E dopo essermi sparata
in vena tutti e quattro i film di Slam Dunk (uno dopo l’altro, ovviamente)
[come se non fosse la centesima volta che li riguardo XD], torno ad aggiornare
Wild Boys! Quanto mi sto divertendo a scriverla *_*
Vi auguro buona lettura
e buon divertimento! E grazie a lilli84 per il preferito e il complimento! :)
A presto,
Kenjina.
Capitolo
IV
Training
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata. Contando sulla
stanchezza dei vari giocatori, il Gorilla e il Domatore di scimmie si sedettero
in disparte, parlando animatamente di basket, e lasciando campo libero agli
squilibrati del gruppo.
Non fu una buona idea e se ne resero conto troppo tardi.
Si iniziò con uno scambio di battute più o meno pesanti; poi si passò
a gesti da veri gentleman; infine a una lotta vera e propria, a base di riso e
verdure che volavano allegramente da una parte all’altra del tavolo, finendo in
testa a chiunque si trovasse in traiettoria.
«Ehi, brutto deficiente! Sai dove te lo ficco quel riso?», esclamò
Mitsui, puntando le bacchette contro Kiyota [gesto estremamente maleducato,
da fare a tavola, per i giapponesi. NdA].
«Hanamichi, hai un’alga tra i capelli», disse Hime, facendogli chinare
la testa per togliergliela. Due secondi più tardi si ritrovò un tovagliolino di
carta appallottolato in pieno naso. «Ryo-chan! Anche tu!».
Il playmaker dello Shohoku rise divertito, ma ogni bollore gli si
spense all’istante quando un’occhiataccia di Ayako lo fulminò.
«A-Ayakuccia…!».
L’unico che sembrava dormire era Rukawa che, nonostante le numerose
diavolerie escogitate da quelle due scimmie di Sakuragi e Kiyota, mangiava
tranquillo, con gli occhi mezzo chiusi dal sonno.
Hime, seduta davanti a lui, gli tirò un colpo al ginocchio con il
piede. «Ede, un giorno mi dovrai spiegare a cosa è dovuto questo sonno perenne.
A volte mi preoccupi».
«Hn», borbottò lui, da bravo orso polare.
«Sono stanco».
La ragazza sorrise perplessa. Stanco… non l’avrebbe mai detto!
«Ma brutta volpaccia spelacchiata! Non rispondere così a Hicchan, o ti–»,
ma il rossino non fece in tempo a completare la frase, perché si ritrovò
spalmato in faccia un intero piatto di ramen[1],
mentre Rukawa si alzava e spariva dalla sala da pranzo.
Tra le risate di tutti e un Akagi a dir poco infuriato, ci mancò poco
che Hanamichi si trasformasse in Superman e disintegrasse il volpino con la
forza del solo sguardo.
Dopo cena si sedettero nel giardino, all’aria aperta e fresca della
sera. I Sakuragi si sistemarono sulla sedia a dondolo, dopo aver bisticciato
per il possesso con Miyagi e Mitsui, che presero posto nelle sdraio lì vicino.
«Ayako dov’è?», chiese la ragazza, guardando verso la hall illuminata.
Fu Ryota a rispondere. «Stava chiacchierando con il signor Anzai; ha
detto che ci raggiunge appena finisce».
«Che si fa?», domandò Hanamichi, dondolandosi nella sedia.
Gli altri due giocatori lo fulminarono con lo sguardo. Mitchi,
stravaccato esausto sulla sua sdraio, esclamò: «Idiota, tu hai voglia di fare
qualcosa dopo la giornata di oggi?».
«Mi chiedo dove le prendi tutte queste energie, Hana!», disse la
sorella.
Il rossino, con un sorriso da ebete stampato in faccia, continuò a
dondolarsi, sempre più forte.
«Guarda che se continui così vi capottate», lo ammonì Ryota.
Hime guardò il fratello. «Hanamichi, ho appena finito di cenare…
vorrei digerire tutto con tranquillità!».
«Ecco, appunto! Che se poi rigetti tocca a me aiutarti a pulire
tutto!», esclamò la voce di Ayako, facendo storcere il naso a tutti.
«Aya-chan! Che visione orribile!».
La mora si sedette vicino a Ryota che, immediatamente avvampò
dall’imbarazzo.
«Allora, che si fa ragazzi?».
Inutile dire che la manager si beccò un’occhiataccia fulminante peggio
di quella riservata poco prima al rossino.
«Io direi che possiamo beatamente grattarci la pancia qui», disse
Hime, sdraiandosi sulle gambe del fratello. «Si sta così bene!».
«Domani che giorno è?», chiese Hanamichi, pensieroso.
«Venerdì. Certo che hai un senso del tempo, tu». Il rossino rise
imbarazzato alla sorella, mentre gli altri scuotevano mesti la testa. «Perché
volevi saperlo?».
«Perché così organizziamo in tempo che fare sabato e domenica!».
A quelle parole Hime si rizzò a sedere. «Giusto! Che si fa nel
weekend?».
Ayako si mise un dito sulle labbra, pensierosa. «Quella simpatica
signora dell’albergo mi stava dicendo che questo sabato c’è una festa, giù in
paese. Credo ci sia anche il luna park!».
«Luna park! Luna park!», esclamarono in coro i due gemelli, con
un’espressione di pura estasi in viso.
«Sembrate due bambini di sei anni», fu il commento di Hisashi.
«Se volete vi compro anche i palloncini», proseguì Miyagi. «E lo
zucchero filato, certo».
«Palloncini! Zucchero filato!», continuarono i due fratelli, battendo
le mani tra le risate degli altri.
«Allora è deciso, luna park!», disse Ayako, con un sorriso.
«Ci sarà da divertirsi!», esclamò Hime, strofinandosi le mani.
Il gruppetto di amici continuò a chiacchierare amabilmente fino alle
undici e mezza, sotto uno sguardo rilassato del Gorilla, che almeno poteva
tirare un sospiro di sollievo e riposarsi anch’esso, senza dover
necessariamente elargire pugni anche di notte.
*
Gli allenamenti, la mattina seguente, si svolsero più o meno “nella
norma”. Akagi sembrava aver sfiatato la rabbia accumulata il giorno prima e non
si comportò propriamente da gendarme, per la fortuna dei ragazzi. Certo, se un
Sakuragi di turno e i vari ed eventuali volpini avessero evitato di azzuffarsi
per un non nulla, incitati da altri due dementi, magari si sarebbe potuto
definire un allenamento normale. Ma definire “normale” qualsiasi cosa che
vedesse i quattro scalmanati in mezzo era un eufemismo.
«Quando si farà questa partita?», chiese Hime, poggiando il mento
sulla mano.
«Lunedì pomeriggio ci sarà la prima. Le prossime saranno a una
distanza di quattro giorni l’una dall’altra», spiegò la prima manager,
sistemandosi un ciuffo riccio dietro l’orecchio. «Nella prima giocherà Kainan
contro Shohoku. Nella seconda partita matricole da una parte e veterani
dall’altra. E così via».
Hime spostò lo sguardo sul fratello, che stava prendendo l’ennesimo
rimbalzo della giornata. «Ne vedremo delle belle! Immaginati Hanamichi insieme
a Kaede e l’altro esagitato di Kiyota… altro che gioco di squadra!».
Ayako si abbassò la visiera del cappellino sugli occhi, sbuffando
sconsolata. «Quei due, Hanamichi e Rukawa intendo, se mettessero da parte
l’orgoglio sarebbero un’accoppiata micidiale. Vedi di farglielo capire tu,
magari ti ascoltano».
Hime rise di gusto, scuotendo la testa divertita.
«Ehi, Sakuragi!», le gridò dietro il Gorilla. «Invece di stare lì a
ridere e non fare nulla, vieni a darmi una mano con questo branco di buoni a
nulla!».
«Agli ordini, Capitano!».
La ragazza sorridente trotterellò al fianco di Akagi che, mani sui
fianchi, disse: «Allora, oggi lavoreremo sulla difesa. Io, Miyagi e Sakuragi
saremo in attacco, voi dovrete difendere».
Hanamichi fece un passo avanti, posando una mano sulla spalla del
Capitano, con un’espressione seria. «Non c’è problema, Gori! Attaccherò con
tutta la mia genialità!».
«Idiota, intendevo tua sorella!», esclamò Akagi, spintonandolo al suo
posto. «Dicevo: il primo terzetto difensivo sarà formato da Rukawa, Mitsui e
Sakuragi. Dopo toccherà ad altri tre. Pronti? Tutti al lavoro, forza!».
La palestra venne sgombrata, mentre i sei chiamati in causa stavano a
metà campo. La palla era in mano a Ryota, che studiò velocemente la situazione.
Guardando negli occhi Hanamichi, passò rapidamente la palla alla rossa, che si
trovò davanti Rukawa.
«Vediamo che sai fare», la provocò.
Lei sorrise, accettando la sfida. Si chinò sul pallone, palleggiando
con rapidità e non smettendo di guardarlo fisso negli occhi. Rukawa era un tipo
orgoglioso, lei lo sapeva bene. Ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di
abbassare per prima lo sguardo. Doveva ostentare sicurezza, non timore.
Fece un passo avanti, rapido, quasi inaspettato, così da metterlo in
guardia da una possibile penetrazione. La sfera arancione passò tre le gambe
della ragazza, che ora palleggiava con la sinistra. Decise allora di sfondare
la difesa dell’altro, trovandosi schiena contro petto, in un perfetto uno
contro uno. Si voltò per tirare a canestro, ma la mole di Rukawa la portò a
cambiare idea, tanto che fece cadere il pallone dietro di sé, in mano a un
Ryota pronto a ricevere.
«Ehi, volpino! La prossima volta vedi di evitare di strusciarti così a
mia sorella!», esclamò imbestialito Hanamichi a un Rukawa che si limitò a un “hn” poco decifrabile. Ryota approfittò del suo momento di
distrazione per sorpassarlo e passare la palla ad Akagi, che schiacciò, nonostante
la difesa di Mitsui.
Un poderoso pugno raggiunse la capa del rossino. «Brutto idiota, vedi
di concentrarti!».
«Do’aho», fu il solito commento.
Nel frattempo, Nobunaga Kiyota entrò nella palestra dove lo Shohoku si
stava allenando. Dire che era avvilito era poco. Non poteva fare da porta voce
alla sua squadra, accidenti! Lui era la matricola dell’anno! Il miglior
giocatore di Kanagawa, era–
«La donna-scimmia sa giocare a
basket?!», esclamò ad alta voce, facendo voltare Ayako e l’allenatore
Anzai.
«Kiyota! Che ci fai qui?», gli chiese.
Hanamichi, che fu il primo dei giocatori in campo ad accorgersi
dell’intruso, lo additò con rabbia, esclamando: «Guardate! Una spia!».
L’ennesimo pugno gli venne rifilato due secondi più tardi.
Il gioco si fermò, tutti incuriositi com’erano di sapere che diavolo
ci facesse quella scimmia-spia del Kainan durante i loro allenamenti.
«Il Capitan Maki mi ha chiesto di dare questa lista ad Akagi», disse
Kiyota, porgendo un paio di fogli al centro dello Shohoku.
Hanamichi non si fece mancare l’occasione per deriderlo. «Ahaha! Ti hanno relegato a postino!».
Kiyota digrignò i denti, offeso nel vivo dell’orgoglio. «Pensa a te,
rosso-scimmia! Tu non servi nemmeno a quello!».
«Ehi, piantatela voi due!», tuonò Akagi.
Hime guardò la scena mezzo divertita, scuotendo la testa alla volta
del fratello e dell’altro buffone. Voltò le spalle e iniziò a palleggiare verso
il canestro, preparandosi per un terzo tempo (o “tiro dei poveri”, come lo
chiamava Hanamichi). Non aveva messo in conto, però, un Rukawa deciso a
fermarla, tanto per dimostrare al mondo la sua superiorità.
Hime non si scoraggiò, certo. Rukawa era il miglior giocatore dello
Shohoku, forse sarebbe diventato anche il migliore del Giappone. Ma non
ammetteva insolenze da parte sua ne di nessun altro, solo perché era una
ragazza. Kaede questo lo sapeva bene, e voleva metterla alla prova, come aveva
sempre fatto.
Hime fece scivolare velocemente il pallone dalla mano destra alla
sinistra, in una bellissima azione sospesa in aria. E il volpino non riuscì a
fermarla.
Si guardarono un attimo, tra le occhiate sorprese dei presenti e le
bocche spalancate di due scimmiette.
«Me l’hai fatta», disse Rukawa.
Hime gli fece una linguaccia. «Me l’ha insegnato il mio maestro
personale. Sono stata brava?».
«Hn», mugugnò lui, scompigliandole i
capelli.
Quando i due si accorsero di aver destato così tanta curiosità, Rukawa
borbottò qualcosa di incomprensibile, recuperando la palla e allenandosi in
solitario; Hime, invece, raggiunse saltellando il fratello.
Hanamichi l’abbracciò forte forte, piangendo di gioia. «Hicchaaan! Sei l’orgoglio del tuo geniale fratello! Hai battuto
quel volpino surgelato!».
Tra le risate di tutti, solo Kiyota guardava ancora a bocca aperta la
rossa. Quella finta era identica a quelle che Rukawa era solito fare, durante
le partite. L’aveva fatta anche al Capitan Maki! E poi… quella ragazza sapeva tenere
un pallone in mano? Lei! La sorella di quella schiappa di Sakuragi? Per un
attimo temette di aver visto male. No, perché visto l’andazzo del fratello
neanche gli era passata per l’anticamera del cervello che Hime Sakuragi potesse
saper giocare a basket. E anche bene, a dirla tutta.
Improvvisamente una lampadina gli si accese in testa, illuminandogli
gli occhi. Ecco, trovato il modo per umiliarla e fargliela pagare! L’avrebbe
sfidata a un uno contro uno e non si sarebbe sprecato di certo, neanche contro
una ragazza! Le avrebbe dimostrato che fosse lui il meglio! Meglio anche del
tanto acclamato volpino!
«Ehi, Nobu-scimmia, tutto bene?», chiese Hanamichi, notando
l’espressione diabolica dell’altro, che perso com’era nei suoi pensieri neanche
si degnò di rispondergli.
Quando se ne andò, Ayako disse: «Quanto è strano quel ragazzo».
«Non è strano, è idiota!», affermò convinto il rossino.
«E allora ti somiglia più di quanto tu non immagini», fu la secca
risposta di Akagi, che gli rifilò un calcio nel didietro. «Su, riprendiamo a
lavorare, scansafatiche!».
[1] Ramen: piatto
giapponese che ricorda molto i nostri spaghetti, serviti in un brodo di carne
e/o pesce, con uova, pezzi di carne di pollo o maiale e molluschi di vario
genere. Il tutto servito con verdure cotte o crude.