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Autore: Cassidy_Redwyne    04/07/2014    6 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli studenti, infatti, sono davvero bizzarri, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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«Ma cos'avranno da urlare?» borbottò Angie, guardandosi intorno con aria truce.

Scossi la testa con aria sconsolata, seguendo il suo sguardo. Quella mattina in mensa sembrava fosse scoppiata una bomba. C'era un frastuono assordante e i ragazzi non stavano un attimo fermi: chi si rincorreva tra i tavoli, chi saliva sulle sedie e chi, incurante delle conseguenze, faceva a botte sul pavimento. Distolsi lo sguardo di scatto quando vidi un dente volare in aria e attraversare il mio campo visivo.

Sembrava che nessuno avesse accettato di buon grado il rientro a scuola dalle vacanze natalizie.

«Se ci avviassimo in classe?» propose Beth, allontanando da sé i resti della sua colazione.

Non ce lo facemmo ripetere due volte. Scattammo in piedi, liberando il tavolo dalla nostra immondizia, e mi guardai attorno in quel caos alla ricerca di Arianna. Quando finalmente riuscii ad individuarla, tirai un sospiro di sollievo: era seduta con Lucas in un angolo della mensa. I due chiacchieravano animatamente, apparentemente ignari della confusione che regnava intorno a loro. A vederli, così tranquilli e a loro agio, mi venne da ridere.

Quando mi avvicinai mi sentii un'intrusa, vedendoli così in intimità, ma volevo avvertire brevemente Arianna della nostra fuga.

«Ehi!» esclamò lei, quando mi vide.

«Ciao Kia» fece Lucas di rimando, alzando gli occhi dal giornale che aveva tra le mani.

«Ciao ragazzi» mormorai, gettando una rapida occhiata al tavolo.

Arianna non aveva nulla davanti a sé, ma notai che nel mezzo c'era un piatto ricoperto di briciole, ciò che rimaneva di qualcosa che i due dovevano aver fatto a metà. Sorrisi tra me e me: un'idea di Lucas, avrei potuto scommetterci.

Il ragazzo era del tutto preso dalla lettura e la cosa mi stupì. Non che avessi dei pregiudizi nei confronti degli sportivi ma, da quando lo avevo conosciuto, non avevo mai visto Lucas leggere nemmeno un libro di testo.

«Ti rendi conto? Aveva solo ventitré anni!» esclamò all'improvviso, dando un pugno sul tavolo.

Trasalii di colpo e Arianna dovette accorgersi della mia reazione.

«Ieri notte è morto un giovanissimo campione di basket» si affrettò a spiegarmi, indicando il giornale con lo sguardo.

«Non è semplicemente morto» la corresse Lucas, tutto infervorato. «È stato ammazzato! È molto diverso. Lo conoscevi, Kia?»

«Ehm... non credo» mormorai, un po' imbarazzata.

Lo sport ed io eravamo decisamente agli antipodi. Lucas, incurante della mia risposta, mi aveva avvicinato il giornale ed io inclinai la testa di lato per leggere il nome dell'atleta sul trafiletto, giusto per farlo contento. Kyle Marsh. Come immaginavo, non l'avevo mai sentito nominare prima.

«Ari, noi comunque pensavamo di ci avviarci in classe, perché non ne possiamo più di questa bolgia» aggiunsi, guardandomi attorno con aria eloquente. «Tu ci raggiungi dopo?» domandai, intuendo già la risposta.

La mia amica era del tutto presa da Lucas e quando annuì, lanciandomi un sorrisetto d'intesa, non me ne stupii affatto.

Lucas nel frattempo aveva ripreso a parlare del suo idolo e delle circostanze misteriose della sua morte ed era così preso dalla conversazione che, quando li salutai entrambi prima di allontanarmi, mi domandai se mi avesse sentito.

Beth ed Angie mi aspettavano all'uscita della mensa ed io affrettai il passo per raggiungerle, più che lieta di lasciarmi alle spalle quella confusione infernale.

 

Trattandosi del primo giorno di scuola dal rientro delle vacanze natalizie, il professor Anderson fu più che clemente con noi. Si limitò a correggere i compiti delle vacanze, senza andare avanti con il programma, con grande sollievo di tutti, tranne per chi in quei giorni se l'era spassata senza aprire un quaderno.

Mentre il professore procedeva a ritirare i temi sull'età vittoriana, lanciai un'occhiata a Night, uno dei suddetti. Chino sul banco, aveva un'aria più torva del solito e non aveva fatto un solo commento su Angie dall'inizio della lezione. Inarcai un sopracciglio. Decisamente molto strano.

In compenso intavolò una discussione con il professor Anderson, quando questi scoprì che non aveva portato a termine nemmeno un compito tra quelli assegnati. Dopo averlo mandato a quel paese senza mezzi termini, il ragazzo si alzò bruscamente e uscì dalla classe sbattendo la porta, tra le acclamazioni dei compagni.

Il professor Anderson si limitò ad un sospiro, prima di riprendere il suo giro fra i banchi.

«Ha una brutta giornata» mormorò Shadow, accanto a me.

Mi voltai verso di lui, non sapendo come interpretare il suo tono neutro. Era la prima volta che mi rivolgeva la parola dal rientro e mi ricordai in un lampo che l'ultima scena a cui aveva assistito era stato il mio teatrale bacio con Luke, al ballo scolastico.

Tossicchiai, vagamente imbarazzata. 

«Mi dispiace» dissi poi, non sapendo bene neanch'io a chi dei due mi stessi riferendo.

Per tutta risposta, Shadow fece un sorriso mesto.

«Ti va se dopo ci vediamo?» gli chiesi di getto. «Ho bisogno di parlarti.»

Shadow sgranò gli occhi, non facendo nulla per mascherare il suo stupore.

«Va bene» disse infine, distogliendo lo sguardo da me per puntarlo sul professor Anderson, appena tornato alla cattedra.

Sorrisi tra me e me e tirai un sospiro di sollievo, lieta che avesse accettato. Ero stanca di fuggire dalle mie responsabilità. Non potevo più tergiversare: era ora di affrontare quella questione una volta per tutte. Ero stata io ad illudere Shadow e toccava a me, se non rimediare, almeno dargli una spiegazione. Gliela dovevo.

Cercando di sgombrare la mente tanto da Shadow e il suo sorriso gentile quanto da Luke e il suo tocco quella notte alla fattoria, mi sforzai senza troppo successo di seguire il resto della correzione.

 

«Ma che gli è preso a Night, stamattina?» fece Beth, quando più tardi ci recammo in camera prima della pausa pranzo.

Non mi sfuggii l'aria vagamente colpevole che aveva assunto Angie, la quale cercava con scarso successo di non darla a vedere, mentre sistemava con noncuranza i disegni della sua cartella, sparsi sul letto e sul pavimento.

«Angie, devi forse dirci qualcosa?» domandò Arianna non finta noncuranza. Anche lei doveva aver notato il repentino cambiamento della ragazza.

«Io? Nulla» fece lei per tutta risposta.

Era da cinque minuti che continuava a giocherellare con il solito disegno e le sue guance si erano fatte color porpora.

«Angie» dissi, parandomi di fronte a lei, le mani sui fianchi.

La ragazza levò gli occhi al cielo, facendo un sospiro di resa. «Ok. Penso sia colpa mia» disse tutto d'un fiato.

Vedendo che noi aspettavamo che continuasse, anche se visibilmente controvoglia, ci raccontò con dovizia di dettagli tutto quello che era successo la notte del compleanno di Arianna e, ancora prima, a casa di Night.

«Non. Posso. Crederci» mormorò Beth in trepidazione, quando Angie ebbe finito.

Si lanciò sul letto addosso alla ragazza, strappandole un urlo.

«BETH! I MIEI DISEGNI!»

«Oh Angie, ma ti rendi conto? Night si è dichiarato!» Beth non riusciva a contenere l'eccitazione. «Un duro come lui ti ha espresso i suoi sentimenti! Oddio, è così romantico!»

Dopo aver mollato la presa sulla ragazza, Beth prese a rotolarsi sul suo letto, in preda ad una delle sue overdose di romanticismo. Angie inorridì quando la vide passare sopra un paio delle sue opere, che finirono accartocciate sotto di lei.

«BETH!»

Angie aveva già i pugni serrati ed io mi feci avanti sul letto, affrettandomi a calmare Beth in modo più diplomatico.

«Allora» mormorai poi, rivolta ad Angie. «Cosa pensi di fare?»

«Gli devi una risposta» aggiunse Arianna, sedendosi a sua volta sul letto, dopo essersi fatta uno spazietto tra i disegni.

«So di dovergli dire qualcosa» rispose lei, lanciando un'occhiataccia ad Arianna. «Il problema è cosa

«Cosa provi» insistette Arianna, incurante dell'ostilità dell'altra. «È semplice.»

«Non è semplice, se non so cosa provo!» sbottò Angie.

«Calma, ragazze» mormorai. «Immagino che per Angie non sia facile...»

«Dopotutto si tratta pur sempre di Night» commentò Beth, ripresasi dall'euforia.

«Ma devi fare un'analisi dei tuoi sentimenti» continuai. «Capire cosa provi davvero. La cosa migliore che puoi fare è essere onesta con lui.»

Angie annuì, pensierosa. «Certo che detto da te non è che sia molto credibile, visto quello che hai combinato con Shadow...» borbottò poi, dandomi una spinta scherzosa.

Levai platealmente gli occhi al cielo, facendole intendere che non me l'ero presa per quel commento. Dopotutto era la verità.

«Comunque» annunciai, schiarendomi la voce, «più tardi Shadow ed io parliamo.»

 

«Che cosa volevi dirmi?»

Shadow ed io procedevamo fianco a fianco lungo il vialetto, gremito di studenti. Nell'aria c'era un freddo pungente, ma era una rara giornata di sole e non eravamo stati gli unici ad approfittare della pausa pranzo per uscire un po' all'aperto.

Una miriade di pensieri confusi si rincorrevano nella mia mente. Avevo chiari i concetti che volevo comunicargli, ma non avevo ancora idea come li avrei espressi. Stavo infine per aprire bocca, quando intravidi due ragazze alzarsi da una panchina illuminata dai raggi del sole, sulla nostra destra.

«Ti va se ci sediamo, prima?» domandai, quindi, di getto.

Senza attendere risposta, mi avviai in quella direzione, imitata da Shadow.

Mi lasciai cadere sulla panchina e il ragazzo si sedette a sua volta. Aveva l'aria nervosa e teneva lo sguardo basso. Improvvisamente ricordai che in una panchina come quella, mesi e mesi prima, Shadow aveva tentato di baciarmi. Io lo avevo respinto, senza degnarlo di una spiegazione.

«Io sono fidanzata» proruppi.

Non era proprio così che avevo pianificato di iniziare, ma mi venne spontaneo riprendere da dove, tanto tempo prima, mi ero interrotta. Era come se fossimo tornati alla famosa sera della festa.

No, non era affatto così, realizzai, quando Shadow voltò di scatto la testa verso di me e mi inchiodò con i suoi occhi scuri.

«L'avevo notato» sibilò, glaciale. «È tutto quello che hai da dirmi?»

Deglutii. Troppe cose erano successe per poter semplicemente mandare indietro l'orologio e far finta di nulla.

«No, scusami» mormorai piano. «Ma questo era ciò che avrei dovuto dirti molto tempo fa.»

«E allora perché non l'hai fatto?»

Immaginavo che me l'avrebbe chiesto. Feci un respiro profondo.

«Perché mi piacevi» dissi infine, rompendo un silenzio che si era fatto infinito.

La tentazione era quella di non guardarlo in faccia, ma sapevo quanto fosse importante il contatto visivo in quel momento. Volevo che sapesse che ero sincera.

«Eri gentile e premuroso con me, a differenza del mio ragazzo. Sai, noi litighiamo spesso.»

«Al ballo però mi è sembrato che aveste fatto pace» commentò lui, tagliente.

Arrossii. «Sì. Ma...»

Sospirai, allentando la presa sulla mia mente, e lasciai che i pensieri fluissero liberi.

«Tu sei un ragazzo magnifico, Shadow. So che ti sembrerà stupido che io lo dica, ma lo penso sul serio» mormorai e sorrisi amaramente, vedendo che il ragazzo si era trattenuto a stento dal levare gli occhi al cielo.

Apprezzai il suo sforzo, anche se il gesto non mi era sfuggito.

«Il fatto è che non sei il ragazzo adatto a me.»

Shadow fremette, incapace di trattenersi. «E quel... Luke lo è? Angie mi ha detto che tipo è, come ti tratta.» Il suo sguardo era duro e addolorato al tempo stesso. «Meriteresti di meglio, Kia. Meglio di me, forse, e meglio di lui.»

Gli poggiai una mano sulla spalla e sorrisi.

«Potrei stare ore qui ad elencarti i suoi difetti» dissi sorridendo.

Shadow mi fissò senza capire.

«Ma sai perché li so a memoria? Perché in fondo sono esattamente i miei.»

Il ragazzo aprì la bocca per replicare, ma io lo anticipai.

«Ti ringrazio per la considerazione che hai di me, Shadow, ma non sono affatto perfetta come forse pensi che sia. Luke ed io siamo molto simili, sai? Siamo riservati, ci apriamo a fatica con gli altri e preferiamo nettamente la compagnia dei nostri cavalli a quella delle persone.»

Shadow non riuscì a trattenersi dal ridacchiare.

«Confesso che a volte la sua schiettezza mi ferisce. Il fatto è che conosciamo perfettamente i punti deboli l'uno dell'altra. Sa esattamente dove colpirmi.»

«Sì, ma... non è normale che il tuo ragazzo ti ferisca!» obbiettò Shadow. «Infatti eri attratta da me, no? Non sarebbe successo, se tu fossi stata davvero felice con lui.»

Sospirai. «Sì» ammisi. «Probabilmente mi sono sentita attratta da te anche per i tuoi modi.»

«Io sarei sempre così, Kia» mi interruppe lui. «Dopo quel tizio, meriteresti di essere davvero trattata come una principessa.»

Non riuscii a trattenere una smorfia. «Io... non è quello che voglio, Shadow.» Mi sforzai di trovare le parole giuste. «Lì per lì mi sono sentita lusingata dai tuoi modi, lo ammetto... ma mi conosco. Ci sono già passata.»

Ripensai confusamente a Jake, il ragazzo di Arianna, con cui anni prima avevo avuto una breve liaison, a come mi aveva fatto sentire... a come non lo rimpiangevo affatto.

«Non voglio qualcuno che mi veneri come una principessa. Voglio qualcuno che mi tratti come un suo pari.»

Shadow incassò il colpo senza dire una parola. Avrei potuto anche dirgli che, nonostante i suoi modi fossero gentili, eravamo caratterialmente gli opposti l'uno dell'altra: lui era curioso al limite della ficcanasaggine, socievole e chiassoso, e alla lunga tra noi non avrebbe mai funzionato. Ma a quel punto mi sembrava inutile rigirare il coltello nella piaga.

Il ragazzo infatti era visibilmente giù e fissava dritto davanti a sé, evitando di guardarmi.

«Mi dispiace, Shadow» dissi piano, accarezzandogli una spalla.

Temevo che avrebbe reagito in malo modo, ma lui non si mosse, come se non mi avesse neanche sentito. Capii che in quel momento c'erano solo lui e il suo dolore. E che io ero di troppo.

«Ti lascio solo» mormorai, anche se sapevo che non avrei ricevuto risposta.

Il ragazzo non aveva ancora mosso un muscolo. Mi alzai lentamente in piedi, lanciandogli un'ultima occhiata, e percorsi il vialetto diretto all'ingresso come un automa, trascinando i piedi sul selciato.

Intorno a me, i ragazzi che chiacchieravano e ridevano, di cui poco prima mi ero sentita parte, erano diventati insopportabili da vedere.

Proseguii a capo chino ed ero già a metà degli scalini che conducevano alla porta d'ingresso, quando non riuscii a trattenermi dal rivolgere un altro sguardo alla panchina.

Shadow era ancora lì.

****

Angie fissò la porta della camera numero diciotto ed inghiottì a vuoto, restia a compiere quell'ultimo, fatale passo.

Restia a tal punto che se ne stava lì ferma da almeno venti minuti e si era guadagnata diverse occhiate perplesse da parte degli studenti che facevano avanti e indietro lungo il corridoio. Angie aveva risposto a quegli sguardi interrogativi con un'espressione che aveva fatto saggiamente capire loro che forse era meglio non impicciarsi negli affari altrui.

Angie sollevò una mano e la strinse a pugno, una volta tanto non per colpire Night in pieno volto, ma solo per bussare alla sua porta. Qualcosa dentro di sé, però, le impedì di sfiorare il legno e la ragazza lasciò cadere la mano lungo il fianco con un sospiro.

Aveva saputo da Shadow che, dopo il litigio con il professor Anderson, Night si era chiuso in camera sua e non era più uscito da allora. Visto l'andazzo, Angie immaginava che il ragazzo avrebbe saltato anche le lezioni pomeridiane: se voleva agire, doveva farlo subito. Solo che non era così certa di volerlo fare.

Se avesse compiuto quel passo, realizzò Angie, non sarebbe più potuta tornare indietro. Non sarebbe stata più credibile, se avesse continuato a dire di odiarlo e di non poter sopportare la sua presenza. Ma forse, dentro di sé, si rese conto Angie, non aspettava altro: era stanca di quel teatrino.

Oh, al diavolo.

Angie sollevò una mano e tamburellò con le dita sulla porta della camera. Un suono lieve, un gesto affettato che quasi mal si addiceva ad una come lei.

Dall'altra parte della stanza, silenzio.

La ragazza non si diede per vinta e riprovò, stavolta tamburellando un po' più forte. Niente.

Le dita di Angie iniziavano a formicolare per l'irritazione. Bussò ancora una volta senza ottenere risposta. Dentro di sé, la ragazza tentava di controllarsi, ma cominciava a perdere la pazienza.

'fanculo il tamburellio.

Diede uno, due, tre colpi alla porta a mano aperta come se stesse picchiando un cristiano.

«NIGHT, APRI QUESTA CAZZO DI PORTA!» berciò, dopo essersi abbattuta sulla porta come un toro alla carica.

Non le sfiorò neanche per la mente il pensiero che il ragazzo poteva non trovarsi lì. Sapeva che la stava solo ignorando di proposito.

Continuò a colpire la porta e i ragazzi che passavano stavolta non si limitarono più ad occhiate incuriosite, ma a veri e propri sguardi terrorizzati.

Alla fine, anche se indistinti per via del rumore che stava facendo, sentì dei passi dall'altra parte e poi una serratura scattare.

«Oh, finalmente» borbottò, staccandosi infine dalla porta e facendo un passo indietro.

Night fece capolino sulla soglia e ad Angie, malgrado il nervoso, mancò il fiato per un attimo nel vedere com'era conciato: aveva il viso cinereo distorto in una smorfia e gli occhi iniettati di sangue. Neanche dopo avergliele suonate di santa ragione lo aveva mai visto con quella brutta cera.

Angie deglutì. Viste le circostanze eccezionali, fu sul punto di chiedergli il permesso di entrare, ma poi intravide uno spiraglio tra la porta e il ragazzo e decise di saltare i convenevoli. Li aveva sempre odiati.

«No ma, prego, fa' pure» fu il commento di Night, quando lei si intrufolò senza tante cerimonie all'interno della stanza, dove la accolse il buio più completo: le luci erano spente e le spesse tende color bottiglia erano tirate, impedendo al sole di filtrare all'interno.

Angie si voltò verso la lama di luce disegnata dalla porta rimasta aperta, davanti alla quale si stagliava la figura di Night, che la fissava a braccia incrociate.

«Potresti accendere la luce?» mormorò lei, in tono di sufficienza. «E, per la cronaca, come depresso non sei molto credibile.»

Un lungo sospiro seccato fu tutto ciò che ottenne come risposta, seguito dal click dell'interruttore.

Angie sorrise soddisfatta quando le lampade sul soffitto illuminarono la stanza, immersa, come al solito, nel caos più totale. Si lasciò cadere sul letto di Night, lo sguardo rivolto verso il ragazzo, che la fissava a sua volta, poggiato contro lo stipite della porta.

«Che ci fai qui?» proruppe lui, in tono inafferrabile.

Angie prese a giocherellare con uno dei suoi ricci biondi. Quella sì che era davvero un'ottima domanda, di cui neanche lei era sicura di conoscere la risposta.

«Volevo...» Si incespicò, maledicendosi fra sé. «Volevo vedere come stavi.»

Night le scoccò uno sguardo scettico. «Come sei premurosa. Nel caso non l'avessi notato, sto male. E di solito le persone, quando stanno male, vogliono stare da sole. Ma so che questo pensiero non ti ha neanche sfiorata...»

Angie non poté fare a meno di sogghignare. «No, neanche sfiorata.»

Sul volto devastato di Night comparve per un attimo l'ombra di un sorriso. «Non avevo dubbi.»

Tra i due calò uno strano silenzio. Angie sapeva che stava a lei romperlo. Night la fissava come in attesa e sembrava stare in piedi a fatica, mentre si puntellava con la schiena contro la porta.

La ragazza prese un grosso respiro, come prima di un tuffo. «Io... ho pensato a quello che mi hai detto l'ultima volta.»

Era pronta a qualsiasi reazione, soprattutto con il ragazzo in quelle condizioni ma, a quanto pareva, aveva conservato qualche energia appositamente per farla infuriare.

Night infatti sollevò il capo con aria studiata e, contro ogni previsione, le rivolse un'occhiata platealmente confusa.

Angie ribollì: si vedeva da lontano un miglio che il ragazzo lo stava facendo di proposito. Voleva davvero che gli ripetesse la loro ultima – imbarazzante – conversazione? Certo che lo voleva, glielo leggeva nello sguardo, così falso mentre faceva finta di non sapere di cosa la ragazza andasse blaterando.

Questa me la paghi.

Trattenendosi a stento dal saltargli addosso, Angie emise un sospiro di resa. «Al compleanno di Arianna» disse poi, a denti stretti. «Quando mi hai chiesto se il nostro rapporto mi andava bene così, quando tu...»

«Ah, già!» Night parve riscuotersi tutto d'un colpo. «Giusto, prima che tu mi buttassi nel fiume.»

«È stato un incidente» sibilò lei, sentendo l'irritazione montare, ma si impose di mantenere una parvenza di calma.

Sarebbe stata un'impresa. Ogni volta che cercava di arrivare al punto, finiva fuori strada per controbattere ai commenti odiosi del ragazzo, mentre la rabbia si agitava dentro di lei come un mare in burrasca.

Chiuse gli occhi ed inspirò a pieni polmoni, cercando di acquietare la tempesta che infuriava dentro di lei.

«Comunque no. Non mi va bene così» mormorò poi, quasi in un sussurro, indicando lo spazio vuoto tra di loro con lo sguardo e con esso tutti gli insulti, i pugni e gli schiaffi che erano volati tra quelle mura. «Anche se è dannatamente difficile non picchiarti, se continui a fare lo stronzo e non mi lasci parlare.»

Il ragazzo non aveva ancora detto una parola.

Angie alzò lo sguardo su di lui con una certa trepidazione, temendo un'altra reazione grondante sarcasmo, ma tutto ciò che vide fu l'espressione distesa che Night aveva assunto e soprattutto le sue mani, alzate in segno di resa.

«Grazie» mormorò lei, travolta da una nuova ondata di sicurezza. «Vedi? Da depresso sei quasi una persona ragionevole.»

Night tentò con scarso successo di nascondere una risata ed Angie si ritrovò a sorridere.

Osservò il ragazzo di sottecchi. Era di nuovo in silenzio e, nonostante la ragazza non si considerasse granché perspicace, era piuttosto evidente che in quel momento stesse facendo appello a tutto se stesso per non crollare: lo vedeva dallo sguardo inquieto, dal fatto che continuava a spostare il peso sui piedi e che le gambe non sembravano reggerlo e continuava a scivolare in basso, prima di rimettersi contro la porta con un sospiro. Angie non avrebbe saputo dire che cosa gli stesse passando per la testa ma, di qualsiasi cosa si trattasse, in quel momento era lì con lei e non l'aveva cacciata ma, anzi, era in attesa che lei lo degnasse di una qualche spiegazione. Il minimo che gli doveva era la verità. Così Angie scavò a fondo in se stessa, gli piantò gli occhi in faccia e gliela disse tutta d'un fiato.

«Neanche io so cosa provo, Night. Non sono mai stata brava in questo genere di cose. L'unica cosa di cui sono sempre stata certa è che ti detestavo.» Ignorò l'occhiataccia che lui le rivolse e proseguì, ritrovandosi ad arrossire, rendendosi conto di quel che stava dicendo. «Solo che non lo so più nemmeno io, perché... perché a volte non vorrei picchiarti, ma baciarti.»

Angie si interruppe di colpo. Night aveva sgranato gli occhi e la stava fissando con autentico stupore.

«Magari picchiarti e poi baciarti» si corresse subito lei. «Non sono così sicura di volere solo guerra fra noi. Voglio una tregua.»

Night sbuffò, vagamente divertito. «È un modo originale per dirmi che vuoi una relazione?»

«Una tregua» precisò Angie.

«Tregua» ripeté Night lentamente, come gustando il sapore della parola sulle labbra. «Mi piace.»

Si fronteggiarono in silenzio, i loro occhi agganciati. Nello sguardo che si scambiarono c'era tutto quello che l'uno suscitava nell'altro. Irritazione, divertimento, rabbia, desiderio.

Ma, ricambiando quello sguardo, Angie seppe solo una cosa e, contro ogni previsione, quella consapevolezza non la infastidì affatto. Anche se, ovviamente, non l'avrebbe ammesso neanche sotto tortura.

Seppe che, tregua o no, quell'odioso individuo lì davanti era appena diventato il suo ragazzo.

****

Credevo che chiarire con Shadow mi avrebbe liberata da un peso, o almeno così speravo, ma nel vederlo di nuovo, durante la lezione di ginnastica di quel pomeriggio, scoprii di non sentirmi affatto sollevata.

Il ragazzo sembrava essersi ripreso dall'apatia, ma era comunque visibilmente giù, mentre si affrettava rassicurare i suoi amici, che gli chiedevano con una certa apprensione se fosse tutto ok.

Sapere che la causa del suo malessere ero io mi divorava, tanto che continuavo a lanciargli delle fugaci occhiate, che lui faceva di tutto per evitare.

Se non altro, però, Night era rispuntato e mi sembrava di umore migliore rispetto a quel mattino. Anzi, notai una certa complicità tra lui ed Angie, nonostante gli insulti volassero tra loro come pioggia. Sì, segno che Night era decisamente tornato in sé. Lanciai uno sguardo interrogativo ad Angie e lei mi sillabò un "dopo" senza voce, facendo un sorrisetto.

«Qualcuno qui è riuscito a fare chiarezza nei suoi sentimenti...» mi bisbigliò Arianna, ammiccando verso i due ragazzi, mentre iniziava a correre per il riscaldamento insieme al resto della classe.

Quel giorno la Cooper aveva deciso di farci fare ginnastica nel campetto all'aperto, approfittando della bella giornata.

Io ridacchiai, affrettandomi a seguire Arianna, ma dopo sei metri avevo già il fiatone. La ragazza invece, malgrado la magrezza impressionante, saltellava come uno stambecco, la lunga coda di cavallo che le sventolava sullo schiena mentre raggiungeva Lucas nel giro di due falcate.

Li fissai strabuzzando gli occhi. Erano così perfetti, così atletici.

In quel momento sentii più che mai la mancanza di Beth, che quel giorno, d'accordo con tutte noi, aveva deciso di saltare la lezione di ginnastica. L'avevamo coperta con la Cooper, dicendole che la nostra amica si sentiva poco bene, mentre lei sarebbe andata alla ricerca di John. In condizioni normali avrei disapprovato quel comportamento ma, visto tutto quello che era successo alla festa di Arianna e non avendo più sentito il ragazzo da allora, era comprensibile che Beth volesse parlare con lui.

Se pensavo a ciò che la mia migliore amica mi aveva raccontato, mi sentivo travolta da emozioni contrastanti: ero davvero felice per lei, che era palesemente cotta del ragazzo, ma allo stesso tempo non riuscivo a fidarmi fino in fondo di John. Quel giorno non aveva fatto che evitarla e anche la conversazione che avevamo avuto il giorno della festa... non ne avevo fatto parola a Beth, non volendola turbare ulteriormente, sapendo quanto Lucy fosse ancora un nervo scoperto per lei, ma c'era qualcosa che mi sfuggiva.

Cercai di scacciare i sospetti e pregai che la mia amica se la cavasse, mentre cercavo di fare qualche altro metro senza crollare. Ero incerta sulle gambe e la testa mi girava, come se fossi appena scesa da una giostra.

«Kia?» Arianna, che nel frattempo aveva già compiuto tre giri, mi affiancò. «Ti senti bene? Sei un po' pallida.»

Mi accigliai. La mia pelle era bruna, quindi dovevo essere davvero pallida.

«Mi sento un po' debole» ammisi. «Ma lo sai che la corsa mi fa questo effetto.»

Lei mi fissò, senza fare nulla per mascherare il suo scetticismo. «Hai mangiato a pranzo?» mi chiese quindi in tono inquisitorio.

Sgranai gli occhi, ricambiando il suo sguardo sospettoso. Ci eravamo forse scambiate i ruoli? Avrei dovuto essere io a chiedere alla mia amica, che stava palesemente avendo dei problemi alimentari, se aveva mangiato oppure no, non certo il contrario! Ripensando però al nodo allo stomaco che avevo a pranzo, subito dopo aver parlato con Shadow, realizzai che quel giorno avevo a malapena toccato cibo.

Trattenendo un moto di irritazione, bofonchiai: «No. Non avevo molta fame.»

Lei mi fissò con l'aria di chi la sapeva lunga. «Ho notato. Faresti bene a riposarti, per oggi.»

Detto ciò, si allontanò correndo ed io scossi leggermente la testa, gli occhi fissi sulle gambe fasciate dalla tuta della ragazza, che parevano due stecchini. Quella ragazza era davvero incredibile, pensai, prima di realizzare che l'immagine di Arianna non mi appariva molto chiara. Puntolini bianchi simili a lampi avevano preso ad agitarsi davanti ai miei occhi.

Mi stropicciai le palpebre e accelerai il passo, cercando di raggiungere Arianna anche solo per non dargliela vinta. Ma, quando riaprii gli occhi, i puntini bianchi erano triplicati e riuscivo a malapena a vedere davanti a me.

La testa intanto aveva ripreso a girare e fui costretta a fermarmi per respirare. Abbassai lo sguardo sul terreno candido. Aveva nevicato?

«Kia...?»

Mi parve di sentire la voce di Angie vicino a me, ma potevo anche essermela solo immaginata.

Le forze mi abbandonarono di colpo e percepii il mio corpo accasciarsi a terra, tra le grida spaventate dei miei compagni di classe che divennero presto un leggero brusio, prima che tutto precipitasse nel buio.

****

Beth odiava saltare le lezioni.

Non era proprio da lei, ma si ritrovò a pensare che era già la seconda volta che marinava la scuola per colpa di John. Si trattava pur sempre di educazione fisica e difficilmente i suoi voti in quella materia avrebbero mai superato la sufficienza, ma era comunque piuttosto irritante.

Ma se c'era qualcosa di più irritante, quel giorno, era il comportamento di John nei suoi confronti. Dal compleanno di Arianna, non era passato giorno in cui Beth non avesse pensato al bacio che i due si erano scambiati. Aveva atteso un qualsiasi cenno di vita da parte del ragazzo, controllando il cellulare almeno duecento volte al giorno, ma lui non le aveva scritto.

Mai.

Non che fosse rimasta ad aspettare una sua mossa senza muovere un dito, nella convinzione che toccasse all'uomo compiere quel passo, nossignore. Beth era di larghe vedute.

Dopo una settimana di silenzio lo aveva chiamato lei, ma si era sempre imbattuta nella segreteria telefonica e, di volta in volta, la sua speranza che il ragazzo si facesse vivo si affievoliva sempre di più.

Era giunta alla conclusione che a John si fosse rotto il telefono.

Sì, era senz'altro questa la ragione per cui non l'aveva più chiamata.

Qualsiasi cosa pur di non pensare a quello che Kia le aveva ripetuto fin dal principio, quelle tre paroline che avevano provocato più di un litigio tra loro, di recente.

"Ti sta evitando."

Beth era pronta a scommettere che non era così e non vedeva l'ora di parlare con il ragazzo a voce: probabilmente era stata l'unica studentessa di tutto l'istituto ad aver atteso con impazienza il ritorno a scuola dalle vacanze.

Quella mattina non stava più nella pelle, al solo pensiero che finalmente avrebbe rivisto John.

Quando lo aveva intravisto in mensa e le erano tornate alla mente le emozioni che aveva provato la notte dei fuochi d'artificio, aveva avuto un tuffo al cuore. Aveva incrociato il suo sguardo con trepidazione ma, dopo un attimo, lui aveva distolto il suo, scomparendo nella folla di studenti che stavano uscendo dalla mensa.

Beth era rimasta pietrificata, gli occhi fissi sulla schiena del ragazzo, la consapevolezza che la colpiva in pieno volto come lei stessa aveva fatto con una fetta di torta sul viso di John, molti mesi prima.

"Ti sta evitando".

Si erano di nuovo incrociati durante la pausa pranzo e Beth aveva fatto per rivolgergli la parola, ma ancora una volta il ragazzo l'aveva degnata a malapena di uno sguardo.

Non poteva più negare l'evidenza. Da lì, la decisione.

Dopo aver scoperto per vie traverse che quel pomeriggio John sarebbe stato in aula musica a studiare, Beth aveva deciso di raggiungerlo lì.

Le sue amiche l'avevano coperta con la Cooper, dicendole che lei si sentiva poco bene, così attese pazientemente sotto le coperte che la bidella – mandata dalla professoressa a controllare che fosse la verità – venisse a farle visita e poi sgattaiolò fuori dalla sua stanza, diretta in aula musica.

Dato che tutti avevano lezione a quell'ora, i corridoi erano deserti. Beth li attraversò a passo rapido ma non troppo, così da poter essere scambiata per una qualsiasi studentessa che stesse tornando dai bagni e non sembrare troppo sospetta.

Non era mai stata in aula musica, che si trovava nell'ala opposta rispetto a dov'era situata la sua classe e, quando mise piede sulla soglia, per un attimo fu distratta dalla magnificenza di quel luogo.

Non era molto grande, forse anche per via degli strumenti che, poggiati al muro, venivano avanti sul pavimento fino a coprirne praticamente ogni centimetro quadrato, come una valanga scintillante, illuminata dalla luce che filtrava da un'ariosa finestra a parete.

Beth si guardò intorno, riconoscendo violini, batterie, pianoforti e, in un angolo, anche un sintetizzatore. Pile di sedie erano a loro volta accatastate contro la parete ma, anziché procedere in orizzontale come gli strumenti, svettavano in alto verso il soffitto, come torri di un gioco di costruzioni. Qua e là, scaffali traboccanti di spartiti.

In condizioni normali avrebbe volentieri curiosato in giro, ma quel giorno aveva un unico obbiettivo, che individuò immediatamente, seduto in un angolo dell'aula, con la chitarra fra le braccia.

Non era solo, notò Beth dopo un momento, vedendo che, impegnati anch'essi nello studio, c'erano una ragazza bionda che suonava il flauto traverso e un ragazzo magro chino su un violoncello grande il doppio di lui. Dopo averci riflettuto un secondo, Beth decise che non le importava nulla della loro presenza.

«John» mormorò quindi, avanzando a grandi passi nella sua direzione.

Tre paia d'occhi si voltarono di colpo a fissarla, ma solo uno contava per lei.

Dopo aver alzato la testa di scatto ed averla riconosciuta, John non fece alcunché per nascondere un'espressione colpevole. Il suo sguardo vagò da una parte all'altra della stanza, come alla ricerca di una via di fuga. Lanciò un'occhiata disperata prima ai due ragazzi nella stanza e poi alla finestra a parete dietro di lui, prima di tornare a guardare Beth, dopo aver probabilmente compreso che il suicidio non fosse esattamente l'opzione più saggia.

«Che ci fai qui?» domandò, facendosi piccolo piccolo mentre stringeva convulsamente la chitarra tra le braccia, come volesse nascondervisi dietro.

Beth si piantò davanti a lui, il leggio sul quale il ragazzo stava studiando di fianco a lei. Gli lanciò un'occhiata fugace: erano gli accordi di "Light My Fire".

«Voglio solo sapere perché continui ad evitarmi» disse, tornando a fronteggiare il ragazzo.

Sentì che la ragazza bionda li stava guardando e, voltandosi nella sua direzione, vide che stava fissando John scuotendo leggermente la testa. Quando incrociò lo sguardo di Beth, la flautista abbassò subito gli occhi.

«Io?» fece John, come se Beth avesse appena detto un'assurdità. «Io non ti sto evitando!»

La ragazza si mise le mani sui fianchi con un gesto minaccioso. «Andiamo John, per favore. Non sono stupida. Oggi sei fuggito due volte, quando ho fatto per avvicinarmi, e adesso sembrava che tu volessi buttarti dalla finestra pur di non parlarmi.»

Udirono un risolino alle loro spalle e si voltarono all'unisono verso il violoncellista, che si affrettò a tramutare il riso in un colpo di tosse mentre abbassava gli occhi sullo spartito.

«Io non capisco» ammise poi Beth, rivolgendo al ragazzo uno sguardo più conciliante. «Cosa dovrei pensare?»

John non la stava guardando e a Beth la cosa non piacque per niente. Quando infine il ragazzo alzò gli occhi su di lei, fu percorsa da un brivido.

Gli occhi neri come schegge che la stavano osservando, infatti, appartenevano al John che le rispondeva sgarbatamente e la chiamava "mocciosa", non al ragazzo gentile che l'aveva baciata alla festa di Arianna.

«Non devi pensare nulla.» Anche la sua voce si era fatta di schegge, che perforarono Beth senza alcun preavviso, facendola sussultare. «Cosa ti aspettavi, che sarei venuto a portarti un mazzo di rose e a farti mille moine? È stato solo un bacio, Beth.»

Un tintinnio ruppe il silenzio di tomba che era calato fra di loro. Con la coda dell'occhio, Beth vide il violoncellista chinarsi a raccogliere l'archetto che gli era caduto a terra con un altro colpetto di tosse.

Beth era stordita. Dovette sbattere le palpebre un paio di volte per assicurarsi di non stare sognando. Che John, il quale adesso aveva ripreso a fissare il pavimento come se sperasse intensamente che un buco si aprisse ai suoi piedi e lo inghiottisse, non avesse davvero detto quello che aveva sentito.

Il dolore la colpì dritta in faccia come un ceffone. Ma inghiottì le lacrime e strinse i pugni, lasciando che per una volta fosse la rabbia a prendere il posto della delusione. La percepì dentro di sé come una miccia a cui John aveva appena dato fuoco e decise di assecondarla.

Light My Fire, eh?

«Solo un bacio?» ripeté, la voce più alta di un'ottava.

John le lanciò un'occhiata di sottecchi, forse intuendo che le cose si stavano mettendo male. Ricambiando il suo sguardo che mandava lampi, dovette capire di averci preso.

Beth vide i suoi occhi mandare una muta richiesta d'aiuto sui musicisti dietro di lei ma, a giudicare da come continuarono a suonare come se nulla fosse, quelli dovevano aver capito che non era il caso di mettersi in mezzo.

«SOLO UN BACIO?»

Onde evitare di saltare direttamente al collo di quel disgraziato, Beth si accanì contro la cosa che aveva più vicina a lei dopo il ragazzo.

Il leggio.

Afferrò a piene mani gli spartiti e li fece a brandelli, beandosi del suono della carta che si lacerava. Non fu contenta finché tutti i fogli non furono ridotti in coriandoli e a quel punto li lanciò addosso a John, che prese a toglierseli freneticamente dalla faccia, con movimenti convulsi che a Beth parvero anche un po' ridicoli, dato che in fin dei conti si trattava di carta.

Con gli spartiti che si agitavano come cenere ai suoi piedi, Beth brandì il leggio a due mani, come un'arma. John si affrettò a nascondere la chitarra dietro la schiena, ma non era a lui che Beth puntava.

«VOI!»

Si voltò minacciosamente verso i due musicisti che, non appena capirono di essere nel mirino della ragazza, abbandonarono in fretta e furia i loro strumenti e scattarono verso la porta.

«COSA DEVE FARE UNO PER AVERE UN PO' DI PRIVACY?»

Abbassò il leggio a terra con il fiato corto. Si sentiva svuotata ed era una sensazione del tutto nuova e liberatoria, in cui si immerse completamente, prima di voltarsi per fronteggiare il ragazzo un'ultima volta.

«Lo sai, John?» mormorò, lentamente. «Per me non era solo un bacio.» Si interruppe, ripensando a quanto quelle parole l'avessero lacerata. «Se avevi solo voglia di divertirti... be', potevi fare a meno di illudermi. Paga qualcuno, va' da Annie. Penso che non aspetti altro.»

Al nome della ragazza, come una parolina magica, John sussultò ed alzò infine gli occhi su di lei, tremante. La sua espressione era un mistero per Beth. Non poteva credere che quello sguardo combattuto appartenesse al ragazzo che poco prima le aveva parlato in modo così sprezzante.

A Beth parve di scorgere del dolore, scavando a fondo in quei pozzi di petrolio liquido, ma forse era solo suggestione.

«Io... mi dispiace, Beth.» John sospirò, lasciando la ragazza sbalordita. La sua voce era quasi un sussurro, mentre tentava con scarso successo di mettere insieme i suoi pensieri. «Io non pensavo davvero... ti evitavo... ma il fatto è che... c-che non sapevo come dirtelo...»

«Dirmi cosa?» domandò Beth precipitosamente.

Avrebbe voluto che la sua voce suonasse distaccata, ma la verità era che pendeva dalle sue labbra. C'era qualcosa di non detto fra loro, più ingombrante del pianoforte di quella stanza, e Beth moriva dalla voglia di sapere cos'era.

La ragazza inseguì John con lo sguardo, finché lui non cedette. E lo disse.

E, malgrado la rabbia, l'essersi svuotata e tutto il resto, per Beth fu un calcio nello stomaco.

«Durante le vacanze è successo qualcosa con Annie.»

****

Da quando era caduta di nuovo nel baratro della sua malattia, Arianna aveva ripreso l'abitudine di osservare le persone mentre mangiavano.

C'era del masochismo in tutto ciò, dal momento che lei a malapena toccava cibo. Ma guardare le sue amiche portarsi la forchetta alla bocca, masticare di gusto e deglutire, tra una risata e l'altra, come se per loro il gesto di mangiare fosse così naturale e spensierato, come se il cibo fosse l'ultimo dei loro pensieri, in un certo senso era appagante. Fissandole intensamente, poteva quasi riuscire ad immaginare di essere lei a farlo.

Così continuava ad osservarle di sottecchi, con un misto di invidia e ammirazione. 

E fame.

Per questo, quando aveva visto Kia rifiutare di pranzare, quel giorno, aveva subito immaginato che la lezione di ginnastica di quel pomeriggio per lei sarebbe stata più dura del solito.

Stupida, stupida Kia.

Sapeva che il comportamento dell'amica aveva poco a che fare con l'anoressia e molto a che fare con Shadow, ma il risultato era lo stesso: il corpo di Kia non era abituato al digiuno, mentre Arianna aveva ormai trovato un equilibrio tra le poche calorie che ingurgitava e quelle che le servivano per rimanere in piedi e fare movimento. E farle bruciare ciò che aveva mangiato.

Lei ed Angie avevano accompagnato insieme Kia in infermeria, dopo che la loro amica era svenuta di fronte a tutta la classe.

L'infermiera le aveva rassicurate sullo stato di salute della ragazza, ma le aveva mandate via senza tante cerimonie, dicendo che Kia aveva bisogno di riposo.

Erano quindi tornate in palestra con l'umore sotto i tacchi e, al termine della lezione, quando Lucas le aveva proposto di rimanere nel campetto a fare qualche tiro, lei aveva annuito.

In fin dei conti, un po' di movimento equivaleva a qualche altra caloria bruciata.

Arianna scosse la testa. No. Aveva acconsentito per stare in compagnia di Lucas. Se lo ripeté un altro paio di volte nella testa per auto convincersene.

«Arianna!» La voce del ragazzo la riportò bruscamente alla realtà. «Ci sei?»

Riscuotendosi, Arianna gli fece un cenno affermativo in risposta.

Strinse il pallone fra le mani e si lanciò verso il canestro, mentre Lucas cercava di placcarla.

Il biondo era grosso il doppio di lei, ma Arianna era molto più agile. Scartò di lato per evitare il ragazzo e riprese a correre per non farsi raggiungere di nuovo da lui, che era già alle sue spalle. Puntando il canestro, spiccò il salto dopo i tre passi e lanciò. Il pallone mancò il cestello per un soffio.

«Uffa» sbuffò, mentre il pallone rimbalzava a terra con un tonfo, voltandosi a fissare Lucas con espressione corrucciata.

Il ragazzo fece un sorriso divertito. «Sei stata brava, comunque.»

Era vero. Grazie ai consigli di Lucas, in quei mesi Arianna era migliorata giorno dopo giorno nella pallacanestro, ma sapeva che il sorriso del ragazzo era dovuto ad altro. Si era messo in testa di volerla aiutare con i suoi problemi e, malgrado il tarlo che aveva in testa continuasse a tormentarla, dicendole in tono perentorio cosa fare e soprattutto cosa non mangiare, Lucas si stava dimostrando abile, molto più di quanto lei avrebbe creduto.

Era tornato molto spesso a trovarla, durante le vacanze natalizie, e a scuola aveva continuato ad attenersi al piano che aveva messo in atto a casa di suo zio.

Lucas era ferrato almeno quanto lei nell'alimentazione e, facendola muovere tutto il tempo, sapeva bene quanto lei che dopo avrebbe avuto molta più fame del solito e sarebbe stata molto più incline a cedere.

Quand'erano a tavola, poi, il ragazzo faceva di tutto per distrarla, tentando di far passare sempre il cibo in secondo piano.

Ma più di tutto, il modo in cui le stava facendo vivere lo sport. Non era più un mezzo attraverso il quale bruciare più calorie, quand'era in sua compagnia: mentre stava giocando con Lucas, il pensiero di quanto stava consumando pian piano perdeva significato. Arianna si divertiva sul serio.

«Riproviamo?» propose lui lanciandole il pallone, che aveva appena recuperato.

«Va bene.»

Arianna lo afferrò al volo e riprese posizione, mentre Lucas la osservava di sottecchi.

Quando si mosse verso il canestro, Lucas fu rapido ad intercettarla, ma stavolta Arianna non fu altrettanto veloce nell'evitarlo e presto il ragazzo le fu addosso.

Scartando bruscamente per allontanarsi da lui, la ragazza perse il controllo sul pallone, che le sfuggì tra le mani durante il palleggio. Lucas se ne impadronì subito e si diresse con sicurezza verso il suo canestro.

Arianna gli corse dietro, ma aveva il fiatone, provata com'era da quell'ora e mezzo di attività fisica, e nulla poté quando il ragazzo centrò il canestro senza alcuna difficoltà.

Arianna batté le mani con scarso entusiasmo. «Bravo, bravo» borbottò ironicamente.

Ma doveva immaginare che Lucas, come al solito, non avrebbe capito il suo sarcasmo. Credendo che lei si stesse sinceramente complimentando con lui, il ragazzo le lanciò un'occhiata da seduttore contro e poi prese a pavoneggiarsi con il pallone.

Palleggiava apparentemente senza alcuno sforzo, malgrado il peso del pallone da pallacanestro, prima con un piede e poi con un altro. Di tanto in tanto sollevava lo sguardo verso di lei, giusto per assicurarsi che la ragazza lo stesse guardando.

Dopo una decina di minuti di quell'esercizio, Arianna forse pensò che fosse il caso di dire qualcosa.

Tossicchiò leggermente. 

«Wow. Sai palleggiare..!» disse poi, non riuscendo a trattenere un tono da presa in giro. Tanto sapeva che al ragazzo sarebbe sfuggito anche quello.

«Oh, non hai visto nulla» fece infatti Lucas, il volto teso per la concentrazione. «Mi passi il pallone da calcio?»

Arianna si limitò a scuotere la testa con aria rassegnata, mentre faceva come Lucas le aveva chiesto.

Avevano lasciato la sacca con i palloni a bordo campo e, dopo averlo raggiunto, la ragazza si chinò a cercare il pallone da calcio. Non trovandolo, ipotizzò che fosse rimasto dentro la palestra, e si accontentò di quello da pallavolo. In confronto a quello da basket, grande e pesante il doppio, le parve leggero come una piuma quando lo ebbe fra le mani.

Si voltò verso Lucas che, preso dall'esercizio, continuava a palleggiare come se nulla fosse.

«Arriva!» gridò Arianna, lanciandogli il pallone.

Lucas alzò finalmente lo sguardo da terra ed intercettò la palla, allungando una gamba per prenderla con il piede e, immaginò la ragazza, riprendere poi a palleggiare.

Si rese conto dopo un momento che Lucas, come lei poco prima, non doveva aver messo in conto la leggerezza del nuovo pallone, soprattutto dato che non si trattava di quello da calcio, e inorridì.

«Atten...»

Troppo tardi. Il ragazzo abbassò rapidamente il piede e lo prese al volo ma, come Arianna aveva previsto, il ragazzo non aveva tenuto in conto la leggerezza della palla e, a quanto pareva, neanche lo slancio che ci aveva messo.

Invece di palleggiare, il ragazzo finì per calciarla dritta davanti a sé.

Sotto gli occhi orripilati di Arianna, il pallone descrisse una lunga circonferenza in aria e rimase sospeso per quella che alla ragazza parve un'eternità, prima di schiantarsi contro una delle finestre dell'istituto.

Il rumore dei vetri infranti continuò a riecheggiare nelle orecchie di Arianna anche molto dopo che la palla era scomparsa alla loro vista.

I due ragazzi fissarono come in trance il buco creatosi nella finestra, per poi abbassare lo sguardo e scambiarsi un'occhiata.

«Cazzo» disse Lucas, rompendo il silenzio.

Non lo aveva esclamato anche Arianna solo perché era fin troppo signorile per imprecare ad alta voce, ma dentro di sé l'aveva pensato anche lei.

«Scappiam...»

A Lucas la voce si strozzò in gola. I suoi occhi fissavano un punto oltre la sua spalla.

Arianna seguì il suo sguardo e si voltò di scatto, giusto in tempo per vedere Gérard dirigersi a passo di carica verso di loro, gli occhi ridotti a due fessure ed i pugni serrati.

Arianna deglutì a vuoto.

Ora sì che erano nei guai.

****

Quando ripresi conoscenza, la prima cosa che misi a fuoco fu il volto arcigno dell'infermiera sopra di me.

Boccheggiai e d'istinto feci per arretrare, ma la mia schiena poggiò subito contro la testiera del lettino su cui ero distesa.

«Calo di zuccheri» disse lei in tono monocorde.

Se anche si era resa conto di avermi quasi fatto prendere un infarto – mi ci mancava solo quello – l'infermiera, con il volto annoiato di chi non vedeva l'ora che il suo turno finisse, non lo diede a vedere.

«Come ti senti?»

Feci dei profondi respiri per riprendermi dallo spavento e riflettei sulla domanda. Avevo la bocca impastata, mi sentivo intontita e...

«Mi fa male la testa» borbottai, massaggiandomi le tempie.

«Immagino» disse lei, sempre con quel tono che avrei trovato straordinariamente adatto per un elogio funebre. «La tua amica, quando ti ha portata qui, mi ha detto che non hai mangiato a pranzo. Come mai?»

Mi trattenni a stento dal levare gli occhi al cielo.

Arianna.

Le avrei fatto un bel discorsetto, più tardi. E perché diamine tutti continuavano a farmi quella domanda?

«Non mi sentivo molto bene» risposi, nascondendo a stento l'irritazione.

«Cerca di non saltare i pasti» mi disse lei, come se seguisse un copione già scritto.

Ipotizzai che fossero quelle le frasi di routine che la donna ripeteva alle ragazzine che non mangiavano e finivano lì. Molto confortante, pensai, provando un moto di compassione verso le ragazzine in questione.

L'infermiera nel frattempo mi aveva porto un bicchiere di plastica e lo afferrai con mani tremanti. 

«Acqua e zucchero» mi spiegò sbrigativamente, indicando poi con lo sguardo il comodino di fianco al letto. «Ti ho lasciato anche una compressa da prendere per il mal di testa. Quando ti sentirai meglio, puoi andare in camera tua. Sentiti libera di tornare qui se ti senti di nuovo poco bene.»

Anche l'ultima frase doveva far parte della routine perché, a giudicare dalla sua espressione, sembrava che la donna sperasse ardentemente che non lo facessi.

Un rumore improvviso di voci concitate e singhiozzi attirò l'attenzione dell'infermiera, che si trattenne a stento dal levare gli occhi al cielo e si diresse a passo veloce in quella direzione, lasciandomi sola sul letto in compagnia dell'emicrania.

Mi guardai intorno sbattendo le palpebre, ancora un po' intontita. Davanti a me s'intravedeva un lavandino con uno specchio e un mobile dalle ante in vetro, stracolmo di medicazioni. Ai lati del letto, invece, c'erano due tende bianche fissate al soffitto ed in quel momento tirate, così che né io né chi c'era dall'altra parte potessimo vederci.

Non ero mai stata in infermeria prima d'allora e di noi solo Arianna, il primo giorno di scuola, vi aveva fatto una visitina. Non vedevo l'ora di andarmene di lì e tornare in camera, proprio come aveva suggerito l'odiosa infermiera. Volevo assolutamente sapere se Beth era riuscita a parlare con John e dirne quattro ad Arianna.

Sospirai, pensando poi che non ce ne fosse alcun motivo: la ragazza si era semplicemente limitata ad accompagnarmi in infermeria e a dire la verità. Quello che in realtà mi infastidiva era che lei, almeno apparentemente, non sembrasse soffrire della mancanza di cibo, mentre a me era bastato un pasto per crollare a terra svenuta. La vita era proprio ingiusta.

Avevo ancora delle fitte alla testa e non ero sicura che le gambe mi avrebbero retto, una volta scesa dal letto, così rivolsi uno sguardo speranzoso al comodino. Mi sporsi per afferrare la compressa e feci scricchiolare rumorosamente il blister.

Probabilmente fu quello a determinare ciò che accadde nei secondi successivi.

Quasi nello stesso momento, la tendina dal lato del comodino venne tirata bruscamente di lato e vidi un volto spuntare all'improvviso da dietro il divisorio, esattamente ad un passo dal mio. Un volto maschile, il cui sguardo vagava freneticamente da me alla compressa che tenevo nelle mani.

Cacciai un urlo e arretrai di scatto, colta alla sprovvista.

«Sta' zitta!» sibilò lui.

Era tutto successo così in fretta che ci misi un attimo ad accorgermi che io avevo già visto quel ragazzo. Lineamenti aguzzi, capelli biondi, sguardo torvo. Era quel tipo strano con cui continuavo a scontrarmi e che mi ricordava la nemesi di Harry Potter!

«Non avrai intenzione di prenderla, vero?» continuò lui con foga, accennando alla compressa.

Ero così destabilizzata da quell'apparizione improvvisa che ci misi un attimo per capire quello che il tipo andava dicendo, mentre continuava a fissarmi con espressione seria, come se fosse questione di vita o di morte.

«Io...» Lo fissai senza capire. «Certo. Perché?»

Lo vidi scuotere la testa e aggrottai le sopracciglia, ripresami abbastanza dallo shock per poter riflettere. Probabilmente era matto, ecco perché si trovava in infermeria.

Sbirciai attraverso la tendina alla ricerca di camicie di forza o cinghie che corroborassero la mia tesi, ma il ragazzo, come avesse capito quello che stavo controllando, sollevò il braccio e quel gesto fu più eloquente di qualsiasi spiegazione. Era steccato e fasciato.

«Mi sono slogato il polso durante gli allenamenti» borbottò lui. Il suo tono era più calmo, adesso.

«Be', vedo che ti sei lasciato fasciare senza fare storie» non potei trattenermi dal commentare.

Lui scosse di nuovo la testa. «Non è la stessa cosa. Come posso spiegarti...»

Sembrava in difficoltà. Il suo sguardo vagava da una parte all'altra della stanza e notai che il suo tono di voce si era abbassato parecchio, come se fosse sul punto di confidarmi un segreto.

Stavo ormai per convincermi della sua pazzia, quando lui disse qualcosa che cambiò tutto.

«È un altro modo che hanno per controllarci. Oltre alla macchina, intendo.»

Lo fissai senza parole. Lui ricambiò il mio sguardo, di nuovo con quell'espressione seria di cui di colpo percepii la gravità.

«Vuoi dire...» esitai. Adesso parlavo a voce bassa anche io. «Tu sai che cosa ci fanno in questa scuola?»

Lui annuì.

Lasciai cadere la compressa ai piedi del letto, senza mai smettere di fissarlo.

«E potresti dirmelo?»

 

Ciao!

Qualche info su quanto avete letto: questi capitoli sono i più recenti e, per quanto io abbia cercato di uniformare lo stile, troverete comunque una certa differenza (spero in positivo XD). Sono anche i capitoli che preferisco: è da questo in poi, infatti, che Kia e il suo amico biondino inizieranno ad indagare seriamente sui misteri dell'istituto ;) Fate attenzione ad ogni dettaglio!

Capitolo ricco di avvenimenti, tra l'ufficializzazione della relaz... pardon, tregua di Angie e Night, Lucas e la sua sbadataggine, che faranno finire Arianna in un sacco di guai, e (finalmente!) il chiarimento tra Kia e Shadow. A tal proposito... ah, cosa mi è toccato scrivere! Conoscete la dissonanza cognitiva? Mi è stata spiegata dalla vera Beth, che studia psicologia. Da quanto ho capito, è quando un tuo comportamento non coincide con un tuo atteggiamento (s'intende come ideologia e pensiero): cioè, in alcune delle frasi di Kia sono stata ""costretta"" a  scrivere una cosa che non penso davvero, che non corrisponde alle mie idee sulle relazioni, e la cosa mi ha suscitato un po' di disagio XD Ve l'ho detto che che Luke mi sta sulle palle e che sono team Shadow, dopotutto! Però allo stesso tempo avevo giurato a me stessa che non sarei intervenuta sulla trama che avevo stabilito con le mie amiche, in cui avevamo deciso da sempre che Kia avrebbe scelto Luke e la sua vagonata di difetti a scapito di Shadow. Ew!

Ok, il pippone di psicologia sociale è finito. Ci vediamo al prossimo capitolo! <3

  
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