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Autore: MetalheadLikeYou    05/07/2014    1 recensioni
Chi mai avrebbe voluto una bambina di nome "Inferno"?
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Con il passare del tempo io, Ville e Alexi diventammo dei buonissimi amici, tanto che ci soprannominarono il Trio.
Allu era più chiacchierone, ti scaldava il cuore e ti trascinava con se in tutto e per tutto, mentre Ville era quello più riflessivo e solitario.
.
Per quanto mi sforzassi di mostrare ed ostentare una forza e un menefreghismo che non possedevo, dentro di me soffrivo.
Stranamente, era come se Ville mi avesse portato via una parte del mio cuore.
***
In questa storia ci saranno anche altri personaggi di altre band finlandesi.
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7



Dopo la nostra prima volta, ovviamente ci fu un semplice ma comprensivo imbarazzo.
La mattina quando mi svegliai mi gira sul fianco sinistro, trattenendo il respiro, emozionata dall'immagine di Allu che dormiva, sorridendo beato e rilassato, lasciando ricadere qualche ciocca di capelli sul volto.
Sorrisi accarezzandogli la testa, per poi sfiorare i suoi tatuaggi sul braccio sinistro percorrendo i controrni.
Adoravo fare ciò.
Era rilassante e in qualche modo era come sentirli sulla propria pelle.

Spesso avevo fatto la stessa cosa con il poeta che viveva nella torre, passando le dita sui suoi disegni, sentendolo rilassarsi sotto al mio tocco e trattenere il respiro quando, senza nessun imbrazzo percorrevo quelli sui suoi fianchi, sul suo petto o sul ventre.

Scossi la testa, sentendomi di nuovo e osservando il mio ragazzo che, nonostante i miei continui vaggi mentali e i ricordi, amavo davvero.
Lo vidi muoversi appena, aprendo per qualche secondo i suoi occhi e richiuderli subito dopo per la troppa luce.

"Buongiorno" - mi disse con voce roca.
"Ciao" - risposi sporgendomi un poco verso di lui e baciandolo - "Vado a farmi una doccia".

Lui annuì ed io, arrossendo come una bambina, mi alzai dal letto, indecisa se trascinarmi dietro anche il lenzuolo.
Sgattaiolai in bagno, aprendo l'acqua calda e rilassandomi sotto il getto, chiudendo appena gli occhi e lasciando che le immagini di noi due mi ritornassero in mente, facendomi sorridere sincera e appagata.

Dopo esserci preparati, Allu mi portò a fare colazione fuori, accarezzandomi languidamente di tanto in tanto.
C'erano delle ragazzine che ci fissavano con attenzione, ma non ce ne preoccupammo minimamente anzi, appena finito di mangiare ci alzammo e pagammo, uscendo dal bar e andando ad andare al mio lavoro.
Una volta arrivati al mio locale rimase per qualche minuto, salutando con calore anche Tony.

"Ti chiamo sta sera" - disse serio ed io annuii triste all'idea di vederlo andar via, ma dopo un suo bacio decisi di sorridergli.

"Allora, quel sorriso la dice lunga...come è stato?" - domandò Tony dandomi una gomitata in un fianco.
"Oh...". 

Arrosii visibilmente facendo ridere il mio amico.

"Dai..." - incalzò lui, facendomi gli occhi dolci e facendomi notare che nel locale ancora non vi era nessuno - "Dai sono curioso, come è messo il ragazzo?".
"Tony sei pessimo" - commentai sorridendo al ricordo delle mani e dei baci del mio ragazzo.

Era stata la notte più bella della mia vita.
Mi sentivo amata.
Amavo l'idea di amare quello straordinario ragazzo che, sotto la maschera da bullo e da cattivo che indossava, nascondeva un dolce e premuroso compagno.

"E' stato bellissimo" - ammisi sorridendo.
Il mio amico sorrise a sua volta e si mise seduto sul bancone, incrociando le braccia e annuendo con fare curioso, invitandomi ad andare avanti - "E' stato dolce, passionale, perfetto e...sta messo bene".
"Grazie per le info".
"Che vorresti fare?" - domandai scaldandomi e facendo scoppiare a ridere il mio amico, che mise subito le mani avanti rassicurandomi che la sua era solamente curiosità.

Ridemmo tutto il pomeriggio e la sera.
Il suo sorriso sparì dal suo volto quando la porta del locale emise il solito cigolio.
Mi girai anche io verso la porta, cercando di capire cosa avesse turbato così tanto il mio amico e capii.
Ville era li.
Freddo e distaccato come sempre.
Affianco a lui, quasi come se fosse una sfera stroboscopica, vi era una ragazza bionda vestita con lustrini e paillettes.
Inarcai un sopracciglio.
Non era il tipo di Ville, assolutamente.

"Hell.." - la voce di Tony arrivò alle mie orecchie come se fosse un sussurro, mi girai verso di lui che mi osservava preoccupato.
"Che c'è?".
"Stai bene?" - domandò.
"Si perchè?" - mentii spudoratamente.

Mentii perchè ero rimasta sconcertata da quella donna, che si era arpionata al braccio del cantante e non lo lasciava camminare e da Ville che fissava ghignando appena, come se volesse farmi del male.
Mi sentii morire lentamente sotto il suo sguardo.
Sentii la mia testa girare e poggiai con troppa velocità le mani sul bancone, Tony mi si avvicinò comprendendo il mio stato d'animo che, nonostante cercassi di nascondere, era evidente.
Gli feci capire di star bene e servii qualche tavolo, tornando poi alla mia postazione e mettendo un cd dei Children of Bodom, rilassandomi subito al solo sentire la voce di Alexi.
Tirai un sospiro.

"Certo che figlia mia ti ha stancata davvero" - disse il mio amico nel nostro perfetto inglese, lasciando che le sue parole arrivassero alle orecchie del ragazzo che si era appena seduto ad un tavolino piuttosto vicino al bancone.
"Tony" - sussurrai arrossendo.
"Che ho detto? E' una cosa naturale, adesso sarete ancora più uniti".

Instintivamente mi coprii il viso con una mano, ridendo appena e notando che il finnico dagli occhi verdi mi stava fissando, stringendo la mascella e i pugni.

"Ti accompagno a casa?" - domandò il mio amico che invece aveva adocchiato un ragazzo.

Era un tipo decisamente bello, alto e con un fisico statuario.
Scossi la testa divertita.

"No, vado da sola".



Così come detto, appena finito il mio turno lasciai la "divisa" nel mio armadietto e dopo aver salutato i colleghi, uscii dal locale.

Helsinki a fine maggio era decisamente perfetta, non faceva ne troppo freddo ne troppo caldo.
Le giornate erano un pochino più lunghe e i tramonti, mozzafiato.
A metà strada una folata di vento mi fece rabbrividire e nello stesso istante sentii il mio telefono squillare.
Lo cercai per qualche secondo in tutte le tasche della mia semplice giacca, sorrisi e risposi.
 
"Amore ciao".
"Piccola, dove sei?".
"Sto torando a casa, tu?" - domandai.
"Sto in sala, abbiamo finito finalmente la prima canzone" - rispose allegro ed io sorrisi felice, sia per lui sia per me, perchè nonostante la nostra relazione, i Bambini erano il mio gruppo preferito - "Ho una proposta da farti".
"Cosa?" - chiesi.
"Ti va di venire qui domani?".
"SI!" - urlai ridendo, come se mi avesse appena fatto una proposta di matrimonio.
Lo sentii ridere di cuore, divertito dalla mia reazione e solo dopo avermi detto di amarmi attaccò la chiamata.

Abbassai la testa mentre attraversavo la strada dopo aver controllato attentamente che non passasse nessuno e riflettendo su quanto, nonostante tutto, la mia vita fosse bella.
Tutti i miei buoni pensieri cambiarono in una manciata di secondi, quando sentii lo sgommare di una macchina e qualcuno afferrarmi di colpo e lanciarci verso il marciapiede, dove battei violentemente la testa.
La macchina continuò imperterrista a sfrecciare lungo la via, nonostante mi avesse quasi travolta.
Tremai appena, scoprendo con orrore che qualcosa mi colava lungo la tempia e la guancia destra mentre una voce continuava a chiamarmi.
Mi girai verso chi mi aveva appena salvato la vita e mi ritrovai a fissare quelle iridi verdi che per la prima volta avevano abbandonato la loro espressione fredda e distaccata, per una troppo preoccupata.
Mi toccò la testa con la punta delle dita, gemendo terrorizzato dall'idea che potesse farmi ancor più male, aiutandomi ad alzarmi senza però dire una parola.
Stordita mi poggiai ad un palo della luce.

"Andiamo in ospedale" - esordì mentre prendeva il suo cellulare.
"No, ti prego portami a casa".
"Ok" - rispose con un tono che non ammetteva repliche, mentre chiamava un taxi- "Siediti e cerca di non sentirti male".
"Vuoi darmi altri ordini?" - domandai con la voce rotta e spaventata.
Non mi rispose.
Lo sentii prima parlare veloce e con tono nervoso, poi i suoi passi avvicinarsi a me subito dopo.
"C'è uno sciopero, chiama Alexi..."
"NO!" - urlai, non volevo assolutamente farlo preoccupare, non in quel momento che era tanto felice.
"Allora ci toccherà andare a piedi, ce la fai ad alzarsi?" - chiese sospirando.

Mi alzai.
Una voce sconosciuta ci chiamò preoccupata.
Un signore arrivò correndo verso di noi, chiedendoci se poteva aiutarci aiuto o darci un passaggio, che accettammo.
Ville mi fissò per qualche secondo, prendendomi in braccio e caricandomi nella macchina, dando le indicazioni stradali al signore, di cui non capii nemmeno il nome.
Mi strinsi addosso al cantante che se ne stava rigido ostentando freddezza, tradito però dal suo cuore che ancora batteva veloce.
Parlava veloce, preoccupato.
Chiusi gli occhi, sperando di calmarmi e di smetterla di piangere.


Sentii la porta richiudersi con forza e il morbido tessuto del divano, toccare la mia schiena.
Ville si accucciò sulle gambe davanti a me, scostandomi i capelli dal viso e dalla ferita che aveva smesso di buttar via il sangue.
Lo vidi alzarsi e tornare dopo poco con dell'ovatta, mi misi seduta, poggiando la schiena sulla spalliera.

"E' solo un taglietto, non avrai bisogno di punti" - mi confessò lui, mentre con delicatezza mi levava via il sangue che mi si era seccato attorno ad essa.
"Dove vai?" - domandai non appena lo vidi alzarsi.
"A casa".
"Ti prego rimani" - sussurrai, supplicandolo e in qualche modo sperando di averlo vicino anche solo per una notte.
"Rimango qui, ma tu cerca di dormire un po" - disse sorpreso, accompagnandomi in camera e lasciandomi poi da sola.

Mugugnai qualcosa di incomprensibile e mi stesi sul mio letto, chiudendo gli occhi stanca.
L'immagine della macchina e il suono delle ruote sull'asfalto mi tornarono in mente e incapace di scappare, iniziai ad urlare finchè la luce non mi si parò davanti agli occhi.
Fissai la mia stanza, respirando affannosamente e notai Ville che ancora teneva le mani sui miei fianchi.
Lo vidi sorridere tristemente, quasi sofferente.
Abbassai lo sguardo dai suoi occhi alle sue mani, tramavano e la sua camicia era sporca.
Una macchia appariva sul petto, proprio dove io avevo poggiato la testa.
Scoppiai a piangere di nuovo, terrorizzata e triste.

"Calmati è tutto finito" - mi disse, prendendomi il volto fra le mani.
"Io...stavi per morire..ti ho sporca.." - farfugliai gesticolando come una pazza.
"Calmati" - riprovò di nuovo, stringendomi a se e canticchiando appena.

Aveva sempre fatto così con me.
Aveva sempre cantato per me.

"Io...so...".
"Inferno...non potevo lasciarti li".
"Potevi morire!" - urlai nel pieno del mio sfogo, risposi cercando di allontanarlo da me.

Il mio corpo, in contrasto con il cuore, lo spinse via.
Era come se il suo corpo e le sue parole mi stessero ferendo e curando ancor di più.
Eppure nonostante il mio cervello mi dicesse di mandarlo via, il mio cuore che sembrava dover scoppiare, bramava la sua presenza vicino a me.
Lui mi strinse ancor pià forte.
Si distese sul letto, continuando a cullarmi nella sparenza di farmi calmare così come mi aveva detto di fare e dopo qualche minuto riuscii ad addormentarmi di nuovo.


La mattina dopo, al mio risveglio trovai Allu che mi osservava con uno sguardo intenerito e preoccupato.

"Come stai?" - mi domandò accarezzandomi piano il viso - "Ville mi ha chiamato dicendomi cosa era successo, ti eri appena riaddormentata".
"Mmh".
"Ti fa male la testa?" - chiese di nuovo.
"No, dov'è?".
"E' andato a casa" - rispose strngendomi poi tra le sue braccia.

Fissai la finestra, riflettendo e ripensando a Ville.
Dovevo parlargli, ringraziarlo.
Dovevo sfruttare quest'occasione per chiarire i miei dubbi, per capire cosa fosse successo e il perchè di tutto quell'odio che fino alla sera prima mi aveva riservato.
Volevo anche chiedergli di quella bionda.
Sospirai.

"Oggi niente sala...sarò tutto tuo".
"Ehi no, è il tuo lavoro, non preoccuparti per me" - risposi.

Stavano lavorando duramente per quel cd e l'idea che lui dovesse assentarsi per me, nonostante mi facesse piacere, mi innervosiva e non poco.
Mi sentivo un'egoista.
Lui sorrise dolcemente, rassicurandomi che se proprio non lo volevo tra i piedi si sarebbe assentato solamente per 4 ore.
Sorrisi e mi riaccoccolai al suo petto, lasciandomi accarezzare e coccolare per tutto il tempo.
Restammo in silenzio.
Lui capì che avevo bisogno di tranquillità, di assimilare e in qualche modo superare quello che avevo passato.
Le uniche volte in cui parlammo furono delle comunicazioni come il permesso per malattia che aveva lui chiesto per me al mio capo.
Sorrisi sincera.
Lo amavo.
Lui era tutta la mia vita e la sola idea che avrei potuto non vederlo più, per colpa mia, mi fece boccheggiare per qualche secondo.
Mi strinsi a lui che sorrise dolcemente e mi baciò con altrettanto amore.
Non avrei potuto vivere senza di lui.








*****
Salve salve.
Quante novità in un capitolo solo e quanti pensieri per la nostra Hell...poverina.
Le cose iniziano a farsi ingarbugliate e chissà che succederà nel prossimo capitolo....
muahahahah *ride malefica*.

Ok tralasciando i miei momenti da matta psicopatica tipo questo, voglio ringraziare le mie due adorate:
Lea_love_Valo e Lilith_s: sono davvero davvero felice di sapere che vi piace questa ff e sono contenta di leggere i vostri commenti, grazie mille, spero che anche questo capitolo vi piaccia.

Ringrazio anche voi lettrici/lettori silenziosi e tutte quelle persone che hanno messo la mia ff tra le seguite, preferite e da ricordare.
Grazie davvero.
Un bacione e alla prossima <3
  
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