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Autore: Rinalamisteriosa    03/07/2014    1 recensioni
[La famiglia italiana]
- Minilong AU | Presenza di Fem!Nord Italia | Accennini SeboMona -
“Davvero? Possiamo sapere come mai?” domandò perplessa Flavia, guardandola confusa.
Romano invece sgranò gli occhi, certo di aver capito male. Niente lavoro per lui… Possibile?
Assunta annuì. “Avrete tutta la mattina per prepararvi: alle undici in punto dovrete essere all'aeroporto di Roma Ciampino. Mentre dormivate, ha telefonato Giulio e ha chiesto espressamente che andiate ad accogliere vostro cugino Diego. È tutto chiaro?” s’interruppe, per accertarsi che la notizia fosse stata recepita a dovere dai figli.
Assistette a due reazioni completamente opposte.

(...)
“Non potrei desiderare di meglio. In famiglia siamo delle brave persone e ci vogliamo tanto bene!”.
“Tu la metti sempre su un piano troppo sdolcinato per i miei gusti”

**Dedicata a SunliteGirl**
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Antica Roma, Nord Italia/Feliciano Vargas, Principato di Seborga, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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Capitolo VII

 

 

 

 

 

 

“Sei ancora arrabbiato?” si premurò di chiedere Flavia dedicandogli un’occhiata di riguardo, vedendolo assorto in chissà quali elucubrazioni personali.

Direi impaziente, piuttosto”, replicò Romano sottovoce, la mano ancora stretta in quella della sorella. “Prima la ricerca sotto il sole e adesso il giro comodo in carrozza. Non so davvero cosa aspettarmi a questo punto… Perché, insomma, sono passati anni dall’ultima volta che lui è venuto a trovarci! Mi ero ormai rassegnato all’idea che non gli importasse più nulla di… di noi”.

Si era riferito al plurale anche se non ne era per niente sicuro. Sarebbe stato meglio dire “di me”, in fondo Flavia era e restava la nipotina preferita di Giulio. In qualche modo loro due erano rimasti in contatto con lettere dettagliate e telefonate interurbane o internazionali, invece Romano non si era quasi mai interessato a cosa facesse quell’uomo giramondo.

“Non dire così… Lui-”.

“Shh”.

“Cosa pensi del gioco d’azzardo?” sentirono la domanda interessata di Caroline, questa volta rivolta al cugino accanto a lei.

Diego aveva mantenuto la stessa espressione amabile e curiosa.

“Oh. Gioco d’azzardo. Davvero? Adesso capisco perché sei stata assunta da papà… Anche se non sembra tu ami il rischio”, suppose in tutta franchezza.

“Diciamo che amo sfidare la fortuna. Io però vorrei una risposta precisa…” motivò a voce più chiara e l’accento francese risaltava nella pronuncia di alcune parole.

“Eh… Di fatto sono ancora minorenne e mia madre darebbe in escandescenza se solo ci provassi. Però sai una cosa? Tu insegnami: il gioco che vuoi, uno a caso. Poi facciamo una partita innocua, io e te da soli, in cui scommettere qualcosa di più piacevole di un mucchio di soldi”.

“E cosa dovremo scommettere?” gli chiese inarcando le fini sopracciglia.

“Ma una cenetta intima, naturalmente!”.

“Ah…” assentì Caroline, sperando che non trapelasse il suo essere rimasta sorpresa dalla reazione per nulla intimidita e piuttosto disinvolta, dalla proposta galante ed entusiasta insieme di Diego.

Si finse pensierosa. “Oui. On peut le faire”.

Si poteva tentare.

Solitamente le davano della sofisticata e altera, poiché aveva imparato a trattare con uomini più grandi come faceva con giocatori e avversari al casinò. Aveva visto tutti i pretendenti che le aveva presentato la madre scappare a gambe levate dopo aver capito che tipo fosse in realtà.

Era una ragazza dalla risposta pronta che sapeva anticipare ogni mossa, che non si scomponeva quasi mai, che doveva avere l’ultima parola, che non cadeva in rovina. Non si era fatta scrupoli nemmeno a mentire sull’età, dal momento che quando aveva iniziato con il gioco d’azzardo aveva sedici anni e fortunatamente il ruolo influente di sua madre la copriva.

Difficilmente si faceva fregare, tantomeno si lasciava coinvolgere in qualcosa di più grande di lei, di sconosciuto nel suo mondo.

Il balletto, lo studio e i giochi con il denaro erano non solo le sue priorità, ma anche i suoi hobby. Delle passioni irrinunciabili nella monotonia delle sue giornate passate a Monaco.

Diego era il secondo che, forse per ingenuità o forse per sua stessa natura, la intrigava.

Un fatto insolito, in fondo essendo ancora minorenne frequentava la scuola, mentre lei aveva terminato gli studi al Liceo Tecnico di Monte-Carlo* poco prima di accettare l’incarico di assistente per suo padre. Un fatto che forse la indirizzava verso un altro cambiamento di opinione.

Io ho solo diciannove anni e lui… Quasi sedici se non ricordo male…” pensò. La differenza era minima e lui era pure carino.

“Se posso intromettermi, a casa abbiamo un mazzo di carte da gioco, potreste usare quello!” suggerì immediatamente Flavia, allargando le braccia sporta in avanti.

“In effetti non mi dispiacerebbe giocare a briscola contro la signorina assistente…” considerò il fratello, per poi intimare con uno sguardo alla sorella di abbassarle. “E piantala di renderti ridicola!” la redarguì.

“Ahah. Non dimenticate che ci sono prima io però!” fece presente Diego, alzando un dito al fine di sottolineare il suo turno. “E spero tanto di poter ottenere un appuntamento, almeno me ne tornerò in Liguria senza rimpianto alcuno”.

E in quanto a Caroline era rimasta di sasso, per i suoi stessi pensieri e per la determinazione del più piccolo.

 

 

 

Con la velocità moderata del pratico mezzo di trasporto in cui sedevano, ci vollero circa dieci minuti per raggiungere Castel Sant’Angelo e il suo ponte monumentale.

Caroline spiegò loro che da lì la carrozza avrebbe proseguito fino a Piazza Venezia, notizia che entusiasmò particolarmente la giovane Flavia, e che dopo la loro ultima meta sarebbe stata il Colosseo. Era nelle sue vicinanze, infatti, che lei e il signor Vargas avevano trovato ospitalità affittando due camere da una vecchia amica di famiglia, Madame Rocher**.

Stavano quindi seguendo un percorso già concordato in precedenza e questo spingeva Romano a lambiccarsi il cervello in cerca di una spiegazione plausibile, a rimproverarsi perché – cavolo! – lui sarebbe partito proprio dal Colosseo se non fosse stato per la scelta della sorella di visitare subito la Fontana di Trevi.

Ed era irrilevante il fatto che poi lui stesso avesse cambiato precipitosamente idea a favore di Piazza di Spagna, chissà per quale assurdo motivo, anzi no, conosceva la motivazione, ma faceva finta che era stato il sole a dargli alla testa e a spingerlo nella direzione opposta.

Se avesse potuto, avrebbe tirato un calcio alla sua coscienza.

Senza rendersene conto erano caduti tutti nel tranello dello zio, assecondando ogni sua manovra come sciocche marionette manovrate da fili invisibili.

“Anche vostra madre era a conoscenza del suo piano, ma si è limitata a mandarvi all’aeroporto senza accennare alla nostra presenza a Roma”, continuò a spiegare Caroline mentre Diego cercava di scattare qualche altra foto-ricordo. Prima lei aveva assistito in silenzio ai battibecchi vivaci, ai discorsi sereni dei tre e al broncio del maggiore, provando simpatia e tenerezza verso di loro, inserendosi di tanto in tanto nella conversazione con il garbo e la compostezza che la caratterizzavano.

“Ah, bene. Immaginavo fosse implicata nella faccenda. Allora non mi stupirei di trovarla al Colosseo!” commentò scocciato Romano. “O ci attende forse un’altra persona con quello?”.

“Fratellone, dai…” mormorò Flavia.

“Dai un corno!” replicò a braccia incrociate, comprimendo le labbra alterate in una smorfia.

“Beh… Qualcosa c’è, ma il signor Vargas mi ha raccomandato di non farne parola con nessuno. Come si dice in questi casi ho la bocca cucita, sono spiacente”, si scusò la monegasca.

“Signorina Caroline, ma è una cosa bella, vero? Veh, io mi fido dello zio, sono impaziente di riabbracciarlo e sono curiosissima, ma sono anche molto contenta per questa uscita piacevole e per il tempo che stiamo trascorrendo insieme in giro per la nostra adorata Roma. Con la scuola e tutto il resto è sempre stato difficile per me e per mio fratello rilassarci, lo sai? Perciò voglio ringraziare te, Diego e quando lo vedrò pure zio Giulio!” si perse in un fiume di parole sentite un’entusiasta Flavia, facendo sorridere il cugino e un po’ persino Caroline.

“Non ringraziarmi, faccio soltanto il mio dovere…” rispose l’altra distogliendo lo sguardo, puntandolo in un punto imprecisato alla sua destra e Diego ne approfittò per catturare la sua immagine di profilo in una fotografia, ovviamente di nascosto da lei e pensando che non vedeva l’ora di far sviluppare quel rullino.

Caroline appariva quasi perfetta ai suoi occhi: aspetto raffinato, profilo elegante, lineamenti delicati, nasino all’insù, un paio di occhiali alla moda che non nascondevano dei meravigliosi occhi blu e lunghi capelli biondi che con quell’acconciatura così ordinata le stavano d’incanto.

Però non l’aveva vista sorridere se non lievemente, e questo era forse il suo unico difetto.

Aveva sì una parlantina disinvolta e un po’ strascicata, con la erre moscia tipica dei francofoni, ma non si lasciava andare.

Non si divertiva.

 

 

 

Quando arrivarono al centro della famosa Piazza Venezia, il gentile cocchiere fece fermare lentamente la carrozza senza tettuccio e lo scalpiccio rilassante dei cavalli si mitigò.

Lui era un corpulento signore di mezza età con capelli e baffi neri striati di grigio, che consigliò loro, con tono simpatico e cordiale malgrado la stazza un po’ massiccia, di scendere e di godersi quei dieci minuti di tempo che avrebbe concesso ai suoi due cavalli per riposarsi e per farli abbeverare alla fontanella più vicina.

Flavia non se lo fece ripetere due volte, era stata la prima a lasciare il calesse saltellando sul posto e ad approfittarne per ammirare la sua piazza preferita, circolare e grande in tutta la sua bellezza. In essa si incrociavano tre tra le strade più importanti del centro storico ed era situata ai piedi del Campidoglio.

Abbellita dalla presenza del colossale e stupefacente monumento in onore di re Vittorio Emanuele II, di Palazzo Venezia sul lato ovest e di Palazzo Bonaparte verso nord. 

Nell’insieme questi e altri elementi del paesaggio la rendevano dignitosa e sfarzosa come la città importante da cui prendeva il nome.

Quanto le mancavano le gite a Venezia! Zio Giulio che veniva a prenderla, il tragitto in treno, le visite guidate, i giri in gondola!

“Senti Romi, come mai la mia dolce cugina sprizza gioia ed emozione da ogni poro? Per caso questo è un altro posto speciale per lei?” domandò incuriosito, porgendo galantemente il braccio all’altra fanciulla per aiutarla a scendere dallo scalino del mezzo di trasporto.

Merci…” ringraziò, sperando di non essere arrossita vistosamente per la gentilezza dimostratale e constatando che era la più bassa tra i presenti. Anche Flavia la superava in altezza.

“Perché non glielo chiedi direttamente? Mica posso entrare nella sua testa…” rispose, per poi sospirare pesantemente. “Io avrei preferito proseguire fino al Colosseo e interrogare finalmente il bastardo”.

Per l’ultima parola sgarbata ricevette un’occhiataccia severa da parte di Caroline, che ancora si teneva al braccio di suo cugino, ma preferì ignorarla.

Quando distolse lo sguardo apatico, sgranò di colpo gli occhi alla vista di un furgoncino bianco che stava per investire una distratta Flavia, persa con la testa tra le nuvole.

Non l’aveva presa per miracolo e sparte il suo proprietario aveva suonato il clacson per poi andarsene, probabilmente perché contrariato da tanta disattenzione.

Romano non ci mise molto a raggiungerla e a farle la ramanzina, l’ennesima della giornata, e Flavia cercò di rassicurarlo come al solito, scusandosi per lo spavento che gli aveva fatto prendere.

“Non innervosirti, fratellone. Se lo zio ha fatto questo per noi, io penso che deve esserci un buon motivo dietro…” spiegò sorridendo, ispirata alla vista dell’imponente Vittoriano. “E se si tratta di una sorpresa? Veh, perché lui non ci ha detto niente, non abbiamo idea di cosa sia. Altrimenti come interpretare tanto mistero?” ragionò.

“Per me non sarà nulla di buono, altro che sorpresa!” esclamò scuotendo il capo esasperato, poiché non ne poteva più di ipotesi e congetture, desiderava soltanto arrivare al sodo.

“Cugini, perché invece di preoccuparci non ci facciamo un’altra foto tutti insieme?” suggerì svagato Diego, trascinando un’inespressiva Caroline con sé, lasciando l’utile apparecchio nelle mani di Romano e sperando che scattare foto lo calmasse.

“Credevo che il rullino fosse terminato, accidenti!” sbottò lui, controllando i numerini che giravano e che si erano fermati sul numero cinque. Mancavano ancora cinque fotografie. Quasi quasi gliele consumava tutte in quel momento, per dispetto.

Flavia, Caroline e Diego si misero in posa, con la bionda in mezzo a loro due e lui che le sussurrava di sorridere.

“Posso sperare di conservare almeno una foto in cui sorridi apertamente?” disse poi e le mostrò un’espressione eloquente, come se ci tenesse per davvero.

Diego non solo era carino, con quel casco di capelli color castano chiaro e ordinati, lo strano ciuffo seghettato e gli occhi che ricordavano un prato al sole. Le sembrava in realtà molto più grande della sua età, e nella confidenza che si prese circondandole le spalle con un braccio e facendole l’occhiolino le ricordava molto il Signor Vargas.

Sarebbe diventato un donnaiolo irrecuperabile come lui.

Lo sarebbe diventato, ma forse, se un giorno si fosse innamorato di una donna capace di metterlo in riga e di tenerselo stretto, forse allora…

Arrossì al pensiero inusuale, non capendo perché un ragazzino appena conosciuto le stesse facendo quell’effetto poco razionale.

“Allora?” ritentò Diego inclinando la testa di lato, incerto se scuotere la vicina dalle spalle oppure no. Si era distratta anche lei, evidentemente.

“Cosa?”.

“Dai, Carolina, sorridi!” intervenne Flavia, spezzando il momento imbarazzante e piazzandosi davanti ai due. “Restiamo qui finché non ci fai un bel sorriso!” aggiunse dolcemente, prendendole una mano tra le proprie.

Persino Flavia era carina e con il suo carattere disinteressato, allegro e particolare avrebbe rischiarato anche le giornate più grigie. Invidiava il suo sorriso così spontaneo, perciò cercò di imitarlo, decisa ad accontentarli.

“Evviva! Fratellone, scatta la foto adesso!” lo esortò, tornando al proprio posto dopo aver visto il miracolo compiuto.

“Va bene. Siete sempre più stucchevoli, sapete?” brontolò Romano eseguendo l’ordine.

Tre fotografie. Stava pensando a come consumarle, ma poi vide che un soddisfatto e gongolante Diego lo raggiungeva per riprendersi la macchina fotografica.

E addio dispetto.

 

 

*

 

 

Era rassicurante percepire che il fascino senza tempo della sua Roma perdurava e che essa non gli dava mai noia o insoddisfazione.

Forse riusciva ad apprezzarla proprio perché i suoi viaggi lo portavano molto lontano e la lontananza non aveva spento affatto l’amore per la città natale.

Aveva passeggiato per le sue vie animate, attraversato le sue piazze pittoresche, ammirato i classici monumenti, le chiese antiche o nuove e i palazzi vecchi di un secolo o poco più.

Aveva respirato di nuovo la sua aria, chiacchierato, aveva riso e amato.

 

 

 

Quel giorno aveva perso persino la cognizione del tempo, poiché non era certo rimasto immobile come una statua ad aspettare l’arrivo dei suoi nipoti, non sarebbe stato da lui.

Per ammazzare il tempo, si era prestato a intrattenere i turisti con aneddoti conosciuti durante i suoi studi, oppure con le sue personali avventure e disavventure per raggiungere determinati luoghi lontani.

Aveva giocato con i bambini, aveva flirtato con qualche signorina di passaggio, aveva aiutato a scattare foto oppure a farne il soggetto, a mettersi in una posa importante considerato che indossava il suo travestimento storico e voleva immedesimarsi perfettamente nella parte.

I suoi gesti volontari e assolutamente gratuiti non stonavano affatto, non disturbavano quelle persone, quegli artisti ambulanti che si piazzavano lì con lo scopo di guadagnarsi il pane, anzi lui, nella sua grande generosità, si era persino prestato ad aiutarne alcuni, ricevendo in cambio tutta la loro gratitudine più sincera.

Si stava appunto giustificando quando gli giunse alle orecchie un richiamo familiare, una voce inconfondibile e chiara che lo chiamava. Si voltò alla sua sinistra e fu sollevato nell’osservare che non si era sbagliato, poiché aveva inquadrato lei che avanzava frettolosamente, andandole incontro di rimando.

“Ce l’avete fatta!” si complimentò con un moto d’orgoglio, cambiando atteggiamento in un istante quando l’allegra nipotina si era fiondata tra le sue braccia per salutarlo con tutto il suo affetto incondizionato.

“Flavia! Mi rendo conto che sei cresciuta, ma in fondo sei sempre una tenerona, nevvero? Aww! La mia piccola Flavia! Lascia che ti abbracci come si deve!” affermò, con tanto di lacrimuccia di commozione, stringendola a sé e strusciando una guancia contro la sua.

Era andato in brodo di giuggiole, ormai. L’avevano perduto.

Lei rise di cuore.

“Caro zio, tu invece non cambi mai. Hai la barba che punge proprio come allora…” replicò la ragazza, che ovviamente era lietissima di rivederlo, ma provava anche un pizzico di nostalgia per il passato, quando veniva più spesso a trovarli.

“Lo so, lo so. Modestamente sono ancora lo stesso zio giovane e affascinante dei tuoi ricordi. Mi dispiace di non essermi fatto più vedere di persona, però-”.

“Come diavolo ti sei conciato? Accidenti, ma non ti vergogni?!” proruppe la voce scontrosa dell’altro nipote, avvicinatosi per separare i due, che con le loro smancerie stavano dando spettacolo.

“Anche tu mi sei mancato, Romano. Non essere risentito e geloso, vieni qui!” lo pregò Giulio.

“Geloso io?! Stammi lontano!” sbottò, venendo poi trattenuto dalla traditrice di sua sorella, che lo bloccò prima che riuscisse a sfuggire alla presa ostinata dello zio.

Divenne paonazzo per la rabbia e sicuramente per l’imbarazzo, dal momento che un gruppo di passanti li stava fissando e stava persino applaudendo per la scena che stavano offrendo loro, come se un abbraccio a tre fosse una scena magnifica e insolita, certo.

L’uomo vestito in toga candida e mantello magenta, con quei tessuti lunghi, tutti attorcigliati e fissati con cura, si staccò dai suoi nipoti per rispondere alle loro domande, soprattutto a quelle di Romano che appariva davvero impaziente di conoscere il suo ingegnoso piano.

“Oggi rappresento un antico romano, precisamente un patrizio, un nobile di quei tempi. Siccome mi avevate già visto anni fa nelle vesti di un valoroso soldato e di un condottiero di epiche battaglie, oggi ho optato per questo: sarò il vostro oratore per il tempo che ci rimane”, spiegò con un sorriso lieve e saputo.

“Oratore? Perché devi parlarci?” dedusse Flavia, guardandolo annuire.

“Allora dicci a che scopo farci girare Roma, quando potevi presentarti a casa nostra già da ieri ed evitare tutta questa sceneggiata assurda davanti a un pubblico di curiosi. Accidenti, mi piacerebbe strangolarti!” lo biasimò l’altro incrociando le braccia al petto.

Più lo osservava, più Giulio riconosceva il carattere testardo e tutt’altro che affabile del fratello. Romano aveva preso decisamente da lui, anche se i capelli scuri… quelli gli venivano dalla madre, sì.

“È per vostro padre… Entrambi amavamo Roma e so che anche voi non siete indifferenti alla città eterna. Non siete contenti di aver accompagnato Diego a visitarne la parte più significativa?” li interrogò, puntando poi uno sguardo malinconico allo sfondo dell’incontro.

“L’Anfiteatro Flavio, meglio conosciuto come Colosseo… Simbolo suggestivo di un grande Impero. Era il suo preferito, lui veniva sempre qui quando aveva bisogno di riflettere, di stare da solo”.

“A me ha fatto piacere rivedere il cugino Diego e accompagnarlo in questo giro turistico. Quanto a mio padre mi dispiace…” mormorò in risposta, cercando lo sguardo del fratello. “Non me lo ricordo, ma la mamma ci ha detto che era una persona speciale”.

“Non capisco… Quindi l’avresti fatto per lui? Se volevi farti perdonare qualcosa, perché non sei tornato prima? Tanto noi siamo cresciuti lo stesso anche senza di lui e senza di te, quindi non ti capisco proprio…” rispose Romano, confuso e tuttavia deciso a far valere il proprio parere in merito.

Che senso aveva?

“Se sei venuto per rimpiangere il fratello scomparso, non so se voglio ascoltarti. È passato, ormai…” proseguì facendo per voltarsi, come se volesse tornare indietro. Fino a quel momento Diego si era rivelato una compagnia per nulla deprimente e si sentiva un po’ deluso da ciò che aveva ascoltato finora dall’archeologo.

“Non è tutto. Romano, tu stai saltando a conclusioni affrettate, esattamente come era solito fare Michele. Non è mia intenzione deprimervi, non oggi. Io sono qui per voi, per una sorpresa che sicuramente vi piacerà. Se rimpiango qualcosa è di non essere stato presente al posto di mio fratello. Per vedervi crescere, proprio come mi hai fatto notare con la tua risposta”.

“Hai visto, fratellone? Ha davvero una sorpresa per noi!” esultò Flavia.

“E sentiamo: di che sorpresa si tratta?” indagò Romano, nuovamente sospettoso.

E Giulio Cesare Vargas sorrise a trentadue denti, più sollevato.

“Non abbiate fretta e seguitemi, lo scoprirete dentro il Colosseo, così Romano non lamenterà il fatto di avere occhi indiscreti puntati addosso”.

 

 

 

“Zio Giulio, non dobbiamo chiamare Diego e Caroline? Non devono venire anche loro?” chiese Flavia, procedendo al suo fianco.

“Non serve. La mia graziosa assistente sarà perfettamente in grado di badare a vostro cugino, sa già come comportarsi”.

“Perché stiamo entrando da un’entrata secondaria? Maledizione, e se ci fanno la multa per aver saltato la fila?” si preoccupò Romano guardandolo storto.

Giulio gli mostrò una piccola tessera rettangolare.

“Quando sei uno studioso puoi ottenere certi privilegi, non lo sapevate?” motivò con calma conducendoli in una galleria usurata, che li avrebbe portati all’interno del famoso anfiteatro.

Una volta dentro, consigliò loro di scegliere un posto dove sedersi per poter parlare tranquillamente. Flavia risalì le gradinate fino a sedersi in un posto in alto, dal quale poteva ammirare i resti di quello che in passato doveva essere stato un bellissimo luogo ludico. Romano e Giulio si limitarono a seguirla e ad accomodarsi anche loro, per quanto una pietra potesse definirsi comoda.

“Tornando al vostro giro per Roma, vorrei sapere se per caso a un certo punto vi sono tornati alla mente ricordi di quando eravate più piccoli. Siate sinceri, altrimenti me ne accorgo!” li avvisò.

Flavia gli confidò immediatamente il fatto del disegno volato giù dal ponte.

“Bene. E tu Romano?”.

Lo fissarono entrambi, in attesa che parlasse.

“Ma cosa vuoi che abbia ricordato? Sono luoghi che abbiamo visto spesso, ti ricordo che noi ci viviamo, a Roma! Certo, stiamo più in periferia, ma è capitato che venissimo in centro per vari motivi…” mentì fregandosene delle loro occhiate fisse e piene di aspettativa.

“Uffa… Fratellone, potresti collaborare!” si dispiacque Flavia gonfiando le guance.

“Tua sorella ha ragione. Non ci stai dicendo la verità…” suppose il più grande.

“Che palle, zio. Ti stai prendendo troppo di confidenza… Eppure siamo stati lontani per anni!” brontolò.

“Appunto, permettimi di recuperare. Comunque ho capito, non c’è bisogno che aggiungi altro. Adesso chiudete gli occhi”, consigliò divertito.

Romano trovò la richiesta strana e infantile, invece Flavia aveva già eseguito, senza abbandonare il suo perenne sorriso e coprendosi gli occhi con le mani.

“Va bene così?”.

“Ma perché devi sempre seguire tutto alla lettera, tu?! E poi perché cavolo dovrei chiudere gli occhi? Cosa nascondi, bastardo?” sbottò, più esasperato che arrabbiato. La rabbia e la brutta sensazione iniziale in realtà gli erano già sbolliti da un pezzo, forse il tragitto in carrozza gli aveva giovato.

Però Giulio gli diede delle leggere pacche sulla testa, facendolo alterare nuovamente, anche perché si limitava a sorridere come un deficiente e a non dargli tutte le risposte.

“Hai rotto, va bene?! O parli o me ne vado, e stavolta non mi fermerete”.

“Non avevi forse un amico che si chiamava Antonio?” proferì allora.

Un amico che si chiamava…?” si ripeté piano. “Che c’entra? Chi sarebbe Antonio?” domandò ancora, levandosi in piedi per lo stupore. Non rammentava a chi potesse appartenere quel nome, ma ebbe uno strano presentimento. Come se lo zio fosse a conoscenza di una cosa che lui ignorava, o probabilmente più di una.

“Ma zio, Romano ha pochi amici e non mi risulta che abbiano quel nome…” intervenne perplessa Flavia riaprendo gli occhi ambrati.

“D’accordo, va bene. Lasciamo perdere gli occhi chiusi e arriviamo al sodo, così tuo fratello smette di preoccuparsi inutilmente”, decise serenamente l’uomo, scostando di poco il mantello che indossava ed estraendo dal fianco destro due lettere.

“Ho pensato di rimediare alla mia assenza cercando e trovando due ragazzi che avete conosciuto tanto tempo fa, quando le mie visite erano più frequenti. E l’ho fatto perché possiate capire che non vi ho mai dimenticato. Siamo una famiglia, dopotutto”, si giustificò porgendo la busta di carta azzurra alla nipote e quella con carta gialla all’altro.

“Li ho aiutati a scrivervi. Inoltre vi darò un altro indizio: non sono italiani”, rivelò dopo aver ritirato le mani, quando già la nipotina era sul punto di aprirla, interessata a scoprire il mittente anonimo – infatti le due lettere si distinguevano soltanto dal colore, non c’era scritto nulla fuori.

“Un momento!” saltò su Romano, di nuovo. Ragionando e riconsiderando che il furbastro dello zio aveva nominato un certo Antonio, che Flavia non conosceva e che non era italiano… C’era un’alta possibilità che si trattasse proprio di lui.

Il ragazzo incontrato a Piazza di Spagna.

Il tizio spagnolo del gelato al pistacchio.

A preoccuparlo però non era questo. Sua sorella Flavia teneva tra le mani una lettera indirizzata a lei. Da uno straniero.

Lei. Uno sconosciuto.

La sua Flavia.

E uno zio imprevedibile che sapeva tutto, ma giocava a fare il misterioso.

“Ehi, aspetta, fermi tutti!”.

“Io non mi muovo da qui…” replicò candidamente Giulio.

Lui lo ignorò e rivolse tutta la sua attenzione a lei, che non capiva.

“Io credevo che l’unica straniera fosse quella tua amica, quella Elisa o come diavolo si chiama. Non mi avevi detto che c’era un altro. Chi caspita è? Ci possiamo fidare?”.

“Ehm… Non lo so. Dovrei leggerla?” tentò di dissuaderlo lei.

“Per esserne sicuri è meglio se la leggo prima io!” obiettò.

Detto questo, ficcò la lettera gialla in una delle tasche dei pantaloni, fregandosene se si spiegazzava un poco, e si sporse per recuperare l’altra, ma Flavia scosse dispiaciuta il capo, allontanandola dalla mano del fratellone prima che la prendesse. Romano però non si fece scoraggiare: più lei si ritraeva e negava, più lui la inseguiva e finì che Giulio Vargas fu costretto a tenerli d’occhio mentre gironzolavano liberamente nelle zone agibili del Colosseo.

Era sì una scena comica, ma era toccante constatare quanto i suoi adorati nipotini fossero uniti addirittura nei loro diverbi.

Avrebbe dato qualunque cosa per tornare indietro, perché anche suo fratello maggiore si fosse interessato a lui allo stesso modo, con la stessa dedizione, lo stesso impeto e affetto di quei due.

 

 

*

 

 

Alla fine, per quanto la situazione si fosse rivelata più piacevole del previsto, il signor Giulio fu caldamente invitato da un guardiano fiscale, che non aveva chiuso un occhio di fronte all’inseguimento innocente di Romano e Flavia, a scortarli fuori dal monumento, forse temendo che avrebbero potuto fargli seri danni, o perché disturbavano la quiete pubblica con le continue proteste e insistenze dovute alla lettera azzurra.

Alla fine erano stati costretti a giungere a un equo accordo: Romano avrebbe scoperto il mittente segreto e ciò che conteneva una volta tornato a casa, a patto che consegnasse la sua alla sorella.

Flavia ovviamente fu d’accordo e anche se fremeva dalla curiosità ripose entrambe le buste al sicuro nella sua borsa, promettendo di non toccarle fino a sera.

 

 

 

Ritrovarono il cugino Diego e l’assistente Caroline seduti su una panchina, nelle vicinanze dei Fori Imperiali. Sembravano tranquilli.

“Ah, quasi dimenticavo…” ricordò all’improvviso Giulio, rivolgendosi nuovamente ai nipoti. “Il tassista di stamattina ero io”.

 

 

 

Assunta stava per terminare le faccende domestiche, in attesa del ritorno della sua famiglia, ansiosa di accogliere in casa il nipote e naturalmente di sapere tutto quello che avevano fatto in centro.

E chiuse l’aspirapolvere per rimetterlo al suo posto nel ripostiglio, fischiettando tra sé un motivetto a caso.

 

 

 

 

 

 

*è un liceo che prepara a lavorare negli alberghi, nel commercio… L’istruzione nel Principato di Monaco è simile a quella francese, quindi Caroline ha finito a diciassette anni.

**è un semplice tributo al Ferrero Rocher, la Ferrero è italiana anche se Rocher sembra francese. Per un’amica della famiglia di Caroline ci stava, dai xD

 

***

 

Note: Lo so, avevo detto che l’ultimo capitolo sarebbe arrivato in tempi brevi ^^’ chiedo venia. In ogni caso è finita, gente.

In realtà ci sarebbe un epilogo sul contenuto delle due lettere e su cosa ne pensano Romano e Veneziano (Flavia), ma aspetterò un po’ prima di pubblicarlo, non ne sono ancora del tutto convinta (quando mai xD).

 

Spero vi sia piaciuto, qui ho decisamente messo da parte le descrizioni dettagliate dei luoghi (che forse stavano annoiando i lettori) e mi sono concentrata più sui personaggi principali, sui dialoghi, sui pensieri… Insomma, sulla narrazione in generale, con pizzichi di comicità che ci stava, dai xD mi sono divertita, soprattutto figurandomi le ultime scene con Nonno Roma (in questa AU zio) e nipoti.

Spero che la lettura leggera vi abbia intrattenuto piacevolmente per qualche minuto. Grazie a quanti hanno letto, seguito, ricordato, preferito e commentato fin qui, anche se pochi ho apprezzato davvero! =)

Un grazie speciale alla cara SunliteGirl e ai suoi incoraggiamenti preziosi, spero di non averti deluso per il fatto che tengo abbastanza sulle spine >.< però sono contenta, ho realizzato il proposito di farti un capitolo più lungo e più simpatico dei precedenti! *__* E poi è “tornato” Antonio, hai visto? ^^ Seborga e Monaco ti sono piaciuti? Lei è stata complicata... Vabbe’, ci ho provato.

Forse questi tre compariranno in una storia extra ambientata in un futuro prossimo, chissà… *fa la vaga*

Forse la leggerai l’anno prossimo, conoscendo i miei tempi ù.ù

Okay, no. Come primo approccio-tentativo nel fandom mi sono divertita, dai, se l’ispirazione non mi abbandona tornerò prima del previsto e ti farò una sorpresa =)

 

Rina

 

 

  
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