Capitolo
Ventitré: Ludwig
Al
contrario degli esseri umani, lui aveva un ricordo
perfetto dei suoi primi attimi di vita.
Aveva
aperto gli occhi su un volto giovane e provato, i
capelli appiccicati dal sudore e occhi rossi vibranti di speranza.
Ricordava
perfettamente anche la prima parola che le sue
orecchie avevano udito, e la prima sensazione che la sua pelle aveva
registrato.
Dita callose che si appoggiavano sulle sue guance, sfregandole con la
polvere
che le insozzava, e una voce battagliera che esultava:
«Ludwig!»
Aveva
alzato il braccio, e si era sorpreso della facilità
con cui riusciva a muoverlo nell’aria.
Si
era indicato il naso, sbatacchiando le ciglia sugli
occhi.
«Ludwig?»
«Sì,
Ludwig. Tu sei Ludwig!»
Non
aveva capito perché quel giovane fosse così
contento per
un semplice nome, ma gli piaceva la luce che si spandeva sul viso
guerresco
quando lo diceva.
«Ludwig.
Ludwig» continuò a ripetere, inspiegabilmente
più
felice ogni volta che il sorriso dell’altro si ampliava.
***
«Perché
mi hai creato, fratellone?»
Gilbert
era sempre stato sincero con lui. Il primo giorno,
lo aveva messo davanti a uno specchio, in modo che il piccolo potesse
vedere le
differenze tra di loro. Ludwig aveva impiegato qualche istante per
capire che
il bambino nello specchio era lui, e l’uomo che lo reggeva
sulle proprie
ginocchia era l’Hellsing. Ludwig si era passato le mani nei
capelli biondi: si
era aspettato di vederli riempirsi di riflessi argentei, invece si
erano
agitati in un mare dorato. Aveva battuto le palpebre più
volte, nella speranza
che i suoi occhi blu diventassero più simili al vermiglio
delle iridi
dell’Hellsing.
«Non
sei mio figlio» gli aveva spiegato Gilbert. «Non
sei
nato nel modo consueto, e non sei un essere umano» una mano
dell’Hellsing aveva
circondato le sue. Perfino i palmi callosi del giovane erano opposti
alla sua
pelle tenera e paffuta. «Ma ti ho fatto nascere
perché desideravo averti con
me. Sei un bambino che è stato voluto, Ludwig. Sei il mio
prezioso e
insostituibile fratellino.»
La
sua prima settimana di vita era passata e, finalmente,
quel dubbio che gli aveva grattato la nuca per sette giorni aveva
assunto la
forma di una domanda.
Gilbert
lo osservò. In mano reggeva il suo archibugio, che
stava pulendo mentre Ludwig gli passava gli attrezzi.
L’Hellsing
assestò una pacca alla canna di metallo, e
riassunse:
«Te
l’ho detto quando sei nato. Ti ho creato perché ti
volevo con me.»
«Perché
mi volevi con te, fratellone?»
Uno
sconosciuto si affacciò sulle labbra di Gilbert. Non era
il ghigno con cui si proclamava l’Eroe della Galassia, e non
era il sorriso che
sorgeva quando lo chiamava “fratellone”. Era una
strana curva, simile a quella
della gioia, ma senza la sua luce. Era un’increspatura che
piangeva.
«Spero
che tu non lo capisca mai» fu l’enigmatica risposta
del giovane.
***
Matthew
gli assomigliava di più.
Aveva
i capelli biondi e gli occhi azzurri, entrambi più
scuri dei suoi.
Tremava,
quando Gilbert gli si avvicinava, e fissava
terrorizzato ogni suo movimento.
Poi
aveva smesso di aver paura. Però non aveva smesso di
tremare. E aveva cominciato ad arrossire.
Ludwig
aveva osservato la situazione: lo spazio tra Gilbert
e Matthew era progressivamente diminuito. Parlavano a una distanza
quasi nulla
l’uno dall’altro; forse le loro orecchie avevano
qualche problema. Si
separavano bruscamente quando lo vedevano arrivare – o
meglio, Matthew
ruzzolava lontano, l’Hellsing rimaneva immobile, come se
parlare a quella
distanza fosse la cosa più naturale del mondo.
Però con lui non lo faceva. Forse
Matthew aveva davvero qualche problema ai timpani.
Avevano
piantato il bulbo sul retro del giardino. La terra
era fredda e dura sotto le loro dita, ma avevano scavato con foga fino
ad avere
le guance scarlatte e il fiato corto, e avevano ricoperto il seme con
cura,
come per rincalzare le coperte a un neonato.
Gli
piaceva Matthew. Aveva un buon profumo, era dolce e
delicato come il pane appena sfornato, e aveva un mucchio di attenzioni
per lui
e per il suo fratellone.
Gli
piaceva particolarmente quando gli pettinava i capelli.
Gilbert non lo aveva mai fatto – lui stesso si pettinava
raramente. Matthew
aveva introdotto quella novità, imponendola a entrambi i
fratelli.
Era
seduto sulle sue ginocchia, la spazzola che veniva
condotta gentilmente tra le sue ciocche color grano, quando
alzò la testa.
«Il
fratellone sta tornando» annunciò.
Matthew
appoggiò il pettine sul comodino, e fece scendere il
piccolo dalle sue gambe.
«Come
fai a saperlo sempre in anticipo?» chiese Matthew,
pacato.
«Perché
io sono un costrutto, come Gilbird. Abbiamo una
sorta di legame telepatico, perché siamo stati creati da
lui. Adesso mi sta
dicendo che stanno per arrivare.»
Matthew
gli accarezzò la testa, teneramente.
«Sei
un costrutto, ma Gilbert ti vuole un bene infinito. Sei
un bambino molto fortunato» lo coccolò.
Ludwig
sorrise, fiero.
«Lo
so. Sono molto fortunato» ciò detto, corse verso
la
porta della cantina: doveva prendere un po’ di sidro per
rinfrancare il
fratellone dopo la missione di quel giorno.
Sentì
la porta principale aprirsi mentre era in fondo alle
scale, la bottiglia di mele fermentate tra le braccia.
Risalì veloce, ma non
riuscì a uscire e presentarsi al fratellone. Uno strano
spettacolo si profilò
dallo spiraglio della porta: il fratellone aveva poggiato
sbrigativamente il
fucile allo stipite, aveva legato le braccia attorno alla vita delicata
di
Matthew e aveva poggiato le labbra sulle sue.
Le
mani del giovane erano salite, esitati, ad appoggiarsi
sulle spalle del guerriero, che aveva stretto ulteriormente la presa
sulla sua
vita, intensificando i suoni acquosi che venivano dalle loro bocche
unite.
Sembrava una strana caccia, in cui la preda desiderava essere catturata
dal
predatore.
«Che
state facendo?» domandò, decidendosi a uscire.
Matthew
si era staccato bruscamente, ma, quella volta,
Gilbert non gli aveva permesso di fuggire. Aveva premuto una mano sul
suo osso
sacro, spingendolo contro di sé e aumentando il rossore
congestionato sulle
guance del giovane.
«Ci
stavamo baciando» annunciò l’Hellsing.
«È
una cosa buona?»
«È
una cosa ottima» sottolineò l’uomo.
«Significa che
Matthew resterà con noi per tutta la vita.»
Ludwig
aveva quasi fatto cadere la bottiglia di sidro per la
gioia.
«Davvero?»
esultò.
Matthew
si stava sistemando le ciocche intorno al viso come
se volesse sotterrarsi dietro di esse, e annuì vergognoso
dietro quella cortina
bionda.
«Me
lo fate rivedere?»
Gilbert
rise di quella domanda candida, e lanciò
un’occhiata
predatoria al giovane tra le sue braccia.
«No»
mormorò Matthew, flebile ma inflessibile.
«È solo un
bambino.»
«Ha
sedici anni, si vede che il sangue adolescente comincia
a…»
«Sembra
un bambino.»
L’Hellsing
sbuffò e lasciò il giovane libero di fuggire. Si
chinò per raccogliere il piccolo da terra, e
iniziò a spiegare:
«Ludwig,
credo che sia il momento che io ti spieghi la
storia dell’ape e del fiore…»
***
Non
erano bastati tutti i baci del fratello per trattenere
Matthew con loro.
Ludwig
si era svegliato e si era sorpreso di vedere solo il
fratellone nel letto centrale. Matthew non era l’unico
scomparso: anche il
fucile dell’Hellsing non si trovava.
Gilbert
era uscito dalla casa come se tutti i demoni che
aveva ucciso lo stessero inseguendo. Gli aveva urlato di aspettarlo,
prima di
sbattere la porta dietro di sé.
L’Hellsing
era tornato a sera, ma Gilbert era sparito: Ludwig
vide solo un guerriero distrutto, quando sollevò gli occhi
su di lui.
«Fratellone…?»
Gli
occhi dell’uomo lo fissarono, immobili come pietre.
Occorsero alcuni secondi prima che Gilbert emergesse in quelle iridi di
cenere.
L’Hellsing
si inginocchiò scoordinato, come una marionetta
cui venivano tagliati i fili uno a uno. Appoggiò le mani
sulle sue spalle
minute, e frammenti di voce che si accatastarono sulle sue labbra
tremanti.
«Matthew…
è andato lontano… molto
lontano…»
«È
arrabbiato con noi?»
«No,
Ludwig. È… è stato costretto ad
andarsene.»
«Possiamo
andarlo a trovare?»
«Forse,
tra molti anni. Ma non adesso.»
«Perché
piangi, fratellone?»
Appoggiò
i palmi sulle guance dell’uomo, più volte,
ritirandole sempre più umide. Era la prima volta che vedeva
Gilbert piangere.
«Perché
mi mancherà da morire…»
buttò fuori l’Hellsing,
sfregando violentemente il dorso della mano contro gli occhi.
Ludwig
si sporse per depositargli un bacino sul naso. Le
lacrime di Gilbert si arrestarono, come colte alla sprovvista da quella
piccola
dimostrazione d’affetto.
«Non
preoccuparti, fratellone» lo tranquillizzò Ludwig.
«Rimango
io con te finché Matthew non ritorna.»
Le
lacrime sgorgarono di nuovo, ma un sorriso fendette
quella cascata inesorabile.
«Lo
so» Gilbert lo abbracciò con tutta la sua forza.
«Sei un
bravo bambino, Ludwig. Sei davvero un bravo
bambino…»
***
Non
pensava sarebbe arrivato anche il turno del fratellone.
Sapeva
che tutti i demoni erano stati eliminati, per cui non
capì perché Gilbert stesse lucidando le armi e
indossando la sua divisa color
notte.
L’Hellsing
si inginocchiò davanti a lui e gli accarezzò i
capelli, di nuovo aggrovigliati da quando Matthew era scomparso.
«Ascoltami,
Ludwig» il tono del fratellone era pesante come
piombo, e il piccolo provò l’impulso di scappare:
non voleva essere schiacciato
da quella pressione. «Ho una cosa da fare, lontano da
qui.»
«Vai
a uccidere dei demoni?»
«In
un certo senso» concesse mestamente l’Hellsing.
«Vado a
ripulire la Confederazione. E a riprendere il
papà.»
«Abbiamo
un papà?»
«Sì.
Delle persone molto cattive ce lo hanno portato via.
Adesso vado a riprenderlo. Ma Ludwig…» le mani del
fratello si erano appoggiate
sulle sue guance, come se volessero frenare le lacrime che ancora non
avevano cominciato
a scorrere. «Se non dovessi tornare…»
«Che
vuoi dire?»
«Se
dovessi andare lontano, come Matthew… voglio che tu ti
affidi ai Gunsmith, d’accordo? Loro avranno cura di
te.»
«Avevi
detto che avremmo rivisto Matthew solo tra molti
anni…»
«È
possibile che io lo raggiunga prima del tempo.»
«No!
Avevamo detto che lo avremmo aspettato insieme!»
«Ludwig…
a volte le cose non vanno come vorremmo…»
«Ma
tu sei l’eroe della Galassia! Tu puoi sistemare
tutto!»
«Ludwig»
l’Hellsing lo afferrò per le spalle, e lo
inchiodò
con i suoi occhi amaranto. Il piccolo deglutì a vuoto,
torchiato da quello
sguardo duro.
Le
lacrime irruppero sul suo viso, irrefrenabili. Non capiva
cosa stava succedendo, l’unica cosa chiara era il terrore di
vedere il suo
fratellone partire. Lo aveva visto lasciare quella casa mille volte per
cacciare i demoni, ma non lo aveva mai visto con quello sguardo. Anzi,
lo aveva
visto, una volta: il giorno in cui Matthew era sparito.
«Non
voglio che tu vada, fratellone…»
biascicò nel pianto.
Un
sorriso stanco si fece largo su quelle labbra di acciaio,
e le braccia dell’Hellsing lo cinsero gentilmente.
«Non
vado via, Ludwig. Anche se le nostre strade dovessero
separarsi, ci ritroveremo a un crocicchio. E sai
perché?»
Ludwig
scrollò la testa, facendo volare alcune lacrime
nell’aria.
«Perché
l’eroe della Galassia non lascerebbe mai da solo il
suo fratellino in questo schifo di mondo.»
«Hai
detto “schifo”» ridacchiò
Ludwig. «È una brutta parola.
Non si dice.»
«Hai
ragione» l’Hellsing si rimise in piedi, e si
avviò
verso la porta.
Si
fermò sulla soglia e si voltò.
Il
sole del tramonto disegnò una bizzarra aureola rossa sui
suoi capelli, come sangue sull’argento.
«A
presto, Ludwig.»
«Ti
aspetto qui, fratellone» il piccolo agitò la
manina
finché Gilbird non diventò un punto indistinto
nel cielo carminio.
Il
sole era sorto e tramontato tre volte, e il fratello
ancora non era tornato. Ma poteva sentire Gilbird, sapeva che era
ancora là, da
qualche parte nell’universo.
Il
messaggio era giunto il sesto giorno. Una sola parola.
Perdonami.
Ludwig
sollevò lo sguardo dalla camicia che stava pulendo.
Spazzò l’aria con gli occhi, alla ricerca del
minimo segnale.
«Gilbird?»
chiamò, in allarme. «Fratellone?»
Le
lacrime sconvolsero di nuovo i suoi occhi quando, dopo
interi minuti, non ricevette risposta.
«Fratellone!»
saltò sul letto, scese in cantina, salì in
soffitta, rovistò tra i mobili, chiamando, piangendo.
Uscì
a precipizio in giardino, e si gettò a quattro zampe
nel punto in cui avevano piantato il bulbo.
«Fratellone,
il nostro primo albero è qui! Non vuoi vederlo
crescere?»
Corse
verso il lago, mise le mani a coppa intorno alla bocca
e gridò di nuovo il suo nome sull’acqua scura. E
poi corse ancora, senza una
direzione, ovunque le gambe e il pianto lo portassero.
Crollò
a terra, esausto, qualche ora dopo. Il terreno era
duro e freddo, ma non quanto il suo cuore. Quasi non riconobbe come sua
la mano
che si trascinò a stringere un pugno di sterpaglie brulle.
Le
montagne tutto intorno, che fino al giorno prima gli
erano sembrate un cancello protettivo, d’improvviso
diventarono le zanne di una
prigione.
E
quel vuoto silenzioso, il mutismo di un pianeta che era
stato spogliato uno per uno dei suoi abitati fino ad avere solo un
bambino
spezzato ad agitarsi sulle sue zolle di fango…
All’improvviso,
capì cosa avesse inteso il fratello, tanti
anni prima.
Spero
che tu non
lo capisca mai.
«Mi
hai creato perché… ti sentivi
solo…» il mondo divenne di
nuovo indistinto dietro la coltre delle lacrime.
«Perché essere soli è peggio
che essere morti…»
Si
rialzò a fatica a quattro zampe, e gattonò nella
direzione da cui gli sembrava di essere venuto.
«Mi
hai creato perché fossi sempre al tuo
fianco…» le
braccia cedettero, facendolo cadere a faccia in giù nella
polvere.
Faticò
a respirare attraverso il naso otturato di terra e di
lacrime.
«Sapevi
quanto faceva male… allora perché mi hai lasciato
solo, fratellone?»
Fece
forza sui gomiti per sollevare il viso dal terreno, le
lacrime che segnavano una scia lucida sulle guance impolverate.
«Matthew,
ti scongiuro… non prenderti il fratellone
adesso…»
singhiozzò. «Non voglio rimanere solo…
per favore…»
Un
basso ringhio lo fece voltare. Un enorme lupo della
tundra lo stava puntando, gli occhi fiammeggianti e le fauci
spalancate,
bramose della sua carne tenera.
«No…»
tremò Ludwig, cercando di rimettersi in piedi. «Ho
promesso al fratellone… che lo avrei
aspettato…»
Il
lupo si caricò sulle zampe possenti, pronto al balzo.
«Anche
se lui dovesse dimenticarsi di me… io lo
aspetterò
sempre… perché io non esisto senza il
fratellone…»
L’animale
si scagliò su di lui, le zanne pronte ad affondare
nella sua carotide.
«E
se dovessero portarlo lontano…»
La
bestia bloccò il suo assalto, arretrando spaventata.
Ludwig
era finalmente riuscito ad alzarsi. La sua pelle bruciava,
irradiando una luce dorata che aveva invaso tutta la pianura, accecando
il
lupo.
«…
andrò a prenderlo con le mie stesse mani.»
Non
si era mai sentito in quel modo: tutto il suo corpo
pulsava, come se la pelle fosse troppo stretta per contenerlo. La sua
anima
stessa sembrava contrarsi e lamentarsi, rinchiusa in quel forziere di
carne
troppo piccolo.
«Perché
lui è il mio prezioso fratellone, il mio
insostituibile eroe…»
Il
lupo fuggì nel bosco, guaendo. Ludwig non lo
sentì
nemmeno. Le parole sgorgavano dalla sua bocca, una dietro
l’altra, senza
esitazioni, mentre il suo corpo intero si trasfigurava.
«E
non rimarrà mai solo finché ci sarò io
a proteggerlo!»
Il
suo cuore esplose in un fascio di luce. Lo sentì
distintamente mentre si smembrava sotto quella pressione serafica, ma
non
avvertì dolore: tutto era luce, tutto era pace.
Per
un attimo, vide con gli occhi delle montagne e parlò con
la voce del vento: l’intero pianeta era dentro di lui, e lui
era in ogni sasso,
ogni foglia, ogni onda.
Fu
un attimo di estasi, come se tutto il creato avesse
trovato ordine e armonia grazie a lui. Durò un unico,
meraviglioso istante,
prima che Ludwig si trovasse di nuovo con la faccia a terra.
Non
faticò a comprendere che qualcosa era effettivamente
cambiato: non ricordava di occupare tanto spazio, prima. Quelle braccia
lunghissime erano difficili da muovere, scivolavano da tutte le parti,
per non
parlare delle gambe. Il suo corpo era diventato più pesante,
più spigoloso e
più duro. Assomigliava di più a quello del
fratellone, adesso: l’adipe che lo
rendeva paffuto era svanito, lasciando posto a fasci di muscoli che mai
avrebbe
immaginato di poter sviluppare.
Cercò
di rialzarsi per tre volte, e per tre volte si ritrovò
a mordere la polvere.
«Lascia
che ti aiutiamo noi, ragazzo. I primi giorni dopo la
Cresima sono i peggiori.»
Ludwig
faticò a girare il collo muscoloso per fissare i
nuovi arrivati, un colosso con gli occhiali e un piccoletto dai capelli
biondi.
Il primo portava in spalla un fucile lungo quanto lui, che avrebbe
potuto
spazzare via un intero edificio con un singolo sparo.
«Cresima…?»
raspò Ludwig, trasalendo al suono della sua voce
improvvisamente bassa, quasi provenisse dalle profondità di
un pozzo.
Il
più piccolo si avvicinò a lui, e si
chinò in modo da poterlo
osservare in viso.
«Siamo
i Gunsmith. Tuo fratello ti ha mai parlato di noi?»
si presentò cortese.
Ludwig
annuì vagamente, e il giovane proseguì.
«Eravamo
famigli, una volta, e Gilbert ci ha fornito un
nuovo corpo dopo… che i nostri padroni sono
scomparsi» il piccoletto sfoderò un
enorme sorriso, come a rincuorarlo che ormai il lutto era stato
superato. «Quindi
siamo anche noi suoi costrutti. Abbiamo sentito il tuo richiamo, e
siamo corsi
ad aiutarti.»
«Non
vi ho chiamati…»
«Le
emozioni molto forti fungono da richiamo. È un
meccanismo di difesa di costrutti e famigli, in modo da poter sempre
lanciare
un segnale di emergenza» spiegò marmoreo il
più grande.
Ludwig
cominciava a capire: la sua disperazione aveva inviato
una specie di allarme che quei due strani personaggi, essendo stati
creati
dalla medesima magia da cui era nato anche lui, avevano recepito.
«Avevi
chiesto della Cresima» riprese il filo del discorso
il più mingherlino. «Non è niente di
grave, solo un processo di confermazione.
Vedi, Ludwig, al contrario degli esseri umani normali, noi famigli e
costrutti
veniamo al mondo con un solo scopo. Per i famigli è sempre
uguale: proteggere
il proprio padrone. Noi costrutti, invece, dobbiamo cercarlo.»
«Il
nostro è costruire protesi magiche»
echeggiò il più
grande.
«Il
tuo è proteggere chi è solo»
mormorò l’altro.
«Come
fate a dirlo?»
«Abbiamo
sentito il tuo giuramento, poco fa. E ti sei
trasformato nell’attimo in cui hai detto “non
rimarrà mai solo finché ci sarò
io a proteggerlo”. Quello è lo scopo per cui
vivrai.»
«Per
voi è stato lo stesso?»
«No,
la nostra trasformazione non è stata eclatante come la
tua. Ma siamo diversi, Ludwig: per farci nascere, tuo fratello ha
plasmato
materia già esistente. Tu invece sei stato creato
interamente da lui.»
«Mio
fratello…»
La
mano del piccoletto si appoggiò sulla sua guancia, e
Ludwig si sorprese di sentirla ruvida e callosa, quasi come quella di
Gilbert.
Dato il suo aspetto delicato, si era aspettato una mano soffice e
morbida.
Quelle erano le dita di un lavoratore e di un combattente.
«Lo
rivedrai, Ludwig. Non è morto: è stato
imprigionato a
Caina. Un giorno vi incontrerete di nuovo.»
Il
gigante si chinò su di lui, si fece passare un suo
braccio attorno alle spalle mastodontiche e lo sollevò quasi
senza sforzo.
«Vieni»
mormorò in un boato. «Prima di tutto dobbiamo
curarti.»
Ludwig
girò il collo con enorme fatica.
Dov’era
la sua casa? E il lago dove facevano il bagno?
E
il bulbo? Sarebbe morto da solo, dopo che lo avevano
illuso di farlo nascere e crescere?
Quel
cuore adulto faceva ancora più male, quando si
contraeva per il dolore.
«Tornerò»
bisbigliò, rivolto all’aria gelida intorno.
«Tornerò…»
Perché
anche se
questo pianeta è artico e morto… è il
luogo in cui il fratellone mi ha fatto
nascere. È casa mia.
***
Aveva
passato alcuni anni insieme ai Gunsmith.
Lo
avevano allenato e istruito finché non era stato in grado
di utilizzare tutte le armi che potevano fornirgli.
Aveva
un bel ricordo di quegli anni: i Gunsmith erano stati
molto gentili con lui, e lui aveva voluto bene a ognuno di loro, ma non
riusciva a considerarli “casa”.
Vivevano
in un edificio che avevano arredato con tutte le
finezze tecnologiche che erano riusciti a produrre in quegli anni, come
il
riscaldamento che scorreva sotto il pavimento. Nella sua vecchia baita
era
sempre freddo, ma c’erano Gilbert e Matthew e una coperta in
più per
racchiuderli tutti e tre in un piccolo guscio di calore.
I
Gunsmith non avevano mai preteso di prendere il posto di
Gilbert o di quella piccola casa abbandonata in mezzo al nulla, e di
questo
Ludwig gli era sempre stato grato.
Li
considerava degli alleati formidabili e degli amici
fidati, ma non erano la sua famiglia. La sua famiglia riposava sotto
uno strato
di terra fredda e in un blocco di ghiaccio.
Vide
la sua occasione per salvare il fratello quando il
Vaticano annunciò aperte le selezioni per il nuovo Guardiano.
Anche
quella volta, i Gunsmith erano stati accondiscendenti
con lui, e gli avevano permesso di partire.
Mathias
lo aveva abbracciato, Norge gli aveva stretto la
mano, Berwald gli aveva assestato una poderosa pacca sulle spalle, Tino
gli
aveva regalato un portafortuna, Vash lo aveva convinto a portarsi
dietro una
pistola e Lily lo aveva baciato su entrambe le guance.
Non
ricordava nemmeno i giorni delle selezioni: era stato
talmente concentrato sul suo unico obiettivo – liberare il
fratello – che non
aveva memoria di facce o di nomi che aveva affrontato e sconfitto.
Si
era risvegliato da quello strano stato di trance quando
era stato ufficialmente presentato al futuro Asse.
Davanti
a sé, l’incarnazione del marciume della
Confederazione gli sorrideva: una finta cortesia che malcelava
l’ipocrisia
debordante.
Aveva
finto di essere cieco, e aveva accettato l’incarico e
quel ragazzo dal sorriso fasullo.
Non
poteva negare di averlo odiato, all’inizio. Perché
quella bambolina di bugie poteva vivere serena mentre suo fratello era
incastrato in una tomba di ghiaccio?
Poi,
la porcellana della bambola si era spezzata, e Ludwig
aveva potuto scorgere l’interno.
Era
anche lui un ragazzo solo alla disperata ricerca del
fratello. Ricordava ancora quando gli aveva chiesto se anche lui avesse
qualcuno che voleva davvero proteggere, o quando lo aveva implorato di
parlargli del suo pianeta affinché potesse vederlo nei suoi
sogni. E ancora,
quando lo aveva pregato di abbracciarlo per non farlo diventare un
fantasma di
quel palazzo.
Durante
la sua Cresima, aveva giurato che avrebbe protetto
chiunque fosse stato solo. E, nell’intera Confederazione, non
esisteva una
persona più isolata di quel povero ragazzo.
Lui
era rimasto senza famiglia, ma almeno aveva dei ricordi
con cui cullarsi, quando la malinconia lo assaliva. Feliciano non aveva
nemmeno
quelli: il fratello gli era stato strappato quando erano ancora
bambini, e i
suoi genitori non si erano mai comportati come tali.
L’impressione
che aveva avuto il primo giorno non era del
tutto sbagliata: Feliciano era davvero una bambola, un burattino con la
bocca
dipinta che non poteva in alcun modo esprimere la sua opinione,
costretto a muoversi
per un burattinaio che detestava.
In
quel momento, aveva fatto il suo vero giuramento come
Guardiano: nessuno avrebbe mai più potuto ferire quel
giovane, finché lui fosse
rimasto al suo fianco.
Aveva
cercato di riempire gli interminabili pomeriggi nel
Palazzo di Quarzo raccontandogli tutti gli aneddoti più
divertenti della sua
vita familiare con Gilbert, e Feliciano gli aveva riassunto tutti i
libri che
aveva letto nella Villa Vaticana.
Ogni
tanto, quando anche le parole diventavano ingombranti,
Ludwig tendeva le braccia e Feliciano si tuffava tra di esse. Era
strano, per
il Guardiano, essere la forza portante: era abituato a essere lui
quello che si
gettava tra le braccia del fratello maggiore.
La
crescita era uno strano fenomeno: lo aveva gettato improvvisamente
nei panni di chi aveva sempre ammirato dal basso. Pensava che sarebbe
stato un
processo graduale, invece la realizzazione era stata improvvisa: non
era più un
bambino, era un adulto.
«Cosa
pensi che sia un bacio, Ludwig?»
Anche
la domanda di Feliciano era giunta improvvisa come un
fulmine.
Il
Guardiano attese un attimo, radunando i ricordi che aveva
a riguardo: il fratellone che stringeva Matthew, e che muoveva le
labbra sulle
sue con l’espressione di chi non avrebbe voluto fare altro
per il secolo
successivo.
«È
una promessa» decise infine, citando la spiegazione di
Gilbert. «Significa che vuoi stare insieme a una certa
persona per tutta la
vita.»
Feliciano
si alzò dalla poltrona color latte, e si affiancò
al suo Guardiano. Sfilò il guanto prima di appoggiare la
mano candida su quella
del guerriero.
«E
tu Ludwig… vuoi restare insieme a me per tutta la
vita?»
Il
combattente lo fissò in silenzio, la risposta che si
assemblava nella sua testa. Poi parlò con la voce profonda
che, il giorno della
sua Cresima, lo aveva fatto trasalire.
«Feliciano,
potresti pentirtene.»
«Perché?»
«Dovresti
chiederlo a una persona speciale.»
«Una
persona più speciale di te non esiste.»
«Come
puoi dirlo? Sono l’unica persona che conosci.»
Ludwig
non era stupido: si era accorto già da tempo di
provare per quel giovane qualcosa che andava oltre il semplice
attaccamento tra
Guardiano e Asse. Era qualcosa di estremamente simile alla tenerezza
con cui
Gilbert guardava Matthew, o all’affetto nascosto in ogni
parola che i Gusmith
rivolgevano ai rispettivi compagni. Ma non aveva mai rivelato quei suoi
sentimenti. Feliciano non aveva mai visto nessuno, oltre a lui. Se
anche si
fosse confessato, era altamente probabile che il giovane avrebbe
accettato solo
perché non conosceva alternative. Sarebbe stato come
approfittare di un animale
in gabbia, e lui non era caduto così in basso.
Feliciano
sembrò intuire quei suoi pensieri. Scostò la
veletta dal viso per colpirlo con tutta la luce del suo sorriso.
«Cosa
cambierebbe, anche se conoscessi altre persone?»
minimizzò. «Queste “altre
persone” non mi hanno parlato di pianeti lontani e
fratelli maggiori. Non mi hanno mai sorretto quando stavo per cadere,
non mi
hanno abbracciato quando stavo per spezzarmi. Non hanno giurato di
proteggermi
e non sono state al mio fianco per anni. Conosco solo una persona che
ha fatto
tutto questo.»
«Feliciano…»
«Forse
è vero che non esiste un’anima gemella
prestabilita,
ma che esistono più persone a noi compatibili»
ammise Feliciano, senza smettere
di sorridere. «Ma il destino ti ha messo sulla mia strada. E
sarebbe vuota in
un modo intollerabile, se tu te ne andassi.»
«Feliciano,
la tua è una scelta obbligata…»
«Potrei
scegliere di stare da solo. Potrei decidere di
aspettare di uscire da qui per avere un amante. Invece scelgo te,
Ludwig. Oggi
e domani, scelgo te.»
«Perché?»
Le
mani di Feliciano salirono ad accarezzargli il viso.
«Perché
tu tingi il bianco con mille colori. Perché fai
viaggiare chi è bloccato in un palazzo. Perché
non compatisci, perché ami» il futuro
Asse sorrise di nuovo. «Ti servono degli altri
motivi?»
Ludwig
scosse la testa in cenno di diniego. Non era sicuro
che Feliciano stesse davvero scegliendo ciò che era meglio
per lui, ma il
giovane pareva non nutrire il minimo dubbio a riguardo.
«E
tu, Ludwig? Non vedi niente di buono in me?»
«Penso
che tu saresti il migliore Asse che questa
Confederazione potrebbe mai avere» elencò preciso
il Guardiano. «Ed è proprio
per questo che dobbiamo scappare prima della tua incoronazione: non ti
lascerebbero più andare, e non potrei più farti
vedere dove sono nato.»
«Né
farmi incontrare tuo fratello maggiore.»
«E
io non potrei conoscere tuo fratello gemello.»
«C’erano
davvero dei pesci grandi come te, nel lago?»
«Anche
più grossi.»
«Dovrò
dire a Lovino di stare molto attento, allora.»
Le
dita dell’Asse lo sospinsero dolcemente ad abbassare lo
sguardo su di lui.
«Te
lo chiedo di nuovo, Ludwig: vuoi restare insieme a me
per tutta la vita?»
Ludwig
si chinò su di lui e Feliciano si alzò sulle
punte
dei piedi per congiungere le loro labbra.
Il
Guardiano si chiese se Gilbert provasse le stesse cose,
quando baciava Matthew. Era morbido, tiepido, vivo, nuovo. Le labbra di
Feliciano si muovevano curiose contro le sue, come a cercare
l’angolazione
perfetta per unirsi alle compagne.
Lo
sentì sussultare timidamente quando insinuò la
lingua ad
accarezzargli le labbra socchiuse.
«Per
tutta la vita» gli ricordò in un soffio caldo
Feliciano, prima di allacciare le braccia al suo collo, schiudendo la
bocca per
lui.
Ludwig
non si sarebbe mai scordato il loro primo bacio, né
avrebbe mai dimenticato la loro prima volta, circa due settimane dopo.
Feliciano
era steso sotto le lenzuola candide, avvolto nella
sua camicia immacolata. Ludwig era seduto di fianco al suo giaciglio,
come sempre.
Si
baciarono lentamente, e il Guardiano tornò nella sua
posizione di veglia.
Una
mano eburnea si appoggiò sul suo braccio.
«Ludwig…»
lo chiamò Feliciano.
Non
ebbe bisogno di aggiungere altro: i suoi occhi e il suo
tono basso parlavano con assoluta chiarezza.
Il
Guardiano si irrigidì, come spaventato. Amava quel
giovane, era innegabile, e Feliciano lo amava con l’amore
spensierato e totale
di cui solo un essere puro era capace. Adorava baciarlo, sentirlo
giocare con
le sue labbra e fremere quando le loro lingue si incontravano, e non
avrebbe
mai smesso di farlo. Ma c’era una regola ferrea che gli aveva
impedito di
unirsi al suo innamorato il giorno stesso in cui si erano dichiarati:
un Asse
doveva essere un canale senza macchia. Pertanto, l’Asse non
poteva concedersi
alla persona amata.
«Non
possiamo» rifiutò Ludwig, cercando di suonare
convincente.
Feliciano
piegò la testa sul cuscino, i capelli ramati che
formavano bizzarri intarsi sulla federa lattea.
«Non
vuoi?» chiese, la mano ancora fissa sul suo braccio.
Ludwig
chiuse gli occhi, imponendosi la calma.
«Un
Asse non può…»
«Non
sono l’Asse. Non ancora.»
«Lo
sarai molto presto.»
«No.
Non diventerò mai Asse. Non voglio diventare un
fantasma di questo Palazzo triste» la mano salì
sul suo gomito. «Vuoi che io
diventi un fantasma?»
«Voglio
che tu sia libero, Feliciano, e che tu sia felice.»
Il
ragazzo gli sorrise, solare e disarmante.
«Allora
lasciami libero di essere felice con te» lo invitò
con un tono morbido.
Ludwig
quasi non si rese conto di essersi portato sul letto,
sopra il giovane. Si mosse come se una forza maggiore dettasse i suoi
movimenti, allo stesso modo di una conchiglia trascinata dalle maree.
Era
Feliciano, il suo sorriso pieno di aspettativa e i suoi occhi colmi di
amore a
farlo muovere come intossicato. Non si accorgeva quasi delle sue mani
che
spogliavano il giovane, troppo catturato dal suo viso che arrossiva e
dalle sue
labbra che si torcevano per l’imbarazzo in un modo delizioso.
Pensava
che il corpo di Feliciano fosse bianco e immobile
come il marmo con cui era costruito il Palazzo. La pelle del ragazzo
era
pallida, velata di rosa, e rabbrividiva al suo tocco, e si scaldava ai
suoi
baci.
Un
gemito soffice fuggì dalle labbra del giovane quando
Ludwig depositò un bacio tra le cosce bianche che si
aprivano per lui.
«Ludwig…»
lo chiamò Feliciano, immergendo le dita nei suoi
capelli biondi. «Un bacio significa stare insieme per tutta
la vita, questo
significa stare insieme per sempre.»
Il
Guardiano si rialzò per fissare l’amante in volto.
Era
ancora convinto che avrebbero pagato a caro prezzo la
loro follia, che sporcare l’Asse fosse la cosa più
sbagliata e blasfema da
fare. Ma non riusciva a convincersi che amare Feliciano fosse una cosa
deplorevole. Non si era mai sentito a casa con i Gunsmith, per quanto
loro si
fossero sempre dimostrati premurosi nei suoi confronti; bastavano le
braccia
magre di Feliciano che lo stringevano, invece, perché Ludwig
potesse sentire di
nuovo il profumo della tundra e il sapore ghiacciato del lago.
Stavano
camminando sul ciglio di un burrone, sfidando a quel
modo le regole del Vaticano. E Feliciano era l’unico motivo
per cui si sarebbe
gettato a capofitto dal precipizio. Solo Feliciano.
Intrecciò
le loro dita e i loro sguardi.
«Per
sempre» confermò.
Fu
strano cercare insieme la giusta posizione e il giusto
ritmo; strano, ma non spiacevole. Erano entrambi ugualmente inesperti e
curiosi, e, soprattutto, desiderosi di sentire l’altro sopra
e dentro di sé.
Le
mani di Feliciarono tremarono nel togliere i vestiti a Ludwig,
ma non si fermarono, nemmeno quando il tessuto incespicò sui
suoi muscoli
scolpiti.
Rimasero
immobili un istante, guardandosi come affascinati.
I loro corpi erano diversi come il giorno e la notte: massiccio e
scolpito
quello del Guardiano, tenero e magro quello dell’Asse.
Feliciano
si aggrappò a quelle spalle forti quando gli
addominali di Ludwig coprirono il suo ventre morbido.
Le
gambe del giovane si strinsero spasmodicamente attorno alla
sua vita quando il Guardiano iniziò a spingersi in lui.
Ludwig cercò di
ritrarsi, preoccupato di avergli fatto male, ma Feliciano scosse la
testa e lo
trattenne su di sé.
Il
ragazzo inspirò a fondo, e cercò di rilassarsi
prima che
il Guardiano si portasse di nuovo dentro di lui.
Fu
doloroso, all’inizio. Feliciano non pensava che avrebbe
fatto così male, come se un coltello gli stesse lacerando la
carne. Ma non
voleva che Ludwig smettesse: voleva sentirlo dentro di sé e
marchiarlo come
suo, voleva essere sicuro che il suo Guardiano non avrebbe provato con
nessun
altro quello che stava provando con lui in quel momento.
Ludwig
si fermò più volte, accarezzando e baciando quel
ragazzo teso e irrigidito sotto di lui.
Finalmente,
il suo corpo parve adattarsi a quell’esperienza:
al posto del dolore, una sensazione bollente scaturì al
centro delle sue cosce,
e si scaricò come un fulmine in tutto il suo corpo.
Non
si era mai sentito così caldo, quasi sul punto di
sciogliersi. Sollevò gli occhi liquidi sulle iridi azzurre
che lo accarezzavano
adoranti. Avrebbe accettato di vedere la sua pelle e la sua carne
liquefarsi
come la cera di una candela, se avesse potuto diventare una cosa sola
con
Ludwig, in quel modo.
Era
un peccato, anzi, era quasi un’eresia, ma esistevano
cose più importanti della legge glaciale scandita dal
Vaticano. L’amore era
senz’altro una di queste cose: non poteva esserci nulla di
più puro e perfetto
del desiderio che entrambi nutrivano solo per l’altro, come
se il resto del
mondo si fosse ammutolito e spento.
Feliciano
sentì mancare il fiato quando Ludwig si liberò
dentro di lui. Finalmente era suo.
Il
giovane si accoccolò sul suo petto, quando il Guardiano
si stese sul letto.
«Abbiamo
sbagliato qualcosa all’inizio, credo»
notificò,
appena gli ansiti si placarono.
«Ti
ho fatto male?» le mani di Ludwig si posarono sulla sua
schiena, trattenendolo gentilmente sul suo ventre.
«Non
tanto» mentì Feliciano. «Ma credo che
esista qualcosa
per renderlo… sai… più agevole.»
Il
sospiro di Ludwig inciampò in un accenno di risata.
«Mio
fratello sarebbe stato molto contento di spiegarmelo.
Si divertiva un mondo a mettere in imbarazzo gli altri.»
«Dovremmo
chiederglielo, quando usciremo di qui.»
«Tu
non conosci mio fratello.»
«Ma
vorrei tanto conoscerlo.»
Feliciano
poggiò il capo ramato sulla curva della sua
clavicola, e bisbigliò sul suo petto:
«“Per
sempre” significa che non potrai mai dirmi addio,
né
lasciarmi solo. Qualunque cosa succeda, non puoi
abbandonarmi.»
Ludwig
baciò quella chioma calda, e fece scorrere un dito
sulla schiena delicata.
«Diventeremo
dei criminali, se scopriranno cosa abbiamo
fatto.»
«Il
giudizio del Vaticano non mi spaventa, e nemmeno
l’Inferno. Dicevano sempre che mio fratello era un diavolo, e
che giacere con
una persona senza aver intenzione di procreare è peccato. Se
questo è
l’Inferno, allora non è un brutto posto in cui
stare per l’eternità.»
Ludwig
lo abbracciò. Quel ragazzo era… indescrivibile.
«Per
sempre» il Guardiano afferrò dolcemente
l’anulare
sinistro del giovane, che non sarebbe mai stato stretto da una fede
nuziale, e
lo baciò. «Anche se tu dovessi rinascere come una
rosa, ti riconoscerei tra
altre mille rose.»
Feliciano
lo squadrò senza capire, e Ludwig spiegò:
«È
una favola che mi raccontava Matthew. Parlava di due
innamorati costretti a separarsi. Il loro amore era talmente forte che
aveva
fatto sbocciare una rosa di fianco alla casa di ognuno dei due, e loro
avevano
subito capito che quella rosa era nata grazie
all’altro.»
«Non
voglio che tu diventi una rosa» brontolò
Feliciano. «Una
rosa non può abbracciarmi.»
Le
labbra del Guardiano si poggiarono sulla sua tempia.
«Non
ho intenzione di diventare una rosa» lo rassicurò.
Non
voleva smettere di abbracciare, baciare e amare
Feliciano.
Nemmeno
se quel peccato lo avrebbe portato davanti al
tribunale del Vaticano.
***
«Sei pronto,
Ludwig?»
Il
Guardiano strinse la sua mano, rivestita dal guanto
bianco.
«Non
sarà facile, ma andremo fino in fondo»
scandì lui.
«Insieme»
aggiunse Feliciano in un sorriso.
Le
loro dita si separarono prima che le porte di marmo
bianco si aprissero, e la piccola figura dell’Asse venisse
proiettata in tutta
la Confederazione.
Alcune
Aeronavi fluttuavano intorno al Palazzo, gremite di
fedeli plaudenti. Una ventina di globi erano stati fissati attorno alla
terrazza, in modo da catturare l’immagine dell’Asse
e trasmetterla in tutta la
Confederazione. L’intera famiglia Vaticana era schierata sul
pomposo terrazzo
che correva lungo tutto il perimetro del Palazzo.
Feliciano
sorrise dietro la veletta, e iniziò il suo
discorso.
«Miei
cari fedeli» esordì. «Vi accolgo con il
cuore colmo di
gioia in questo lieto giorno. È per me il massimo onore
essere oggi investito
della carica di Asse… e il peggiore fardello.»
La
sorpresa serpeggiò in tutta la Confederazione a quelle
parole, e l’intera famiglia Vaticana inorridì: un
Asse doveva accettare il suo
ruolo con serena condiscendenza, non lamentarsi del suo stato.
Il
sorriso di Feliciano non si incrinò mentre sollevava la
veletta scatenando una seconda ondata di sgomento: mai gli Assi avevano
permesso ai fedeli di vedere il loro viso nudo.
«Un
Asse deve essere immacolato» proseguì, mentre il
coro di
scontento si gonfiava sempre più tutto intorno.
«Un Asse deve essere puro. Un
Asse deve essere… vergine.»
La
mano guantata afferrò il colletto della mantella,
strattonandolo bruscamente verso il basso. La Confederazione
trasalì, quando
una costellazione di succhiotti venne alla luce sul collo niveo del
giovane.
«Mi
sono unito al mio Guardiano più volte»
gridò, per
sovrastare il trambusto della famiglia Vaticana intorno a lui.
«Per cui sono un
Asse corrotto. Il degno Asse per questa Galassia marcia.»
Quattro
mani di ferro lo afferrarono per le spalle, e lo
spinsero bruscamente all’interno del Palazzo.
Le
guardie vaticane avevano circondato Ludwig, impedendogli
qualunque movimento, e i membri più anziani della sua
famiglia lo stavano
squadrando con occhi iniettati di sangue.
«Tu
sei diabolico come
tuo fratello!» ululò il padre, dando ordine ad
altri soldati di immobilizzare
Feliciano e di chiudere la porta. «Ma adesso basta: questa
maledetta storia
finisce oggi!»
Le
guardie non furono abbastanza rapide nel chiudere il
portone. Feliciano poté scorgere, in lontananza,
un’Aeronave la cui descrizione
era nota in tutta la Galassia: la Reina
de la Oscuridad. Un lupo nero come la notte si
lanciò dall’albero maestro,
correndo come un pazzo verso di lui.
«Lovino!»
gridò Feliciano. «Lovino, sono qui!»
Le
porte si chiusero sul suo ultimo richiamo.
Ed
eccoci
arrivati all’inizio della saga finale<3
Caleidoscopio
terminerà in dieci capitoli massimo çwç
Ancora
una
volta, grazie a tutti voi che avete letto fin
qui<3<3<3
A
presto con l’inizio
del marasma<3
Red