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Autore: Kumiho    04/07/2014    4 recensioni
Per un attimo, guardandolo sorridere, nella mente di Gokudera si ripresentò l'immagine dell'insolita espressione di Yamamoto di qualche minuto prima e realizzò che forse quella era stata l'unica vota in cui aveva visto per più di cinque secondi il volto del compagno di classe senza un enorme sorriso a trentadue denti stampato sopra.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pallore e Nostalgia


Gokudera non seppe dire quanto tempo fosse trascorso, tra le braccia di Yamamoto, con le spalle che ancora gli tremavano dai singhiozzi e il cuore che batteva forte. Si limitò a riprendere a respirare dopo quelle che parvero ore, inspirando l’odore dell’altro con arrendevolezza e sfinimento. Yamamoto non lo aveva lasciato nemmeno per un secondo: piegato su di lui, le mani piantate contro il muro a circondargli il corpo, aveva pianto tra singhiozzi più o meno rumorosi con l’espressione colpevole ed il respiro tremante. Gokudera si sentì stanco improvvisamente. Esausto come dopo una corsa infinita. Gli occhi gli bruciavano e la gola gli doleva, sentiva la bocca piena di saliva e gli era difficile respirare. Lentamente sollevò un braccio, scostando quello di Yamamoto, che lo lasciò fare, allontanandosi da lui e respirando un’aria improvvisamente fresca e differente, spiacevolmente gelida contro le guance umide. Fece pochi passi per poi fermarsi, il capo basso e la testa che rimbombava.
 
Ogni secondo di silenzio in più gli gravava addosso come un macigno, ma era davvero troppo stanco per scappare di nuovo, troppo vicino a Yamamoto, troppo improvvisamente rilassato e svuotato per aggredirlo ancora. Il sentore d’ira dentro al corpo sembrava essere stato vomitato fuori, assieme alle lacrime. Gokudera sentì solo una grande voglia di non pensarci più.
 
- Ti fa male?... Il livido, intendo.- Chiese improvvisamente Gokudera. Stupito dal suono calmo ed indifferente della propria voce.
 
Yamamoto sussultò per un attimo, incerto sul fatto di averlo sentito davvero rivolgersi nuovamente a lui. Voltò il capo verso il ragazzo distante solo pochi passi e tirò su col naso tacendo qualche secondo per trovare una risposta sensata. Inconsciamente si passò la lingua sull’interno della guancia livida.
 
- Più per quello che rappresenta che non per il livido stesso…- Rispose piano, staccando finalmente le mani dal muro, scoprendosi le nocche doloranti e i polpastrelli indolenziti.
 
- Te lo sei meritato…- Soffiò piano Gokudera.
 
Riconobbe una sfumatura leggera di compiacimento, non cattivo, non inviperito. Una semplice constatazione esausta. Veritiera. Yamamoto non riuscì a fare altro che sorridere, mesto.
 
- Per questo fa male…-
 
 
 
Quello che seguì fu un silenzio complice. Gokudera seduto sul letto e Yamamoto in piedi, poco lontano, che lo guardava. Fu un silenzio pieno di rabbia, stanchezza e senso di colpa. Gokudera seguitò a crogiolarsi in quella specie di limbo stordente e stanco in cui il pianto lo aveva precipitato, perfettamente conscio dell’irritazione che avrebbe provato in una situazione normale, consapevole di quanto ridicolo fosse il fatto di essere ancora lì e di quanto assurda fosse quell’improvvisa capacità di analizzare tutto col cuore calmo e gli occhi brucianti. Conseguenza lenta e dolce della spossatezza che gli aveva provocato quello sfogo appesantito da quegli, ormai numerosi, giorni di tormento.
 
- Vuoi andare a casa?- Chiese a un certo punto Yamamoto.
 
Gokudera sollevò il capo, spostando lo sguardo su di lui. Una fitta dolorosa, dietro i bulbi oculari, gli attraverso il capo costringendolo a sollevare ancora di più la testa verso di lui. Aveva gli occhi rossi e le guance ancora umide. Gokudera lo trovò stranamente e tristemente buffo con gli occhi gonfi e quel livido che accennava a sparire, ancora un po’ violaceo sulla guancia. Gli venne quasi da ridere.
 
- Sì. Voglio andare a casa.-
 
Non ne fu davvero certo finché non ebbe finito di dirlo. E anche allora un senso di incompletezza lo avvolse appena, facendogli tornare in bocca quel sapore di fastidio e dubbio. Yamamoto lo fissò per qualche secondo ancora per poi sospirare.
 
- Vado a lavarmi il viso e poi ti accompagno di sotto.-
 
Yamamoto uscì dalla stanza e Gokudera rimase solo. Era ancora un po’ stordito e gli occhi seguitavano a bruciargli costringendolo ad indugiare a lungo con le palpebre chiuse, confortato dal sollievo della morbidezza del buio. Non era cambiato nulla. Gokudera ne era consapevole. Era sempre stretto nella morsa di quel ricatto orribile… eppure, non seppe perché, gli sembrò di scorgere una qualche, possibile, evoluzione positiva. In quel momento, però, non aveva davvero la forza di pensarci. Non volendo rischiare di arrivare a conclusioni distorte dalla spossatezza e dalla rassegnazione del momento, si costrinse ad alzarsi, costringendosi a pensare ad altro.
 
Stette qualche momento in piedi, per poi avvicinarsi alla piccola libreria davanti a sé. Diede uno sguardo veloce al primo ripiano, riconoscendo al volo quasi tutti i libri di testo scolastici. Sollevò la mano, inconsciamente, accarezzando con le dita il bordo scuro del secondo ripiano. C’era qualche fumetto e qualche altro libro con gli angoli e le copertine consumate, erano messi alla rinfusa, non avevano alcun ordine logico. Le differenze di altezza tra i vari volumi, disposti senza alcuna ragionevolezza o motivazione, lo infastidirono appena, costringendolo a sollevare lo sguardo fino al terzo ed ultimo ripiano. Uno sbuffo saccente e stizzito gli sfuggì dalle labbra quando riconobbe un guantone da baseball e una palla vecchia e logora. Gokudera non ricordava nemmeno più l’ultima volta che lo aveva visto giocare. Non che la cosa gli dispiacesse, ovviamente, aveva sempre cercato di fare di tutto pur di non andare a vederlo giocare, anche se lui glielo chiedeva sempre insistentemente. Aveva provato solo una volta a spiegargli le regole ma Gokudera non ci aveva capito poi molto, non prestando nemmeno la minima attenzione. Passò oltre non appena il ricordo di quei giorni gli sembrò troppo pesante e compianto. Gli sembrò come se, da quel maledetto giorno, Yamamoto fosse cambiato sotto ogni punto di vista, anche quelli che non lo riguardavano minimamente. E quella mensola gli sembrò solo un triste promemoria di quanto, in effetti, il vecchio Yamamoto fosse ormai solo un ricordo logoro e rimpianto.
 
C’erano alcune cornici con foto di persone di cui, Gokudera, ignorava l’esistenza. Riconobbe qualche particolare qua e là, come i luoghi o qualche somiglianza fisica, ma nulla di più. Stava per distogliere definitivamente lo sguardo da quel ripiano quando l’ultima foto gli catturò lo sguardo on una sensazione di déjà-vu. Era una donna dai capelli neri, lunghi fin sotto le spalle. Il sole le illuminava il volto e, negli occhi, una luce piacevolmente familiare. Il volto era piccolo e delicato e il sorriso che lo illuminava era semplicemente radioso. Sembrava la foto di una qualche pubblicità. Gokudera non fece in tempo a ricollegarla alla foto, probabilmente più datata, che aveva visto al piano di sotto qualche tempo addietro, che la voce di Yamamoto lo riportò alla realtà.
 
- Quella è mia madre.-
 
Gokudera sobbalzò voltandosi verso di lui. In piedi, con gli occhi leggermente arrossati, la mano contro lo stipite della porta, Yamamoto lo fissava in silenzio. Sul volto un sorriso flebile e malinconico. Gokudera voltò nuovamente il capo verso la foto, riconoscendovi, solo allora, mille piccole somiglianze: la minuscola fossetta sulla guancia destra, la linea leggera delle sopracciglia, il colore scuro dei capelli… si soprese conscio del fatto di quanto stesse considerando bellissimo ogni particolare del viso della donna solo quando si rese conto che, a tutti gli effetti, lo ritrovava anche nel viso di Yamamoto. Un brivido gli percorse le spalle, improvviso e … semplicemente strano. 
 
-…Lo so. Tuo padre me ne ha parlato quando ho visto la foto al piano di sotto.- Mormorò lieve continuando a fissare la foto: la somiglianza che vi scorgeva sembrava svanire ogni volta che cercava di metterla a fuoco nei minimi particolari, come il ricordo di un sogno appena fatto. Sentì Yamamoto sbuffare divertito alle sue spalle.
 
- Sì. Lui ne parla ogni volta che può. Ogni occasione in cui può farlo… gli sembra un regalo.-
 
Gokudera chiuse gli occhi d’istinto, serrando le labbra. Gli sembrò che la musica di un pianoforte lo stesse accarezzando piano, in lontananza ma con fervore…
 
- E allora?- Chiese, poi, nel tentativo di scacciare l’improvviso ricordo di un volto minuto e gentile, incorniciato da lunghi capelli argentati – Tua madre che fine ha fatto? Ha mollato tuo padre e se ne è andata con qualche riccone occidentale?-
 
Seguì un breve silenzio, riempito solo da qualche passo di Yamamoto, adesso un po’ più vicino a lui. Gokudera non vi diede stranamente peso e si voltò nuovamente verso di lui. Fissava la foto con aria stanca e malinconica, lo stesso sorriso della donna sulle labbra.
 
- No, lei… è morta diversi anni fa.-
 
Gokudera tacque. Non fu esattamente imbarazzo per la propria indelicatezza, quello che seguì, ma un dolore profondo e affilato che gli pugnalò lo stomaco, freddo e silente come uno spillo. Non cercò di giustificarsi, né desiderò sprofondare due metri sotto terra, riuscì solo a pensare a quanto il sorriso triste di Yamamoto, e il suo sguardo commosso e malinconico sembrassero lo specchio del proprio e di quanto, pericolosamente, nella sua mente, la foto della madre dell’altro fosse divenuta un’immagine della sua.
 
Ma Yamamoto ruppe quell’incanto terribile con un sorriso costernato, agitando una mano davanti al volto in segno di scuse.
 
-  Ah, ma… non preoccuparti! Io… non me la ricordo nemmeno: è morta quando non avevo neanche due anni… -
 
Gokudera seguitò a fissarlo con un’espressione indefinita, si sentiva un po’ invidioso, contrito e rattristato allo stesso tempo. Riusciva solo a ricambiare lo sguardo di Yamamoto, in silenzio, mentre sentiva crescere, dentro di lui, una comprensione che non avrebbe creduto possibile. Yamamoto, dal canto suo, continuava a sorridere imbarazzato, balbettando scuse e rassicurazioni poco convincenti.
 
-Non è vero che non te la ricordi.- Mormorò Gokudera improvvisamente, e gli sembrò di aver parlato nel sonno perché, non appena concluse l’ultima sillaba, avvertì la consapevolezza delle proprie parole e un fiume di imbarazzo e senso di colpa lo investì, ma cercò di sostenere il peso dello sguardo sorpreso di Yamamoto.
 
Il ragazzo lo fissò con aria seria, sollevando gli occhi, come se volesse trovare una risposta, da qualche parte, in qualche angolo della stanza, poi li riabbassò su Gokudera, e un sorriso caldo, sincero, come da tempo non accadeva, gli illuminò il volto. E Gokudera comprese e riconobbe, per la prima volta, sempre di più, ogni sfumatura nel suo viso, trovandovi un senso e una sorta di cognizione. Yamamoto si passò piano la lingua sulle labbra, come se stesse cercando le parole giuste che sembrarono trovare lui non appena i suoi occhi si posarono di nuovo sulla foto della donna.
 
-Quando ero piccolo vedevo le foto che mio padre teneva nel portafogli e nella cornice in camera sua ma… non sentivo nulla: era come fissare il volto di una sconosciuta… non era quello che pensavo che un bambino avrebbe dovuto provare pensando a sua madre… ma quella non era che una faccia su un comodino che faceva piangere mio padre la notte. Non provavo nostalgia o dolore come lui e… mi sono sentito sbagliato molte volte per questo.-
 
Yamamoto tacque per un attimo, ingoiando della saliva varie volte, per poi riprendere il discorso con una nota divertita ma tradita dal suono spezzato della voce. Gokudera seguitò ad ascoltare in silenzio, mentre il dolore nella pancia si faceva più forte.
 
- Una volta presi la foto nell’altare di famiglia e la portai in bagno con me, la avvicinai al viso e mi specchiai con lei. Fu quasi sconcertante rendersi conto di quanto le somigliassi… certo, assomiglio molto più a mio padre adesso ma… la linea del naso, i denti, le sopracciglia… erano i suoi. Davanti allo specchio del bagno, all’età di otto anni, fu come scoprire come doveva essere avere una mamma. So che deve essere molto diverso da come lo immagino io ma… in un certo senso ho cominciato ad amarla da allora. Mi spaventavo ogni volta che mi facevano notare come fossi cresciuto o cambiato e… la sera correvo a prendere la sua foto per specchiarmi assieme a lei e mi sentivo sollevato ogni volta che non notavo cambiamenti in ciò per cui le somigliavo.-
 
Gli angoli della sua bocca tremarono appena, e Yamamoto abbassò lo sguardo mordendosi un labbro e tirando su col naso. Non stava piangendo. Gokudera riusciva a comprenderne il perché: era una nostalgia cruda ed immotivata, non era struggente né tragica, era bella… era sua.
 
- Scusami…- Disse poi, sorridendo di nuovo. - Lo so che deve sembrarti stupido…-
 
- No, non lo è-  Rispose immediatamente Gokudera. La voce calma e decisa. Yamamoto lo guardò, lo fissò per diversi secondi, Gokudera si accorse di come il suo sguardo lo stesse studiando, ogni porzione di pelle, ogni impercettibile cambio di espressione, era uno sguardo bisognoso e grato, un po’ imbarazzato ed intimo. E, per la prima volta, Gokudera lo comprese fino in fondo, ricambiandolo senza vergogna.
 
Yamamoto gli sorrise, quel sorriso che Gokudera aveva aspettato per troppo tempo, arricchito da una complicità inamovibile che, se ne rese conto, non sarebbe mai scomparsa. Fu come suggellare un sentimento che non sarebbe mai scomparso e, in quel momento, Gokudera si sentì pronto a sopportarlo anche se non ancora pronto a pensare di ricambiarlo in alcun modo. In un certo modo vi trovò le risposte che era venuto a cercare, e, anche se non era quello che voleva… sembrò bastargli.
 
 
 
 
 
Il sole stava tramontando, e l’aria si era fatta fredda, il vento mosse le prime foglie secche, formando minuscoli mulinelli leggeri ai piedi di Gokudera, appena fuori dall’entrata del ristorante. Yamamoto lo aveva accompagnato, in silenzio, aprendogli la porta. Quello che era seguito non era stato un silenzio imbarazzato, solo necessario e complice, come non lo era mai stato prima di allora. Solo che, una volta, sulla porta, Gokudera non riuscì a reprimere quella necessità: la voce gli fluì semplicemente dalle labbra, non più rumorosa di un sussurro.
 
- Anche mia madre è morta… Io me la ricordo… -
 
Una frase semplice, disarticolata, impacciata… sincera. Yamamoto alzò lo sguardo. Non vi era sorpresa nei suoi occhi, Gokudera non gli chiese mai se il motivo fosse il fatto che lo sapeva già, o perché lo aveva capito, o semplicemente perché non sentiva il bisogno di chiedergli nulla di più. Lo aveva semplicemente guardato, accogliendo quella confessione, serbandola nel cuore come un tesoro e suggellandola con un sorriso, l’ennesimo, bellissimo e caldo.
 
Le pochissime persone a cui Gokudera lo aveva detto, erano diventate silenziose, avevano cambiato argomento con fare imbarazzato o gli avevano chiesto scusa, mostrandosi dispiaciute. Yamamoto aveva solo sorriso, addolcendo lo sguardo e aveva detto:
 
- Sono sicuro che sia stata una donna meravigliosa.-
 
Gokudera non aveva risposto. Aveva abbassato lo sguardo per poi incamminarsi verso casa, sollevando la mano in segno di saluto. Una folata gelida lo aveva investito, gli occhi gli si erano inumiditi e le guance erano diventate bollenti. Gokudera tremò, consapevole de fatto che il vento non avesse alcuna colpa.
 
 
 
 
La mattina dopo, in classe, poco dopo l’appello, Gokudera si voltò verso le file dietro di lui, non seppe se per caso o per un bisogno inconscio, ma la prima ed unica cosa che vide, fu il volto di Yamamoto. L’espressione distratta e un po’ annoiata, la vitalità che gli imporporava le guance e la matita tra i denti, il ragazzo alzò, infine, lo sguardo verso di lui: le guance si arrossarono appena e gli occhi grandi si assottigliarono impercettibilmente, mentre un sorriso gentile e imbarazzato gli illuminava il volto.
 
Gokudera sentì le guance andargli a fuoco mentre un improvviso nodo nello stomaco si strinse così forte da fargli male. Si voltò così in fretta dall’altra parte che temette quasi di perdere l’equilibrio e cadere dalla sedia. Solo dopo le prime due ore di lezione, Gokudera, trovò, dentro di sé, la forza per voltarsi di nuovo, impercettibilmente, verso di lui. Yamamoto stava continuando a sorridere, curvo sul banco, con la matita masticata tra le dita. E Gokudera non riuscì a pensare a niente di più bello.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Salve a tutti. So che dovrei fare ammenda e recitare venti Ave Maria per il ritardo mostruoso con cui sto pubblicando, per giunta, un capitolo molto più breve dei precedenti, ma ho avuto dei motivi più o meno validi, tra cui la rottura del mio pc per praticamente più di un mese in cui non ho potuto fare nulla…e al fatto di aver trovato un lavoro (cosa di cui sono felicissima, ma che mi permette di dedicarmi meno di quanto vorrei alla scrittura o al disegno) ;A; Per quanto concerne la lunghezza del capitolo… credo che il motivo sia che da ora in avanti, come si può evincere, il rapporto tra Gokudera e Yamamoto è cambiato ulteriormente, non credo che avrebbe sortito lo stesso effetto se fossi andata avanti, anche perché ciò che ho in serbo per il futuro, praticamente immediato, cambierà ulteriormente i loro rapporti, in bene o in male lo lascerò decidere a voi. Ad ogni modo sono abbastanza soddisfatta di come si sono evoluti gli avvenimenti, credo che Gokudera sia molto confuso ma, a conti fatti, sta scoprendo ogni lato bello di Yamamoto e… chissà che in futuro non voglia dargli una qualche possibilità (ufufufu… non vi dico nulla, ma sappiate che non sarà una cosa facile <3)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, spero di riuscire a pubblicare il seguito al più presto
Un bacione. Kumiho! <3
 

 
 
  
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