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Autore: Sad Angel    28/08/2008    3 recensioni
E se i Tokio Hotel fossero i protagonisti di una strana favola?!? Se per sbaglio o per fortuna fossero caduti sotto uno strano incantesimo? Questo il tema di questa fanfiction! Buona lettura a tutti!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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“C’era una volta, tanto tempo fa, un regno lontano

“C’era una volta, tanto tempo fa, un regno lontano…”

 

“Tata…dove si trova questo regno…?”

La ragazza, abbassò un secondo il libro. La cuginetta, seduta sulle sue ginocchia, si voltò ad osservarla, pendendo dalle sue labbra. La ragazza sorrise.

“In un luogo lontano…” iniziò, stendendo il braccio sinistro verso l’orizzonte “…là, dove sorge il sole…” continuò, colorando la storia, aggiungendo particolari.

La piccola la guardava incantata, gli occhi scintillanti, le piccole mani giunte “Dove sorge il sole, Tata?” interloquì con voce allegra “Dev’essere un posto bellissimo!”

La ragazza sorrise, annuendo “Posso continuare, piccola?” domandò, risollevando il libro. La bimba, seduta sulle ginocchia annuì.

 

“C’era una volta, tanto tempo fa, un regno lontano. In questo bellissimo regno ogni persona nasceva con un dono particolare, influenzata da una stella diversa. Ma, come accade spesso, c’erano anche persone che, agli occhi degli altri, apparivano maggiormente dotate. Una di queste era un giovane ragazzo. Di bell’aspetto, gentile e risoluto allo stesso tempo, godeva dell’affetto di molti. Ma, proprio per ciò che rappresentava, molti altri erano invidiosi di lui. Invece di gioire del proprio talento, avrebbero voluto privare il giovane di ciò che aveva.

Un giorno, una persona a lui molto vicina, invidiando la sua libertà, si recò dalla creatura più oscura del regno, un potente Groll e, impegnando il proprio dono, lo pregò di fare quella che lui riteneva essere giustizia, di togliere tutti i doni al giovane. Il Groll allora si recò da lui, per compiere la sua opera, la boccetta di una malefica pozione in mano. Ma, quando arrivò a casa del giovane, non si accorse che non era solo. Riconoscendo il malvagio Groll, gli amici del ragazzo, si frapposero tra lui e la crudele creatura. Quando la boccetta cadde a terra, spandendo il suo contenuto nell’aria, essendo dosata per una persona sola e venendo invece respirata da quattro, sortì un effetto inspiegabile…”

 

“E sarebbe…?” domandò la piccola, con voce preoccupata.

“I quattro persero l’aspetto umano…” rispose subito la ragazza. La bimba si portò le mani alla bocca, mentre i suoi occhi si ingrandivano, per lo stupore.

“Ragazze!”

Una voce di donna chiamò all’improvviso dalla cucina, la bimba sbuffò. “Tata, ma è già ora di cena…?” domandò con voce risentita all’idea di interrompere la storia.

La ragazza sorrise, arruffandole i capelli “A quanto pare…Fila a lavare le mani!”

La piccola saltò giù dal grembo della cugina, correndo in bagno. La ragazza si alzò un secondo dopo, appoggiando il libro sul letto. Il titolo, colpito da un raggio di sole, brillò.

 

 

Die schönsten Sterne

 

 

Miaoo!

Un leggero miagolio.

Il cane, trattenuto da un guinzaglio, volse il capo verso un campo di grano. Le orecchie tese, ascoltava attento.

“E poi lui mi ha detto…”

“Miaooooooooooo!”

Io, il cellulare in una mano, il guinzaglio nell’altra, mi interruppi all’improvviso. Spostai lo sguardo sul cane, poi lo lasciai vagare per il campo che costeggiava la strada di campagna.

“Miaooooooooooo!”

Sgranai gli occhi un secondo “Scusami, ti richiamo, ok?”

Tlack.

Chiusi il telefono. Tirando il cane di peso, mi allontanai.

 

La sera scese velocemente. La luna era già alta nel cielo quando, uscendo sul balcone della mia camera, appoggiai le spalle contro il muretto, accendendomi una sigaretta. La stanza sarebbe stata immersa nel buio più totale se, il leggero lampeggiare di un pc in standby, non l’avesse debolmente illuminata ad intervalli regolari.

Il cellulare appoggiato a terra, gettai un’occhiata alla stanza. Due occhietti vispi, dall’oscurità, ricambiarono il mio sguardo. Sorrisi.

Spensi la sigaretta, mi alzai. Subito la creatura, si fece più piccola, impaurita. Rientrai. Avvicinandomi al pc, inserii la password.

Mi voltai a guardare alle mie spalle. I due occhietti vispi mi fissavano, da un angolino sotto al letto. Sorrisi ancora, prima di appoggiare le gambe sul pavimento ed allungare una mano nella sua direzione.

Il gatto allungò una zampa, appoggiandola con un rapido movimento contro la mia mano. Sussultai, ma non la ritrassi. Non avendo estratto le unghie, la pelle era perfettamente integra. Prendendo le misure, avvicinai maggiormente la mano alla bestiola che, spalle al muro, si dimenava, senza graffiare.

“Miaooo!” miagolò risentito non appena l’ebbi afferrato, estraendolo da sotto il letto.

Tenendo il gatto nero in braccio, mi sedetti davanti al computer, iniziando ad accarezzarlo. I suoi occhi si appoggiarono sullo schermo.

“Chissà se ti piace la musica…” dissi con voce divertita, cliccando sul programma.

Mentre aspettavo che si caricasse, bloccai la mano all’improvviso. Sia io che il gatto, in perfetto silenzio, ci fermammo ad ascoltare. Qualcuno chiamava dal piano di sotto.

Sbuffai. Appoggiando il micio sulla sedia, spalancai la porta.

“Tu non ti muovere e non fare rumore, ok?!?” mi raccomandai dal vano.

Il gatto mi fissò negli occhi, miagolò.

Sorrisi, richiudendo la porta alle mie spalle.

Mentre scendevo le scale, sentii le prime note di una canzone, risuonare dalla mia stanza. Il programma finalmente dev’essere partito…, mi dissi, allontanandomi.

 

Quando dopo cinque minuti fui di ritorno, spalancando la porta, per un pelo non mi misi ad urlare. Un secondo dopo, una mano mi tappò la bocca. Un ragazzo mezzo nudo, l’altra mano stretta su un mio braccio, mi obbligò ad entrare.

“Non urlare, ok?!?” disse, i profondi occhi scuri nei miei.

Io deglutii, il cuore che batteva all’impazzata, specchiandomi in quegli occhi così famigliari sebbene non avessi mai visto prima quel volto.

Lui mi tirò dolcemente sino alla sedia vuota. Tenendomi fermamente, ma facendo attenzione a non farmi male, mi obbligò a sedermi. La sua mano sulle labbra, lo fissavo esterrefatta negli occhi, il cuore che batteva all’impazzata, mentre la paura cresceva ogni secondo di più. Lui, in piedi di fronte a me, mi osservava in silenzio, poi, leggendo il terrore nei miei occhi, avvicinò il viso al mio, lasciando che la luce proveniente dallo schermo del computer lo illuminasse.

Realizzando che lo strano ragazzo che mi stava di fronte era davvero affascinante, non potei evitare di arrossire. Lui mi sorrise.

“Ti giuro che posso spiegarti tutto…” iniziò con voce dolce “…però mi devi promettere di non urlare, ok?!?”

Subito annuii. Un attimo dopo spostò la mano dalla mia bocca. Col volto ancora a pochi centimetri dal mio, mi fissava, aspettando una qualsiasi reazione. Rimasi immobile, lui sorrise ancora.

“Chi sei?” domandai, incapace di spostare gli occhi dai suoi.

“Mi chiamo Bill…” iniziò lui, allontanandosi un po’, sedendosi sul mio letto. Lo sguardo fisso su di me.

Mi voltai, osservandolo meglio. Un secondo. Sgranai gli occhi. I pantaloni mimetici che indossava avevano un’aria terribilmente famigliare…

“Ma…?!?” balbettai allibita, indicandoli con una mano.

 Lui arrossì, grattandosi la fronte, imbarazzato. “Scusa…” iniziò.

Io mi alzai di scatto, il viso in fiamme “Scusa un corno!” sbottai, imbarazzata “…Quelli che porti sono i miei pantaloni!”

Fissandomi negli occhi, si passò un secondo la lingua sulle labbra, poi alzò il sopracciglio destro, assumendo un’espressione che avrebbe sciolto un iceberg “Se reagisci così perché indosso i tuoi pantaloni, pensa se non li avessi presi e mi fossi presentato completamente nudo…” concluse.

Sentii un calore immenso al volto, mentre, pensando,…Puoi dirlo forte…, mi lasciavo ricadere sulla sedia, senza parole.

Continuando a sorridermi, mi osservò in volto. Io, ancora troppo imbarazzata per poterlo  fissare negli occhi, mi osservavo le mani. Nella stanza regnò il silenzio, rotto soltanto dalla leggera musica proveniente dal pc. Quando infine riassunsi un colorito normale, lui ricominciò “Dicevo che mi chiamo Bill…”

Gli gettai una rapida occhiata. Seduto sul mio letto, il magro petto nudo, i lunghi capelli corvini, Bill mi sorrise.

“Piacere…” bofonchiai io, non sapendo che altro dire.

Lui mi fissò in silenzio per un lungo istante, poi rise. “Il piacere ti assicuro che è stato mio…” iniziò, rialzandosi ed inginocchiandosi di fronte a me, di modo che i nostri volti si trovassero alla medesima altezza “…grazie a te, sono tornato come prima…” spiegò.

Sbattei le ciglia più volte “Scusami, ma non riesco a seguirti…” interloquii io.

“Davvero non mi riconosci?!?”

Un altro lungo momento di silenzio. I suoi occhi, fissi nei miei, intrappolavano il mio sguardo. “No…” risposi, incapace di abbinare quel suo sguardo famigliare alla cosa che mi ricordava.

Lui sorrise. Allungando una mano, afferrò la mia, appoggiandola sul proprio capo. Istintivamente, la lasciai scorrere tra i suoi morbidi capelli. Bill socchiuse gli occhi, il sorriso sulle labbra.

“Adesso si mette anche a far le fusa…” pensai stupidamente. “AH!” urlai un secondo dopo, portandomi la mano alla bocca. Lui spalancò gli occhi, fissandomi preoccupato.

“Tu non puoi essere quel gatto!” esclamai senza riflettere, incredula allo strano collegamento fatto dal mio cervello.

Lui chiuse gli occhi per un istante. Quando li riaprì un attimo dopo, nulla era rimasto della preoccupazione di poco prima. Sul suo volto, ora, solo un radioso sorriso.

 

 

Continua…

 

 

  
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