiunsi il gancio al quale avevo appeso la redingote e,
constatando che si era asciugata, la indossai sopra la camicia, così come il
tricorno. Mentre Connor si vestiva, tornai alla scrivania e presi il diario per
infilarlo nella tasca interna della veste.
«Cosa facciamo? Church sarà
chissà dove con il carico che ha rubato a Washington.»
«Beh, per prima cosa direi
di fare colazione, poi ho appuntamento con uno dei miei informatori, chiederò a
lui se sa qualcosa.» e, senza aspettare risposta, mi diressi verso la porta.
Lui mi seguì senza esitare, evidentemente allettato dall’idea di mettere del
cibo nello stomaco.
Solo una volta che uscimmo
da Fort George mi accorsi che il cielo era ancora coperto da nuvoloni grigi,
mentre la via era cosparsa di pozzanghere qua e là. Mi misi subito a lato della
strada per evitare di venire inzuppato al passaggio di qualche carrozza e
iniziai a ragionare: non potevo di certo portare Connor al Green Dragon. Era la
base per le nostre ricerche, quindi optai saggiamente per la prima taverna che
incontrai sul mio cammino.
Una volta entrati presi
posto al primo tavolo libero che vidi e Connor occupò la sedia di fronte alla
mia. La fortuna volle che fossimo leggermente più distanti dagli altri che,
nonostante fosse mattina, stavano già facendo baldoria brindando con boccali di
birra. Bella la vita di chi non ha un cazzo da fare, vero?
Dopo qualche minuto una
delle cameriere si avvicinò a noi con un sorrisino inequivocabilmente
malizioso, per poi appoggiarsi al nostro tavolo lasciando che la scollatura
fosse in bella vista. E che vista.
«Qualcosa da mangiare e da
bere, grazie.» tagliai corto, mi ci mancavano le donnicciole vogliose di prima
mattina. Vedendo che l’avevo liquidata senza batter ciglio fece una smorfia
contrariata, allontanandosi con aria stizzita. Notai che Connor la seguì con lo
sguardo per un paio di metri, quindi decisi di stuzzicarlo un po’. Adoravo
farlo, mi mandava in estasi.
«Ti allettava l’idea? Potevi
dirlo, non l’avrei stroncata in quel modo.» arrossì violentemente.
«Ma cosa dici!? Non sono
interessato a certe cose, ho faccende ben più importanti a cui pensare.»
tentava di mantenere uno sguardo serio e furioso, ma ahimè, non avrebbe spaventato
nemmeno un poppante. Decisi di divertirmi ancora un po’.
«Suvvia, figliolo, ci
sarebbe da stupirsi se fosse il contrario. Specialmente alla tua età.»
sogghignai.
«Non è che, in realtà, sei
tu quello avrebbe voluto la sua compagnia?» oh, rigirava la frittata, il
ragazzo?
«Affatto, guarda cos’è
successo l’ultima volta che una donna mi si è concessa.»
«Di che parli?» santo cielo,
perché era così dannatamente stupido? Come poteva essere davvero mio
figlio?
«È seduto di fronte a me.»
aggrottò le sopracciglia, offeso per ciò che avevo detto ed io soffocai una
risata « Siamo permalosi, eh?» lui grugnì qualcosa, proprio mentre la cameriera
di prima appoggiava al centro del tavolo due bicchieri d’acqua e un piatto
fondo con dentro pane, brioches e delle salse.
Se io avevo preso con due
dita un pezzo di pane, Connor afferrò una brioche a mano aperta, per poi
morderla fino a metà. Restai immobile a fissarlo con il braccio sospeso nel
vuoto. Lui, sentendosi osservato, smise di masticare.
«Che c’è?» domandò a bocca
piena. Ebbi un flashback di me, di appena otto anni, venire colpito sulle dita
dal mio precettore Fayling per aver osato mettere in discussione ciò che mi
insegnava. E poi mi tornò in mente Edith, una delle mie bambinaie, riprendermi
severamente, ma con garbo, quando facevo qualcosa di sbagliato.
Li immaginai entrambi alle
prese con Connor e non ebbi dubbi su come sarebbe andata a finire la faccenda:
sarebbero fuggiti a gambe levate dopo un giorno, mio figlio era un caso perso.
Sbattei un paio di volte le
palpebre per destarmi e iniziai a mangiare, provando sollievo mentre riempivo
lo stomaco che già da un po’ aveva iniziato a gorgogliare. Ci rilassammo –per
così dire- nella locanda per una ventina di minuti, mangiammo con tutta calma,
poi mi pulii la bocca un con tovagliolo –da buon gentiluomo- mentre Connor si
passava la manica della tunica sulle labbra.
Scossi il capo ma non dissi
nulla, quindi mi alzai e mi diressi verso il bancone, poggiando tre monete sul
legno consumato. Pagai istintivamente anche per il ragazzo, mi sarei giocato
qualsiasi cosa che non avesse denaro con sé. Una volta usciti dalla taverna
giunsi le mani dietro la schiena, venendo affiancato da mio figlio.
«Grazie.» farfugliò senza
guardarmi. Capii immediatamente a cosa si riferiva e ricambiai con un cenno del
capo, poi, senza indugiare oltre, mi incamminai verso il porto, dove mi
aspettava il mio informatore. Raggiunsi il luogo dell’incontro passando per
strade secondarie, volevo evitare le giubbe rosse, chiunque potesse infastidirmi
o riferire a Charles che mi aveva visto in compagnia di Connor e, una volta
arrivati, mi appoggiai con disinvoltura ad una pila di casse di legno sistemate
vicino ad una bancarella. Pochi secondi dopo imprecai a denti serrati
intravedendo, una trentina di metri davanti a noi, un gruppo di soldati
Inglesi.
«Merda.» sibilai afferrando
Connor e tirandolo dietro di me.
«Che accidenti fai!?» mi
riservò un’occhiataccia, ma la ignorai totalmente.
«Maledetto Achille quando ha
deciso di darti questa cazzo di tunica!» sibilai nella sua direzione «Me lo
devi spiegare, Connor, come fate ad agire nell’ombra per servire la luce
con queste divise tanto vistose!» continuai tenendo d’occhio la mezza dozzina
di soldati che, marciando, stava venendo verso di noi.
Ultimamente incrociavo un
po’ troppe giubbe rosse; parlavano tutti di un ragazzo e delle sue gloriose
rivolte, chissà a chi si riferivano. Una volta. Una fottutissima volta, da
quando ero nelle Colonie, mi ero concesso una donna e guarda il casino che
andavo a combinare.
Cercai di calmarmi,
incrociai le braccia al petto e regolai il respiro. Mostrai indifferenza quando
mi passarono davanti, che cercavo di coprire Connor seminascosto dietro di me e
le casse impilate. Addirittura sollevai leggermente la punta del cappello,
guadagnandomi un’occhiata diffidente da una delle guardie. Ringhiai tra me e
me.
Connor venne salvato –perché
giuro che l’avrei preso a sberle- dall’arrivo del mio uomo che, come una manna
dal cielo, sbucò dalla folla venendomi incontro con passo rapido ma non
sospetto. Sciolsi le braccia serrate al petto e le portai dietro le schiena,
staccandomi dalla pila di casse.
«Eccoti, finalmente. Hai
scoperto qualcosa su Church? E sugli Inglesi?» cercai di mantenere la lucidità,
anche se in realtà mi ribolliva il sangue nelle vene.
«Sugli Inglesi nessuna
notizia, Signore, ma ho scoperto che Benjamin Church è partito per la Martinica
a bordo di una corvetta chiamata Welcome.» aveva detto frettolosamente e a
bassa voce.
«Vecchio stronzo.» borbottai
spostando lo sguardo sulle navi attraccate «Ben fatto, James. Continua a
indagare sui piani degli Inglesi e fammi sapere il prima possibile.» gli diedi
una pacca sul braccio e lo lasciai andare. Si abbassò il tricorno sugli occhi e,
dopo aver lanciato occhiate qua e là, si allontanò di corsa; quindi mi voltai
verso Connor.
«Ora che sappiamo dove si
nasconde, non ci resta che trovarlo e dargli una lezione.» sibilai con odio.
«E riprendere i rifornimenti
rubati!» aggiunse con ardore. Sgranai leggermente gli occhi e allargai le
braccia con fare drammatico.
«Dio, che sbadato, hai
ragione figliolo. Riprendiamo i rifornimenti, li riportiamo al caro vecchio
George, gli lasciamo perdere la guerra e poi vado a pestare a sangue Church, va
bene?» lui ignorò deliberatamente il mio sarcasmo. Questo era un motivo più che
valido per rifiutarlo come figlio.
«Ho una nave già pronta.
Dimmi quando vuoi partire.»
«Direi che non c’è altro
tempo da perdere!» lui mi fissò per qualche secondo, poi si voltò facendomi
strada verso la sua nave, o meglio, quella che avremmo usato per trovare
Benjamin.
Dopo un giorno di viaggio
avevo ormai perso le speranze.
Me ne stavo appoggiato al
parapetto del cassero affiancando Connor che gestiva la nave, convinto ormai
che stessimo vagando a vuoto quando, all’improvviso, vidi qualcosa
all’orizzonte. Strappai il cannocchiale dalla cintura di mio figlio e lo portai
all’occhio destro. Ghignai.
«Eccolo! Accelera, figliolo,
dobbiamo raggiungerlo!» abbassai le braccia, poggiando una mano sul legno
consumato e umido. Già pregustavo il momento, volevo averlo tra le mani per
ucciderlo a pugni.
«Spiegate le vele!» urlò
Connor ai marinai. In pochi secondi guadagnammo velocità e, pochi minuti dopo,
potevamo vedere la Welcome a un centinaio di metri da noi.
«Sembra tu voglia farlo
scappare, Connor! Fai andare più veloce questa bagnarola!» battei un pugno sul
legno. Ci stavamo avvicinando, sì, ma troppo lentamente ed io non ce la facevo
più ad aspettare. Ovviamente era più importante aggirare gli scogli per non
danneggiare la nave, certo, facciamo fuggire Church! Come se non bastasse
iniziarono a spararci contro palle di cannone, i nostri rispondevano, ma Connor
preferiva tenersi distante per non subire danni maggiori.
Al diavolo. Imprecai a mezza
voce e lo spinsi via dal timone senza troppe cerimonie, prendendo il comando
della situazione. Che diamine, avevo sangue pirata nelle vene!
«Che fai!?» sbottò mio
figlio una volta recuperato l’equilibrio. Già, l’avevo quasi mandato fuori
bordo, dritto in pasto ai pesci.
«Adesso basta!» virai con
veemenza speronando la nave su cui si nascondeva Benjamin con la prua
dell’Aquila, quindi lasciai il timone, presi la rincorsa e saltai dal
parapetto, aggrappandomi a quello dell’altra nave –il tutto sotto lo sguardo
scioccato di Connor. Avevo cinquant’anni, d’accordo, ma ero un Kenway!-.
Mi issai e salii sulla
Welcome. L’equipaggio mi imitò e un fragore di spade mi fracassò i timpani,
quando la mia attenzione si concentrò su un soldato che stava correndo verso di
me brandendo una spada corta con il braccio alzato.
Idiota. Fianco destro
scoperto: non fu difficile per me conficcargli la lama celata nelle costole. Lo
feci senza esitazione, poi ne approfittai per scendere sottocoperta sperando di
trovare Church, ma con mia grande sorpresa non trovai nulla: né lui né la merce
rubata a Washington. Mi guardai intorno e avanzai di qualche passo stando
attento a non far rumore, era sicuramente lì vicino e, col trambusto che c’era
sul ponte, non si sarebbe accorto di me. O almeno lo speravo.
Perlustrai ovunque, ma di
Benjamin non c’era traccia. Solo un paio di botti e qualche cima arrotolata.
Pochi secondi più tardi vidi
sulla sinistra una porta, sogghignai e, dopo essermi avvicinato silenziosamente,
la spalancai con un calcio, trovandomi davanti il mio ex socio. Tremava
chiaramente, era pallido, ma cercava di mantenere un’espressione aggressiva.
«Chi non muore si rivede,
vero Haytham?» sorrisi.
«Già, anche se tu tra poco
lascerai questo mondo.» lo afferrai dai capelli per poi caricare un destro e
colpirlo sul naso. Il suo volto divenne una maschera di sangue nel giro di due
secondi, così come il mio pugno. Non mi bastò vederlo a terra sanguinante,
quindi mi inginocchiai su di lui continuando a colpirlo.
«È stata una lunga
avventura, credimi, riuscire a schivare tutti i tuoi trucchetti e le tue
trappole. Astute! Alcune di loro, almeno. Questo lo ammetto. E la freddezza con
cui mi hai voltato le spalle…» gli colpii per l’ennesima volta il naso, rotto
ormai da un pezzo. «Avevamo un sogno, Benjamin!» stavolta urlai, ero fuori di
me. Era stato un colpo basso, il suo. Mi sarei aspettato un comportamento
simile da tutti, meno che lui –e Charles, s’intende-. Gli avevo salvato la
vita, cristo, e mi ripagava così «Un sogno che hai voluto distruggere! E per
questo, mio vecchio amico, per questo la pagherai cara!» continuai ad infierire
su di lui tenendolo per il colletto con la mano sinistra, mentre la destra
ormai si muoveva da sola.
La porta alla mia sinistra
si aprì di nuovo e Connor ci trovò così. Gli diedi un altro pugno.
«Basta! Siamo qui per un
motivo.» disse provando pena per Church. Dio, mi veniva da vomitare. Il suo
atteggiamento mi mandava in bestia, non esagero. Perché si imponeva il ruolo di
persona migliore che non prova mai rabbia o rancore?, che non cedeva
alla voglia di vendicarsi? Eppure, come me, aveva perso sua madre davanti ai
suoi occhi. E se proprio bisogna esser pignoli, io mio padre l’avevo visto
morire per mano dei suoi sicari. Come aveva potuto, scoprendo di avere davanti
il colpevole, non attaccare Washington? Non riuscivo a capacitarmi di questo
suo comportamento. Chi sbagliava tra i due?
«Per motivi diversi, temo.»
lo fissai negli occhi e lo colpii per un’ultima violentissima volta. Poi mi
alzai, la mano mi faceva male. Si avvicinò Connor stavolta, si abbassò con fare
misericordioso e con gentilezza chiese:
«Dov’è la merce che hai
rubato?» Church sollevò il busto di poco e, con quel poco e fetido fiato che
aveva ancora in corpo, riuscì a rispondere.
«Va all’inferno!» sussurrò,
ma Connor, colto dall’ira, gli conficcò la lama celata nel fianco, riuscendo a
strappargli di bocca il luogo dove erano nascosti i rifornimenti.
Salve!
Come si può
notare, la storia sta prendendo forma. Da ora in avanti i riferimenti alla
trama di Assassin’s Creed III saranno un po’ più vaghi e si inizierà a capire
cosa sta escogitando il vecchio Haytham.
Mille volte grazie
a chi ha lasciato un commento al primo capitolo, a chi ha iniziato a seguire la
storia e a chi leggerà soltanto.
Alla prossima!