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Autore: Delirious Rose    06/07/2014    1 recensioni
Tredicesimo anno del regno di Denev XVII: Suuritnom Calliram, quarto in linea di succesione al trono di Vernolia dei Mille Fiumi, conquistò e annetté il vicino regno di Agrirani, attirato dalle sue ricchezze e dalle vie commerciali che l'attraversavano. Tuttavia, non aveva ancora fatto i conti con quel popolo forse barbaro, ma fiero e fatto di indomiti guerrieri: vent'anni più tardi nominò come viceré il suo braccio destro, il comandante Hraustrion Relda, con il compito di annientare definitivamente quei ribelli che sfidavano il suo potere.
Questa è la versione semiestesa in cui accorperò le varie one-shot scritte finora
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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«Avete attirato su di voi le collere dei Santi Gemelli, Vostra Eccellentissima Altezza.»

Con quelle parole, i sacerdoti di Vernolia avevano voltato le spalle a Suuritnias Calliram: solo quando aveva acconsentito a ritirare l’ordine di cattura e la taglia sui dodici guaritori che i ribelli avevano liberato, gli fu concesso nuovamente di accedere ai riti.

«Non dovrei dirlo,» mormorò Galas col tono della confidenza, una settimana dopo l’ordalia, «ma non ha avuto molta scelta: ha già perso il sostegno della Gilda, non può permettersi di perdere anche i preti. Va da sé che, quelli che chiamano riti, in realtà non sono altro che questi.» E sfregò il pollice contro l’indice in un gesto eloquente.

Heran scosse la testa, ma preferì evitare di rimproverare all’amico tali propositi irriverenti: ormai lo conosceva e, per quante ammaccature la sua armatura avesse potuto ricevere, il cavaliere rosso restava pur sempre un mercante, figlio di mercanti e nipote di mercanti. Galas aveva almeno il buon senso di non nascondersi dietro dei buoni propositi colmi d’ipocrisia.

«A proposito di sparvieri,» aggiunse come se si fosse ricordato qualcosa all’improvviso, «secondo te questo andrebbe a Perinni?»

Heran osservò accigliato il cerchietto d’oro che l’amico gli mostrava, quindi lo prese per osservarlo meglio: era sottile, ornato di minuscole perle e schegge di pietre semipreziose e di fattura squisita.

«Perché me lo chiedi?»

«Perché sei tu quello che… la conosce meglio. E poi perché ho fatto una scommessa con un paio dei nuovi: se vinco facciamo a metà, promesso.» Davanti allo sguardo dubbioso dell’altro, il Mercante-Cavaliere roteò gli occhi. «Dopo l’attentato a Sua Eccellentissima Altezza, i ribelli approfittarono della confusione per liberare quei guaritori, giusto? Un paio di giorni fa, abbiamo ritrovato i loro ceppi: tutti erano stati forzati. Tutti tranne quelli di una certa ragazza di nostra conoscenza. Secondo alcuni si tratta di una stregoneria, io penso che Perinni abbia semplicemente delle mani piccole come le donne del Bevianstan: se il bracciale le va, ci sono sette sparvieri che voleranno nelle mie tasche, e altrettanti nelle tue.»

Heran tornò a osservare il bracciale, pensieroso. Non era esperto di gioielli, ma quel cerchietto gli sembrava più per una bambina che per una donna.

«Non… ho fatto mai caso alle sue mani. Ti spiacerebbe lasciarmelo? Fra meno di un’ora devo uscire.»

Galas annuì con un sorriso complice e, dopo aver salutato l’amico, corse negli alloggi per liberarsi di quella sua armatura smaltata di rosso.

 

 

 

Fu solo una volta tornato a Bordos, che Heran si sentì autorizzato a pensare al favore che gli aveva chiesto Galas: era dal giorno dell’ordalia che non aveva incontrato Perinni e un po’ temeva quel momento, senza sapere esattamente perché. Tuttavia, ogni volta che non aveva i suoi doveri ad assorbire tutta la sua attenzione, sentiva riecheggiare nella sua mente una domanda – quella domanda – che la guaritrice gli aveva posto il mattino dopo i Bivacchi.

«Il giorno che mi conoscerai, ripeterai le parole che mi hai detto questa notte?»

Sarebbe stato capace di ripeterle quelle parole, adesso che la sapeva capace di uccidere un uomo in quel modo? “Grodega non era un uomo come tanti, e fino all’ultimo ha fatto delle cose orrende.” Quel semplice dato di fatto bastava a giustificare il modo in cui Perinni aveva ucciso?

Fu distratto da quei pensieri da qualcuno che gli cinse la vita da dietro.

«Harilika?» Quando sentì sua sorella annuire contro la sua schiena, si volse e le prese le mani. «Souritia Àntere ti ha di nuovo trattato male?»

La bambina annuì di nuovo e il giovane sospirò: da quello che una volta gli aveva lasciato intendere Rouva Albirea, a nessuna delle cinque donne di Suuritnias Calliram piaceva la prospettiva che Harilika ne diventasse la concubina. E anche nella loro famiglia nessuno lo approvava, eppure suo padre non aveva potuto rifiutare quell’onore: quando lo aveva saputo, Cypris aveva commentato che, non avendo potuto avere la madre, Suuritnias Calliram si era semplicemente preso la figlia. A tredici anni non ancora compiuti, Harilika prometteva d’essere la degna erede di Dama Bluma: la stessa fronte alta, gli stessi capelli d’oro e di rame, lo stesso incarnato di latte, gli stessi occhi di cielo, le stesse mani delicate e sottili. Per un attimo Heran posò lo sguardo sulle mani di sua sorella ed ebbe un’ispirazione: frugò nel suo tascapane ed estrasse il bracciale che Galas gli aveva dato quella mattina.

«È… un bel bracciale,» mormorò Harilika, anche se dal suo sguardo era evidente che in realtà volesse sapere perché suo fratello aveva un monile simile.

«Ti spiacerebbe provarlo? Vorrei… verificare una cosa.»

La bambina scosse la testa e lasciò che il fratello le infilasse il gioiello, ma quando non ci riuscì, rise appena. «Forse potrei indossarlo, se fossi uno dei geni dell’acqua di nostra madre.»

Anche Heran rise, e stava per risponderle a dovere, quando un’ipotesi ben precisa gli si formò nella mente: il sorriso gli morì sulle labbra e i suoi occhi si riempirono d’angoscia. Tremando appena, lasciò che la mano di Harilika scivolasse dalle proprie e rimase così, senza dire una parola.

«Stai bene, fratello?»

Heran non rispose: il cavaliere andò via senza salutare o dare una spiegazione, correndo a perdifiato verso le fosse in cui erano custoditi i draghi. Ignorò le domande dei commilitoni che incontrava, recuperò i suoi finimenti e raggiunse Mornaü.

«Sai dove trovarla, giusto?» mormorò fissando i suoi occhi di cielo in quelli del rettile.

 

 

 

Trovarono Perinni sulla strada per Wigga-del-Ponte quando il sole quasi sparito dietro le cime dei monti: nei campi appena arati, i contadini riconducevano i loro animali verso le proprie fattorie e decine e decine di fili di fumo si elevavano dai comignoli con la promessa del tanto meritato pasto serale.

Mornaü non aveva ancora posato le zampe sulla strada che, con un agile salto, Heran scese dalla sua groppa: raggiunse la guaritrice di corsa e la fece scendere dalla sua cavalcatura.

«Se è il tuo braccio a darti problemi, adesso non ho tempo, nidtou,» protestò Perinni, un po’ beffarda. «Ho una partoriente che mi sta aspettando a Wigga.»

Il cavaliere ignorò le sue proteste e senza dire una parola le sfilò i guanti uno per volta, osservando i polsi e le mani della ragazza con attenzione: non erano piccole come quelle di Harilika e la pelle aveva una tinta leggermente verdastra e un forte odore di erbe. Non erano gonfie, non presentavano segni di fratture o slogature, e i polsi erano intonsi, senza neanche i lividi quasi assorbiti dovuti ai ceppi. Strinse le labbra e le prese il viso, stringendolo spasmodicamente ed esaminando con estrema attenzione gli occhi.

«Si può sapere che cosa ti prende?!»

Il loro colore, che a seconda della luce tendeva più sul blu o sul viola, aveva attirato la sua attenzione fin dalla prima volta che i loro cammini si erano incrociati: si era lasciato distrarre talmente tante volte da quell’indaco che non si era reso conto di come la proporzione fosse sbagliata. Perché Perinni aveva gli occhi come quelli di un neonato.

«Tu sei… sei…» La parola si rifiutava di uscire dalla sua bocca, come se temesse che, pronunciandola, rendesse vere le sue paure.

Fu Perinni a dirla.

«Una Noïde. E allora, che cosa farai adesso, nidtou? Berrai il mio sangue per ottenere l’invulnerabilità? Oppure m’ingraviderai per potermi uccidere?» C’erano rabbia e disprezzo nella sua voce.

Heran la lasciò andare come se si fosse scottato, distogliendo lo sguardo.

«Io non… ho pur sempre un debito da pagare.»

«Allora taci, almeno per questa volta, e saremo pari. Tuttavia… tuttavia non dimenticare che questo non cambia nulla di me.»

Questa volta fu lui a parlare con rabbia. «Perché non me lo hai mai detto?»

«Perché non me lo hai mai chiesto?»

Heran sbuffò, tornando a guardarla, ricambiando lo sguardo di sfida di Perinni. «Mi avresti risposto con sincerità, se ti avessi chiesto che cosa fossi? È questo che vuoi dire?»

«Se tu mi avessi fatto la domanda giusta, sì. Probabilmente.»

Tacquero senza parlarsi, Perinni limitandosi a salutare con un cenno del capo una famiglia che tornava dai campi e che li guardava con curiosità, mentre Mornaü ringhiò scoprendo i denti aguzzi in direzione dei contadini: fu solo quando quelli furono abbastanza lontani che la guaritrice pose di nuovo lo sguardo sul cavaliere, lottando per non far trapelare i sentimenti e le emozioni che si agitavano dentro di lei.

«E adesso, non posso fare a meno di parlare, Heran Relda del Drago d’Argento.» E lui non poté far altro che tornare a guardarla, stupito di come la luce del tramonto sembrasse farla risplendere, proprio come un pomeriggio di molti mesi fa, il giorno di quel loro incontro inatteso a Piattapunta. «Adesso che mi conosci, ripeterai le parole che mi dicesti quella notte?»

I ricordi esplosero nella sua mente senza che potesse riuscire a trattenerli. Le parole che si erano detti, le cose che avevano fatto l’uno all’altra… se il suo cuore non voleva rinnegare tutto questo, la mente non faceva altro che urlare che si trattasse di un’empietà.

Vedendo che lui non rispondeva, la guaritrice sospirò, abbassando gli occhi.

«No, suppongo di no,» mormorò Perinni, più a se stessa, quindi rimontò in sella al proprio cavallo e riprese la sua strada.

Heran non si mosse né la guardò andare via. Si riscosse dalla sua apatia solo quando Mornaü gli sfiorò una spalla col muso: il drago lo guardò, poi volse la testa in direzione della guaritrice e quindi di nuovo verso di lui, sbuffando come se volesse suggerirgli che cosa fare. Il cavaliere gli accarezzò il muso con una mano guantata, sovrappensiero, poi si riscosse e afferrò i finimenti mormorando: «Torniamo al castello.»

   
 
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