Quattro giugno: Alzheimer.
Non siamo altro che delle perfette ed
uniche ricombinazioni di geni, non credi?
È quasi un piccolo e pressante puzzle,
la nostra vita ed il nostro destino –
ammesso che tu ci creda, nel destino, ovvio,
ma anche nel caso tu non dovessi crederci,
nel destino, va bene comunque: perché ciò
non toglie che siamo un tutto di parti diverse,
che siamo un prezioso collage di minuscoli
tasselli riordinati da meticolose stelle ignare
di tutto – se alzi lo sguardi riesci a vederle,
anche tu le stelle, nonostante le lacrime?
Mi dicono che ho preso i miei occhi
- verdi e lucidi e un po’ grigi e marroni
quando piove, da Lei;
mi dicono che ho preso la costituzione
- robusta, un po’ pesante, ma con tratti
morbidi ed affusolati, da Lui;
mi dicono che leggo tanti libri e che scrivo
tanti fogli con tante calligrafie diverse
- perché non sono mai contenta della mia,
di calligrafia, da Lui;
mi dicono che ho un brutta bocca e che ho il
vizio di ridere quando invece dovrei piangere
- e di non piangere comunque quando dovrei,
come Lei.
Mi dicono che sono un po’ questo e un po’ quello
e magari anche un po’ quest’altro.
Mi piace guardarmi allo specchio e riconoscere
i tratti di Lui e di Lei mischiati in modo unico
nel mio volto, nelle mie mani, nelle mie stesse
imperfezioni; mi rende figlia di Qualcuno e mi
regala una storia che – volente o nolente – sono
condannata a trascinarmi meco per anni e anni;
lascio indugiare gli occhi qui e poi là, sorvolo le
linee delle guance e delle labbra, sfioro gli angoli
degli occhi e accarezzo le ciocche di capelli tinti.
Lo faccio con cura e pazienza, non è finta vanità
o altro, l’ho sempre fatto; prima con mera curiosità
infantile, ora con un barlume di malinconia e di
terrore; le dita mi tremano appena lungo gli
ancora acerbi lineamenti, trattengo il respiro e
cerco di memorizzare con incredibile forza
l’immagine integrale di me stessa; perché quel
foglio posato sul tavolo di nocciolo incute paura;
perché quelle scritte così obiettive non lasciano spazio
ad ulteriori dubbi infondati, formulati d’impeto.
Appunto tutto quanto, scrivo le mie giornate, descrivo
i miei appuntamenti, i miei sogni, le mie persone, i miei
sentimenti con grandinate di aggettivi a altri aggettivi ancora;
trascrivo le frasi che mi colpiscono di libri, di film, di voci
altisonanti; scrivo e metto ogni cosa possibile nero su
quel bianco abbagliante che è il nulla, che è la dimenticanza,
che è un futuro senza alcun passato.
Il fatto è che un po’ al destino ci credo; credo nelle sciocche
superstizioni; credo che una tazza di tè caldo sia ancora in
grado di addolcire i dispiaceri; credo nella capacità di rialzarsi
di nuovo e superare i fallimenti; credo nella bontà e nella
malvagità delle persone; credo nell’altruismo; credo
nell’amicizia e nell’amore; credo in forse troppe cose,
tuttavia credo anche nelle coincidenze e nelle rare e vivide
casualità, così vivide e reali che ti tolgono il fiato; credo
nelle malattie e nelle cure; credo nella vita e nella morte.
E, inevitabilmente, credo nell’ereditarietà genetica, sia essa
positiva o negativa, perché credo nella scienza e credo in ciò
che riesco a vedere e a fare mio, credo nell’oggettività.
Vorrei credere di illudermi quando guardo la degenerazione
mentale progredire, annichilire l’Uomo, denigrandolo,
privandolo di ogni qualità umana e morale; vorrei fingere di
non sentire le urla e le diagnosi; vorrei non trovarmi a cercare
i sintomi di Lei nelle enciclopedie e nei manuali di medicina;
vorrei essere abbastanza brava a mentire a me stessa e agli altri,
a dir loro che in realtà va davvero tutto bene; vorrei ricordare
ogni cosa. Vorrei non essere come Lui o come la Lei di un futuro
prossimo e terribilmente vicino.
Non voglio appurare che la Vita
e i geni non mentono quasi mai; che
il dubbio c’è, ma le analisi lo fanno
svanire a poco a poco;
non voglio dimenticare anch’io e dimenticarmi.
Voglio conservare ogni scheggia, ogni briciola, ogni
volto, ogni sogno, ogni incubo, ogni memoria, ogni
pagina letta, ogni poesia scritta; voglio ricordarmi
come scrivere, come parlare, voglio ricordarmi il nome
di mia madre e di mia sorella; voglio ricordarmi il
numero della casa della mia infanzia; voglio ricordarmi
le parole di mio Padre e lo scodinzolio del mio cane
quando sarà troppe vecchia per vederci bene o per
accumulare chilometri e chilometri in poche ore.
Non voglio dimenticare e dimenticarmi.
*