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Autore: Tomi Dark angel    08/07/2014    3 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-John? John! Ti senti bene?-
Una voce. Lontana, remota, senza tempo. Qualcuno lo chiama, qualcuno ha bisogno di lui. Ma chi è lui? Non lo ricorda.
Sbatte le palpebre, respira con calma. Sente la testa leggera, svuotata di ogni pensiero. Il suo cuore pulsa ancora, il che indica che non è morto. Strano. Per un attimo, ha creduto l’esatto opposto.
-John!-
Ancora quella voce, ancora un richiamo. Qualcuno lo tocca, scuotendolo per la spalla, e allora John inspira con più forza, realizzando poco a poco di non essere solo. La mente riavvolge ogni più piccolo ricordo, ogni momento vissuto prima di adesso. Ricorda, rivive quegli istanti di serenità con Sherlock in cui, entrambi nudi, danzavano insieme in un insieme di movenze, sussurri e sorrisi innamorati. È accaduto davvero, John lo sente. Non può averlo sognato. Eppure, adesso ha freddo. Non avverte più il calore di Sherlock contro il corpo, non avverte più il serafico silenzio della gloriosa biblioteca che li ha accolti, protetti, illuminati di cristalli variopinti.
È cambiato qualcosa, e fa male.
-John, adesso apri gli occhi.-
Una voce conosciuta, che John ricolloca lontanamente a Sherlock. Reagisce soltanto per questo: apre gli occhi lentamente, incrocia lo sguardo insofferente di Mycroft Holmes, adesso così vicino, così umano. Impugna ancora il suo ombrello, non lo abbandona mai. Chissà perché ci è tanto affezionato.
-Cosa…-
John ha la voce roca, come di chi non la usa da tanto tempo. Penserebbe di aver dormito a lungo se, guardandosi, non si rendesse conto di essere in piedi. Fissa la sua stessa mano, quel palmo che poco prima era avvolto dalle fiamme. Adesso il pugno è chiuso e il fuoco non c’è più.
Sparito. Come Sherlock, come la sua voce, come il suo calore.
John trema mentre il peso della realtà gli piove sulle spalle, schiacciandolo con forza, piegandogli il busto come fragile ramoscello d’ulivo. Sherlock non è lì, non ci è mai stato. Lo hanno portato via, gli hanno ingabbiato le ali, strappandolo all’abbraccio del cielo. Non volerà più.
John crolla, cade in ginocchio come bestia ferita. Ansima forte, colto da un attacco di panico. Improvvisamente, il paradiso dei loro ultimi momenti vissuti insieme si converte in terribile inferno. Nulla di tutto quello è accaduto realmente. John non ha mai toccato Sherlock in quel modo, non gli ha mai parlato. In realtà, capisce di non essersi mai mosso di lì.
-John?- Greg e Mike lo afferrano, cercano di rialzarlo. Ma John è come un peso morto, debole di dolore e stanchezza. Fissa il vuoto senza capire, senza vedere. Apre e chiude le dita di una mano, nella speranza di afferrare qualcosa, la sua ancora di salvezza.
Ha mai conosciuto la felicità, quella vera? Ha mai assaporato la pace, il silenzio, il piacere di una carezza reale sulla pelle? La risposta è no.
Guerra, sofferenza, sangue. Ha sempre vissuto soltanto questo. Niente di diverso, niente di sereno. La sua vita è una bugia, come lo sono stati i baci di Sherlock, la sua bellezza illusoria, il calore di fiamme gentili sulla pelle.
-John, devi rialzarti!- grida Greg, trascinandolo verso la poltrona più vicina. Quella biblioteca è così diversa, così spenta. Non brilla del bagliore di migliaia di cristalli, non è salvaguardata da serpentini occhi di pietra. Forse, l’ambiente che John ha visto, quello che ha accolto i suoi gemiti, i suoi sorrisi… semplicemente non esiste.
Bugia.
-John.- chiama allora Edarion, e la sua voce profonda riscuote John come una scossa, spingendolo a sollevare lo sguardo. Incrocia quel volto sconosciuto, lontano, provato da fatiche e anzianità. Lui quei tratti non li conosce. Però, c’è qualcosa. Una piccola ruga agli angoli degli occhi, il bagliore bianchissimo dei denti, la pelle liscia come pallida porcellana. Se John si concentra, riesce a ricordarla, la morbidezza di una pelle molto simile, più bella e attraversata dal bagliore lucente dei cristalli baciati dal sole.
“Tutto questo è reale”.
-Sherlock…-
“È reale, John”.
John si concentra, lascia che la mano calda di Edarion s’appoggi sulla sua guancia. Quel calore, quel profumo… John li riconosce. Ora che ci fa caso, anche lui stesso profuma di spezie e vaniglia. Ha ancora il fiatone, le guance calde, un sapore non suo sulle labbra.
“È reale”.
-John?- chiama Edarion. –Cosa hai visto?-
Quelle sensazioni, quei respiri. Non erano solo nella sua testa. Li ha vissuti veramente. Sherlock l’ha baciato, abbracciato, chiamato.
John solleva lo sguardo, fissa la biblioteca che lo attornia. Il soffitto sulla sua testa è nuovo, apparentemente appena costruito. Contro i muri s’intravedono degli scolorimenti, come se qualcosa di grosso avesse dimorato a lungo davanti alle pareti. Dal soffitto, pende il gancio inutilizzato di un grosso lampadario.
La biblioteca esiste. C’è sempre stata e John la vede soltanto adesso. La sente respirare attraverso le pareti, rivivere di quei ricordi mai dimenticati, mai spazzati via. Quella biblioteca… è viva.
-John, rispondimi. Hai parlato con Sherlock?-
John incrocia lo sguardo di Edarion, legge in esso tutto il dolore vissuto, assimilato, che poco a poco l’ha invecchiato e trascinato al suolo, debole di una sofferenza smisurata. Edarion è soltanto un lascito, un’ombra dimezzata di un antico intero. Ha perduto un pezzo importante, è rimasto da solo. Adesso, si trascina per il mondo, troppo debole per reagire, troppo spezzato per rialzarsi con le sue uniche forze. Nei suoi occhi, John legge un’ultima scelta. La guerra è l’unico fattore che lo tiene in vita: combatterà per realizzare l’ultimo desiderio di Nevora, poi potrà andare.
John osserva, capisce il reale significato della sua unione con Sherlock: perderlo significherebbe ridursi come Edarion. Nessuna luce, nessuno scopo.
Sherlock è il fulcro di tutto, John lo capisce solo adesso. È grazie a lui se i presenti, umani e draghi sono riuniti lì.
È grazie a lui se John respira, se vive davvero.
È grazie a lui se finalmente, qualcosa si muove.
Così come il mondo cambia al mutare del giorno, così infine la guerra freme, perché una scintilla di speranza sopravvive e s’accumula lì, negli occhi di pochi importanti soggetti raggruppatisi al cospetto di una realtà ben più grande. Appaiono tutti così piccoli, così insignificanti. Carne e ossa, pelle e squame. Eppure, niente li differenzia l’uno dall’altro. Non si guardano più con diffidenza, non mantengono le distanze. Al contrario, draghi e umani paiono mescolarsi lì, al cospetto della luce lunare che ha sempre irradiato da Sherlock.
Mycroft non s’allontana da Greg.
Molly e Irene si scambiano occhiate d’intesa, che soltanto donne simili, vicine, sanno capire.
Mrs Hudson stringe Noah tra le braccia, affettuosa come madre anziana, gentile come soltanto lei è sempre stata.
Mike, Edarion e Anthea non pongono distanze l’uno dall’altro, come se la reciproca vicinanza non li scottasse minimamente.
Secoli di battaglie, di odio, di rancori… dimenticati lì, nella stessa casa dove la guerra stessa è cominciata. Fu Sherlock l’accusato di aver assassinato definitivamente sua madre, e adesso da Sherlock irradia un nuovo giorno, una nuova possibilità di pace.
-John.- chiama Greg, e allora John reagisce. Leva lo sguardo lentamente, con calma moderata. Gli occhi di tutti, sono fissi su di lui. Attendono come soldati al cospetto del generale, credono in colui che lentamente si rialza senza spezzarsi, senza crollare.
Gregory, con la sua fedeltà di amico. Ha perso il lavoro di una vita, ha perso tutto a causa di John. Eppure, ai comandi di John si piega. Fa un passo avanti, lo guarda dritto negli occhi.
-Era Sherlock Holmes, dunque. Risolveva lui i casi più difficili. Se così è realmente, allora gli devo molto.-
E lentamente, dinanzi al sole che poco a poco cala in una lenta ascesa verso il crepuscolo, Greg prende le mani di John, le bacia e con eleganza s’inginocchia.
Molly Hooper, antica compagna d’avventure, donna sbocciata troppo in fretta, amica che con occhi di giovane donna ha guardato i draghi, accettandoli gentile, caritatevole come è sempre stata.
-Guidaci tu in sua assenza, John. Ricostruisci il mondo.- S’inginocchia anche lei, prostrata ai piedi di una speranza che poco a poco cresce, divampa nel mondo che finalmente, ricomincia a respirare.
-Sapevo che saresti diventato un grande, tesoro mio. Dopotutto… sei mio figlio.- Mrs Hudson sorride tra lacrime anziane di sollievo e anche lei, con fatica, si prostra, imitata da Mike. Lui non ha bisogno di parole. John sa già.
Come per incanto, dinanzi alla luce ambrata del crepuscolo ormai iniziato, i draghi avanzano. Insieme, coordinati come sol corpo. Si portano intorno a John, disposti in un unico, regale cerchio.
Noah, Irene, Edarion, Mycroft, Anthea. Lentamente, spiegano le ali verso l’alto. toccano il soffitto, spingono con forza. Una ragnatela di crepe si sprigiona sopra le loro teste e i detriti cominciano a piovere implacabili, senza ferire. Il soffitto si sfonda, libera di grazia le immense masse alari dei figli del cielo, padroni del vento e signori del fuoco.
La luce cade, bagna ogni squama, ogni vela alare. E improvvisamente, l’arcobaleno sboccia intorno a loro, lungo il cielo. Sale in alto, riflettendosi contro la pedana gigantesca che accoglie i draghi defunti. In un istante, il cielo del mondo si colora, bagna di aurora boreale ogni viso, ogni sguardo stupito, annunciando all’intero pianeta che sì, una nuova era sta per cominciare. E stavolta, si lotterà per guarire il mondo.
È una promessa, è un giuramento.
Per Sherlock, per coloro che, innalzati gli occhi al cielo, invocano speranza.
Finirà ogni cosa, in un modo o nell’altro. Un’ultima battaglia, un ultimo respiro profondo prima del balzo finale. È il momento di combattere davvero.
 
-Non se ne parla! Non ho mai cavalcato un cavallo, figurati un drago!- esplode Greg, gesticolando furiosamente. Indica il cielo, dove i draghi sono spariti qualche minuto prima. John li ha guardati innalzarsi nella notte, splendenti come diamanti, surreali come il più lontano dei sogni. Solo Anthea è rimasta al loro fianco per sorvegliarli come pallida guardiana silenziosa. Copre la sua nudità con le possenti ali di un rosa perlaceo, morbide come vesti di seta, eleganti come vestigia di madreperla.
-Posso farti una domanda?- chiede Mike, guardandola di soppiatto. Non pare volersi accostare troppo alla lontananza di quella bellezza elegante, ultraterrena, figlia del cielo e del fuoco. Però la guarda, non le stacca mai gli occhi di dosso. Al contrario, Anthea mantiene un profilo rigido, insensibile. Mike sa bene che non si farà accostare, ma la guarda lo stesso come si guarda un gioiello prezioso o una macchina costosissima.
-Mmm… sì, ma non ti assicuro una risposta.- ribatte lei senza staccare gli occhi da Greg e John che litigano.
-Quel drago… Mycroft Holmes. È enorme. Mentre voi siete più piccoli, mi è parso di vedere: come mai?-
Anthea sorride, il primo vero sorriso che Mike le vede sbocciare sulle labbra.
-In realtà, la grandezza dei draghi dipende dalla razza a cui appartengono. Noah ad esempio, non crescerà più di così. Io sono due volte più grossa, ma mi sono fermata. Oltretutto, i maschi sono più grandi delle femmine. La razza di Mycroft Holmes è molto rara, anche se meno di quella del fratello. Tuttavia… Mycroft e il padre sono grandi la metà di Sherlock.-
Improvvisamente, John e Greg si zittiscono e tutti gli occhi puntano su Anthea, ancora placidamente serena.
-Scusa?- mormora Greg.
-Cosa? Ho detto che Sherlock è grande il doppio. Che c’è?-
Nessuno parla, nessuno osa fiatare.
John ripensa a quando ha colpito Sherlock, il giorno in cui si sono conosciuti. Il cielo era oscurato dalle ali gigantesche dei draghi in attacco, ok. Ma, a pensarci bene… c’era qualcosa dietro le nuvole, come una massa gigantesca e abbastanza grande da occupare molto più dell’intero cielo di Londra. Si sta parlando di un drago grande quanto e più della stessa bestia che ha quasi ammazzato Sherlock.
Insomma, una creatura così grande avrebbe potuto annientare Londra semplicemente sbattendo le ali con più forza. Il solo vento di quelle immense vele avrebbe spazzato via persone, auto e palazzi. Invece, nessuno dei giganteschi Holmes è mai sceso in campo e, quando Sherlock è caduto su Londra, lo ha fatto in versione umanoide, come se…
-Lui non ha mai voluto distruggere gli umani.- soffia John, e in quel momento sente che è vero.
L’uomo ha sottratto a Sherlock la vita stessa. Ha perso la madre, la reputazione, gli amici e i parenti. Ha vissuto come un’eremita, chiuso in se stesso e nel suo Mind Palace, unico luogo di riposo che gli abbia mai concesso pace. Tutto, a causa di un piccolo, sciocco umano.
Eppure, Sherlock non ha mai cercato vendetta. La logica l’ha fermato, ha fatto sì che ogni sentimento di rabbia si racchiudesse in un’unica stanza dalle pareti d’acciaio. Lì forse, l’odio è morto definitivamente.
John ripensa alla sua, di storia. I draghi hanno ucciso la sua famiglia, distrutto la città, massacrato la sua gente. E lui… si è arruolato per vendicarsi. Non è mai stato un soldato. Non è mai stato veramente umano.
-E i draghi? Perché mutano aspetto?- domanda Mrs Hudson, interrompendo il filo dei pensieri di John.
Anthea incrocia le braccia al petto, chiude gli occhi in un’espressione concentrata.
-In realtà, nessuno di noi può saperlo. Evoluzione. O almeno, così la pensano Sherlock e Mycroft Holmes. Purissima evoluzione. Un po’ come quella che ha spinto gli esseri umani a diventare unicamente bipedi e fisicamente sviluppati. Il nostro è un meccanismo di autodifesa.-
John annuisce, comprensivo. Ma in quel momento, sopra le loro teste si sprigiona un arcobaleno di luci. L’aurora boreale rischiara la notte, spiega le sue appendici verso gli angoli dell’universo mentre, sotto gli occhi stupiti dei presenti, quattro splendide creature calano dal cielo, distaccandosi lucenti dalla volta celeste come bellissimi  astri caduti.
Per quanto possano splendere i draghi, nessuna lucentezza è imponente come quella, e in secondo luogo, John ne carpisce il motivo: armature. I draghi indossano le armature.
Splendide, di diamante, modellate alla perfezione sul fisico scolpito di ogni creatura. Si adattano ai petti, ai dorsi, lungo spalle e colli. Gli elmi ricoprono le parti superiori delle teste, lasciando libere mandibole possenti, irte di zanne atroci. Da massicci fori sagomati, sbucano occhi, creste e punte acuminate, micidiali.
Ogni armatura è incisa di simboli eleganti, longilinei, lucenti come polvere di stelle. Simboli che mormorano qualcosa, che narrano una storia, forse. Probabilmente, l’ultima storia che il suo proprietario porterà in battaglia.
John osserva meglio, e nota che soltanto le armature degli Holmes sono più brillanti degli altri. Ogni placca risplende di luce propria e si scolpisce di venature bronzee per padre e figlio, entrambi appartenenti alla stessa razza. Ogni linea converge al centro del petto e della fronte, dove, in entrambi i casi, spiccano lucenti enormi pietre di forma ellittica, ma che John non ha mai visto. Al loro interno si agita una nebbia dorata, lucente come polvere di diamante.
Mycroft porge un cenno ad Anthea, e anche lei si leva in volo verso il cielo, verso la sua armatura.
John non ha bisogno di chiedere da dove hanno preso quelle placche luminose. La pedana che sorregge i defunti draghi sopra le loro teste, è fatta dello stesso materiale delle armature.
John pensa a Sherlock, a come potrebbe essere la sua, di armatura. Non l’ha mai visto in forma di drago. Ha sempre avuto paura di chiederglielo, e adesso se ne pente.
Quanto tempo perso, quante cose non dette. Al solo pensiero, John si sente male.
-Oh, caro.-
Mrs Hudson gli accarezza il braccio, poi fa scivolare le mani sulle guance di John. Lo guarda da vicino, con occhi luminosi di madre orgogliosa. Sorride raggiante, annuisce, gli accarezza le guance coi pollici callosi.
-Lo troverai. E quando succederà, portalo da me. Voglio conoscerlo bene, riempirlo di domande. E, se ti farà soffrire, questa guerra gli sembrerà niente in confronto a ciò che gli farò passare io.-
John sorride a sua volta e la stringe con forza, figlio di sua madre, figlio dell’amore che nutre per lei. Mrs Hudson l’ha accolto, ascoltato, aiutato. Gli ha salvato la vita.
Forse John non tornerà, forse quello sarà il suo ultimo volo. Però vuole dirglielo, perché Mrs Hudson merita di sapere, merita di sentirsi madre così come ha sempre voluto essere.
-Ti voglio bene.-
Tre parole genuine, ingenue, leggere come carezza di bambino. Avvolgono Mrs Hudson, le riempiono gli occhi di lacrime commosse. Quello è suo figlio. Il suo John, il bambino che ha raccolto dalla strada per dargli una vita, un appartamento, degli amici. Ricorda le lacrime di quello stesso bambino quando, la notte, piangeva al ricordo della sua famiglia distrutta e Mrs Hudson non poteva fare altro che ascoltare e sentirsi impotente.
Adesso però, è cambiato qualcosa.
John è sbocciato, ha ritrovato un’alba tutta sua. E finalmente, si sente a casa, pronto ad abbracciare la famiglia che non ha mai creduto di avere.
Sherlock… chiunque tu sia, grazie per questo miracolo.
Si separano con calma, entrambi coi volti bagnati di lacrime. Mrs Hudson si solleva sulle punte dei piedi e bacia John sulla fronte. Profuma di pulito, di casa. Profuma di mamma.
-Salvalo, John. Se lui è davvero la tua alba, e sono certa che lo è… allora la sua salvezza rasenterà la tua, figlio mio.-
John annuisce, separandosi da lei. Le volta le spalle perché è l’unica cosa che può fare, perché sa che se la guardasse di nuovo, non andrebbe più via.
Noah china il capo e con calma, spalanca la bocca.
Le zanne atroci brillano candide alla luce della luna mentre la lingua guizza all’esterno, lasciando cadere quattro pistole cariche che ognuno raccoglie con cautela, storcendo la bocca al viscidume della bava che ricopre il metallo.
-Ehm… grazie, ma io non la so usare.- dice Mike, guardando Noah intimorito.
Il drago accosta entrambe le teste al gruppetto per squadrarli coi brillanti occhi violetti. Li giudica, li studia.
E improvvisamente, John carpisce l’avvertimento silenzioso, le parole non pronunciate ma importanti che sa di dover esprimere ad alta voce.
-Dovremo combattere, Mike. Nulla sarà come prima e… una volta saliti in groppa, non si torna indietro. O si vince o si muore, stavolta.-
I presenti trattengono il respiro mentre assimilano il significato di quelle parole. O morte, o vittoria. Nessuna via di mezzo. È un gioco pericoloso, forse l’ultimo al quale giocheranno tutti loro. Sono numericamente inferiori, più deboli, insignificanti. Eppure, nella loro piccolezza, si sono dimostrati un tangibile punto luce abbastanza luminoso da riunire le persone e spingerle a difendere la loro causa.
C’è chi ci crede, c’è chi ancora prega per loro.
Greg solleva lo sguardo e incrocia uno dei giganteschi occhi chiari di Mycroft Holmes. Si perde nell’antichità di quello sguardo, nella profondità di troppe esperienze vissute, respirate, accolte. Lascia che il drago lo giudichi, che studi ogni anfratto della sua anima. Per la prima volta, dinanzi a quell’unico, gigantesco occhio brillante, Greg si sente misero come granello di sabbia al cospetto di Dio stesso.
Mycroft sbatte gli occhi, poi china il capo e adagia la testa gigantesca, grande quanto mezza Londra, ai piedi di Greg. Continua a fissarlo, a chiedere. Lui, la sua scelta l’ha già fatta.
-Cosa aspettiamo?-
Greg balza verso Mycroft, intasca la pistola e con grazia si arrampica lungo il collo, sulle squame grosse più di lui, su fino alla testa, dove si accuccia accanto a una delle gigantesche corna di indistruttibile acciaio brillante. Sorride dall’alto con una vena di nervosismo mentre Mycroft solleva il capo e lo innalza verso il cielo, quasi oltre le nubi, vista la sua considerevole altezza. Greg urla, ma non è un grido di terrore: è un verso di pura adrenalina, di libertà, di leggerezza.
-Ehm… va bene, allora. Non posso essere da meno.- mormora Molly mentre Noah china il capo accanto alla sporgenza rocciosa per condurre una delle teste, coperta dall’elmo, all’altezza della ragazza.
Molly balza con agilità inaspettata e anche lei, scivolando sull’elmo, raggiunge finalmente il corno più vicino di Noah. Vi si aggrappa, stringe forte la pistola nell’altra mano e improvvisamente, nel suo sguardo cambia qualcosa. Ricorda i dolori della guerra, la sua famiglia devastata, le lacrime di John dinanzi ai corpi massacrati dei genitori e della sorella. Molly ricorda, si avvolge di quelle memorie. E improvvisamente, la donna che c’è in lei sboccia davvero, distende petali di decisione e scelta irremovibile verso lo stesso cielo in cui la innalza Noah, sollevando il capo.
Mai più violenza. Mai più guerre. Mai più.
-A… andiamo.- mormora Mike, e con difficoltà si arrampica sul capo di Anthea, che grugnisce infastidita. Scrolla la testa, facendo scivolare Mike verso il corno più vicino, al quale l’uomo si aggrappa disperato, sudando freddo e tremando di paura.
-È il mio turno, immagino.- sorride John, mentre Edarion china il capo e lo fissa con un brillante occhio chiaro. Sbatte le palpebre crepitanti di squame e annuisce appena.
John non ha bisogno di aiuto per arrampicarsi. Gli sembra di non aver fatto altro per tutta la vita.
Sherlock, sto arrivando!
 
Sherlock non può credere di essere stato così stupido. Ha camminato per ore lungo i corridoi del suo Mind Palace, vagando stordito da una stanza all’altra. Ricorda molto poco, di quegli istanti. Sua madre gli ha parlato, cercava di scuoterlo, ma lui non riusciva a schiarirsi le idee. Di riflesso, il Mind Palace non faceva che vibrare, sbiadirsi, vacillare instabile su fondamenta indebolite. Eppure, in quel caos confusionale, Sherlock ha vagato per ore. Non sa cosa cercava, e forse non lo capirà mai. Però non si è mai fermato, nemmeno quando sua madre ha cercato di farlo sedere e calmare.
Adesso Sherlock riapre gli occhi, respira a fondo per combattere il dolore. La vista si ricopre di puntini neri e bianchi, luminosi e in continuo movimento. Non è un buon segno.
Si guarda intorno, cerca di muoversi. Non ci riesce.
Sbatte le palpebre nel vano tentativo di schiarirsi le idee e finalmente realizza la situazione: spesse catene d’acciaio gli bloccano polsi, collo, caviglie, coda, corna e ali. In quella posizione, Sherlock è costretto in ginocchio, con braccia spalancate come innocente crocifisso e testa reclinata all’indietro, verso il cielo. La spalla ferita sanguina di nuovo e, a giudicare dal forte odore e dall’intero fianco già zuppo, Sherlock deduce di star velocemente dissanguando. Possibile che non se ne sia accorto? Da quanto tempo è incosciente?-
Annusa l’aria, tende l’orecchio al suono delle onde. Mare. Stanno virando a ovest, a giudicare dalla leggera inclinazione della nave.
Sherlock si concentra, sposta in giro lo sguardo annebbiato di dolore e stordimento. Conosce quella sensazione. O almeno, l’ha studiata bene sui libri. Lo stanno drogando pesantemente.
Udito. Olfatto. Voci. Odori. Ci sono… trentasei persone per nave. E in tutto, le navi sono circa quaranta. Insomma, buona parte dei sopravvissuti si è imbarcata, e lentamente, Sherlock capisce perché.
Annusa nuovamente l’aria, istintivamente volta appena la testa verso l’odore di draghi, di casa, di salvezza. E la nave vira.
Sherlock accusa il leggero urto contro la banchina di sabbia, trattiene il respiro quando capisce dove la sua stupida istintività li ha portati.
-Preparatevi. L’abbiamo trovato.- urla Donovan, ferma a pochi passi da Sherlock. Si volta a guardarlo, sorride ferina alla sua occhiata di gelida calma. –Grazie per averci condotto qui, bestiaccia.-
Stranamente, Sherlock sorride a sua volta con fare altezzoso, innervosendo Donovan.
-Aspetta a ringraziarmi.- risponde, dall’alto della testa sollevata e reclinata all’indietro.
Donovan si costringe a ignorare quelle parole intrise di sadico divertimento. Irrigidisce i muscoli, prova a distrarsi. Al contrario però, sente che c’è qualcosa di terribilmente reale in quella minaccia velata.
-Capitano!- urla l’uomo più vicino all’entrata della montagna. Indietreggia, sbarra gli occhi alla vista di un’ombra in movimento.
Il silenzio abbraccia l’ambiente, spinge ogni uomo a trattenere il respiro, a immobilizzarsi sul posto. Nessuno si muove, nessuno fiata. E paradossalmente, l’eco di passi leggeri sulla pietra appare forte come rumore di spari a raffica.
La montagna è in silenzio, placida come acqua immobile prima dello tsunami devastante. Istintivamente, Donovan stringe le dita intorno al calcio della pistola e sporge la mandibola, pronta alla battaglia. Qualunque cosa stia uscendo dalle ombre, non è loro amica.
La figura avanza, muove elegante ogni passo misurato, ogni battito d’umane palpebre. Poi, pochi istanti prima di emergere dalle ombre, la creatura parla con voce acuta, irrisoria, come verso d’un pazzo. E ogni uomo, ogni donna e anziano, capisce improvvisamente di aver compiuto il più grande sbaglio della sua vita.
-Jim Moriarty. Ciao.-
 
Angolo dell’autrice:
E finalmenteee… LUI E’ QUI!!! E non sto applaudendo perché ho un mirino da cecchino puntato alla tempia. No, affatto. Ehm… può bastare? Sì? Ok… spazio ai ringraziamenti!
Ringrazio dal profondo del cuore coloro che con semplici parole hanno saputo incitarmi a scrivere ancora e, specialmente, a non scoraggiarmi. È una salita ancora lunga da percorrere, ma scrivere mi aiuta, e voi… voi mi aiutate più di qualsiasi cosa. Quindi, a voi dedico ogni sforzo, sempre. Grazie a:
Kimi O Aishiteiru
Bbpeki
_RockEver_
Wibbly Wobbly Timey Wimey
Sonia_0911
Grazie ancora, e a prestissimo!

Tomi Dark Angel
  
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