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Autore: kiara_star    05/07/2014    3 recensioni
[Sequel de “La carezza di un'altra illusione”]
[a sort of Thorki; fem!Thor]
~~~
C'erano cose di cui Thor non parlava mai, c'erano storie che forse non avrebbe mai narrato. C'erano domande che Steve porgeva con qualche dubbio.
“Perché continui a vedere del buono in Loki?”
“Perché io so che c'è del buono.”
[...]
Siamo ancora su quel balcone?
Ci sono solo io?
Ci sei solo tu?

“Hai la mia parola, Loki, non cambierà nulla.”
Ma era già cambiato tutto dopo quella prima menzogna e non era stato suo fratello a pronunciarla.
~~~
~~
Ancora oggi Nygis riempie il cielo di stelle continuando a piangere per il suo unico amore, nella speranza che un dì ella possa tornare da lui.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La leggenda di Nygis'
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cap31
L' ultima lacrima



XXXI.





Era in ritardo e lo sapeva. Aveva atteso così a lungo per quel dannato raggio e adesso era in ritardo perché aveva deciso bene di non chiedere a nessuno dove si trovassero i giardini.
Sono giardini, saranno all'esterno.
Ciò che aveva dimenticato era che per uscire da quel palazzo-labirinto ci voleva una mappa o meglio un radar.
Così il capitano Steve Rogers aveva girovagato per quella che era stata di certo una buona mezz'ora per poi finire con il trovarsi nelle cucine, sotto lo sguardo curioso dei cuochi e quello ancora più curioso delle altre ancelle.
«Salve!» salutò educatamente sollevando una mano. «Io... ehm, cercavo l'uscita. Cioè, cercavo i giardini reali.» Giustificò la sua presenza lì ma nessuno fece una sola domanda; nel mentre una povera oca stava scappando via e venne subito acciuffata da un ragazzino.
«Presa!» urlò gettandosi a peso morto sull'animale e facendolo urlare forse di paura, forse di dolore.
«Ragazzo?» Si sentì chiamare da un uomo robusto, con un grembiule bianco a coprire la pancia e una mannaia fra le mani. «I giardini sono per di là, alla fine del corridoio e dopo la scalinata.» Gli indicò la direzione con la lama e poi la fece schiantare duramente sul tagliere. «Spero tu abbia un buon motivo per stare lì: gli stallieri non possono andarsene in giro come gli pare. Lo sai, vero?»
Capì a quel punto che lo aveva scambiato per uno stalliere, forse sarà stato per l'abbigliamento modesto o per l'aria trafelata che indossava, di certo Steve fu più felice di quella svolta che ritrovarsi davanti l'ennesimo inchino.
«Oh, grazie. Lo terrò presente» rispose con gentilezza guardando un'ultima volta la vita caotica della cucina.
Imboccò quindi la direzione indicatagli, sperando fosse giusta, e al termine del corridoio vide una discesa di una trentina se non più di scalini di marmo. Li saltò con rapidità per scoprire se le indicazioni erano state corrette, e varcata la grande porta si ritrovò sotto il sole cocente di Asgard. Non riuscì a non sorridere, ma il sorriso si spense presto, quando scoprì che quei giardini erano ancora più intricati dei corridoi.



*



«Linn? Tutto bene?»
All'udire la voce della sua regina, Linn annuì e chinò il capo.
«Sì, mia regina» rispose.
Si era distratta per guardarsi intorno, alla ricerca di Steve. Era ormai trascorso del tempo da quando gli aveva dato appuntamento eppure non riusciva a scorgerlo. Forse era stato trattenuto dal Grande Padre, forse da altri impegni. Era stato sciocco pensare di poterlo incontrare con tale facilità, quasi dimenticava che se Steve era lì ad Asgard era per questioni di elevata importanza.
Continuò a passeggiare alle spalle della sua regina, a seguirne i passi leggeri e ad accompagnare il silenzio con il suo.
«Sai come si chiama questo fiore, Linn?» le chiese poi la regina Frigga interrompendo il suo lungo tacere. Linn guardò le sue mani che stringevano un fiore dal colore ceruleo, grande quanto il suo palmo, con una corolla composta da sottilissimi petali, quasi fossero aghi di ghiaccio.
«No, mia regina» rispose con sincerità.
La regina sorrideva guardano il fiore, ma era un sorriso privo di gioia.
«Bacio d'Inverno.»
«È un nome appropriato, mia regina.»
La regina annuì in accordo.
«È vero, sembra quasi una rosa di ghiaccio, non trovi? Eppure ti sorprenderà sapere che nasce solo in primavera. I suoi petali diventano d'argento durante la calura estiva, e sono bellissimi, Linn. Ma al primo vento dell'autunno essi cadono, uno dopo l'altro... E d'inverno, di questo bel fiore non resta nulla, solo l'attesa di vederlo sbocciare ancora.»
Linn guardò a lungo il fiore tenuto nella mano della regina e sentì tanta profonda tristezza.
«Nessuna creatura è fatta per vivere nel gelo, neanche chi ne racconta l'eco.»
Alle sue parole la regina si voltò a guardarla e i suoi occhi erano lucidi tanto da sciogliere anche i suoi.
Ma nessuna lacrima cadde, la regina le accarezzò il viso e riprese il passo finché non giunsero ai piedi di una fontana, di quella fontana, che tanto adesso significava.
La regina Frigga guardò insù, verso il viso di pietra della statua, e intrecciò le mani sul ventre.
«Quando ero in attesa di Thor, le curatrici mi dissero che sarebbe stata una bambina.» Poi la guardò e le sorrise. «Non l'ho mai detto a nessuno, neanche al mio sposo.»
«Mia regina...» sospirò l'ancella quando la sua sovrana le fece quella preziosa confidenza.
Ma Lady Frigga raggiunse la statua sedendosi sul bordo, e fece  scorrere le pallide dita nell'acqua, increspandola appena.
«Una bambina come primogenito non sarebbe stato di certo di buon auspicio, ma io ero felice e sapevo che quando Odino l'avrebbe avuta fra le braccia lo sarebbe stato a sua volta... Non puoi immaginare quindi la mia sorpresa quando poi nacque il principe.» Ci fu un sorriso e una debole dolce risata. «Avevo accarezzato ormai l'idea di avere una bambina, l'avevo disegnata nei miei pensieri. Il colore dei suoi occhi, il profumo che avrebbero avuto i suoi capelli, la grazia che avrebbe indossato... era viva, era sempre stata viva nei miei occhi eppure, d'improvviso, non c'era più.»
Linn sentì il cuore battere a ogni parola, a ogni goccia che scivolava via dalle sue dita, a ogni pallido sorriso che piegava le sue labbra.
«Ma quando ho stretto Thor al seno la prima volta l'ho amato come amavo quella bambina. Perché un figlio è amore, Linn, sempre... Li ami sempre, qualsiasi aspetto abbiano, qualsiasi animo abbiano... Anche se non sono nati dal tuo ventre. Un figlio è parte di te dal momento che entra nel tuo cuore.»
Non disse nulla, ascoltò il silenzio che ne seguì, il riverbero di quella confessione mai data, di quel dolore di madre. Lei, che una madre non l'aveva mai neanche sognata.



*



Non fu facile, ma alla fine, dopo aver sudato come non ricordava di aver mai fatto prima neanche nei deserti percorsi nella sua guerra, Steve riuscì a trovarla. Linn era accanto alla madre di Thor, nei pressi di quella che sembrava una fontana.
Si sistemò alla meno peggio i capelli per non dare un'impressione ancora più disordinata alla regina.
Ma forse non era un buon momento per presentarsi lì. Forse doveva attendere che Frigga andasse via; lo avrebbe fatto prima o poi, no?
E se invece Linn avesse dovuto seguirla per via dei suoi doveri?
Aveva fatto davvero troppo tardi e così aveva perso l'occasione di poter stare con lei.
Sospirò rallentando il passo e sentendo una voce che gli rimproverava la sua mancanza di senso del dovere. Era su Asgard per altri motivi, non per amoreggiare nei giardini, eppure avrebbe solo voluto fare quest'ultimo per il resto della sua permanenza.
Era nel bel mezzo di una lotta di coscienza quando si accorse dello sguardo di Linn e subito dopo di quello della regina. Le due donne si parlarono e poi Linn le fece un inchino e si mosse in direzione sua.
Quando lo raggiunse Steve gettò ancora un occhio a Frigga che era rimasta accanto a un cespuglio con dei piccoli fiori arancioni.
«Steve, sono felice di vederti.» Gli disse Linn con un sorriso, bella come sempre.
«Ho fatto tardi, lo so ma... I corridoi...» mormorò ma lei rise e scosse la testa.
«Ti avrei atteso fino al tramonto in ogni caso.»
Le accarezzò il viso e si sporse per baciarla ma poi si tirò indietro.
«Forse non è appropriato?» le chiese dubbioso.
«In effetti non lo è, ma non preoccuparti.» Linn gli sorrise ancora e poi si voltò verso la regina. «La regina Frigga sta per rientrare e sarebbe gentile se le porgessi i tuoi saluti.»
«Oh, certo.» Accettò e la seguì finché non raggiunsero la donna. Non sapeva bene se dovesse inchinarsi o baciarle la mano o magari fare un saluto militare.
Alla fine optò per un sobrio e universale cenno del capo.
«Buongiorno.» La salutò.
La vide sorridere quasi divertita e si chiese se avesse detto qualcosa di strano.
«Buongiorno, Steve. Mi auguro che la stanza che ti abbiamo riservato sia stata di tuo gradimento questa notte.»
Lo sguardo saettò sul viso di Linn che però tenne il suo calato sulle sue vesti.
«Sì,» rispose quindi. «È molto accogliente. Grazie.»
«Bene, allora ti lascio alla compagnia della nostra amabile Linn. Sono certa saprà renderti più piacevole il soggiorno forzato nelle nostre Terre.» E con quelle parole la regina si allontanò elegantemente verso un sentiero di pietre affiancato da alti alberi.
Steve la seguì con gli occhi per un po' e poi tornò al viso di Linn che si era inchinata per salutare la sua sovrana.
«Non dovevo dirle buongiorno, vero?» le chiese e lei rise prendendogli una mano.
«Non ci si rivolge a un sovrano senza un adeguato titolo,» gli spiegò.
«“Buongiorno, mia regina” oppure “Vi porgo i miei saluti, regina Frigga”, ma anche “Felice mattino, Milady” può essere accettato.»
«Ah sì?» chiese ancora e Linn annuì.
«E l'inchino, Steve. Devi porgere un inchino quando saluti un membro della famiglia reale.» Non c'era nota di rimprovero nella sua voce ma solo divertimento, e Steve sospirò godendosi la sua dolce risata.
«La prossima volta lo terrò a mente» promise e Linn alzò il viso per guardarlo.
«È bello averti qui.» Gli confidò e Steve si chiese se fosse ancora inappropriato baciarla. La risposta non fu necessaria dal momento che fu lei a poggiare le labbra sulle sue. «Solo perché non c'è nessuno nei paraggi...» soffiò contro la sua bocca e automaticamente Steve guardò intorno scorgendo in effetti solo un uomo anziano che toglieva delle erbacce a metri di distanza.
Prima che però potesse approfittare della benevolenza della situazione Linn lasciò andare la sua mano.
«Voglio mostrati una cosa,» gli disse mentre si voltava verso la fontana. Linn si sedette poi sulla panca dirimpetto ma Steve resto in piedi a guardarla. «Vedi la statua sulla fontana, Steve?»
Portò lo sguardo sulla raffigurazione e ne seguì la pregiata lavorazione: ritraeva una donna che in ginocchio sembrava pregare, con le mani giunte e i capelli smossi dal vento.
«È molto bella,» affermò con sincerità apprezzando la raffinatezza dell'opera.
«Quando sono triste e pensierosa, vengo qui e la guardo, e mi fa stare meglio» disse Linn e Steve si voltò a guardarla. Sorrideva eppure c'era della pallida malinconia nei suoi occhi.
«Chi è la donna che prega?» chiese e Linn continuò a sorridere senza spostare gli occhi dalla statua.
«È Sigyn» rispose, e quella risposta lo confuse. Linn dovette capirlo. «Non la mia signora, ma il personaggio di una leggenda.» Gli chiarì e a quel punto Steve tornò a osservare la scultura.
«Una leggenda...» sussurrò debolmente mentre il viso della statua sembrava riflettere il viso della Sigyn che aveva conosciuto lui, il cuore di Thor.
«Vorresti ascoltarla, capitano?»
Alla domanda di Linn esitò ma poi annuì in silenzio sedendosi accanto a lei.
«Mi piacerebbe, Linn.»
E Linn sembrò felice di quelle parole.



*



Anche se era distante, anche se non poteva udire la sua voce, Sigyn sapeva bene cosa stesse dicendo Linn.
L'aveva scorta al fianco di sua madre e poi aveva scorto Steve. Era stato strano vederlo passeggiare per i giardini, nei suoi giardini, nei quali aveva corso da bambino. Eppure era lì.
Steve aveva salutato sua madre e poi era restato con Linn, e Sigyn non era riuscita a non sorridere quando li aveva visti baciarsi.
Non sapeva. Linn non le aveva detto del legame che era nato con Steve, ma non se ne sorprendeva. Il cuore gentile di Linn poteva essere destinato solo a uno altrettanto gentile come quello di Steve.
Aveva provato un grande calore nel vedere i sorrisi sui loro visi, nel vedere il sorriso di Steve seppur da lontano.
E poi li aveva visti guardare la fontana, la fontana doveva aveva trascorso tante ore fra pensieri e rimpianti, fra ricordi e memorie.
Lì, Linn aveva iniziato a parlare e probabilmente a narrare la stessa leggenda che aveva narrato per Thor per tanti anni, quando forse ignorava chi era stato un tempo, quando forse lo aveva sempre saputo.
In quell'istante pensò a Loki, a dov'era adesso e come stava il suo animo così fragile che lei aveva soltanto ferito ancora.
Pensò ai suoi compagni, ai loro sguardi e alle loro parole. Pensò a Jane e si chiese come stesse, cosa stesse facendo. Non aveva chiesto di lei a Linn la sera prima, a Linn aveva chiesto solo di Loki.
Si accorse in quel momento quanto avesse sbagliato. Non avrebbe dovuto chiedergli di combattere per amor suo, avrebbe dovuto chiedergli di combattere al suo fianco, insieme, come due fratelli, come due riflessi dello stesso cielo.
Abbassò il capo lasciando che i capelli piovessero sul viso e strinse forte i denti per inghiottire l'ennesimo grido di rabbia.
Quando risollevò il viso con il cuore in tumulto, scorse ancora Steve e Linn alla fontana.
Decise di rientrare, aveva già rubato troppo del loro tempo insieme.
Attraversò la stanza senza guardare nulla, né il letto né il tavolo con decine di pergamene e libri, cercando di ignorare i ricordi che raccontavano.
Lasciò così la camera di Loki ma quando raggiunse la maniglia della sua si sentì soffocare.
Non riuscì a spingerla né entrare.
Poteva forse cercare sua madre per una parola di sollievo, o attendere il ritorno di Linn o...
Era dunque giunta a questo? Ad aver bisogno di qualcun altro per non lasciarsi sopraffare dalle emozioni? Così fragile e debole era ora il principe di Asgard?
In un moto di rabbia iniziò a camminare con passo lesto per il corridoio, senza curarsi del dove le sue gambe l'avessero condotta. Se avesse incontrato suo padre sarebbe stato un bene comunque, avrebbe potuto mostrargli la sua tenacia, la sua perseveranza. Se avesse incontrato Freyja le avrebbe porto quel ringraziamento che non aveva ancora fatto. Freyja l'aveva salvata per piegare Loki, certamente, eppure perché negarsi di credere che c'era anche un'altra ragione? Quella ragione che le rendeva simili, perché Freyja aveva condiviso con suo fratello lo stesso amore che avevano condiviso loro, e sebbene per Vanaheim non fosse illecito né motivo di scandalo, Sigyn sapeva che era forse l'unica che poteva comprenderla davvero. Se l'aveva salvata era perché questo anche Freyja lo sapeva bene.
I passi rallentarono fino ad arrestarsi quando giunse davanti alla scalinata che conduceva nelle segrete; due soldati posti a sorveglianza.
Ricordava quando l'aveva percorsa, con quale vergogna e colpa, ricordava anche un volto amico che le aveva scaldato il freddo di quella cella. Sua madre le aveva detto del prigioniero che aveva inveito contro le guardie affinché l'aiutassero.
Enok...
Sigyn non aveva dimenticato Enok, e anche a lui doveva un grazie.



*



Steve aveva ascoltato la sua storia, in silenzio. Linn aveva visto la sua gola sussultare e le labbra trattenere domande, forse risposte.
Ma aveva taciuto. Steve aveva taciuto ogni parola finché non era giunta al termina della leggenda che tanto le era cara, finché i suoi occhi non si erano inumiditi e lei non aveva ricacciato indietro l'emozione per sorridergli.
Lui osservava ancora la statua e non diceva nulla, ascoltava il vento e i suoi pensieri, e Linn più lo guardava più si rendeva conto di quanto a fondo era entrato nel suo cuore.
«Thor veniva qui?» chiese poi spezzando il suo silenzio.
Linn annuì. «Spesso, e sedeva su questa panca,» rispose accarezzando la pietra con le dita e ricordando il suo volto triste.
«E Loki?»
Alla seconda domanda rialzò lo sguardo e sospirò.
«No, il principe passeggiava di rado fra i giardini dopo che...» Quando la sua frase sfumò Steve la guardò e Linn si convinse che non gli avrebbe negato nessuna verità. «Dopo la partenza di Lady Sigyn, lui veniva sempre meno finché non smise di passeggiare. Restava nelle sue stanze e alle volte era possibile scorgerlo solo lì, dal suo balcone.» Gli indico la direzione e Steve la seguì. Quel balcone vuoto da cui non si affacciava più nessuno. «È sempre stato un animo solitario e amava trascorrere le giornate nella biblioteca.» Sorrise nel ricordarsi quell'ormai lontana memoria, ma poi il sorriso scivolò via al giungere delle altre. «Era mal visto a corte. Al suo passare aleggiavano sempre voci meschine e crudeli, e nessuno osava difenderlo. Nessuno.»
«Neanche Thor?»
Scoprì Steve a guardarla e scosse la testa.
«No, neanche il principe Thor prendeva mai le difese di suo fratello. Ma non lo faceva per una qualche volontaria cattiveria, lungi da me affermare una tale eresia. La verità è che il principe Thor ha avuto sempre fiducia nella sua gente, nel suo popolo, perché tutti lo amavano, e forse ha creduto per lungo tempo che la stessa sorte abbracciasse anche suo fratello. Quando il principe tradì Asgard, nessuno se ne sorprese davvero, nessuno a parte il principe Thor.»
Steve restò in silenzio a osservare un punto lontano del terreno e Linn si chiedeva quali pensieri stessero attraversando la sua mente.
«Cosa cerchi di dirmi, Linn?» le domandò con un fiato, donandole ancora i suoi occhi di cielo.
«Non voglio dipingerlo per qualcuno che non è, Steve» rispose. «Conosco i suoi sbagli, tutti noi li conosciamo e nulla giustifica le azioni che ha compiuto. Quello che cerco di dirti è solo un'altra parte della storia, una parte che sembra non interessare a nessuno, ma so che il tuo cuore gentile è capace di ascoltare.» Gli prese le mani e le strinse fra le sue.
«Che altro dice questa storia?»
Alla sua nuova domanda respirò a fondo e gli accarezzò il dorso della calda mano.
«C'è stato un tempo in cui anche il più oscuro dei principi brillava, in cui nessuna ombra offuscava il suo sguardo né il suo cuore. Asgard questo lo sa.»
Steve comprese e annuì anche se con aria pensierosa.
«Sigyn...» mormorò e Linn tacque in consenso.
«Lei lo rendeva migliore, lo rende migliore... E nessuno dei due lo ha mai dimenticato.»



*



Sapeva che non sarebbe mai potuta scendere da sola, sapeva anche che suo padre non avrebbe dato alcun permesso affinché le fosse concesso farlo.
Tentò ugualmente: chiese a una delle guardie di poter porgere visita ad un prigioniero e le bastò dire un nome, il suo nome, affinché il soldato le facesse strada.
Odino le aveva comandato di non abbandonare il palazzo, sua madre diceva che poteva anche passeggiare nei giardini. Chi era Sigyn adesso, che ruolo stesse giocando agli occhi di Asgard, era però un vero mistero. Cosa aveva detto il Padre degli Dèi di quella ragazza prima costretta in catene e poi condotta nella sala della guarigione dalla regina in persona?
Prima un traditore, un criminale da condannare, poi qualcuno la cui salvezza era stata invocata dalla sovrana Frigga.
Non sapeva darsi risposta, non aveva neanche reale voglia di conoscerla.
Scese la tortuosa scalinata seguendo il giovane in armatura che le faceva strada e, giunta al termine, si trovarono dinanzi uno dei bruti carcerieri.
«Chi si rivede...» mormorò l'uomo con un ghigno, incrociando le braccia sul petto nudo. Non aveva memoria di costui, eppure lui sembrava averne. «Che ci fai di nuovo qui, bel fiore?»
«Sono qui per far visita a un prigioniero. So che ne ho diritto,» affermò seppure con qualche incertezza nel petto. No, non aveva in realtà alcun diritto ma il soldato che l'aveva scortata non obiettò. Riconobbe il suo viso fra quelli che avevano condotto Loki alla Sala del Consiglio.
«Lascia libero il passaggio,» comandò poi la guardia con tono duro e il carceriere sorrise in maniera ironica per poi mostrar loro la via.
«Da questa parte» li invitò.
Sigyn prese il passo e lo seguì.
Le immagini non erano ovviamente mutate, c'erano sempre piccole fredde celle, volti sofferenti e aria maleodorante, c'erano sempre urla che giungevano da lontano e risate sadiche ad accompagnarle.
«È stato un peccato che la tua permanenza qui sia durata così poco.» Udì mormorare al carceriere mentre camminavano nei corridoi. Poi i suoi occhi chiari furono sul suo viso insieme a un altro sorriso fastidioso. «Ci saremmo divertiti.»
Non ebbe neanche il tempo per afferrarlo per il collo ché la guardia lo spintonò contro il muro con la sua lancia.
«Sta' al tuo posto.» Lo minacciò premendo l'acciaio contro il suo petto nudo.
Una smorfia sofferente fiorì al posto di quel sorriso mentre l'uomo annuiva controvoglia.
Non amava che giungesse chicchessia a sua difesa e, anzi, il gesto della guardia quasi la indispettì, ma non poteva di certo rimproverargli nulla. Gli fece solo un cenno del capo e la lancia tornò a toccare il pavimento di pietra, lasciando un segno rosso sulla pelle del carceriere.
Non ci furono più sguardi lascivi né squallide allusioni, e in breve giunsero nel corridoio che accoglieva quella che era stata la sua cella e, di fronte, quella di Enok.
Si fermò e guardò la guardia reale.
«Puoi restare qui.» La invitò e lanciò solo un'occhiata gelida al carceriere che le dedicò stavolta solo occhi di rabbia.
La guardia assentì in accordo e si assicurò che anche l'uomo che li aveva accompagnati rispettasse la sua volontà restando a dovuta distanza.
Sigyn si avvicinò così alla segreta di Enok e dedicò uno sguardo a quella frontale, in quel momento priva di occupanti. Tornò da Enok che era a terra, coperto con quella vecchia stoffa, raggomitolato su un fianco. Forse stava dormendo, o forse fingeva di farlo.
«Enok?» Lo chiamò con voce bassa ma quando non ricevette risposta si inginocchiò accanto alle grate e tornò a chiamare il suo nome. «Mio buon amico, sei sveglio?»
Fu prima un brusio poi finalmente la coperta scivolò via dalla testa rivelando un volto ferito, come Sigyn non lo ricordava.
«Sigyn?» La riconobbe immediatamente e le sorrise mettendosi a sedere. Lei non riuscì a ricambiare quel sorriso mentre percorreva con lo sguardo i lividi sul suo corpo: il labbro ferito e lo zigomo spaccato, l'intero occhio destro tumefatto e talmente gonfio da impedirgli di aprire la palpebra.
«Cosa ti hanno fatto?» gli chiese urgente ma Enok continuò a sorridere avvicinandosi carponi alla grata che li divideva. Sigyn vide altre ferite e dal modo in cui si trascinava, probabilmente aveva anche qualche frattura alle gambe.
«Sono cose che capitano qui sotto. Hai dimenticato?» le sospirò con voce roca. «Piuttosto tu... sono felice di vederti bene. Temevo ti fosse accaduto il peggio.»
Sigyn non si trattenne dall'infilare un braccio nella cella per posarlo gentilmente contro la sua spalla.
«Sto bene, amico mio, e sono qui per dirti grazie per ciò che hai fatto,» gli disse sentendo lo stomaco contorcersi dalla rabbia per lo stato in cui versava quell'uomo. Lo aveva conosciuto solo qualche ora eppure tanto era bastato per avvicinarlo al suo affetto. «Sarei dovuta venire prima, lo so, e mi rammarico di non aver portato con me qualche pietra guaritrice per curare le tue ferite.»
«Sarebbe stato un buon modo per tornare qui dentro. Non si può portare nulla che allevii le condizioni di noi feccia in catene.» Sul viso di Enok ancora un sorriso, nelle sue parole solo tanta triste verità.
Si sentì impotente ancora una volta, si sentì in colpa ancora una volta.
«È a causa mia, vero? Ti hanno percosso perché hai cercato di aiutarmi?» Gli chiese avvertendo la magra mano di Enok posarsi su quella che teneva poggiata contro la sua spalla.
«Trovano sempre un motivo per farlo, raggio di sole.»
Scosse il capo chiedendosi come poteva permettere che accadessero simili barbarie nella sua stessa casa.
«Mi ricordo di te, sai?» A quell'affermazione lo guardò confusa ed Enok sorrise lasciando scivolare via la sua mano cosicché Sigyn potesse portarla contro una delle barre di metallo. «Quando mi hai confidato il tuo nome mi sembrava di averlo già udito, ma credevo che i miei ricordi si confondessero con quella sciocca leggenda.»
Sigyn deglutì attendendo che lui continuasse.
«Poi ho visto la regina scendere qui e a quel punto mi è tornato in mente. È accaduto tanto tempo fa, io ero ancora una recluta che si allenava nei campi a nord quando ti vidi cavalcare.»
«Mi hai vista cavalcare?» chiese incerta e lui rise con qualche colpo di tosse.
«Sì, su un magnifico stallone bianco, e il giorno dopo tutte le reclute guardavano nella stessa direzione per vederti, perché nessuno credeva alla tua esistenza, nessuno credeva alla bella fanciulla che aveva rapito il cuore del più nero dei principi.» Sentì un tuffo al cuore e sospirò abbassando il capo. «Ora capisco di quale crimine parlavi: amare un traditore di Asgard deve essere peggio che esserlo.»
«Enok...»
«Se avessi saputo chi eri forse non avrei detto ciò che ho detto, questo non toglie che lo pensi però,» disse poi lui riferendosi al modo con cui aveva parlato di Loki. Ma Sigyn non gliene faceva una colpa e ne apprezzò invece l'onestà.
Sollevò poi lo sguardo nel suo.
«Sei un uomo buono, Enok,» affermò sincera. «Perdona se ho giudicato le tue scelte prima di sapere.»
«Ti perdono se mi doni un sorriso, bella Sigyn.»
E Sigyn gli sorrise, con amicizia e gratitudine.
«Tornerò a trovarti se potrò e ti prometto che farò in modo di farti uscire da questa cella. Hai la mia parola.» Allungò ancora la mano e aspettò che lui l'afferrasse, che la stringesse debolmente, anche se non si aspettava il bacio che le posò sul dorso.
«Se avessi scelto Thor avremmo avuto una regina degna di Frigga.»
Quella frase la fece sospirare tristemente.
«È il cuore a scegliere...» disse ed Enok annuì lasciandole andare la mano.
«Se il tuo ha scelto quello del principe Loki allora non deve essere davvero così oscuro.»
Sigyn sorrise con la solita dolorosa tristezza.
«No,» rispose. «Non lo è.»



*



Le parole di Linn risuonavano ancora nella sua testa, i suoi occhi bui e le lacrime che avevano coraggiosamente trattenuto. Mentre attraversava quei tortuosi corridoi, Steve si sentì così lontano dall'eroe che era ritenuto. Aveva giudicato, aveva deciso che fosse sbagliato prima di sapere in realtà tutto ciò che era accaduto, tutto ciò che aveva portato a quello sbaglio, se mai di sbaglio si fosse trattato. Non negava che come uomo, forse stupidamente, faticava a trovare un punto di incontro nelle azioni di Thor, eppure come amico avrebbe dovuto farlo. Forse era tardi, ma Linn diceva che non era mai davvero tardi quando si agiva con coscienza.
Sorrise nel pensarla dolce nell'accarezzargli il viso e baciarlo nel più tenero dei modi.
Alzò lo sguardo verso l'affresco con il giovane che cacciava quello che sembrava uno strano cinghiale. Era nella giusta direzione: ricordava quel ritratto quando aveva raggiunto la camera di Odino. Doveva girare a destra, e poi-
Ogni pensiero si arrestò quando voltò lo sguardo e ne incrociò uno azzurro.
«Steve?» Lo salutò lei. Un sorriso impacciato che sembrava indeciso se restare sulla sua bocca o sfumare. Era vestita in maniera diversa, più simile all'abbigliamento di Sif e al contempo più simile al vecchio Thor che aveva imparato a conoscere e stimare.
«Ehi...» rispose debolmente e scorse al suo fianco una guardia reale che sembrò scrutarlo con attenzione. Forse avrebbe dovuto presentarsi.
«Il capitano Steve Rogers, soldato.» Fu lei a farlo e la guardia chinò il capo facendo battere l'asta della lancia al suolo come segno di rispetto. «Il più valoroso dei guerrieri di Midgard.» C'era tanto orgoglio nella sua voce e Steve si sentì ancora più meschino per il comportamento che aveva tenuto.
«È un onore, capitano Rogers» disse a quel punto il giovane in divisa dorata.
Stavolta non c'era tempo per imbarazzo o altro. Gli occhi di Steve erano solo in quelli della donna che era stata il suo amico più caro, che ancora lo era forse... che forse sarebbe sempre stato.
«Possiamo parlare?» le chiese con serietà e lei sembrò sussultare ma non di timore, quasi di gratitudine.
«Certo» rispose e poi si rivolse alla guardia. «Grazie per il tuo servizio, soldato.»
«Dovere, Milady.»
Il soldato chinò ancora il capo e prese la strada da cui era giunto.
Quando svoltò per poi sparire dalla loro vista, Steve sentì ogni parola restare nella gola.
«E così sei ad Asgard.» Fu lei a spezzare il primo silenzio. «È come l'avevi immaginata?»
Sorrise e scosse il capo.
«In parte, e in parte è più intricata di un labirinto. Mi sono già perduto più di una volta, sia qui che nei giardini» confessò e la udì ridere.
«Avresti dovuto portare uno di quegli strani apparecchi di Stark.»
Anche lui rise.
«Sì, l'ho pensato in effetti. Probabilmente avrebbero funzionato anche quassù senza problemi.»
Era un po' come i vecchi tempi, come condividere domande e dubbi, come condividere una vera amicizia.
Poi le risate sfumarono, lente, e tornò il silenzio.
Steve sospirò affondando le mani nelle tasche e il suo sguardo vagò da quel viso al pavimento, all'affresco sulla parete, alla luce che filtrava dalle piccole finestre verticali su quella opposta.
«Grazie per il tuo aiuto, Steve» disse poi lei e lui annuì.
«Dovere.»
Si scambiarono ancora un sorriso nel notare quella risposta specchiare quella della guardia.
«E grazie anche per non aver aggiunto alcun titolo» mormorò e Steve rise ancora.
«Non avrei potuto neanche volendo,» ammise con una nota di sconcerto che non era riuscito a nascondere ma che sembrò solo rendere ancora meno teso il suo viso.
«Nelle mie stanze potremo parlare con più riserbo... se ne hai voglia.»
Tentennò solo un po' poi acconsentì.
«Perdersi nuovamente sarebbe un colpo troppo duro per il mio orgoglio di soldato» sospirò e Sigyn lo affiancò con un ennesimo sorriso amichevole.
«Nulla potrebbe mai scalfire il tuo orgoglio di soldato, Steve.»
Non fu capace di risponderle nulla. Prese il passo accanto al suo e fu ancora silenzio, stavolta meno colpevole o imbarazzante. Fu solo silenzio.
Di tanto in tanto si lasciava sfuggire uno sguardo al suo profilo e rivedeva un po' di Thor. La cosa non avrebbe dovuto stupirlo e in qualche maniera gli era di sostegno.
«Assomigli molto a tua madre» affermò mentre camminavano.
«Lo dicono in molti» rispose con voce dolce lei e poi lo guardò con un sorriso quando giunsero dinnanzi a una porta. «Siamo arrivati.»
La spinse e gli fece segno di seguirla.
La stanza che si ritrovò davanti era molto simile a quella in cui alloggiava ma c'erano molte armi poggiate qui e lì, qualche libro, un'armatura sistemata su di un supporto nell'angolo più lontano.
«Spero ti abbiano rivolto la giusta accoglienza» disse poi lei recuperando la sua attenzione.
«Oh, certo» rispose Steve. «Sif è stata molto gentile e ho incontrato anche il tuo amico Fandral la scorsa notte.»
«Davvero?» gli chiese ovviamente curiosa. «In quali circostanze?»
Un leggero imbarazzo gli scaldò le gote.
«Ehm, mi ero perso, tanto per cambiare, e lui era nei paraggi a fare qualcosa di piacevole con qualche fanciulla. Così ha detto.»
«Tipico di Fandral.» La risata fu fragorosa eppure lo sguardo celava una certa malinconia, poi scese ancora il silenzio e Steve si ritrovò a far vagare lo sguardo finché non giunse sul grande letto a baldacchino al centro della camera.
Fu ancora un sorriso.
«Lenzuola rosse...» notò e la guardò. «Sul serio?»
Lei rise e si poggiò contro una scrivania.
«È il mio colore preferito, lo sai.»
«Sì, ma addirittura le lenzuola. È come se io indossassi i boxer a stelle e strisce» mormorò.
«Non lo fai?» Alla sua domanda la guardò con rimprovero.
«È solo una diceria messa in giro da Stark!» sottolineò e rivide sul suo viso quel vecchio sorriso amichevole che gli aveva fatto tanta compagnia.
«Per sincerarmene chiederò a Linn.»
Non disse nulla, lasciò che fosse il leggero rossore sulle sue guance a parlare per lui. Ma non ci furono battute, non ci furono altre allusioni perché Thor era così: un amico sincero e genuino che non godeva nel rendere volutamente ancora più imbarazzante una situazione.
«Sai, quando ero un fanciullo volevo un cavallo rosso,» gli confidò dopo un breve silenzio. Lo sguardo come perso in vecchi ricordi, le labbra piegate con nostalgia. «Pregai mio padre di girare tutti e Nove i Regni per trovarlo ma mia madre disse che non esisteva una creatura simile. Non sai come mi rese triste quella notizia... Rimasi chiuso in questa stanza per interi giorni. Non volevo vedere nessuno, ero troppo arrabbiato. Se ritieni che fossi un bambino viziato in verità non sbaglieresti.»
Anche Steve sorrise senza interrompere il suo racconto.
«Poi una sera ero seduto lì, ai piedi del letto, con un lungo broncio, e Loki entrò dalla porta. Gli urlai contro e tentai di cacciarlo, ma lui ignorò ogni mia ira e mi si sedette accanto.» In quegli occhi azzurri, Steve vide tanta tristezza e al contempo tanta tenerezza. «“Ho trovato un incantesimo, fratello - mi disse, - Un incantesimo per creare un cavallo dal manto rosso come fiamme”... Non gli credetti. “Bugiardo - gli urlai, - Vuoi solo prenderti gioco di me!”... Ma Loki non rinunciò e mi mostrò un libro con tante rune che non capivo. “Posso farlo. Lo farò per te, Thor. Ti prometto che creerò un cavallo incredibile.”»
«E lo fece?» chiese Steve e a quel punto sembrò che lei si ridestasse da un sogno a occhi aperti.
«Sì,» rispose sorridendo. «Quella sera andò nelle stalle e fece questo incantesimo su una puledra che avrebbe partorito a breve. Mi chiese di attendere e di non dire nulla a nessuno, ché era un segreto. Ero così ansioso che trascorsi i successivi sette giorni davanti a quella stalla finché la cavalla non partorì... La sorpresa fu che non nacque nessun cavallo rosso, ma un piccolo puledro con otto zampe.» Rise e scosse il capo. «Oh, Loki era così deluso ma io... io no, io ero impressionato dalle capacità del mio piccolo fratellino. “Perdonami se non ci sono riuscito”... Piangeva quando me lo disse. “Perdonami se non ho mantenuto la promessa”... Ma l'aveva mantenuta: aveva creato il più incredibile dei cavalli, tanto incredibile che fu scelto da mio padre come suo destriero, anche se lui ancora oggi non sa che fu Loki a dargli vita.»
Al termine del racconto Steve pensò a quel cavallo particolare che aveva visto cavalcare da Odino, pensò a Loki, pensò ai ricordi di Linn.
«Lo so che le verità che sono venute alla luce hanno compromesso per sempre la nostra amicizia, Steve, e voglio che tu sappia che non intendo biasimarti nulla. Sono solo grato che tu sia qui, grato che nonostante tutte le vicissitudini e il mio comportamento scorretto e codardo, tu sia qui. Ho tanto di cui chiedere perdono a te e a tutti gli altri amici di Midgard, e cercherò la maniera per meritarmelo, anche se ci vorrà tempo e -»
«No,» interruppe il suo fiume di parole e colpa, e scosse la testa. «Non c'è bisogno di alcun perdono.» Le si avvicinò lentamente con un accenno di sorriso. «Ok, hai commesso qualche errore, come aiutare quell'evasione o sottrarre la sfera dalla base dello S.H.I.E.L.D. e di certo Nick avrà una ramanzina da rifilarti quando tornerai, ma a parte questo noi siamo una squadra, Thor, e una squadra affronta tutto insieme, anche quando sembra che quell'insieme sia difficile da gestire.» Quando le fu ormai di fronte vide i suoi occhi divenire lucidi di gratitudine e altro, di amicizia, di incredulità, di ogni sentimento che aveva sempre battuto nel cuore buono di Thor. «Io non sono bravo con le parole e lo sai, ma voglio solo dirti che la nostra amicizia non è stata compromessa, niente potrebbe realmente farlo.» Allungò poi la mano destra e aggiunse: «Vendicatori Uniti”, giusto?»
Lei la strinse con la propria e Steve la sentì calda come ricordava, con la stessa presa forte e sicura.
E poi lo tirò a sé, a circondargli le spalle con l'altro braccio.
Thor era sempre stato un tipo caloroso anche nelle sue dimostrazioni di affetto, quindi Steve cercò di non badare troppo all'altezza leggermente inferiore al solito che lo obbligò a piegarsi un po', soprattutto cercò di non badare alla pressione del suo seno contro il petto.
«Grazie, Steve... Grazie, amico mio.»
Badò solo alle sue parole, badò solo alla sua amicizia e sorrise.
Qualsiasi aspetto avesse avuto, qualsiasi passato avesse mai vissuto, sarebbe stato sempre lui: sempre e solo Thor.





₪₪





Amora lo guardò riluttante.
«Non capisco il motivo di questa decisione!» affermò senza celargli il suo disappunto. Styrkárr le camminò incontro tenendo gli occhi fissi nei suoi.
«Non posso rischiare. Conosco Odino e so che starà di certo cercando il modo per  riprendersi la sua arma, se non l'ha già trovato. Non posso lasciare che le tre essenze siano nel medesimo luogo, sarebbe pericoloso. Perciò te lo ripeto: il tuo cavalier servente non verrà con noi.»
Amora era furente. Aveva mantenuto la sua parola, creato l'esercito che quel Vanr borioso le aveva chiesto e adesso le impediva di godere dei suoi sforzi? Voleva che Thor fosse con lei durante l'assalto ad Asgard, che fosse al suo fianco quando avrebbero incrociato lo sguardo di quella cagna di Sif, quando avrebbero arso il palazzo reale da cui era stata cacciata senza rispetto. Voleva che Thor fosse con lei durante il suo trionfo.
«Ti ho già assicurato che non c'è modo di separarti da Mjolnir. Nessuno può invertire il processo che vi lega» ribadì.
Styrkárr non sembrava intenzionato a darle retta. Un tuono risuonò poco distante e i suoi occhi neri la inghiottirono.
«Se il tuo esercito lavorerà come hai promesso, Asgard cadrà in fretta e, quando Odino sarà solo un corpo in putrefazione, potrai fare quello che vuoi con quel tuo pupazzo d'oro.» Le si avvicinò e le afferrò il collo con una mano. Strinse. «Fino ad allora, donna, farai ciò che ti ordino o ti staccherò questa piccola testa senza pensarci due volte.» Strinse ancora e Amora sentì l'aria mancare. «Devo ripetertelo, Incantatrice?»
Cercò di annuire benché infinite piccole scosse le stessero colpendo la trachea e il resto del corpo.
Quando Styrkárr la lasciò andare cadde a terra e tossì forte carezzandosi la gola dolente. Alzò poi lo sguardo con astio e si sollevò dal pavimento.
«Come vuoi!» ringhiò e lasciò la stanza senza dire altro.
Raggiunse la sua camera dove Thor se ne stava, braccia incrociate, a guardare al di là di una finestra che mostrava solo buio.
«Quando attaccheremo?» le chiese voltandosi con la solita aria gelida.
«C'è stato un cambiamento.» Lo informò avvicinandosi alla conca di ceramica con l'acqua. Si lavò con rabbia il collo più volte e poi si voltò a guardarlo. «Ho un altro compito per te, amore mio.»
Thor la guardava senza porre domande, pronto solo a soddisfare ogni sua richiesta.
«Portalo a compimento senza fallire e mi renderai orgogliosa di te.»
«Comanda, mia regina.»
Sorrise, Amora, ancora logora di rabbia e umiliazione e si avvicinò lenta e inesorabile al suo tesoro più prezioso. Se non poteva godere di quella soddisfazione che tanto aveva accarezzato, ne avrebbe avuta un'altra per colmare la delusione, e forse sarebbe stata anche più dolce.











Odino guardò i reparti organizzati ordinatamente lungo i campi, udiva la voce dei generali dar loro i comandi. Il rumore degli stivali, la polvere che si alzava, il fremere delle lance.
Huginn volava in alto, e lo salutò fino a posarsi sul suo braccio, sotto i raggi dell'astro più alto le sue piume brillavano di nera pece.
«È con il mortale...» sospirò il re all'udire il suo tacito messaggio. Poi scosse il braccio e lo fece volar ancora via.
Steve Rogers... impertinente eppure umile. Un uomo ligio al dovere, le cui convinzioni brillavano nell'azzurro del suo sguardo giovane.
Tanto simile a quel figlio che aveva amato e cresciuto credendo di farne un valente condottiero, un buon re, una guida saggia e giusta.
E dov'era adesso quel figlio?
Lo aveva veduto davanti a sé il giorno prima, con la stessa arroganza di un tempo, con la stessa aria polemica con cui lo aveva contestato negli anni della giovinezza, che credeva avesse imparato a governare con il tempo e l'esperienza.
Era lì, suo figlio, in quel corpo fragile e sbagliato, vestito di un nome che celava un peccato.
Si accarezzò la fronte con le dita stanche udendo ancora il marciare dei soldati e il galoppare dei cavalieri.
Una guerra era prossima, una guerra che andava vinta a ogni costo.
Eppure qualsiasi fosse stato l'esito, Odino sentiva già di aver perso.



*



Sigyn sorrise mentre chiudeva la porta alle loro spalle.
«So che le dimensioni del palazzo possono essere alquanto intimidatorie, ma fidati: basta girarlo un paio di volte ed è facile ritrovarsi.»
Steve alzò le spalle guardandosi intorno.
«Ho preso dei punti di riferimento per orientarmi» disse indicando poi l'affresco sulla parete del corridoio. «I dipinti mi aiutano,» spiegò e Sigyn annuì.
«Sono tutte rappresentazioni di episodi realmente accaduti, di battaglie, la maggior parte di mio padre e di Borr, suo padre.» Lo accarezzò poi con le dita ricordando quando Odino narrava le gesta dei loro valorosi avi affinché potessero essere di esempio. Una lunga vita fa.
«Ce n'è anche qualcuno che ti riguarda, Thor?»
Steve era l'unico che ancora usava quel nome, era forse l'unica persona che quando la guardava negli occhi rivedeva ancora Thor. Perfino Sigyn stessa faceva fatica a ritrovarsi, a ritrovare i suoi sentimenti e le sue emozioni.
«Un paio» rispose con un certo orgoglio. «Il momento in cui ho sollevato Mjolnir la prima volta... il mio preferito.» L'orgoglio si trasformò in amarezza e Steve dovette leggerlo nei suoi occhi.
«Spero davvero di farcela» mormorò guardandola e Sigyn gli strinse con calore la spalla.
«Non esistono motivi per cui tu debba fallire. Sei un uomo di valore e coraggio, un uomo giusto e di elevati principi morali. Mjolnir non potrebbe mai chiedere mano più degna della tua.»
Era verità quella che abbandonava le sue labbra e Steve sembrò lasciarsi cullare dalla sua sicurezza.
«Se lo dici tu...» sorrise.
«Fidati!» Sigyn gli diede uno schiaffo sulla spalla e prese il passo notando come Steve osservava con interesse la battaglia dipinta sulla parete.
Ci fu un silenzio compagno durante il loro passeggiare e Sigyn ne fu felice; ricordava le loro lunghe passeggiate fra le strade di Midgard, ad ascoltare semplicemente il suono della vita che li circondava, un suono bellissimo.
«Così tu e Linn...» infranse poi il silenzio con quella breve frase, ma solo perché voleva vedere come gli occhi di Steve avessero brillato. E brillarono al semplice udire il suo nome.
Sorrise imbarazzato scostando lo sguardo dai muri e portandolo ora al pavimento, ora al lungo corridoio che si apriva davanti ai loro passi.
«Già,» disse soltanto con un accenno di nervosismo che la fece sorridere.
«Linn è una ragazza speciale, una ragazza come poche e tu devi trattarla come merita e non farla soffrire. Mi hai capito, Steve?»
Il suo sguardo si allarmò.
«Morirei prima di farle del male!»
E Sigyn non riuscì a trattenere una risata intenerita da quella reazione.
«Lo so, amico mio. Lo so.» Lo rassicurò e Steve scosse il capo comprendendo il suo bonario giocare.
Stavano ancora passeggiando senza meta quando una guardia li raggiunse chiedendo a Steve di seguirlo fino alla Sala del Trono, dove il Grande Padre lo attendeva.
«Non farlo aspettare. Non ama chi giunge in ritardo.» Gli consigliò gentile, ignorando l'inquietudine che nasceva pian piano in lei.
«A dopo allora.» La salutò Steve prima di seguire il soldato.
Avrebbe voluto chiedergli di Loki, di come stava, di quali fossero le reali intenzioni di Fury e dello S.H.I.E.L.D., ma non l'aveva fatto perché qualsiasi risposta avesse udito non avrebbe comunque potuto fare nulla.
Sospirò guardando il corridoio di fronte ora vuoto, pronta a tornare nelle sue stanze quando voltandosi scorse la sagoma di una donna poggiata a una delle grandi finestre ad arco del corridoio. Era Freyja, e sembrava immersa in mille pensieri.
Il suo passo era silenzioso eppure bastò che ne muovesse solo un paio nella sua direzione ché la regina di Vanaheim si accorgesse di lei e le donasse prima uno sguardo e poi un accenno di sorriso.
«Regina Freyja.» La salutò con un cenno del capo quando le fu vicina. «Non intendevo disturbare i tuoi pensieri.» Si scusò ma Freyja sorrise più ampiamente.
«Non potevi farlo. Ne eri tu al centro, principe di Asgard» rispose con la solita pacatezza smuovendo invece ancora agitazione nel petto di Sigyn.
«Io?» chiese incerta e la regina tornò a mirare al di là dell'arco senza risponderle, per lunghi densi secondi.
Sigyn quindi l'affiancò poggiando la mano sul muro all'altezza del suo ventre.
«Non ho ancora trovato un momento per dirti grazie per ciò che hai fatto, Freyja, per avermi salvato la vita. Qualsiasi ne fosse il motivo» mormorò e aspettò che i suoi occhi la guardassero, ma non accadde. Freyja continuò a tenere lo sguardo fisso davanti, con il solito accenno di sorriso sulla bocca.
«Lo ami?» Si sentì chiedere con naturalezza e il suo stomaco ebbe un sussulto. La bocca diventò all'istante asciutta e nessuna parola sembrava avere il coraggio di posarsi sulla lingua. «Non vi è nulla di cui sentirsi in colpa, sebbene Odino e Asgard possano trovare molte motivazioni affilate con cui affermare il contrario.»
Sigyn mandò giù quel poco di saliva e abbassò lo sguardo sul piccolo muro.
«Asgard è diversa da Vanaheim» sospirò soltanto.
«Lo è solo perché è voluta esserlo. Prima che mio padre Njördr rendesse lecito ogni tipo d'amore, la stessa cecità copriva gli occhi dei Vanir.»
Sigyn conosceva la storia di Njördr, padre di Freyja e grande re dei Vanir, conosceva l'amore che nutriva per la sorella, quell'amore che aveva dato vita al principe Freyr. Tutta Asgard lo conosceva, tutti conoscevano quella che fu chiamata la più grande vergogna. E Njördr aveva reso quel figlio erede di un intero regno, invece di ucciderlo come avrebbe comandato ogni legge.
Si sentì quasi mancare il fiato nel pensare a quel figlio che non aveva mai potuto avere, che era andato via eppure era sempre stato lì.
I suoi occhi divennero lucidi e Sigyn fu costretta a ricacciare indietro ogni lacrima.
Se non fosse stata Asgard ma Vanaheim, se non fosse stato Odino ma Njördr, la storia avrebbe avuto un finale diverso?
«Il Re, mio padre, cambiò le leggi e con esse la storia, perché aveva vissuto sulla pelle la loro crudeltà» affermò Freyja. «Essere al comando di un reame non è un motivo per aver timore, ma bensì il contrario: chi se non un re può creare giustizia e uguaglianza per i suoi sudditi?»
Quella domanda retorica la fece sorridere con dolore.
«Mi stai dicendo che semmai sarò re dovrei abolire ogni regolamento che vieta l'unione fra fratelli? Come se questo bastasse per cambiare la mentalità degli asgardiani, Freyja...» Come se questo bastasse a riportare indietro le cose, a riportarmi indietro Loki.
«Nessun cambiamento è mai facile, e tu più di chiunque altro sai bene cosa vuol dire.» Alzò lo sguardo incontrando finalmente le gemme brune della regina e il suo sorriso. Poi il sorriso si spense. «Ho amato mio fratello Freyr come non potrò mai più amare nessuno e sebbene il fato ci ha separato troppo presto, sono grata di ogni istante vissuto insieme. Nessuna vergogna, nessuna colpa, solo la semplice libertà di amare. È la più naturale di ogni richiesta.»
Scosse il capo quasi con violenza per cancellare quella fragile lacrima.
«È una richiesta che mi è proibita, Freyja.»
«Sei tu che vuoi che lo sia.»
«No, non è così. Non è solo Asgard o mio padre. Ci sono troppe persone che soffrirebbero per quella scelta e io... Che giustizia porterei nel farla? Sarebbe solo egoismo e-»
Sentì la mano di Freyja afferrare la sua, tremante, e la guardò sul viso perlaceo senza più nasconderle alcun pianto.
Gli occhi della regina erano caldi, seppure neri come la più immensa di ogni voragine.
«Permetti a questo cuore di fare la sua richiesta. Se è ciò che desidera, se è ciò che può dargli vita, non lasciare che taccia ancora.»
E Sigyn lo sentì battere forte quel cuore, sempre più forte, sempre più dolorosamente... sempre più coraggiosamente.



*



Heimdall allentò la stretta attorno all'elsa e guardò nella profondità del cosmo.
Il buio era vicino e stava per inghiottirli.
Un tuono urlò e poi ne venne un altro, prima che una saetta illuminasse la cupola del suo Osservatorio.
Lasciò la spada che apriva la via per il Regno e raggiunse Gjallarhorn[1].
Dal cielo iniziò a piovere cenere.
Soffiò, lasciando che il più forte di ogni tuono venisse divorato dal suono del suo corno.
Soffiò ancora una volta e poi ancora una.
La cenere divenne fiamma e le fiamme brandivano spade.
Suonò ancora, il guardiano di Asgard, suonò l'inizio di una nuova guerra.











***






Note:
[1] Gjallarhorn, secondo la mitologia norrena, è il corno posseduto da Heimdall e verrà suonato all’alba del Ragnarök. Una lettura meno rigida del mito lo considera però come semplice strumento con cui il Guardiano avverte Asgard di un qualsiasi imminente pericolo.









NdA.
La pace è finita, è tempo di guerra.
Vi informo che ho terminato la stesura di tutta la storia quindi mi impegnerò ad effettuare aggiornamenti superregolari per non allungare troppo la tortura.
I capitoli effettivi saranno 35 mentre il 36esimo sarà, per così dire, un plus.
I dettagli li lascio a dopo, anche perché al momento non sono di alcuna importanza ^^
Avrete notato che ho liberamente reinterpretato un paio di leggende norrene, come la nascita di Sleipnir e le varie illazioni sull'incesto di cui si sarebbe macchiato Njördr con sua sorella, quest'ultimo episodio l'ho riadattato proprio per sottolineare ancora più nettamente come sia diversa la mentalità Vanr da quella Asgardiana.
Bene, mi auguro che anche questo aggiornamento sia stato di vostro gradimento e per qualsiasi dubbio non esitate a chiedere.
Alla prossima, se avrete ancora voglia di farmi compagnia ^^
Un abbraccio a tutti <3
Kiss kiss Chiara

  
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