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Autore: Unicorno Alato    02/07/2014    1 recensioni
Londra 1960
Lei, Figlia del re d'Inghilterra.
Lui, il solito bar-man.
Oppure no?
Isabella Beth Clark ha molti problemi nella vita. I genitori che non la comprendono, una società stringata e inflessibile. Cosa succederà quando conoscerà la trasgressione in persona?
Nessuno l'aveva fatta sentire così bene prima di allora.
C'è un piccolo problema però: Innamorarsi non rientrava certo nei piani...
Tratto dalla storia:
-Scusi Mr Bieber. Devo andare. Spero di incontrarvi di nuovo un giorno.- dissi mentre mi toglievo la maschera che avevo indossato per tutta la sera. La posi sul balcone e la lasciai lì. Se avesse voluto ritrovarmi l’avrebbe fatto grazie a quella.
-Se fossi in lei non cercherei di incontrarmi di nuovo.- Mi guardò torvo, e poi guardò la maschera. La prese in mano e la girò tra le dita. -Non sono il tipo per lei.- disse duro, con la voce spezzata e la mascella contratta, mentre la sua mano si stringeva sulla mia maschera. Non mi importava, era l’unico che poteva salvarmi da me stessa e l’avevo capito quella sera.
-E chi ha detto che lo deve essere?-
I fatti e i personaggi narrati sono puramente casuali
Genere: Fluff, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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 ‘The mysterious waiter’
 
<<Questo no >> buttai un altro vestito sul letto mentre Katrin rideva sommessamente stesa a pancia sotto sul mio letto e mentre giocherellava con il cuscino di piume d’oca. <<Faresti prima a dire quelli che ti piacciono Bells, così non andiamo da nessuna parte.>> sorrise Katrin mentre incrociava le gambe e si metteva il cuscino in grembo. <<Lo so.. ma, non so cosa mettermi, è la prima volta che Chris mi fa scegliere come vestirmi.. vorrei mettere dei jeans e una blusa.. >> tirai fuori dall’armadio dei jeans abbastanza stretti e una camicia bianca da mettere dentro, poi mi sbizzarrii tirando fuori un cardigan nero e delle scarpe con il tacco anch’esse nere.  Non volevo essere perfetta, volevo semplicemente essere me stessa. Dovevo essere una visione molto divertente perché Katrin si mise a ridere guardando gli abiti stesi sul letto mentre io trafficavo per trovare le calze chiare. <<Sai che tuo padre non te lo farà mai mettere vero?>> chiese guardando, di nuovo, i vestiti messi sul letto e sorridendo. Io mi spensi all’improvviso, e allora perché mi aveva dato la possibilità di scegliere? Il mio sorriso svanì quando capii il suo intento. Mi aveva dato dei compiti per tenermi impegnata e poi mi avrebbe detto che non andava bene –come sempre del resto- e mi avrebbe mandato a cambiarmi. Mi stava ingannando, mio padre. Mi stava usando per i suoi luridi scopi.<<Perché diavolo non me lo hai detto Katrin?- urlai prima di accasciarmi al suolo. Ero esausta- Sono stanca! Stanca di voi che mi comandate a bacchetta, non sono il vostro burattino!- urlai di nuovo sdraiandomi per terra e guardando il soffitto con occhi spenti. Se mio padre si aspettava la perfetta ragazza di classe non l’avrebbe avuta, non quella sera- Per la miseria Katrin ho una vita anche io!>> mi dimenai sbattendo i piedi a terra e calciando ogni cosa che trovavo a portata di mano-o di piede- urlando e imprecando verso il cielo. Katrin sapeva che cosa fare in questi momenti. Doveva lasciarmi sfogare e ascoltarmi quando mi ero calmata e per quello lei, era davvero la migliore. <<Cavolo non mi potete trattare sempre come una ragazzina. Ho diciotto anni. Diciotto. E per la legge io posso fare quello che voglio, soprattutto vestirmi come mi pare e piace.- ripresi fiato alzandomi da terra e correndo verso l’armadio- dovrei bruciare tutti i vestiti che mi fanno pena che ho in quest’armadio, perché sono i miei vestiti e questo è il mio armadio.>> cominciai a buttare a terra tutti i vestiti rosa e pomposi che avevo nell’armadio. Rosa? Via. Da principessa? Via. Volevo solamente essere me stessa. Dopo pochi minuti nell’armadio c’erano solo jeans, qualche vestito e delle maglie, camicie e cardigan. Indicai l’armadio con l’indice mentre asciugavo le lacrime di rabbia scese mentre buttavo – e calpestavo- gli abiti. <<E sai una cosa? Non voglio neanche quella roba. - dissi indicando la scrivania- voglio buttare via anche quella.>> mi trascinai con tutte le mie forze verso la scrivania e con un braccio feci cadere a terra tutti gli oggetti presenti. Lì sopra dovevano esserci solo e soltanto delle matite e dei fogli da disegno. <<Io non voglio niente di tutto questo. Io voglio una vita normale Katrin. Voglio poter decidere da sola cosa mettermi o come truccarmi o cosa fare nella vita.>> mi accasciai a terra con la testa tra le mani. Piangendo silenziosamente.
 

Stupidissima festa, stupidissima festa stupidissima festa, stupidissima festa, stupidissima fe-‘ qualcuno, non so chi, osò interrompere il flusso dei miei pensieri che erano già alterati da quando ero andata a parlare con mio padre. Mi aveva detto che in quell’occasione dovevo essere perfetta, senza un capello fuori posto. Così avevo deciso di rendergli la vita difficile, facendo di tutto per non andare a fare la doccia, non mettermi il vestito, non farmi truccare. E in un certo senso c’ero riuscita -facendo arrabbiare Katrin – ma nell’altro non avevo ricavato un bel niente perché ‘papino’ aveva dichiarato che Katrin non sarebbe venuta con me quella sera e che doveva restare a casa. Guardai Chase –amico di mia madre non lo incontrai mai in tutta la mia vita e in quel momento spuntò fuori come un fungo- un ragazzo alto, bello, capelli castani, quasi neri,  degli occhi che facevano invidia. Celesti. Degli occhi celesti che facevano invidia al mare e al cielo. Le labbra fini contornavano la figura rendendola più mascolina e un accenno di barba lo rendeva ancora più ‘maturo’ –anche perché maturo non era-. Lo avevo incontrato davanti alla mia dimora appoggiato elegantemente alla sua limousine nera mentre si aggiustava i polsini della camicia bianca nascosta dalla giacca in pelle nera. Scelta azzardata. A mio padre non piaceva molto Chase. Ma doveva sopportarlo perché quel giorno io ero la sua dama –ma neanche morta-. Appena arrivata alla macchina -non so con quale forza le mie gambe si misero a camminare- mi ha stretto la mano e mi ha rivolto un sorriso caloroso. A primo impatto era un bel ragazzo, molto intelligente, fino a quando non mi ha rovesciato un drink sulla treccia.. da lì in poi è stato il mio peggior nemico. Sembrava ubriaco continuava a bere una sostanza verde e a sorridere e ridere come un ragazzino di dieci anni. Cercavo di stargli lontana, visto che aveva versato il suo drink sulla mia preziosissima treccia –che nessuno si azzardava a toccare- ma lui continuava a ridere vicino alla mia faccia. Sembrava veramente sbronzo. <<Cosa vuoi adesso?>> chiesi nervosa distraendomi soltanto per un istante dal contare le gocce di pioggia sul finestrino oscurato.
<<Ti volevo dire che sei davvero carina con questo vestito. –sorrise guardandomi dall’alto al basso mentre io giravo lentamente la testa verso di lui fulminandolo con lo sguardo- lo hai scelto tu?>> mi stava prendendo in giro? Non potevo neanche scegliere cosa mangiare a colazione. Il vestito era il più brutto che avessi mai indossato. Era di un materiale rustico che non rispettava né la mia pelle, né i miei lineamenti. Mi avevano fatto indossare una panciera, e poi mi avevano ricoperta con questo pomposo e vaporoso vestito rosa acceso. Sembravo un cartello stradale, ci mancava soltanto la freccia che diceva di svoltare ed era perfetto. <<No, lo ha scelto mio padre. Io volevo venire in pantaloni, ma a lui non piacevano..>> mi sfogai un po’ alzando il tono di voce mentre lui sorrideva e annuiva. Mi stava prendendo in giro di nuovo. Lasciai perdere. Parlare con lui era come parlare ad un muro. Ricominciai a contare le goccioline sul finestrino. 1 <<Manca poco tempo. >> disse l’autista rivolto a Chase. 2 <<Come ha fatto tuo padre ad affidarti a me?>> chiese Chase avvicinandosi al mio sedile mentre contava anche lui le gocce. 3 <<A lui non interessa chi è il mio accompagnatore, basta che io sia al ballo. Per fare la brava figliola. Ma non stanotte. Non oggi. >> continuai. 4 e 5.
<<Oh, oh vuoi fare la bambina cattiva?>> sorrisi con Chase mentre rideva a crepapelle. Dovetti constatare che però a fare conversazione era molto bravo. <<Mi sono stancata di stare sempre alle regole- 6 e 7- non mi apprezzano mai, non sono mai abbastanza scaltra, mai abbastanza intelligente, mai abbastanza bella per loro.>>  8 e 9. sperai che la casa che dovevamo raggiungere schiantasse in aria con tutte le persone dentro. Non mi importava, volevo solo vivere la mia vita come una ragazza normale. <<Sai cosa? Anche io mi sono stancato -10 e 11- vogliamo rovinare la serata al principino?>> Chase mi istigò con la sua richiesta, io sorrisi pensandoci. 12 e 13, 14 e 15. <<Si. Ci sto.>> tesi la mano per stringere un patto, mi girai dando le spalle al finestrino e gli strinsi la mano sorridendo. Lui ricambiò il sorriso mentre io mi giravo ancora sul sedile e ritornavo alle mie gocce. <<Ecco.. ora ho perso il conto..>> sbottai arrabbiata incrociando le braccia al petto e sporgendo il labbro inferiore. Cercai di ricominciare a contare le gocce, ma una mano mi strattonò fuori dall’auto e mi catapultò in un mondo ben diverso. Io e Chase ci guardammo mentre prendeva il mio braccio e lo metteva sul suo. Ci scambiammo occhiate complici e poi entrammo.
La sala era immensa. Per la mia felicità c’erano balconi infiniti  di alcolici di tutti i tipi, e bar-man che facevano volare le bottiglie in aria per poi riprenderle al volo. Mi mossi a ritmo della musica che stava rimbombando in ogni parte del mio corpo, ci mancava poco che le pareti della casa cadessero. Riuscivo a vedere chiunque dalla mia postazione sulle gradinate –aspetta, gradinate?-. Guardai in basso trovando altre scale, come se non ce ne fossero abbastanza. Erano una serie infinita di scalini coperti da un soffice tappeto rosso. Sgranai gli occhi e finsi un sorriso tenendo i denti stretti mentre la mia bocca si avvicinava all’orecchio di Chase. <<Chase ti prego -lo pregai con voce strozzata per la paura- non lasciarmi cadere ok?>> dissi sussurrando mentre lui rideva di gusto. Avevo una dannatissima paura di cadere dai tacchi alti che mio padre mi aveva fatto mettere. Strinsi la presa sul fianco di Chase quando scese il primo scalino. <<Senti.. lasciati andare ok? Sta tranquilla, ti riprendo se cadi.>> mi disse guardandomi negli occhi. Per un attimo quegli occhi blu mi confusero, ma poi ripresi lentamente conoscenza. Le parole di Chase mi avevano dato il coraggio necessario per affrontare quella discesa interminabile. Quando arrivai alla fine delle scale volevo urlare e saltare dalla gioia per non essere caduta, volevo chiedere a tutti di farmi un applauso perché ero stata incredibile, ma mi limitai a sorridere agli invitati.
<<Ehi, Bells. Tutto bene?>> mi chiese Chase con un sorriso strafottente sulla faccia. Asino. <<certo, e se permetti, ora mi vado a farmi fare qualche drink, per sopportare questo strazio di festa.>> sorrisi prima di salutarlo con la mano e correre verso il balcone degli alcolici. Incontrai molti ostacoli nel mio tragitto, ma li scansai –non so con quale forza- tutti quanti. Non prestavo nemmeno attenzione alle persone che mi salutavano, il mio obbiettivo era l’alcool.
<<Vodka per favore.>> Sorrisi al cameriere prima di sedermi sullo sgabello rosso, e ammirare tutte le bottiglie poste dietro al balcone. Mi persi nei miei più remoti pensieri cercando di capire che cosa poteva esserci in quelle bottiglie che non mi accorsi nemmeno che qualcuno si era seduto accanto a me. Solo quando mi voltai scorsi dei capelli biondi platino che potevano essere di un’unica persona. James.
<<Signorina Clark, ma è incantevole con questo vestito.>> sbruffone, pensai non appena lui mi prese la mano e la baciò. Come avrei fatto tutta la serata senza il sostegno morale di Katrin? Per fortuna il mio migliore amico venne appoggiato giusto in tempo sul balcone e io lo scolai in un solo secondo. <<Un altro per favore.>> il cameriere rise e si mise a fare un altro bicchiere di quella sostanza biancastra e tanto deliziosa. James intanto teneva la mia mano e mi guardava –mi faceva i raggi x e anche y-. Ma cos’aveva tanto da guardare il principino, tanto io e Chase quella sera lo avremmo fatto fuori –non letteralmente-. <<Non dovresti bere. Sai, fa male al fegato>> quella frase mi fece andare indietro nel tempo e un déjà-vu si impossessò della mia mente, così fui costretta a ripercorrere quella sera. Quella magnifica sera in cui Justin mi disse le stesse identiche parole, ma ovviamente pronunciate da lui erano tutto un’altra cosa. Mi ricordai il suo sorriso e la sua risata, e il suo tentativo di farmi paura con il ‘non sono il tipo per te ’ . Mi ricordai che gli dissi che non importava se era o non era quello giusto. Mi ricordai infine la colazione che mi aveva preparato e la giornata bellissima che avevamo passato insieme. Darei l’intera vita per passare anche solo un altro giorno con lui. Perché un giorno con lui è migliore di mille giorni con un altro.
<<Bells?Tutto bene?>> chiese James mettendo la sua lurida mano sulla mia gamba, che spostai subito dopo il suo tocco. <<Non chiamarmi Bells, solo gli amici possono farlo.>> spiegai riprendendo a bere il mio alcool. Intanto analizzavo il cameriere non sapendo né cosa fare, né cosa ascoltare, e sicuramente James non lo ascoltavo/guardavo. Era un uomo sulla trentina, capelli neri e barba abbastanza folta, ma non troppo. Gli occhi erano di un bellissimo nocciola e le labbra fini incorniciavano la figura rendendola più dolce. Le mani erano affusolate e le braccia per niente muscolose. I capelli erano corti, corti quasi rasati a zero, infatti si poteva intravedere la nuca da essi. Era un bel ragazzo, anche se ragazzo non era. Ma poi ripensai all’essere spregevole che era seduto accanto a me. James in realtà, non era brutto, anzi, se tutti i ragazzi fossero stati brutti come lui allora io sarei già sposata, e con un figlio. Il problema era la sua personalità, mi sembrava possessivo e oppressivo, e io non volevo questo. Non ero neanche sua, perché doveva essere così geloso? E poi cosa voleva da me? C’erano altre bellissime ragazze in quella sala perché lui era venuto proprio da me? <<Vabbene.. mi scusi. Mi concede l’onore di un ballo?>> si misi in ginocchio e mi offrì la mano. Neanche per fare una proposta di matrimonio. Presuntuoso, pensai distogliendo lo sguardo e osservando l’intonaco delle pareti che si staccava, quella casa non era molto curata. Lui si mise subito in piedi vedendo la mia reazione e mi chiese più gentilmente di ballare. Io guardai in tutte le direzioni per capire se i miei genitori mi stessero osservando o se potevo sputargli in faccia senza nessun danno permanente. Ma sfortunatamente i miei mi stavano osservando molto attentamente e mi incitavano per un ballo. Sbuffai pesantemente, facendo in modo che anche James sentisse che non era per il mio volere che facevo quella cosa, ma per mio padre e per mia madre. James sorrise ugualmente quando porsi la mia mano sulla sua lasciandomi trascinare nel centro della pista. Sbruffone, pensai quando sorrise a destra e a manca facendo vedere a chiunque con chi stava ballando. Stavo per andarmene quando lui strinse più forte la mano sul mio fianco. <<Tu non andrai da nessuna parte principessina>> sussurrò al mio orecchio e un brivido di paura mi percorse la schiena. Gli tirai una botta sulla spalla, ma lui aumentò sempre di più la presa e io iniziai a sentire il bruciore della pelle. Iniziammo a ondeggiare lentamente mentre lui teneva stretta la sua mano sul mio fianco e io cercavo di levarla in tutti i modi possibili. Cercai un viso amico tra la folla, ma nessuno si era accorto della sua mano e nessuno sentiva il mio dolore che traspariva dai miei occhi. Perché nessuno mi veniva a salvare quando urlavo?
Improvvisamente qualcosa fece fermare quella tremenda agonia e mi massaggiai subito il fianco spostandomi di molti passi più indietro. Quando aprii gli occhi e li rivolsi verso James vidi questo steso sul pavimento gocciolante di alcool che sbraitava contro un cameriere. Quest’ultimo aveva la testa china e le braccia conserte. Non potevo scorgere la sua faccia, ma lo ringraziai infinitamente nella mia testa. James sbraitò insulti verso il cameriere e se ne andò via a passi pesanti. Emisi un sospiro di sollievo quando lo vidi sparire in una misteriosa porta. Mi avviai verso il balcone traballante con una mano sul fianco dolorante, ma un mugolio mi fece girare. Non sapevo da dove provenisse, ma ero intenta a scoprirlo. Un altro bisbiglio mi scosse e mi girai di nuovo, ruotando su me stessa. Scorsi due occhi marroni nell’oscurità della sala e un sorriso soddisfatto sulle labbra di quello che sembrava un ragazzo. Quando questo si mostrò alla luce del lampadario lo riconobbi all’istante. Come dimenticarsi di una faccia così? Mi spinsi verso di lui con tutte le forze rimaste in corpo e crollai –letteralmente- nelle sue braccia. Ero svenuta.

 

•Spazio Autrice
Salveeee! finalmente sono tornata eh.. scusate veramente per il casino che ho combinato, non ci sono stata per un po' di giorni e mi dispiace tantissimo, scusate. Mi dispiace tantissimo. Ma.. che ve ne pare del capitolo? Ci ho messo tutta me stessa, quindi spero che vi piaccia. c:
Ci vediamo quando ci vediamo. 



 
   
 
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