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Autore: vegeta4e    07/07/2014    4 recensioni
Haytham e Connor sono alla ricerca di B. Church, colpevole di aver tradito l'Ordine Templare e di aver sottratto a Washington i rifornimenti destinati all'Esercito Continentale. Il birrificio di New York è palesemente abbandonato e questo piccolo dettaglio obbligherà padre e figlio a collaborare, costringendo il Gran Maestro a lavorare separatamente sia con Charles sia con il figlio. Successivamente Haytham li convincerà a cooperare, tentando di metter da parte l'odio tra Assassini e Templari per raggiungere uno scopo più grande, desiderato da entrambe le fazioni: vincere la guerra contro gli Inglesi.
Ma non sarà questo l'unico intoppo. Torneranno vecchie conoscenze, vecchi problemi che H. Kenway credeva di essersi lasciato alle spalle. A cosa dare la precedenza? Ad una richiesta d'aiuto o a Washington che, battaglia dopo battaglia, sta perdendo sempre più terreno?
Questi eventi coinvolgeranno anche Connor e Charles Lee, nel bene e nel male.
Dal testo:
Charles e Connor entrarono nella sala, notandomi assente e pensieroso.
«Signore? Che succede?» Sospirai nuovamente, premendomi due dita alla base del naso.
«Temo di dovervi lasciare soli nelle prossime missioni. Devo tornare in Europa» annunciai tornando in posizione eretta per darmi un contegno.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Lee, Connor Kenway, Haytham Kenway, Jenny Kenway
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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      Capitolo 3

    

Una volta recuperato ciò che ci interessava -o meglio, che interessava a mio figlio- tornammo a New York ed io incontrai nuovamente James, il mio informatore.

«Sono desolato, ma i soldati non parlano» aveva esordito così, la gioia, insomma. Con la coda dell’occhio vidi arrivare Connor, avvolto nella sua bellissima tunica da Assassino. Gli feci cenno di attendere e da bravo bambino si fermò a pochi passi da noi. Tornai a guardare James.

«Continua a indagare» scandii ogni parola «Dobbiamo sapere i piani dei lealisti se vogliamo farla finita»

«Certo, Signore, per ora i soldati aspettano ordini dall'alto» spostai lo sguardo. Non mi sarei affidato alle sue capacità per intuire una banalità simile. Sbuffai.

«Torna da me quando avrai scoperto qualcosa» non disse nulla, annuì a mo’ di saluto in direzione di Connor e si allontanò di fretta, lasciandomi nello sconforto più totale per l’ennesimo buco nell’acqua. Guardai il ragazzo.

«Manca tanto così alla vittoria. Qualche attacco mirato e la guerra civile terminerà, liberandoci dalla corona» parlai più con me stesso che con lui, visto che di tattiche militari e quant’altro ne sapeva veramente poco.

«Che cosa vuoi dire?» Ero ben consapevole di essere io la mente tra i due, ma le domande stupide e irritanti di Connor iniziavano a spazientirmi.

«Beh, niente, al momento. Per ora brancoliamo nel buio» allargai le braccia e mi guardai intorno, sperando di trovare un segno, uno qualsiasi, che mi suggerisse da che parte iniziare.

«Ma i Templari non avevano occhi e orecchie ovunque?» Lo guardai malissimo. Da quando se ne usciva con queste battutine?

«Oh, certo. Questo prima che arrivaste tu e il tuo sarcasmo da quattro soldi» sibilai.

«Il tuo uomo ha detto ordini dall'alto, ecco quindi cosa dobbiamo fare: trovare i comandanti inglesi»

Sbuffai, consapevole di non avere altra scelta. Ci incamminammo quindi verso il quartiere ormai sotto il totale controllo degli Inglesi, verso la Trinity Church. Dopo aver aggirato le guardie a terra optai saggiamente di proseguire arrampicandomi sulle macerie di ciò che rimaneva delle case. Era un delirio. Tutto intorno a noi era carbonizzato, eravamo circondati da scheletri di abitazioni, l’aria era pesante, intrisa di cenere, il cielo di un grigio tendente al nero nonostante fosse giorno e le giubbe rosse erano ovunque. Cercai di essere il meno rumoroso possibile mentre saltavo di cornicione in cornicione quando, finalmente, raggiunsi il punto più vicino alle guardie britanniche. Mi fermai e mi acquattai per origliare ma, come temevo, non scoprii nulla di nuovo. Non facevano altro che commentare gli spostamenti delle truppe, proponendo soluzioni riguardo i problemi che aveva causato loro l’esercito Continentale e la resistenza di New York.

«Non arrivano a niente. E non sapremo nulla, guardando da qui» sbottai irritato, quindi mi alzai, pronto ad entrare in azione.

«Allora cosa proponi? Entrare là dentro e chiedere risposte?» Connor, dietro di me, tentò di fare del sarcasmo ma, ahimè, era proprio quello che avevo intenzione di fare.

«Beh, sì» e senza lasciargli il tempo di ribattere saltai giù, atterrando due guardie e conficcando la lama celata nel collo di entrambe. Poi mi alzai, fissando gli altri che, nonostante avessero imbracciato i moschetti, mi fissavano sbigottiti. Mi spostai lateralmente di qualche passo per avere una visuale completa della situazione, notando che quel genio di mio figlio era ancora appollaiato sul cornicione.

«Connor?» lo chiamai «Mi serve aiuto qui» balzò giù sospirando come se facesse un piacere a me. Buon Dio, se non fosse stato per le giubbe rosse che mi stavano accerchiando gli avrei assestato un paio di ceffoni. Dopotutto l’idea l’aveva avuta lui.

 

Non fu complicato uccidere quell’ammasso di uomini tanto fieri delle loro divise. Non per me, almeno. Avevano uno stile di combattimento piuttosto grezzo, scoordinato e lento rispetto a ciò cui ero abituato. E sì, finimmo in breve tempo anche grazie al ragazzo, lo ammetto. Per quanto odiassi i suoi metodi magnanimi, se la cavava piuttosto bene. Era un valido alleato, dopotutto.

Legai i polsi dei tre comandanti, godendomi le espressioni terrorizzate sui loro volti bagnati. Già, perché nel frattempo aveva iniziato a piovere. Mi fissavano come fossi il diavolo in persona. Dio, facevo così paura?

«Li porteremo ai miei alloggi a Fort George per scoprire quali segreti custodiscono» dissi legando i polsi del terzo comandante, ma non feci in tempo a finire la frase che il primo sciolse i nodi e fuggì a gambe levate. Lo guardai correre goffamente mentre si voltava a guardarci, sbuffai.

«Ti pareva!» Avanzai di qualche passo, non avevo voglia di corrergli dietro sotto l’acqua per mezza città. Ci avrebbe pensato Connor «Sarà il caso che tu lo insegua» doveva pur rendersi utile, no?

«Vai tu, io penso ai prigionieri» oh, fermi tutti. Un accenno di ribellione all’autorità paterna. Questo giorno andava ricordato, per l’amor di Dio. Peccato non fosse il  momento più adatto per rivendicare i suoi diritti in quanto figlio di un Gran Maestro. E forse non lo sarebbe mai stato.

«No, vai tu» i due comandanti dovevano averci preso per deficienti, poco ma sicuro. Beh, che pretendevo? Giravo con mio figlio, era il prezzo da pagare.

«E perché?» Domandò con un tono stranamente sospettoso. Mi prudevano le mani.

«Perché lo dico io!» Insomma, ero o non ero suo padre? Un ottimo padre, aggiungerei.

Il mio tono categorico doveva averlo convinto, o molto più semplicemente non aveva voglia di discutere e preferì cucirsi addosso il ruolo di uomo maturo, ma detto sinceramente le sue motivazioni non m’importavano. Sorrisi compiaciuto nel vederlo correre all’inseguimento dell’Inglese, mi bastava che obbedisse e non mi desse problemi.

Non persi tempo, afferrai per le braccia gli altri due e li portai a Fort George, chiudendoli in uno stanzino buio e angusto per interrogarli.

 

Vidi arrivare Connor con il prigioniero dopo una buona mezz’ora, così gli andai incontro, aspettandolo all’entrata del forte.

«Un momento. Ti dirò tutto ciò che vuoi, tutto quanto, ma non farmi entrare lì dentro» arrivai appena in tempo per godermi le preghiere del disgraziato.

«Vogliamo solo interrogarti» ah, povero, stupido figliolo.

«Se entro lì dentro sono un uomo morto» però, piuttosto sveglio, il nostro amico. Decisi di entrare in scena e avanzai verso i due con passo svelto.

«Eccoti qui, Connor! Temevo ormai che ti fossi perso» spostai lo sguardo sulla giubba rossa, trattenendo a stento un sorrisino beffardo. «Vieni avanti, su!» Ma, ahimè, non vi riuscii col sarcasmo, forse troppo evidente. Senza troppi complimenti lo spinsi verso l’entrata, portandolo dentro Fort George con la forza. Lo condussi dove avevo interrogato i suoi due colleghi, seduti immobili su due sedie nascoste nella penombra.

Feci sedere il mio ospite sull’unica sedia libera, legandogli i polsi dietro la schiena mentre tremava di paura.

«Cos’hanno in mente gli Inglesi?» Domandai senza troppi giri di parole. Vidi il suo petto gonfiarsi d’aria, nel tentativo di calmare i nervi.

«Di andarsene da Filadelfia. La città è perduta, New York è la chiave. Raddoppiano le truppe per cacciare i ribelli» parlò con un fil di voce, a malapena udivo cosa stesse dicendo.

«Quando inizieranno?» Incalzai.

Indugiò qualche secondo. «A due giorni da ora.»

«Il diciotto Giugno. Devo avvisare Washington» ignorai di proposito il commento di Connor e continuai a guardare il nostro amico britannico. Allargai le braccia.

«Visto? Non è stato poi così difficile, giusto?» Deglutì. Non si fidava di me, forse?

«Vi ho… Vi ho detto tutto. Ora lasciatemi» mi implorò con lo sguardo, ma mi lasciai intenerire? Ovviamente no, che razza di domande.

«Ma certo» il tono rassicurante che avevo usato -falso, ovviamente- doveva aver funzionato, perché notai che assunse un’espressione più sollevata. Povero sciocco.

Era logica come mossa, pensai mentre gli tagliavo la gola con la lama celata.

«Gli altri due dicevano lo stesso. Sarà vero» mi aggiustai il polsino e feci rientrare la lama insanguinata, poi alzai lo sguardo verso Connor, notando con esasperazione la sua indignazione.

«Lo hai ucciso! Li hai uccisi tutti, perché?» Sbottò indignato. Sbuffai sonoramente. Chi me l'aveva fatto fare di collaborare con un tonto simile? Che fossero morti mi sembrava piuttosto evidente dato che, tutti e tre, avevano la gola tagliata.

«Avrebbero avvisato gli Inglesi» risposi. Amavo il mio cinismo.

«Potevi trattenerli fino a dopo lo scontro» ah, maledetta la sua compassione!

«Per cosa? Per sprecare tempo e soldi preziosi? E a quale scopo? Ormai avevano spiattellato tutto quanto» lo guardai, compiaciuto del fatto che non sapesse come rispondermi «ci vediamo a Valley Forge» e senza dargli tempo di ribattere, me ne andai.

 

Non aveva idea di cosa l'aspettava, avrei distrutto l'immagine che Connor aveva del misericordioso comandante Washington, non l'avrebbe più visto come un salvatore, un uomo ingenuo e buono, oh no. Gli avrei mostrato il suo vero essere, discolpando così me da accuse infondate.

Finalmente avrebbe capito che con la strage avvenuta quattordici anni prima io non c'entravo niente, Charles non c'entrava, i Templari non c'entravano. Non vedevo l'ora, ma poi perché mi interessava così tanto dimostrare la mia innocenza ad un ragazzino che, qualsiasi cosa facessi, mi riteneva un nemico? Forse per fargli capire che io ero stato l'unico ad avere veramente a cuore il suo villaggio, che non l'avevo abbandonato per diletto -poiché nemmeno sapevo che Tiio fosse incinta-, che quando lui se ne stava tranquillo nella sua capanna io ero in Europa per cercare mia sorella, Jenny, dalla quale scoprii che Reginald, il mio tutore, il mio maestro, socio e amico di mio padre, aveva fatto in modo che rimanessi orfano.

Mentre lui passava le giornate a scorrazzare nel bosco, io mi tormentavo sul perché Jenny -dopo essere stata rapita la notte in cui avevano ucciso mio padre- aveva passato la sua vita a fare la concubina di un sultano ed io, intanto, avevo sprecato più di trent'anni a cercare un assassino che avevo avuto sempre sotto il naso, che si prendeva gioco di me dicendomi che avrei avuto la mia vendetta. Ero cresciuto nella menzogna. Ero diventato un Templare per puro caso. Ero stato addestrato da un Assassino per entrare nella Confraternita, ma Reginald pensò bene di estirpare il problema alla radice, togliendo di mezzo mio padre e portandomi ai gradi più alti dell'Ordine.

Senza nemmeno accorgermene avevamo raggiunto l'accampamento a Valley Forge e, quando alzai gli occhi da terra, notai che eravamo già davanti alla tenda del caro George. Stava leggendo una lettera, finché Connor non attirò la sua attenzione. Come sperai, quel vecchio tonto lasciò incustodito il foglio sul tavolo situato all’interno per poi raggiungere mio figlio. Giunsi le mani dietro la schiena e con noncuranza entrai nella tenda fingendo di guardarmi intorno e, casualmente, gli occhi mi caddero sulla lettera di Washington.

La lessi velocemente, dopodiché la sollevai.

«E questa che cos’è?» Dissi appositamente ad alta voce. Il comandante si voltò fulmineo, era sbiancato.

«Corrispondenza privata!» Tentò di strapparmela di mano ma fui più veloce di lui -non che fosse difficile- e allontanai il foglio ingiallito.

«Ma certo. Vuoi sapere di che si tratta, Connor?» Lo guardai negli occhi sperando che capisse. Taceva e mi fissava, così continuai. «Sembra che il tuo amico abbia ordinato di attaccare il tuo villaggio. Anche se la parola attacco è riduttiva. Diteglielo, comandante.» dichiarai voltandomi verso di lui.

«Ci hanno riferito che alcuni indiani stanno collaborando con gli Inglesi, ho solo detto ai miei di fermarli» cercava di restare composto e controllato, ma ogni sua giustificazione era un’ulteriore prova che confermava le mie idee.

«Bruciando i villaggi? Spargendo sale sulla terra? Ordinando il loro sterminio? Qui c’è scritto questo» guardai istintivamente mio figlio che, come in uno stato di torpore, aveva indietreggiato di qualche passo.

«E non è la prima volta. Ditegli cos'avete fatto quattordici anni fa» tacque per un paio di secondi «È stato lui, Connor, a dare l'ordine di attaccare il villaggio»

«Era tempo fa, la Guerra dei sette anni» mi ringhiò contro ed io guardai ancora il ragazzo.

«Ora hai visto che anche il tuo grand’uomo è come tutti gli altri. Accampa scuse. Fa a scaricabarile. Davvero qualsiasi cosa, insomma, tranne che prendersi la responsabilità!» Stava per rispondermi, ma intervenne mio figlio.

«Basta! Ora non conta non è cosa ha fatto e perché. Ciò che conta è la mia gente» tentai di calmarmi e serrai i denti. Sarebbe stato dalla mia parte.

«Allora andiamo» mossi un passo verso di lui.

«No. Noi due abbiamo chiuso» rimasi di sasso, se la prendeva con me, adesso?

«Fammi capire, Connor! Hai scoperto che lui è il responsabile della morte di tua madre, ma dato che è uno dei buoni chiudi un occhio, ed io, che non ho fatto niente e sono il nemico per definizione, vengo odiato a prescindere?» Ero sbalordito e incazzato. Soprattutto incazzato.

«Tu sapevi! Non sperare di convincermi del contrario, da quanto avevi questa informazione? Il sangue di mia madre forse macchia le mani di un altro, ma Charles Lee è comunque un mostro, e agisce sotto tuo ordine» mi puntò un dito contro. Scossi la testa, ma dovevo aspettarmelo. Ero davvero convinto che mi avrebbe creduto? Suvvia, il buon George colpevole di omicidio? Chi ci crederebbe? È molto più logico incolpare l’uomo cattivo della situazione, no?

«L'ho scoperto di recente, ma d’altronde non è una novità che il caro Washington faccia la voce grossa con i deboli» lo guardai con la coda dell'occhio e il diretto interessato mi incenerì con lo sguardo, mentre Connor fissava con sdegno tutti e due.

«Smettetela entrambi! Adesso devo pensare alla mia gente e ucciderò chiunque di voi oserà seguirmi o fermarmi» risi appena.

«Suvvia, Connor, non riusciresti mai ad uccidermi» lui assottigliò gli occhi.

«Lo vedremo» e senza aggiungere altro ci diede le spalle, allontanandosi.

Nonostante fossi parecchio tentato di seguirlo, decisi di lasciarlo andare. Era accecato dall'ira e la mia presenza, mi duole ammetterlo, non l'avrebbe aiutato a calmarsi. Mi voltai fulmineo verso Washington, quella canaglia aveva ancora poco da vivere.

«State pur certo che la pagherete cara» sibilai con odio. Lui assottigliò lo sguardo.

«Da quando avete a cuore gli indigeni, Kenway? Non credevo foste tanto misericordioso» Dio, per un attimo l'ironia di Connor mi parve lievemente più acuta.

«Qui non si tratta degli indigeni! Avete fatto una strage di innocenti, di gente che in questa guerra è stata tirata da altre persone. Una delle donne che avete ucciso era dalla vostra parte, credeva nel vostro nome e sperava che l'avreste portata alla pace! E invece? Bruciata. Viva! Questo è ciò che avete fatto, comandante, avete versato altro sangue inutile» ma avrebbe pagato, poco ma sicuro. L’avrei ucciso con le mie mani con o senza la benedizione di Connor.

«È curioso sentire questi discorsi proprio da voi. Curioso e ipocrita, aggiungerei. Non siete famoso per le vostre buone azioni, non è così, Haytham?» Povero idiota.

«Evidentemente non mi conoscete abbastanza bene. Sono sempre stato contro la violenza gratuita, difatti non ho mai approvato i metodi di Braddock. Immagino ricorderete quel giorno, vero?» Avanzai di un passo, portandomi a pochi centimetri dal suo volto. Eccome se lo ricordava, si era beccato un pugno sul naso da Tiio, poteva scordarsi una scena del genere? «Solitamente non sono un tipo avventato, ma forse questa volta potrei fare un'eccezione.» lo vidi deglutire.

«Non potete uccidermi, le mie truppe vi scoverebbero subito e non avreste scampo» povero sciocco, mi credeva tanto stupido? Portai le mani dietro la schiena.

«State tranquillo, George, non è ancora giunta la vostra ora» sorrisi appena e sollevai di poco il cappello «Buona fortuna per la guerra, comandante» e detto ciò m'incamminai verso l'uscita dell'accampamento.

 

****

 

Mi allontanai da Valley Forge rapidamente. Non volevo vedere nessuno, tantomeno mio padre.

Sinceramente speravo fosse diverso da come me l’aveva descritto Achille, speravo che il pregiudizio che avevo di lui fosse sbagliato. Affatto, era come tutti gli altri.  Da quanto sapeva che era stato Washington a dare quell'ordine? Avrebbe potuto fermarlo se avesse tenuto al mio popolo come tanto diceva, invece non aveva mosso un dito, si era limitato ad assimilare l’informazione e attendere il momento migliore per sbattermi in faccia la verità, sperando che perdessi fiducia in Washington. Cercava di farmi cadere in confusione, ma se sperava che passassi dalla sua parte solo perché George aveva ucciso mia madre, beh, si sbagliava. Non potevo permettere che finisse tutto, non potevo stravolgere i piani per questo piccolo intoppo, dovevo salvare la mia gente, fermare i Templari e raggiungere la libertà.

Mi tolsi il cappuccio, passandomi una mano sui capelli. Assurdo, era tutto assurdo. Avevo giurato di uccidere l’assassino di mia madre convinto com’ero che fosse Charles –e, di conseguenza, mio padre-, invece non avevo mosso un dito. Ma potevo mandare a monte la guerra per un motivo personale? No, non ero così egoista.

Superato un tratto fitto di alberi vidi stagliarsi davanti a me la tenuta, luogo dove mi allenavo e vivevo da un paio d'anni con il mio maestro Achille, un Assassino ormai in pensione. Aprii la porta e, come al solito, la casa era silenziosa -fin troppo, a volte- e feci fatica a capire dove fosse. Lo chiamai e la sua voce, proveniente dal piano superiore, mi fece intuire che fosse a letto. Ormai era da un po' di tempo che lo vedevo stanco, le forze lo stavano lentamente abbandonando. Bussai ed entrai nella sua stanza, trovandolo sdraiato.

«Come va, Connor?» Chiese quasi a fatica.

«Bene, sono stato in città, ho scoperto un po' di cose.» risposi sedendomi su una sedia affianco a lui.

«Hai già eliminato i tuoi obiettivi? Hickey e Johnson sono morti?»

«Sì, non daranno più problemi ora, però... Achille, ho riflettuto su quello che devo fare e non sono sicuro di agire nella giusta maniera» lo guardai negli occhi, stare con mio padre mi aveva fatto riflettere. I patrioti ci avrebbero aiutati veramente? Avrebbero rispettato la mia gente? Oppure erano come gli Inglesi? E Johnson, l'uomo che avevo ucciso mentre discuteva con i saggi del mio villaggio, aveva davvero intenzione di comprare la terra per tenerla al sicuro? Ed era stato mio padre ad ordinarlo? Achille mi fissava di rimando, poi sospirò.

«Hai incontrato tuo padre, non è vero?»

«» ammisi immediatamente.

«E perché hai cambiato idea? Quando venisti qui per la prima volta dicesti di volerlo morto» deglutii, sentendo improvvisamente la gola secca.

«Lo so, Achille, ma ero convinto che avesse ordinato lui di bruciare il mio villaggio, invece ho appena scoperto che il colpevole è Washington» mi guardava in silenzio e sospirai a mia volta «Lui non mi piace, non mi fido, ma abbiamo collaborato un paio di volte e... Diavolo, pensa se ci unissimo! Pensa a cosa potremmo ottenere se lottassimo insieme. Gli Assassini non esistono più, sono da solo, un uomo può raggiungere grandi risultati, ma pensa uniti cosa potremmo fare» credevo in quello che dicevo, ma ai suoi occhi dovevo essere folle.

«Quell'uomo ti ha fatto il lavaggio del cervello, Connor»

«No, Achille. Non passerò mai dalla sua parte, non fraintendermi, ma se mettessimo per un attimo da parte la guerra personale tra Assassini e Templari potremmo vincere contro gli Inglesi. È quello che vogliono anche loro» tentai di spiegargli.

«Forse potrete collaborare per cacciare la corona, ma dopo? Tuo padre continuerà ad attuare i suoi piani e se ci riuscisse sarebbe la fine» non seppi cosa rispondere, sapevo che quel giorno sarebbe arrivato. Una volta sconfitti gli Inglesi torneremo nemici, ed io? Sarò in grado di ucciderlo? E lui? Avrebbe esitato a togliermi di mezzo?

«Cosa farai con Washington?» Cambiò discorso ed io sospirai.

«Non lo so, avrei dovuto ucciderlo, ma poi l'esercito sarebbe passato a Lee e non potevo permetterlo» Achille annuì mettendosi più comodo sul letto.

«Giusto, Connor, ma capisci che Haytham deve morire» replicò tornando su mio padre. Spostò il cuscino per alleviare il dolore alla schiena senza dare peso alla frase che aveva appena detto. Stavamo parlando di mio padre, maledizione, anche se non era esattamente un uomo da prendere come esempio, anche se era un nemico, era mio padre.

«Ma forse senza la presenza di Charles lui..»

«No» mi interruppe bruscamente. «Quell'uomo è pericoloso, non possiamo permettergli di espandere l'Ordine anche nelle Colonie. Birch non l'avrà vinta»

«Chi?» Ci capivo sempre di meno.

«Reginald Birch, il maestro di tuo padre. È stato lui a portare Haytham al ruolo di Gran Maestro dei Templari. Lui l'ha mandato qui per fare delle ricerche su un medaglione mohawk» quindi mio padre aveva incontrato mia madre per via del medaglione?

«Di che parli, Achille? Non so nulla di questa storia»

«Capirai tutto a tempo debito, ora resta concentrato. Ne parlammo all'inizio, Connor, sapevi che avresti dovuto uccidere tuo padre. Ora che l'hai conosciuto speri che possa cambiare, ma credimi, non lo farà, e tu non puoi permetterti di mandare a monte la tua missione!» Concluse senza fiato. Ero combattuto, mi alzai di scatto iniziando a camminare avanti e indietro.

«Achille, tu non capisci! Io non ho certezze. Chi mi garantisce che i Coloni rispetteranno la mia gente? Come faccio a sapere che poi saremo in pace? Finora ho incontrato solo persone intenzionate a sfruttare le terre in cui viviamo per espandere le città, non abbiamo rispetto né voce in capitolo. Mio padre è stato l'unico, che ti piaccia o no, ad avere un minimo d'interesse per quelli come me» mi voltai a guardarlo. Sapeva che avevo ragione, doveva ammetterlo.

«E quindi per questo dovrebbe essere scagionato da tutto il resto?» Mormorò con odio.

«No, ma penso che collaborando con lui ne ricaverà beneficio anche il mio villaggio» lo guardai negli occhi. Non facevo nulla di male, volevo solo mettere fine alle violenze sui più deboli.

«Quindi vuoi sfruttare la posizione influente di Haytham per salvare i tuoi simili? Fa' come credi, ma ti accorgerai che agendo da solo raggiungerai risultati migliori» non risposi ed uscii dalla stanza sospirando.

Non avevo fiducia in mio padre, o meglio, ne avevo poco e niente, ma sapere di combattere qualcosa di così grande al fianco di qualcuno mi metteva sicurezza. I suoi modi diretti e sarcastici li avrei evitati senza batter ciglio, ma era un valido spadaccino e, da quel che avevo potuto capire osservandolo, doveva cavarsela bene anche a mani nude.

 

 

 

Buonsalve a tutti.

Lo so, lo so, avevo detto che da questo capitolo mi sarei staccata dalla trama principale, ma temevo di essere andata un po’ troppo di corsa. Non volevo saltare troppe scene. Dal prossimo in poi inizierete a vedere le differenze, giuro.

Bom, mi dileguo. Grazie a tutti quelli che sono arrivati a leggere fin qui, sayounara!

   
 
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