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Autore: Il Cavaliere Nero    01/07/2014    5 recensioni
Shinichi Kudo è famosissimo: il più giovane detective, un curriculm che vanta il maggior numero di casi- rapidamente!- risolti. Per la sua consapevole abilità, e talvolta saccente professionalità, parte della polizia lo applaude e lo stima; l’altra metà, per la stessa ragione, lo ostacola nascondendosi dietro una finta esaltazione di rigorismo, che è in realtà qualunquismo.

“Tu…sei, sei stato in centrale oggi?”
“Sì. Ma sai, non mi sono fermato lì con loro, non sono soliti parlare benissimo di me."
In quella dichiarazione di consapevolezza, in lui tornò a dominare il detective orgoglioso e sicuro di sé, distaccato e persino un po’ scontroso.
"Tu...sai che..."
"Mph, credi che io viva sulle nuvole? Dicono che io sia ancora più arrogante da quando sono amico suo. Un mese fa ero un eroe, ora improvvisamente uno sbruffone. Come si spiega quest'incoerenza? Io sono sempre io. Sono sempre stato un eroe, sarò sempre uno sbruffone. Purchè scelgano. Sono lo stesso di un mese fa, non c'è nulla di diverso in me."

Ran apprezza i suoi metodi, totalmente distanti da quelli di suo padre. Ma li apprezzerà anche quando ne verrà travolta?
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Quinto – Nell’occhio del ciclone


 
 

«Non stentai a riconoscerla, anzi trasalii al primo vederla,
fu perché era tanto donna da non poter essere confusa con nessuna.»
Italo Calvino



 

No, non le importava.
Non ci pensò due volte, anzi neanche una: non pensò affatto, le venne spontaneo, come spontaneo è lo scroscio di un’ onda sullo scoglio che ne limita la forza d’urto. Ma in lei avvenne l’esatto opposto:  l’energia che quelle idee, quel pensiero, quel modo di concepire la vita –che nel modo di fare e nella condotta di Shinichi vedeva da anni riassunta-  non fu arginata da nessun ostacolo, e divampò violenta.
In un batter d’occhio fu in piedi e, senza curarsi che di lì a poco suo padre sarebbe rincasato, probabilmente al fianco di sua madre per la mensile litigata riguardo la decisione di tornare o non tornare a vivere con loro, uscì in tutta fretta dalla centrale di polizia.
Come quel pomeriggio, pioveva: non aveva cessato per un solo istante. Quasi noncurante delle gocce d’acqua che gelate le dipingevano forme senza senso sulle braccia nude e poi le si freddavano addosso come chicchi di ghiaccio, corse d’un fiato per tutto il corso Beika, raggiungendo la strada in cui dimorava lui.
Non passò neppure da casa; dalla centrale volò direttamente lì.
Trovò il cancello aperto e non si preoccupò di avvisarlo del suo arrivo; suonò direttamente alla porta principale, comprendendo che il ragazzo fosse sveglio dal momento che dalla finestra a piano terra filtrava la luce del salone.
Lui aprì la porta quasi subito, vestito solo di pantaloni del pigiama, o forse di una tuta un po’ mal ridotta, e una canottiera bianca attillata.
Non l’aspettava.
Quando la vide e realizzò che dietro la soglia del suo portone era davvero lei, strabuzzò gli occhi, sorpreso –lei lo notò subito.
“R-Ran!” si fece sfuggire, stranamente incapace di celare la sorpresa. “Che cosa ci fai qui?”
Era scalzo e profumava di doccia appena fatta. Quando aveva aperto la porta una fragranza l’aveva avvolta; e, se il momento e le condizioni fossero state differenti, Ran sarebbe stata talmente tanto affascinata ed intimidita allo stesso tempo da non riuscire a proferire parola e rimanere lì, ferma, immobile, in silenzio a fissarlo.
Ma il coraggio e la serietà delle frasi che doveva dirgli urgevano: parlò disinvolta, pur non riuscendo ad evitare di arrossire lievemente.
“Pensano che tu l’abbia fatto di proposito, Shinichi. Che tu abbia sparato addosso a quell’uomo per far saltare l’operazione!” riferì, concitatamente e con ardore.
Lui, con ancora la mano sulla maniglia della porta, la scrutò con sguardo serio; riflettè un paio di secondi con viso assolutamente neutro, bravo a nascondere qualunque fosse il pensiero che gli stava attraversando la testa. Come dopo attenta analisi, sospirò; di nuovo Ran ebbe l’impressione che dalla luce dei suoi occhi trapelasse quel vortice di pensieri velocissimi e pronti che le parole nascondevano, ma lo sguardo no.
“Entra.”  Le disse, facendosi da parte per lasciarla passare.
Non se lo fece ripetere due volte, e mise piede nella casa; non appena ebbe fatto un passo, Shinichi le richiuse velocemente la porta alle spalle.
La giovane pensò che tanta fretta fosse dovuta alla volontà di sapere di più, a capire perché; poteva immaginare la delusione di un uomo che dedica la vita al suo lavoro, che in realtà non vive come semplice mestiere e che per questa ragione crede in quello che fa, e quindi lo fa bene. Ineccepibile.
-Forse avrei dovuto prenderla alla larga…- si rimproverò, le mani strette in grembo.
Il detective si voltò di nuovo ad osservarla, stavolta con più facilità: la luce filtrata attraverso la porta non aveva totalmente sconfitto il buio della notte, e aveva potuto soltanto intuire quanto bagnata fosse la giovane. Ne ebbe la conferma e le diede le spalle:
“Vieni.” Le disse solo, facendole strada.
La condusse in salotto, o nella libreria. Come avrebbe dovuto chiamare quella sala? Nonostante il ricordo della prima volta lì dentro fosse ancora vivido, si stupì di nuovo di fronte quel mare magnum di libri, fascicoli, documenti e foto. Casa sua era come un archivio, una banca dati…eppure era quasi sicura che fosse di mera utilità pratica, al giovane. Consultare un dossier gli permetteva di risparmiare tempo, ma se non lo avesse comunque avuto a disposizione sicuramente la sua memoria non l’avrebbe abbondonato: ricordava tutto, ogni cosa, e nei dettagli.
“Siediti vicino al camino.” Notò solo allora il fuoco in fondo al salotto, non troppo alto ma abbastanza consistente da scaldare la casa. In effetti, appena entrata aveva subito percepito la differenza con l’esterno ed un piacevole tepore l’aveva riscaldata.
“Non so come si dica in termini tecnici, ma è di fatto questo quello che dicono.” Riprese il discorso da dove l’aveva interrotto, ignorando il suo consiglio perentorio.
Shinichi fece per parlare, poi richiuse la bocca senza dire nulla. Di nuovo quello sguardo dubbioso, quell’ombra di incertezza che cercava di celare dal giorno in cui l’aveva sottoposta a quell’improvvisato interrogatorio.
Quali considerazione celavano quei lampi di esitazione?
“Come lo sai?” le chiese, dopo attenta ponderazione. Evidentemente, stava scegliendo accuratamente le parole.
“Me lo hanno detto, in centrale. C’è anche l’ispettore Megure.”
I suoi occhi si dilatarono, incapaci di nascondere lo sbigottimento.
Ma tra tutte le domande che lei si aspettava, lui le porse quella che mai avrebbe immaginato:
“Sei venuta subito qui?”
“S-sì…” rispose, esitante.
“Da lì?”
Annuì ancora.
“Perché?” la incalzò.
“Per…per informarti!”
“Te l’ha detto tuo padre di avvisarmi?”
“No!” le dispiacque dover aggiungere: “Mio padre è d’accordo con l’ispettore…”
Se sperava in una solidarietà tra colleghi investigatori, sbagliava:  a Kogoro non piaceva già quando ne leggeva le imprese sui quotidiani, figurarsi nel momento in cui Megure gli aveva rivelato i suoi dubbi.
“Sono stati loro a dirti di venire? Per farmi in qualche modo…” ma lei non gli fece finire la frase:
“NO!” scandì con forza, avvicinandosi a lui “No, non è una trappola, Shinichi! Ti assicuro, ti assicuro che quello che ti dico è vero: loro pensano che tu sia coinvolto, che abbia dei legami di qualche tipo con quei rapinatori, che stai cercando di facilitarli. Cioè, non lo so cosa vogliono in realtà…ma io non sono qui perché me l’hanno chiesto. Sono qui per avvisarti di questo, in modo tale che tu possa…decidere opportunamente cosa fare. Ma nessuno, nessuno sa che io sono qui.”
“E perché?”
Immobile, austero: Shinichi non muoveva un muscolo.
“Come fai a sapere che non hanno ragione? Si tratta di tuo padre, dopotutto.”
La guardò intensamente e, per la prima volta, lei non abbassò lo sguardo e neppure arrossì: non era il momento per la pudicizia da adolescenti.
“Lo so e basta.”
“Ah, sì? E chi te lo dice?”
“Non dire sciocchezze…”
“Magari ora mi hai dato modo di organizzarmi ancora meglio con i miei complici, e hai rovinato l’indagine di tuo padre.”
“Impossibile. So da che parte stai.”
“Non da quella di Kogoro, ovviamente.” Lo chiamò per nome per enfatizzare ancora di più il concetto: per tutto quell’intenso scambio di battute, i due si erano guardati negli occhi senza mai interrompere il contatto visivo. E nel parlare, nessuno aveva esitato.
Il botta e risposta proseguì:
“Tu sei dalla parte della verità. Le appendici non contano.”
Non le rispose.
Le persone comuni- normali!- avrebbero reagito in mille modi, del tutto comprensibili: arrabbiandosi, dispiacendosi, persino diffidando…non si sarebbe meravigliata se Shinichi l’avesse cacciata, credendola una trappola ordita per metterlo sotto pressione e fargli sbagliare le mosse.
Ma lui non fece nulla di tutto ciò: Shinichi si morse un labbro, evidentemente volendo impedire ad un sorriso dei suoi di farsi largo sulla bocca chiusa.
“Mhm…” disse solo, portando le mani ai fianchi.
“Hai fatto male a venire qui.” Le disse quando il pericolo di riderle in faccia fu evitato.
“Perché? Io…io non volevo metterti ulteriormente nei guai!” si scusò subito, allarmata. Ecco perché sorrideva, perché lei era un’incapace, stupida ragazzina che della vita non sapeva niente!
“Vado via subito, volevo solo tu lo sapessi!” e senza neppure aspettare la sua risposta gli diede le spalle, sfrecciando in direzione dell’uscita.
Kudo le bloccò un polso, facendola voltare ed ergendosi di fronte a lei con sorriso…spavaldo.
“Io non sono in nessun guaio.” Le disse, spostando gli occhi sulla mano che le tratteneva il braccio.
Quindi strinse la presa, aggiungendo: “Ma tu sì. Se io fossi davvero colluso con quelli, tu saresti una testimone scomoda, per di più collegamento prezioso con Mouri e con la polizia.”
Con occhi vivaci la fissò mentre accompagnava le parole ad eloquenti movimenti del corpo; attirandola a sé, concluse il ragionamento:
“…e saresti nelle mie mani, ora.”
Lei non rispose, dandogli ad intendere che non contemplava assolutamente la possibilità che fosse amico di quei criminali. Ma lui  non parve soddisfatto. Con una rapidità che la spiazzò tanto da impedirle di reagire, le afferrò anche l’altro polso ma anziché avvicinarla a lui la tirò indietro, costringendola a camminare spingendole le gambe con le cosce.
La ragazza si ritrovò con le spalle poggiate alla libreria, incastrata tra gli scaffali ed il suo corpo, le braccia bloccate lungo ai fianchi dalla salda presa di lui.
Non la toccava con il corpo; ma, di proposito, le era talmente vicino che Ran poteva percepire chiaramente l’aria spostata dal movimento del torace di lui, che si alzava ed abbassava mentre respirava.
Non si toccavano in alcun modo, ma erano vicinissimi: e questo era peggio che esser a contatto.
Come quando sai che sta per succedere qualcosa, lo percepisci distintamente e sei consapevole sia questione di secondi: ma questo qualcosa non succede, e i secondi scorrono, e tu stai lì, impotente, inerme, e aspetti qualcosa che non capita, ma sai debba capitare. Una corda di violino tirata sempre di più, che non si spezza ma è praticamente già spezzata.
“Come puoi esserne sicura?” la incalzò “Come puoi sapere con certezza che non abbiano ragione? Che io sia davvero così per bene?”
Troneggiò su di lei, inserendole una gamba tra le ginocchia, facendo sì che i pantaloni della tuta andassero a toccare l’interno coscia nudo, sotto la gonna scolastica bagnata dalla pioggia.
“E se anche non fossi d’accordo con quei ceffi, come puoi presentarti qui, a quest’ora della sera, senza avvisare nessuno che sei qui, da me, sapendo di non rischiare? Come puoi sapere che non cercherò di trarre vantaggio dalla tua presenza?”
Spinse un po’ la gamba sulla sua, come per farle capire a cosa fosse andata incontro con cuore ingenuo.
“Alcuni lo dicono, sai? Che sono libidinoso, e gaudente. Che sono…”
“…che sei un ragazzino arrogante, che si bea del suo successo e si fa grande della sua fama. Sbagliano.” Ripose lei, subito.
“Ah, sì? E allora la donna dell’altro giorno?”
“Se…se c’è stato qualcosa tra voi…” quella possibilità effettivamente non poteva escluderla, e la feriva. Ma la conclusione non era immorale, tutt’altro: “…anche lei lo deve aver voluto. Non credo faresti qualcosa ad una ragazza che non vuole. Lo so.”
E non era una minaccia. Chiaramente, Ran non aveva paura; Shinichi stava cercando di spaventarla, innestarle il dubbio di aver commesso un grosso errore, ma non c’era riuscito neppure per un secondo.
Lei si fidava di lui, completamente; e solo allora Shinichi lo capì. Aveva, sin da quel giorno in palestra –sì, l’aveva vista, con la coda dell’occhio, sobbalzare alla sua vista e nascondersi sotto gli spalti per l’emozione!- capito subito che la giovane figlia di Mouri aveva un debole per lui: arrossiva quando parlava, non lo fissava negli occhi, fingeva di non guardarlo se non erano vicini e quando lui si voltava lei subito lo scrutava attentamente in volto. Dapprima non era stato troppo colpito: di fan ne aveva tante, una in più o in meno non avrebbe fatto differenza. Poi però aveva notato un atteggiamento diverso dalle solite ammiratrici che chiedono autografi, cinguettano, gioiscono della sua presenza: lei era forte, non lo assecondava se non era d’accordo con lui; non cercava a tutti i costi di apparirgli come credeva a lui potesse piacere, era lei soltanto: lo aveva intuito quando gli aveva chiesto, senza giri di parole, se il suo fosse un interrogatorio a sue spese; e lo aveva definitivamente capito nel momento in cui gli aveva negato il numero di telefono.
Da quel giorno, era rimasto colpito, in qualche modo, da lei: usarla per avere informazioni sui luoghi frequentati da Kogoro non era stata una conseguenza della sua influenza su di lei, ma un favore professionale chiesto con sincerità e disinteresse.
Pensava che gli avrebbe mandato un sms, invece gli aveva telefonato: si era assicurata che la situazione fosse tanto grave da richiedere quell’incontro fuori formalità per dirgli dove si trovasse il padre, e sebbene fosse palesemente in imbarazzo a trovarsi da sola a casa sua, aveva subito accettato di andare per sapere della questione.
E di fronte a tanta forza, non aveva saputo mentirle; aveva di certo omesso qualcosa –più di una cosa soltanto- ma quel che le aveva detto era vero. Nessuna bugia, nessun mezzuccio per ottenere l’informazione che voleva.
E anche allora: nessuna mossa studiata per cercare di colpirlo, nessuna battuta, nessun’allusione. Incuriosito da quel comportamento tanto compito per appartenere a una fan, non aveva resistito e si era lanciato in quel malizioso discorso approfittando della presenza di Hidemi, chiaramente a lei sgradita: ma niente, da parte di Ran neppure un piccolo segno di cedimento.
Immediatamente la curiosità si era tramutata in una sorta di strano rispetto nei confronti di una diciassettenne tanto forte; e non solo di spirito, ma anche di corpo. Se non avesse fatto attenzione, quel giorno al parco l’avrebbe atterrato: a lui, che combatteva contro i peggiori delinquenti ogni giorno!
E quando se l’era ritrovata alla porta, fradicia, concitata, a spiattellargli a macchinetta i piani segreti della polizia, per un istante aveva temuto che quel carattere tanto lodevole fosse stato deciso a tavolino per imbrogliarlo. Certo, quel giorno al bar le era parsa sincera: l’aveva scrutata con attenzione per tutto il tempo, ed era sicuro che davvero non sapesse nulla di Ikari, e che era certa suo padre non avesse legame alcuno con lui ed i suoi traffici- che anzi, sicuramente ignorava. Ma come poteva escludere che, a sua insaputa, Kogoro fosse dalla parte del capoquestore, e che insieme a Megure stesso, o senza, o con chissà chi altri, progettavano di usare Ran come capro espiatorio per metterlo in difficoltà e fargli compiere azioni affrettate, perciò rovinose? Ma ci aveva impiegato davvero poco tempo per capire che no, non era stato suo padre a dirle di venire. Non glielo aveva ordinato nessuno, l’aveva deciso da sola,  e gli stava dicendo la verità.
Quella sera, in quel momento, Ran gli stava dimostrando qualcosa di più: per un motivo che lui non riusciva veramente ad afferrare, si fidava ciecamente di lui.
Non lo avrebbe ostacolato.
“Non ti fidi di me, vero, Shinichi?”
Avrebbe potuto dirgli mille cose: dal “Levati, idiota, lasciami andare!” al “Sei un pazzo narcisista! Chi ti credi di essere?”, senza contare che avrebbe semplicemente potuto liberarsi con una mossa di karate.
Eppure, la cosa che trovò più urgente ed impellente in quel momento fu chiedergli se si fidasse di lei.
Questo, fu l’ultimo motivo che gli tolse ogni dubbio sul suo conto: quei lampi di esitazione che gli attraversavano rapidamente gli occhi prima di essere ricacciati in profondità, e che riguardavano i suoi dubbi sulla sincerità di Ran, crollarono.
Non nutrì più il minimo dubbio.
Erano ancora rimasti in quella posizione, e lei non si era allontanata al suo appressarsi: non si appoggiava agli scaffali, cercando riparo nella libreria. Lo guardava con genuinità e un pizzico di tristezza.
Le sorrise.
Per la prima volta, non fu il sorriso spaccone, o spavaldo, o saccente, o derisorio: o uno di quei mille sorrisi che comunque rispecchiavano il suo lato snob e sbruffone.
Le sorrise come sorrideva Shinichi, e non il detective Kudo.
“Mi fido.” Le disse semplicemente, e non potè ignorare gli occhi di lei illuminarsi.
Sospirò, come se si fosse cimentato in una grande rivelazione; in realtà, le mille elucubrazioni elaborate nel giro di pochi minuti –E’ qui per me, E’ qui perché gliel’ha detto suo padre, Sta mentendo, Ha sempre mentito, e poi la linea ascensiva: E’ qui per me, E’ sincera, E’ con me-  lo avevano turbato, affaticato.
Ran ricambiò il sorriso, poi avvampò, abbassando il volto; come se avesse realizzato solo allora, una volta scampato il pericolo, la situazione in cui davvero si trovava.
Lui le piaceva, e lui lo sapeva.
E in altre circostanze, quella consapevolezza, unita alle particolari occasioni della serata che stavano vivendo, avrebbe portato ad una conclusione soltanto.
Spostò l’attenzione sulle sue labbra, serrate pur in un sorriso contento dopo la risposta che le aveva dato.
Quindi si soffermò sul suo corpo; la giacca aperta e sbottonata per la corsa, la camicia oramai del tutto trasparente perché bagnata dalla pioggia a sottolineare i contorni del reggiseno, l’ombelico visibile.
Proprio mentre lui abbassava lo sguardo lei lo alzava, perciò si accorse subito di cosa Shinichi stesse scrutando, come la stesse scrutando. Ed erano ancora vicinissimi.
Le mancò il fiato, ma non fece nulla; immobile, cullata dagli eventi, rimase ad aspettare che lui terminasse di spogliarla con gli occhi, e sussultò quando le mani, dalla presa sui polsi, passarono a circondarle la vita.
Shinichi risollevò il volto, per incontrare lo sguardo speranzoso di lei; di nuovo, le sorrise sincero.
“Mettiti…mettiti vicino al camino.” Le disse per la seconda volta, allontanandosi da lei ed interrompendo ogni contatto fisico.
“C-come?” gli occhi ridotti a due puntini, Ran rimase un po’ delusa dall’esito di quel discorso; credeva che lui avrebbe…
“Cosa vuoi?” le chiese poi.
-Oh, è un modo per dirmi che posso anche togliere il disturbo…- comprese e, un po’ avvilita, si scansò dalla libreria. Ma Shinichi proseguì:
“Caffè? O thè? Forse ho della cioccolata solubile…”
“Eh?”
“Per scaldarti un po’, no? Mica vorrai riandare via così bagnata, e poi fuori sta ancora piovendo. Aspetta che smetta.”
 
 
Sulla poltrona vicino al camino, la ragazza si strinse un po’ nella coperta che Shinichi le aveva offerto prima di sparire oltre la porta del salone con la frase: “Aspettami, torno subito.”
Si guardò intorno, un po’ frastornata: aveva vissuto cinque minuti di piena adrenalina, e se ne stava rendendo conto solo a cose fatte.
Ripensò alla gamba di Shinichi tra le sue, al suo sguardo famelico sul suo corpo…alla frase: “Mi fido” pronunciata così sinceramente.
“Niente cioccolata, mi ero sbagliato. Ho trovato queste, però.” Il ragazzo irruppe nella sala rubandola ai suoi pensieri, che però la fecero sentire colpevole e quindi, la fecero anche divenire paonazza all’istante.
“Oh, grazie, non do-dovevi!” replicò, mentre lui poggiava sul tavolinetto di fronte il camino un vassoio con una teiera di acqua bollente e varie bustine di thè dalle fragranze diverse.
“Non sono bravo in questo genere di cose, perciò serviti pure da sola.” Le lanciò un mezzo sorriso imbarazzato – per la prima volta a disagio!- andandosi a sedere nel divano di fronte, ma lontano, da lei.
Ben lontano.
“Grazie.” ripetè lei, contemplando i vari gusti. Ma ancora pensando ai sospetti della polizia.
“A voi ragazze di solito piace quello alla curcuma e menta, vero? Mia madre voleva sempre quello…questa robaccia sono rimasugli suoi.”
“Viveva con te, vero? Ora, se non sbaglio, è a Los Angeles.”
“Esatto. Ogni tanto torna, però.” E lo disse con uno sbuffo, come se la cosa lo infastidisse anziché renderlo felice.
Calò il silenzio mentre lei sorseggiava la bevanda calda e lui, stranamente, distoglieva lo sguardo.
Ran non lo sapeva, ma lui si stava trattenendo: non meritava il comportamento riservato alle comuni fan, non con quella forza d’animo e quella fiducia smisurata che riponeva nei suoi confronti. Shinichi avrebbe fatto in modo di meritarsela, visto che la giovane gliel’aveva concessa a  scatola chiusa.
“Shinichi…” lo chiamò lei, dopo un po’.
“A proposito di quello che ti ho detto…come pensi di fare? Cioè, non voglio sapere i tuoi progetti.” Si affrettò subito “…ma, beh, ecco…ti…ti posso consigliare di fare attenzione?”
Lo guardò preoccupato, pensando di ritrovare rispecchiata la sua ansia negli occhi di lui. E invece niente: Kudo appariva sereno.
Ed il sorriso eloquente che le rivolse, dopo quella raccomandazione, la folgorò. Che lui…?
“Tu…sei, sei stato in centrale oggi, per caso? Eri lì quando Furuya …Tu sai che Furuya…”
“Sì, lo so. Ma sai, non mi sono fermato lì con loro, non sono soliti parlare benissimo di me."
Sapeva tutto. E in quella dichiarazione di consapevolezza, in lui tornò a dominare il detective orgoglioso e sicuro di sé, distaccato e scontroso.
"Tu...sai che..."
"Mph, credi che io  viva sulle nuvole? Dicono che io sia ancora più arrogante da quando sono amico suo. Un mese fa ero un eroe, ora improvvisamente uno sbruffone. Come si spiega quest'incoerenza? Io sono sempre io. Sono sempre stato un eroe, sarò sempre uno sbruffone. Purchè scelgano. Sono lo stesso di un mese fa, non c'è nulla di diverso in me." Scattò in piedi, avvicinandosi all’enorme finestra che dava sul cortile buio.
“Amico di chi?” gli chiese, trascinata dal discorso.
“Del rapinatore?” le suggerì lui, poggiandosi con le spalle al vetro.
“Non dire idiozie!” lo rimproverò, e lui rise:
“Sono lusingato da tanta fiducia.” Le rivelò, e non c’era alcuna piaggeria nella frase.  La stava implicitamente ringraziando, guardandola con gratitudine.
“P-prego, te la meriti!” abbassò gli occhi, imbarazzata da quello slancio di intimità.
“Ma…di che amico parli?” insistette, poggiando sul tavolino la tazza vuota.
“Quel telefono era segreto, Ran.”
“Quale?”
“Quel cellulare che la polizia ha usato per risalire ai tabulati e così arrivare al casale e ai tizi di oggi.”
“Che significa segreto?”
“Significa che la ragazza uccisa lo teneva di nascosto.”
“Ma se la polizia gliel’ha trovato addosso…”
“Non di nascosto alla polizia.”
“E allora di nascosto da chi?”
Il telefonino di Ran li interruppe, facendoli anzi sussultare.
-Sonoko? Cosa vuole, proprio adesso?!- imprecò, scorgendo il suo nome sul display.
“Scusami io devo…devo rispondere, ma ci metto cinque secondi!”
“Prego.” La rassicurò, tornando a sedersi sul divano.
“Ma dove sei, Ran?! Tuo padre mi ha telefonato, sconvolto, dicendomi che è tornato a casa e non ti ha trovato. Gli ho detto che sei a casa mia e che avevamo deciso di dormire insieme per un pigiama party, ma ha detto che domani mattina ti verrà a prendere lui, qui.” L’aggredì al telefono l’amica non appena ebbe digitato il tasto di chiamata, mettendola subito sull’attenti.
“Oh, meno male, Sonoko! Grazie, mi hai tolto dai guai.”
“Ma tu dove sei?”
Compreso l’interlocutore dell’altro capo della linea telefonica, Shinichi non esitò ad esclamare con fare ironico:
“Te l’avevo detto che a venire qui tutta sola ti saresti cacciata nei guai…”
E mentre le ridacchiava, attraverso  il cellulare Sonoko balzò:
“Di chi era questa voce, Ran? Oh mi dio, sei con Kudo?? Che state facendo?”
“Niente!!” replicò tutta paonazza, coprendo con la mano libera il microfono del telefono, nel tentativo di nascondere a Shinichi quelle insinuazioni.
“E perché sei con lui a quest’ora della notte??”
“Guarda che sono sole le undici e mezza.”
“E’ mezzanotte meno dieci.”
“E’ uguale.”
“Ti ho disturbato sul più bello, per caso?”
“No, Sonoko, dacci un taglio!”
Il detective portò le ginocchia al petto, poggiando i piedi sopra il divano. Quindi, ridacchiando, prese a giocare un pallina di carta stropicciata, tirandola da una mano all’altra.
“Ti credo, proprio. Comunque temo che dovrò interrompervi, perché devi venire qui! Mia sorella può venirti a prendere senza  che papà lo sappia, ma non può aspettare che voi abbiate finito…”
“Ma finito cosa?!” la rimbeccò, sempre più rossa in volto.
“Non dirmi che è stato così fesso da darti buca! Ma non ha visto che gambe snelle che hai? Passamelo! Ci parlo io!”
Un gocciolone si formò sulla testa di Ran: -Non cambierà mai…-
Spostò lo sguardo su Shinichi, il quale, ancora intento a giocare, le sorrideva, gentile.
Ricambiò il sorriso e smise di ascoltare gli sproloqui di Sonoko.
“…mi hai capito, Ran?! Dammi l’indirizzo, mia sorella arriverà tra un quarto d’ora.”
“Oh, beh…” forse tutta quella pubblicità Shinichi non l’avrebbe gradita.
“Che c’è?” capì al volo quando lei si girò a guardarlo preoccupata.
“Devo andare da Sonoko per far credere a mio padre che ho trascorso la notte a casa sua…”
“Che bambina bugiarda…” le disse, un’espressione maliziosa sul volto.
“Devo sentirvi tubare per forza?” riecheggiò la voce della biondina dal cellulare, e stavolta fu evidente che anche Shinichi sentì.
Avvampò, mentre lui ridacchiava:
“Dove abiti, ereditiera?” le domandò oltre la cornetta “Ti accompagno io.” Si rivolse poi a Ran.
“Mia sorella è già in strada.” Rispose Sonoko “ Se puoi dirci dove abiti, grande detective, la passa a prendere.”
Ran sospirò, afflitta, mentre Shinichi e Sonoko parlavano tra loro come fosse la cosa più normale del mondo: -Sto facendo la figura della ragazzina…-
“Dille che si sbrighi, così approfittate del momento. Ha smesso di piovere per ora.” Fu la formula di congedo del detective, seguita da Ran:
“Grazie di cuore, Sonoko. A tra poco.”
Chiusa la telefonata si accorse che il moretto stava indossando una giacca blu.
“Che fai?” gli domandò.
“Dai, preparati! Ti accompagno fuori. Aspettiamola insieme, questa seconda Suzuki.”
“Non ce n’è bisogno, anzi, mi scuso per il disturbo che…”
“Disturbo? Mi scuso io per il disturbo.” Le ricordò, fissandola ancora con quell’espressione di gratitudine che, poco prima, l’aveva imbarazzata.
“Ma…non è il caso che esca anche tu.” Gli sorrise “Sta arrivando un temporale.”  Aggiunse poi.
Lui, sornione, le rispose: “Ho ancora qualche minuto!” prendendola in giro, e ammiccandole.
Lei rise: era la risposta che gli aveva dato lei, il giorno del loro primo incontro.
 
Annuì, le guance ancora un po’ accaldate che però erano ben celate dalle gocce di pioggia che le avrebbero comunque arrossato in volte per la reazione tra colore del corpo e freddo dell’ambiente circostante.
“Sta arrivando un temporale.” La ammonì e lei temette che fosse una maniera gentile per congedarla:
“Ho ancora qualche minuto!” si affrettò a rispondere, muovendo un passo in avanti. L’istante dopo credette di apparirgli irruenta, quindi fece un passo indietro. Non seppe più come comportarsi e fissò gli occhi sulle sue scarpe.

 
 
-Che memoria di ferro…- pensò, lieta che ricordasse un dettaglio di così poco conto, che però per lei valeva molto.
Uscirono di casa, ed Ayako era già lì, in macchina oltre il cancello.
“Questi ricconi hanno gli shuttle, altro che automobili.” Commentò Shinichi, gli occhi ridotti a due fessure.
“Beh allora…grazie ancora e…” fece per congedarsi, ma lui la afferrò per un braccio.
“Corri!”
“Ehy!!” rise lei, lasciandosi trascinare.
Mentre la raggiungevano, il giovane le poggiò sulle spalle la sua giacca.
“Ma no, non ti preoccu…”
“Me la ridarai domani. Ok?” la zittì. E lei colse la palla al balzo:
“Vieni  tu? Mio padre domani pomeriggio va alle corse dei cavalli.”
Si morse la lingua quando quella frase le suonò simile a quella che una giovane donna pronuncia al suo amante clandestino. Anche Shinichi percepì l’ambiguità della situazione ,perché rise.
Ma rispose semplicemente: “Va bene.”
Non addusse ulteriori pretesti che giustificassero la sua visita all’agenzia investigativa, se non incontrare lei.
Le guance s’imporporarono, mentre lui le apriva la portiera:
“Buonasera, signorina Suzuki.” Capì subito che la mora era diversa dalla sorella, se non altro nella forma.
“Buonasera a lei.” Replicò, sorridente.
“Le consegno la bimba qui.” La sfottè, ma nel suo tono di voce Ran potè scorgere una nota affettuosa.
“Mi raccomando, Ran-chan, appena arrivi a casa ti lavi i denti, ti metti il pigiamino, e poi subito a letto!”
Ayako rise, mentre la ragazza lo guardava con aria di sfida:
“Dici lo stesso anche alle tue amiche attrici?” gli rinfacciò, tirando fuori quel fatto che in realtà mai aveva digerito.
“Non ho amiche attrici. Ho una…informatrice attrice, che si chiama Hidem. Viene a darmi delle indicazioni di natura professionale, professionalmente parliamo, e professionalmente se ne va.”
“Sì sì…”
Il discorso parve lì finito, e Shinichi salutò la Suzuki ad alta voce. Ma mentre richiudeva lo sportello, sussurrò all’orecchio di Ran:
“Non essere gelosa, tu sei stata l’unica donna che ho sbattuto contro la libreria di papà…”
Non attese risposta, lanciandole uno sguardo malizioso che la fece avvampare.
Come se questo non bastasse, mentre dava loro le spalle –nude, perché di nuovo in canottiera- per tornare a casa, Ayako squittì:
“Sonoko mi aveva detto che eri a casa di un ragazzo per cui hai un debole…ma, Ran, wow! Quando si cominciano a frequentare i ragazzi, al liceo, non sono mai così belli! Che pettorali ha questo? E guarda che sede…” fece per aggiungere, guardandolo camminare in lontananza.
Dopotutto, era la sorella di Sonoko Suzuki.
“E’ un mio amico, Ayako.” La interruppe, oramai violacea in faccia.
“Un amico affascinante e di classe, complimenti!”
Shinichi osservò dalla finestra a piano terra le due chiacchierare in macchina per ancora qualche minuto, prima che la donna rimettesse in moto e partisse.
Sospirò, sparecchiando il tavolino; dal vassoio prese la bustina vuota.
Ran aveva scelto curcuma e menta.
 
 
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Eccomi qui di nuovo ^^ 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, qui c'è una bella scena ShinxRan; inoltre, iniziamo finalmente a capire anche cosa pensa Shinichi -ve l'aspettavate che l'avesse vista, in palestra, nascondersi sotto il gradone?
Grazie di nuovo a tutti coloro che hanno lasciato una recensione, per me è un piacere ed un onore allo stesso tempo.
Un grande, grandissimo bacio,
Cavy
   
 
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