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Autore: BlueSkied    07/07/2014    1 recensioni
La notte dell'Epifania del 1537 Alessandro de'Medici, detestato duca di Firenze viene assassinato dall'amico e congiunto Lorenzaccio de'Medici.
Tocca allora a Cosimo de'Medici, figlio del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere ed erede del ramo popolare della famiglia, prendere il potere.
Tra raffinato mecenatismo artistico, nuove politiche e disgrazie familiari, condurrà la Toscana verso il Granducato, con la cauta inesorabilità del suo motto.
Note: mi sto documentando il più possibile, per rendere la storia verosimile, ma qualcosa potrebbe sfuggirmi, anche perché spesso le fonti si contraddicono.
Per finalità di trama, alcuni passaggi potrebbero essere violenti.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
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23.


Villa di Castello, Firenze, 1566



La stava ascoltando, ma non reagì alla notizia. Suo padre continuò ad accarezzare il cane che gli aveva poggiato pigramente la testa sulle ginocchia, lo sguardo distrattamente perso in qualche profondità del giardino di Castello. Isabella ripiegò la lettera e la consegnò al valletto, che si tolse dai piedi in gran fretta.
- Non si può fare più nulla per lui, ora che Giulia Gonzaga è morta. Le lettere che lei conservava gli taglieranno la testa - commentò, sperando di suscitare nel duca qualche interesse. Egli, in effetti, si alzò dalla panca di marmo e disse:
- Ho sempre lasciato che gli altri scegliessero il loro destino. Che Pietro segua il suo, e del Carnesecchi non si faccia più parola - comandò, in tono definitivo. Solo sua figlia notò l'intenso dolore che gli attraversò il volto. Quell'uomo era stato parte della famiglia, prima che Cosimo fosse costretto a consegnarlo all'Inquisizione. " Un atto pio ", si chiamava, ma i sussurri parlavano di " Laido tradimento ". Entrambe le definizioni erano false: quella vera era " Mezzo giustificato ". La duchessa di Bracciano sapeva fino a che punto suo padre potesse arrivare per ottenere ciò che voleva. Gli camminò al fianco, con calma, mentre rientravano in villa.
- La bambina sta bene, la febbre è passata del tutto - lo informò, cambiando argomento. Il duca annuì, esattamente nel modo in cui avrebbe approvato la buona salute di un puledrino nelle stalle. Pure, quella figliolina illegittima e inaspettata la amava, Isabella ne era certa. La bimba era un po' il sollievo di tutti, nella ristretta corte del vecchio duca: lei stessa l'aveva cullata e coccolata, mentre la madre si riprendeva dal parto.
Come aveva detto a Ferdinando, la ragazza non era né troppo intelligente, né troppo bella, però era dolce e graziosa. E con il nome sbagliato.
- Lei come sta? - chiese Cosimo, ancora una volta incapace di associare quel nome a un'altra donna. Sua figlia lo fece per lui, un po' per provocazione, un po' per scuotere la sua coscienza:
- Eleonora sta benissimo, e sarà rimessa a breve anche lei dalla febbre - replicò, con cautela. Il duca colse la sfida, ed ebbe un sorriso che pareva più una smorfia:
- Sei la Virtù venuta a pungolarmi, duchessa di Bracciano - ribattè, con un lampo dell'antica fierezza. Si fermò e la guardò con intensità, in un modo che la fece tornare di colpo fanciulla:
- I tuoi fratelli mi danno il tormento, la mia anima cristiana mi dà il tormento, i ricordi mi danno il tormento. Non lo fare anche tu, per la pietà che devi al tuo padre amorevole. Non prendermi per uno di quei vecchi che perdono la saviezza dietro a una gonna. Onorerò la figliola che m'ha data, e altri, se li avrà, come farei con ogni creatura del mio sangue. Non vi ergete a miei giudici, perché non ho altri cui rendere conto se non me stesso e Dio Onnipotente - dichiarò.
Nonostante tutto, Isabella fu felice di averne risvegliato l'amor proprio: per un attimo, era tornato l'uomo capace di far tremare tutti con uno sguardo, e a cui non si poteva rispondere che - Sì, Eccellenza - come lei si affrettò a fare.
Per il resto della giornata, Eleonora degli Albizi cessò di essere un problema. A sera, con l'arrivo chiassoso di un corteo di carrozze, tornò drammaticamente ad esserlo.

Francesco entrò in villa senza nemmeno farsi annunciare, attraversando le sale a grandi passi, dando mostra di essere fermamente indignato. Isabella riuscì a intercettarlo appena prima delle stanze paterne, subodorando l'ennesima, furiosa lite in vista:
- Lascia passare, fratello, se t'è cara la serenità di questa casa - lo ammonì, inutilmente. Il giovane la scostò con uno strattone:
- Sempre a mettere becco negli affari altrui, tu! - l'apostrofò, sgarbatamente - Stavolta l'ha combinata bella, duca o non duca. Glielo farò passare bene io, questo capriccio! - esclamò, intimando alle guardie di allontanarsi dalla porta. Quelli, però, esitarono, dando modo a Isabella di cercare di trattenere ancora suo fratello:
- Francesco, dammi ascolto, cosa c'è di così grave? E proprio tu parli! - lo rimbeccò. Franesco parve vicino a colpirla, ma si contenne:
- Sei mia sorella, e per questo ti devo rispetto, ma taci e lasciami andare, se non mi vuoi crudele - sibilò, freddamente:
- Nemmeno per fantasia, sei fuori di te e potresti far danno. Come pensi di muovere rimprovero al babbo, nella tua situazione? Lasciagli un po' di pace - lo pregò, ma lui scosse la testa:
- Sembra che non t'importi un fico del nostro onore, ma a me sì, e non lascerò che una infelice qualsiasi pensi di poter sedere al posto di nostra madre - replicò, rabbioso come un bambino. Nonostante l'agitazione, Isabella non riuscì a reprimere una risata di scherno:
- Come pensi che potrebbe, che qualcuna potrebbe mai? Lo valuti troppo leggermente - disse, ma lui la interruppe:
- Che sia egli stesso a dirmelo! - esclamò, riuscendo finalmente a forzare le guardie e ad entrare. La duchessa di Bracciano non poté che restare lì fuori, ad ascoltare la concitazione del diverbio. A un certo punto, Francesco uscì di gran carriera, e Isabella credette fosse tutto finito, ma poi egli rientrò, accompagnato dal vecchio Almeni, preoccupato ma risoluto.
Quando riemersero dalla stanza, Francesco se ne tornò in carrozza senza una parola, acceso d'ira come non mai e il maggiordomo fedele era in lacrime:
- Signora, ho agito per il bene, solo per il bene - spiegò - Sua Eccellenza mi confidò di voler sposare la giovane Albizi, ora ch'ella è gravida di nuovo, e io lo dissi al principe. L'ho fatto solo per il bene - ripeté, stravolto. Il duca l'aveva privato di titoli e privilegi, e mandato lontano da Firenze, ma Sforza non poteva desistere:
- Per l'amore della vostra famiglia, signora mia, ragionate con Sua Eccellenza e pregatelo di cambiare partito. Non voglio nulla di robe e denari, ma che mi perdoni, quanto meno - supplicò.
Isabella promise di fare del suo meglio, e una volta entrata nelle camere di suo padre ci provò, ma lui non ascoltava: tremava di rabbia, incontrollato quanto lei l'avesse mai visto:
- Non potevate lasciarmi cheto, ognuno fa di me quel che vuole e sparla! Questa è la misura in cui mi si conta! - esclamava, incapace di star fermo. Isabella dava le spalle alla porta, cercando invano di calmarlo, ma quando si voltò di scatto e gridò:- Come osi mostrarmiti dinnanzi! - lei sussultò, spaventata per la prima volta.
Sforza Almeni era entrato per difendersi da sé, ma non ebbe tempo di dire una parola. Come in sogno Isabella udì il duca gridare: " Traditore! " e spiccare una spada da sopra il camino. La ragazza fremette di un terrore antico e sconosciuto, quando il vecchio servo fedelissimo si accasciò, trafitto, e il sangue si allargò a lambirle la gonna.


Chiedo venia, venissima, per il ritardo di mesi, ma sono straoccupata.


L'uccisione di Sforza Almeni da parte di Cosimo de'Medici e il movente sono reali, ma di mia invenzione sono la presenza di Isabella e l'ambientazione.


" Cheto " in dialetto toscano sta per " Calmo, tranquillo "


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