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Autore: FairLady    08/07/2014    1 recensioni
Una persona può cambiare totalmente per un'altra? Può annullarsi per un'altra?
Questa è la storia di Mark e Marta, gentilmente concessomi da Ohra_W, e del percorso che, in qualche anno, li porterà a capire cosa realmente vogliono e di cosa hanno veramente bisogno.
Dal primo capitolo:
"E, a un tratto, quella donna si era trasformata nella sua ossessione personale. Era possibile che fossero stati sufficienti cinque minuti, in cui, per altro, non era successo assolutamente nulla di anche solo lontanamente rilevante, per farlo impazzire? "
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Owen, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
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Le gambe stavano ancora tremando anche se Mark si era già allontanato da un po’. Quando si era ritrovata a dover assegnare le camere gli aveva appositamente affidato la 520, Marta sperava così di riuscire a fargli provare almeno un terzo del dolore che da settimane lei si portava appresso. Non era sicura che a lui facesse qualche differenza; probabilmente, vista la velocità con cui l’aveva dimenticata, non gli avrebbe fatto né caldo né freddo, ma sperava che da qualche parte dentro sé, l’uomo meraviglioso che l’aveva stretta ci fosse ancora, e stesse male al pensiero di non poterla più avere.
«Gale, ho bisogno di una pausa, vado a bere un thè », comunicò alla collega incamminandosi poi al bar dell’hotel.
Poco dopo, seduta al bancone con una tazza fumante di Earl Grey davanti, si maledisse per l’ennesima volta. Era stata lei ad allontanarlo, a non volere quella storia – nonostante ci fosse già dentro con tutte le scarpe –, perché mai avrebbe dovuto desiderare vendetta? In fondo, la colpa era solo e soltanto sua, non di Mark. Però lui era fidanzato e non glielo aveva detto. L’aveva corteggiata e l’aveva intrappolata in quegli occhi profondi e in quel sorriso maledetto, senza soluzione, senza ritorno.
Presa da un eccesso di stizza – verso se stessa, più che verso altri – sbatté una mano sul tavolo prendendo accidentalmente la tazza che aveva di fronte e rovesciando tutto il contenuto bollente sul bancone, sulle sue mani e per terra.
«Ahia! Dio, Jimmy, scusami! Scusami – disse rivolgendosi al suo collega, mortificata e dolorante –, accidenti come scotta!» continuò correndo al di là del bancone per mettere le mani sotto l’acqua fredda.
«Ti sei fatta male?»
Tra tutte le voci che avrebbe voluto sentire, tra tutte le persone che avrebbe voluto si preoccupassero per lei, quella che le stava rivolgendo parola era proprio l’ultima. Non si volse nemmeno per guardarlo in faccia, anzi, continuò a massaggiarsi le mani sotto al getto freddo – che non fece altro che acutizzare il dolore – pronunciando un secco «Sì, è tutto ok».
«Non dovresti metterlo sotto l’acqua fredda, è peggio…» proseguì imperterrito, come se la sua indifferenza non lo toccasse minimamente, come se fosse tutta normale amministrazione.
Intanto Jimmy, constatata la non gravità della scottatura, si era allontanato a prendere gli stracci per pulire, mentre Mark si era avvicinato a lei per controllare.
«Fammi vedere – le chiese alzando una mano in cerca di quelle di lei -, probabilmente ci vuole una guardia medica.»
«Non mi serve proprio niente, grazie. Almeno non da te…»
Marta ritrasse le mani e in tutta fretta si diresse verso il retro della reception da dove Gale aveva visto tutta la scena. Quando quest’ultima vide la collega raggiungerla come una furia, tirò fuori la cassetta del pronto soccorso e si preparò a un’altra puntata della soap opera.
«Come si permette di rivolgermi parola – sbottò infatti Marta, aprendo con uno strattone la porta del retro – dopo avermi accantonata, dopo non avermi cercata per settimane! Dopo…»
«Smettila, vieni qui che ti metto la crema!» le intimò Gale con il tubetto della lozione già pronto. «Hai visto a voler fare sempre di testa tua? Adesso ti sei scottata!» E probabilmente non si riferiva solo al thè bollente.
«Penso sia arrivato il momento che tu vada a casa, prima che succeda qualcosa di più grave», le consigliò infine l’amica/collega, «Conciata così, oggi, non mi saresti di alcun aiuto.»
Poco dopo, ascoltando stranamente il consiglio di Gale, Marta prese le sue cose e si diresse verso l’uscita diretta a casa. Forse avrebbe dovuto darle ascolto anche quando le aveva detto di prendersi due settimane di ferie, ma ormai la frittata era fatta e sicuramente sparire per quindici giorni non avrebbe risolto le cose.
Mentre voltava l’angolo verso la stazione della metro, qualcuno la afferrò per un gomito e la trascinò per qualche metro fino a fermarsi in un vicoletto in penombra.
«Mi dispiace ricordarti che sei stata tu ad andartene e a lasciarmi solo in quella dannata stanza. Mi dispiace ricordarti che sei stata tu a decidere di allontanarti da me, a fare una scelta per tutti e due. Mi dispiace… Mi dispiace…»
Un Mark così sconvolto non lo aveva mai visto. Marta se ne stava schiacciata tra lui e il muro con gli occhi sgranati, un po’ colpita dalla verità di quelle parole che le bruciavano addosso come lava incandescente, un po’ spaventata da quegli occhi azzurri pericolosamente lucidi. Il problema era che non riusciva a parlare.
«Mi dispiace di aver semplicemente cercato di rispettare la tua decisione, di aver creduto che allontanarmi davvero fosse la cosa migliore per te. Mi dispiace soprattutto di averci provato con tutto me stesso… - lentamente le gambe cedettero sotto al peso di quella consapevolezza, fino a farli trovare uno in ginocchio davanti all’altra – … e di non esserci riuscito.»
Il groppo in gola che lei sentiva temeva l’avrebbe presto soffocata. I muscoli erano rigidi a tal punto da impedirle qualsiasi movimento. Si stupì che il diaframma si abbassasse ed alzasse ancora! Mark le stringeva le mani – che a quel punto non le facevano nemmeno più male, o forse era così concentrata su altro che anche le bruciature erano passate in secondo piano – e teneva il capo chino.
«Dì qualcosa, ti prego, sto impazzendo…» furono le successive parole di un Mark in pezzi, che ancora non riusciva a guardarla negli occhi. Marta pianse, erano giorni che non piangeva più, credeva di averle finite quelle dannate lacrime!
«Scusami, Mark. Hai ragione, ho deciso io e non avevo il diritto di trattarti a quel modo…» sussurrò, cercando con le dita di alzargli il viso per poterlo guardare negli occhi. Lui la lasciò fare, sembrava un cucciolo smarrito.
«Credimi, Marta, ci ho provato a vivere la mia vita, a lasciarti vivere la tua, e per un attimo mi sembrava di esserci riuscito, ma appena ti ho vista io…»
Lei si alzò, aiutando anche lui a fare altrettanto. Quella volta, si disse tra sé, non avrebbe sbagliato. Avrebbe preso una decisione prendendosene tutte le responsabilità.
«Non continuare, per favore. Ho detto che hai ragione, ma non che voglio tornare indietro.»
Quelle parole fecero male a lei per prima, così vicina com’era all’oggetto dei suoi desideri; in grado com’era di sentire ancora il suo profumo su di sé. Il fatto è che l’orgoglio e la dignità non avrebbero mai dovuto lasciare il posto ai sentimenti, non in un caso come quello. E più sentiva la lama conficcarsi dolorosamente nelle carni, più si rendeva conto che sarebbe stato meglio così.
«Mark, dispiace più a me che a te, credimi, ma io non voglio essere la seconda scelta di nessuno.»

 
***

Da quel giorno in quel vicolo di Londra Mark non fu più lo stesso. E non solo perché Marta lo aveva allontanato di nuovo, ma soprattutto perché, nonostante fosse pienamente conscio che fosse la cosa migliore per entrambi, non riusciva a vedere la fine del tunnel senza di lei; perché più la guardava, giorno dopo giorno, più si convinceva che fosse lei quella giusta per lui, che fosse quella in grado di salvarlo da se stesso e dall’autodistruzione a cui si stava sottoponendo.
Sera dopo sera Marta lo vedeva rientrare in albergo più tardi degli altri, ogni sera sempre più sbronzo, più in pezzi… meno se stesso.
All’orgoglio per aver preso la decisione giusta – e alla forza che ci stava mettendo per tentare di andare avanti senza di lui –, ben presto si aggiunse il senso di colpa: si sentiva responsabile di quel dolore, glielo leggeva scritto in viso ogni sera quando rientrava. Quel dolore lancinante portava il suo nome e lei non sapeva cosa fare per aiutarlo a stare meglio.


You might lose your dignity
But it’s not what it used to be
   
 
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