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Autore: HamletRedDiablo    08/07/2014    6 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Ventitré: Ludwig

 

Al contrario degli esseri umani, lui aveva un ricordo perfetto dei suoi primi attimi di vita.

Aveva aperto gli occhi su un volto giovane e provato, i capelli appiccicati dal sudore e occhi rossi vibranti di speranza.

Ricordava perfettamente anche la prima parola che le sue orecchie avevano udito, e la prima sensazione che la sua pelle aveva registrato. Dita callose che si appoggiavano sulle sue guance, sfregandole con la polvere che le insozzava, e una voce battagliera che esultava:

«Ludwig!»

Aveva alzato il braccio, e si era sorpreso della facilità con cui riusciva a muoverlo nell’aria.

Si era indicato il naso, sbatacchiando le ciglia sugli occhi.

«Ludwig?»

«Sì, Ludwig. Tu sei Ludwig!»

Non aveva capito perché quel giovane fosse così contento per un semplice nome, ma gli piaceva la luce che si spandeva sul viso guerresco quando lo diceva.

«Ludwig. Ludwig» continuò a ripetere, inspiegabilmente più felice ogni volta che il sorriso dell’altro si ampliava.

 

***

 

«Perché mi hai creato, fratellone?»

Gilbert era sempre stato sincero con lui. Il primo giorno, lo aveva messo davanti a uno specchio, in modo che il piccolo potesse vedere le differenze tra di loro. Ludwig aveva impiegato qualche istante per capire che il bambino nello specchio era lui, e l’uomo che lo reggeva sulle proprie ginocchia era l’Hellsing. Ludwig si era passato le mani nei capelli biondi: si era aspettato di vederli riempirsi di riflessi argentei, invece si erano agitati in un mare dorato. Aveva battuto le palpebre più volte, nella speranza che i suoi occhi blu diventassero più simili al vermiglio delle iridi dell’Hellsing.

«Non sei mio figlio» gli aveva spiegato Gilbert. «Non sei nato nel modo consueto, e non sei un essere umano» una mano dell’Hellsing aveva circondato le sue. Perfino i palmi callosi del giovane erano opposti alla sua pelle tenera e paffuta. «Ma ti ho fatto nascere perché desideravo averti con me. Sei un bambino che è stato voluto, Ludwig. Sei il mio prezioso e insostituibile fratellino.»

La sua prima settimana di vita era passata e, finalmente, quel dubbio che gli aveva grattato la nuca per sette giorni aveva assunto la forma di una domanda.

Gilbert lo osservò. In mano reggeva il suo archibugio, che stava pulendo mentre Ludwig gli passava gli attrezzi.

L’Hellsing assestò una pacca alla canna di metallo, e riassunse:

«Te l’ho detto quando sei nato. Ti ho creato perché ti volevo con me.»

«Perché mi volevi con te, fratellone?»

Uno sconosciuto si affacciò sulle labbra di Gilbert. Non era il ghigno con cui si proclamava l’Eroe della Galassia, e non era il sorriso che sorgeva quando lo chiamava “fratellone”. Era una strana curva, simile a quella della gioia, ma senza la sua luce. Era un’increspatura che piangeva.

«Spero che tu non lo capisca mai» fu l’enigmatica risposta del giovane.

 

***

 

Matthew gli assomigliava di più.

Aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, entrambi più scuri dei suoi.

Tremava, quando Gilbert gli si avvicinava, e fissava terrorizzato ogni suo movimento.

Poi aveva smesso di aver paura. Però non aveva smesso di tremare. E aveva cominciato ad arrossire.

Ludwig aveva osservato la situazione: lo spazio tra Gilbert e Matthew era progressivamente diminuito. Parlavano a una distanza quasi nulla l’uno dall’altro; forse le loro orecchie avevano qualche problema. Si separavano bruscamente quando lo vedevano arrivare – o meglio, Matthew ruzzolava lontano, l’Hellsing rimaneva immobile, come se parlare a quella distanza fosse la cosa più naturale del mondo. Però con lui non lo faceva. Forse Matthew aveva davvero qualche problema ai timpani.

Avevano piantato il bulbo sul retro del giardino. La terra era fredda e dura sotto le loro dita, ma avevano scavato con foga fino ad avere le guance scarlatte e il fiato corto, e avevano ricoperto il seme con cura, come per rincalzare le coperte a un neonato.

Gli piaceva Matthew. Aveva un buon profumo, era dolce e delicato come il pane appena sfornato, e aveva un mucchio di attenzioni per lui e per il suo fratellone.

Gli piaceva particolarmente quando gli pettinava i capelli. Gilbert non lo aveva mai fatto – lui stesso si pettinava raramente. Matthew aveva introdotto quella novità, imponendola a entrambi i fratelli.

Era seduto sulle sue ginocchia, la spazzola che veniva condotta gentilmente tra le sue ciocche color grano, quando alzò la testa.

«Il fratellone sta tornando» annunciò.

Matthew appoggiò il pettine sul comodino, e fece scendere il piccolo dalle sue gambe.

«Come fai a saperlo sempre in anticipo?» chiese Matthew, pacato.

«Perché io sono un costrutto, come Gilbird. Abbiamo una sorta di legame telepatico, perché siamo stati creati da lui. Adesso mi sta dicendo che stanno per arrivare.»

Matthew gli accarezzò la testa, teneramente.

«Sei un costrutto, ma Gilbert ti vuole un bene infinito. Sei un bambino molto fortunato» lo coccolò.

Ludwig sorrise, fiero.

«Lo so. Sono molto fortunato» ciò detto, corse verso la porta della cantina: doveva prendere un po’ di sidro per rinfrancare il fratellone dopo la missione di quel giorno.

Sentì la porta principale aprirsi mentre era in fondo alle scale, la bottiglia di mele fermentate tra le braccia. Risalì veloce, ma non riuscì a uscire e presentarsi al fratellone. Uno strano spettacolo si profilò dallo spiraglio della porta: il fratellone aveva poggiato sbrigativamente il fucile allo stipite, aveva legato le braccia attorno alla vita delicata di Matthew e aveva poggiato le labbra sulle sue.

Le mani del giovane erano salite, esitati, ad appoggiarsi sulle spalle del guerriero, che aveva stretto ulteriormente la presa sulla sua vita, intensificando i suoni acquosi che venivano dalle loro bocche unite. Sembrava una strana caccia, in cui la preda desiderava essere catturata dal predatore.

«Che state facendo?» domandò, decidendosi a uscire.

Matthew si era staccato bruscamente, ma, quella volta, Gilbert non gli aveva permesso di fuggire. Aveva premuto una mano sul suo osso sacro, spingendolo contro di sé e aumentando il rossore congestionato sulle guance del giovane.

«Ci stavamo baciando» annunciò l’Hellsing.

«È una cosa buona?»

«È una cosa ottima» sottolineò l’uomo. «Significa che Matthew resterà con noi per tutta la vita.»

Ludwig aveva quasi fatto cadere la bottiglia di sidro per la gioia.

«Davvero?» esultò.

Matthew si stava sistemando le ciocche intorno al viso come se volesse sotterrarsi dietro di esse, e annuì vergognoso dietro quella cortina bionda.

«Me lo fate rivedere?»

Gilbert rise di quella domanda candida, e lanciò un’occhiata predatoria al giovane tra le sue braccia.

«No» mormorò Matthew, flebile ma inflessibile. «È solo un bambino.»

«Ha sedici anni, si vede che il sangue adolescente comincia a…»

«Sembra un bambino.»

L’Hellsing sbuffò e lasciò il giovane libero di fuggire. Si chinò per raccogliere il piccolo da terra, e iniziò a spiegare:

«Ludwig, credo che sia il momento che io ti spieghi la storia dell’ape e del fiore…»

 

***

 

Non erano bastati tutti i baci del fratello per trattenere Matthew con loro.

Ludwig si era svegliato e si era sorpreso di vedere solo il fratellone nel letto centrale. Matthew non era l’unico scomparso: anche il fucile dell’Hellsing non si trovava.

Gilbert era uscito dalla casa come se tutti i demoni che aveva ucciso lo stessero inseguendo. Gli aveva urlato di aspettarlo, prima di sbattere la porta dietro di sé.

L’Hellsing era tornato a sera, ma Gilbert era sparito: Ludwig vide solo un guerriero distrutto, quando sollevò gli occhi su di lui.

«Fratellone…?»

Gli occhi dell’uomo lo fissarono, immobili come pietre. Occorsero alcuni secondi prima che Gilbert emergesse in quelle iridi di cenere.

L’Hellsing si inginocchiò scoordinato, come una marionetta cui venivano tagliati i fili uno a uno. Appoggiò le mani sulle sue spalle minute, e frammenti di voce che si accatastarono sulle sue labbra tremanti.

«Matthew… è andato lontano… molto lontano…»

«È arrabbiato con noi?»

«No, Ludwig. È… è stato costretto ad andarsene.»

«Possiamo andarlo a trovare?»

«Forse, tra molti anni. Ma non adesso.»

«Perché piangi, fratellone?»

Appoggiò i palmi sulle guance dell’uomo, più volte, ritirandole sempre più umide. Era la prima volta che vedeva Gilbert piangere.

«Perché mi mancherà da morire…» buttò fuori l’Hellsing, sfregando violentemente il dorso della mano contro gli occhi.

Ludwig si sporse per depositargli un bacino sul naso. Le lacrime di Gilbert si arrestarono, come colte alla sprovvista da quella piccola dimostrazione d’affetto.

«Non preoccuparti, fratellone» lo tranquillizzò Ludwig. «Rimango io con te finché Matthew non ritorna.»

Le lacrime sgorgarono di nuovo, ma un sorriso fendette quella cascata inesorabile.

«Lo so» Gilbert lo abbracciò con tutta la sua forza. «Sei un bravo bambino, Ludwig. Sei davvero un bravo bambino…»

 

***

 

Non pensava sarebbe arrivato anche il turno del fratellone.

Sapeva che tutti i demoni erano stati eliminati, per cui non capì perché Gilbert stesse lucidando le armi e indossando la sua divisa color notte.

L’Hellsing si inginocchiò davanti a lui e gli accarezzò i capelli, di nuovo aggrovigliati da quando Matthew era scomparso.

«Ascoltami, Ludwig» il tono del fratellone era pesante come piombo, e il piccolo provò l’impulso di scappare: non voleva essere schiacciato da quella pressione. «Ho una cosa da fare, lontano da qui.»

«Vai a uccidere dei demoni?»

«In un certo senso» concesse mestamente l’Hellsing. «Vado a ripulire la Confederazione. E a riprendere il papà.»

«Abbiamo un papà?»

«Sì. Delle persone molto cattive ce lo hanno portato via. Adesso vado a riprenderlo. Ma Ludwig…» le mani del fratello si erano appoggiate sulle sue guance, come se volessero frenare le lacrime che ancora non avevano cominciato a scorrere. «Se non dovessi tornare…»

«Che vuoi dire?»

«Se dovessi andare lontano, come Matthew… voglio che tu ti affidi ai Gunsmith, d’accordo? Loro avranno cura di te.»

«Avevi detto che avremmo rivisto Matthew solo tra molti anni…»

«È possibile che io lo raggiunga prima del tempo.»

«No! Avevamo detto che lo avremmo aspettato insieme!»

«Ludwig… a volte le cose non vanno come vorremmo…»

«Ma tu sei l’eroe della Galassia! Tu puoi sistemare tutto!»

«Ludwig» l’Hellsing lo afferrò per le spalle, e lo inchiodò con i suoi occhi amaranto. Il piccolo deglutì a vuoto, torchiato da quello sguardo duro.

Le lacrime irruppero sul suo viso, irrefrenabili. Non capiva cosa stava succedendo, l’unica cosa chiara era il terrore di vedere il suo fratellone partire. Lo aveva visto lasciare quella casa mille volte per cacciare i demoni, ma non lo aveva mai visto con quello sguardo. Anzi, lo aveva visto, una volta: il giorno in cui Matthew era sparito.

«Non voglio che tu vada, fratellone…» biascicò nel pianto.

Un sorriso stanco si fece largo su quelle labbra di acciaio, e le braccia dell’Hellsing lo cinsero gentilmente.

«Non vado via, Ludwig. Anche se le nostre strade dovessero separarsi, ci ritroveremo a un crocicchio. E sai perché?»

Ludwig scrollò la testa, facendo volare alcune lacrime nell’aria.

«Perché l’eroe della Galassia non lascerebbe mai da solo il suo fratellino in questo schifo di mondo.»

«Hai detto “schifo”» ridacchiò Ludwig. «È una brutta parola. Non si dice.»

«Hai ragione» l’Hellsing si rimise in piedi, e si avviò verso la porta.

Si fermò sulla soglia e si voltò.

Il sole del tramonto disegnò una bizzarra aureola rossa sui suoi capelli, come sangue sull’argento.

«A presto, Ludwig.»

«Ti aspetto qui, fratellone» il piccolo agitò la manina finché Gilbird non diventò un punto indistinto nel cielo carminio.

Il sole era sorto e tramontato tre volte, e il fratello ancora non era tornato. Ma poteva sentire Gilbird, sapeva che era ancora là, da qualche parte nell’universo.

Il messaggio era giunto il sesto giorno. Una sola parola.

Perdonami.

Ludwig sollevò lo sguardo dalla camicia che stava pulendo. Spazzò l’aria con gli occhi, alla ricerca del minimo segnale.

«Gilbird?» chiamò, in allarme. «Fratellone?»

Le lacrime sconvolsero di nuovo i suoi occhi quando, dopo interi minuti, non ricevette risposta.

«Fratellone!» saltò sul letto, scese in cantina, salì in soffitta, rovistò tra i mobili, chiamando, piangendo.

Uscì a precipizio in giardino, e si gettò a quattro zampe nel punto in cui avevano piantato il bulbo.

«Fratellone, il nostro primo albero è qui! Non vuoi vederlo crescere?»

Corse verso il lago, mise le mani a coppa intorno alla bocca e gridò di nuovo il suo nome sull’acqua scura. E poi corse ancora, senza una direzione, ovunque le gambe e il pianto lo portassero.

Crollò a terra, esausto, qualche ora dopo. Il terreno era duro e freddo, ma non quanto il suo cuore. Quasi non riconobbe come sua la mano che si trascinò a stringere un pugno di sterpaglie brulle.

Le montagne tutto intorno, che fino al giorno prima gli erano sembrate un cancello protettivo, d’improvviso diventarono le zanne di una prigione.

E quel vuoto silenzioso, il mutismo di un pianeta che era stato spogliato uno per uno dei suoi abitati fino ad avere solo un bambino spezzato ad agitarsi sulle sue zolle di fango…

All’improvviso, capì cosa avesse inteso il fratello, tanti anni prima.

Spero che tu non lo capisca mai.

«Mi hai creato perché… ti sentivi solo…» il mondo divenne di nuovo indistinto dietro la coltre delle lacrime. «Perché essere soli è peggio che essere morti…»

Si rialzò a fatica a quattro zampe, e gattonò nella direzione da cui gli sembrava di essere venuto.

«Mi hai creato perché fossi sempre al tuo fianco…» le braccia cedettero, facendolo cadere a faccia in giù nella polvere.

Faticò a respirare attraverso il naso otturato di terra e di lacrime.

«Sapevi quanto faceva male… allora perché mi hai lasciato solo, fratellone?»

Fece forza sui gomiti per sollevare il viso dal terreno, le lacrime che segnavano una scia lucida sulle guance impolverate.

«Matthew, ti scongiuro… non prenderti il fratellone adesso…» singhiozzò. «Non voglio rimanere solo… per favore…»

Un basso ringhio lo fece voltare. Un enorme lupo della tundra lo stava puntando, gli occhi fiammeggianti e le fauci spalancate, bramose della sua carne tenera.

«No…» tremò Ludwig, cercando di rimettersi in piedi. «Ho promesso al fratellone… che lo avrei aspettato…»

Il lupo si caricò sulle zampe possenti, pronto al balzo.

«Anche se lui dovesse dimenticarsi di me… io lo aspetterò sempre… perché io non esisto senza il fratellone…»

L’animale si scagliò su di lui, le zanne pronte ad affondare nella sua carotide.

«E se dovessero portarlo lontano…»

La bestia bloccò il suo assalto, arretrando spaventata.

Ludwig era finalmente riuscito ad alzarsi. La sua pelle bruciava, irradiando una luce dorata che aveva invaso tutta la pianura, accecando il lupo.

«… andrò a prenderlo con le mie stesse mani.»

Non si era mai sentito in quel modo: tutto il suo corpo pulsava, come se la pelle fosse troppo stretta per contenerlo. La sua anima stessa sembrava contrarsi e lamentarsi, rinchiusa in quel forziere di carne troppo piccolo.

«Perché lui è il mio prezioso fratellone, il mio insostituibile eroe…»

Il lupo fuggì nel bosco, guaendo. Ludwig non lo sentì nemmeno. Le parole sgorgavano dalla sua bocca, una dietro l’altra, senza esitazioni, mentre il suo corpo intero si trasfigurava.

«E non rimarrà mai solo finché ci sarò io a proteggerlo!»

Il suo cuore esplose in un fascio di luce. Lo sentì distintamente mentre si smembrava sotto quella pressione serafica, ma non avvertì dolore: tutto era luce, tutto era pace.

Per un attimo, vide con gli occhi delle montagne e parlò con la voce del vento: l’intero pianeta era dentro di lui, e lui era in ogni sasso, ogni foglia, ogni onda.

Fu un attimo di estasi, come se tutto il creato avesse trovato ordine e armonia grazie a lui. Durò un unico, meraviglioso istante, prima che Ludwig si trovasse di nuovo con la faccia a terra.

Non faticò a comprendere che qualcosa era effettivamente cambiato: non ricordava di occupare tanto spazio, prima. Quelle braccia lunghissime erano difficili da muovere, scivolavano da tutte le parti, per non parlare delle gambe. Il suo corpo era diventato più pesante, più spigoloso e più duro. Assomigliava di più a quello del fratellone, adesso: l’adipe che lo rendeva paffuto era svanito, lasciando posto a fasci di muscoli che mai avrebbe immaginato di poter sviluppare.

Cercò di rialzarsi per tre volte, e per tre volte si ritrovò a mordere la polvere.

«Lascia che ti aiutiamo noi, ragazzo. I primi giorni dopo la Cresima sono i peggiori.»

Ludwig faticò a girare il collo muscoloso per fissare i nuovi arrivati, un colosso con gli occhiali e un piccoletto dai capelli biondi. Il primo portava in spalla un fucile lungo quanto lui, che avrebbe potuto spazzare via un intero edificio con un singolo sparo.

«Cresima…?» raspò Ludwig, trasalendo al suono della sua voce improvvisamente bassa, quasi provenisse dalle profondità di un pozzo.

Il più piccolo si avvicinò a lui, e si chinò in modo da poterlo osservare in viso.

«Siamo i Gunsmith. Tuo fratello ti ha mai parlato di noi?» si presentò cortese.

Ludwig annuì vagamente, e il giovane proseguì.

«Eravamo famigli, una volta, e Gilbert ci ha fornito un nuovo corpo dopo… che i nostri padroni sono scomparsi» il piccoletto sfoderò un enorme sorriso, come a rincuorarlo che ormai il lutto era stato superato. «Quindi siamo anche noi suoi costrutti. Abbiamo sentito il tuo richiamo, e siamo corsi ad aiutarti.»

«Non vi ho chiamati…»

«Le emozioni molto forti fungono da richiamo. È un meccanismo di difesa di costrutti e famigli, in modo da poter sempre lanciare un segnale di emergenza» spiegò marmoreo il più grande.

Ludwig cominciava a capire: la sua disperazione aveva inviato una specie di allarme che quei due strani personaggi, essendo stati creati dalla medesima magia da cui era nato anche lui, avevano recepito.

«Avevi chiesto della Cresima» riprese il filo del discorso il più mingherlino. «Non è niente di grave, solo un processo di confermazione. Vedi, Ludwig, al contrario degli esseri umani normali, noi famigli e costrutti veniamo al mondo con un solo scopo. Per i famigli è sempre uguale: proteggere il proprio padrone. Noi costrutti, invece, dobbiamo cercarlo.»

«Il nostro è costruire protesi magiche» echeggiò il più grande.

«Il tuo è proteggere chi è solo» mormorò l’altro.

«Come fate a dirlo?»

«Abbiamo sentito il tuo giuramento, poco fa. E ti sei trasformato nell’attimo in cui hai detto “non rimarrà mai solo finché ci sarò io a proteggerlo”. Quello è lo scopo per cui vivrai.»

«Per voi è stato lo stesso?»

«No, la nostra trasformazione non è stata eclatante come la tua. Ma siamo diversi, Ludwig: per farci nascere, tuo fratello ha plasmato materia già esistente. Tu invece sei stato creato interamente da lui.»

«Mio fratello…»

La mano del piccoletto si appoggiò sulla sua guancia, e Ludwig si sorprese di sentirla ruvida e callosa, quasi come quella di Gilbert. Dato il suo aspetto delicato, si era aspettato una mano soffice e morbida. Quelle erano le dita di un lavoratore e di un combattente.

«Lo rivedrai, Ludwig. Non è morto: è stato imprigionato a Caina. Un giorno vi incontrerete di nuovo.»

Il gigante si chinò su di lui, si fece passare un suo braccio attorno alle spalle mastodontiche e lo sollevò quasi senza sforzo.

«Vieni» mormorò in un boato. «Prima di tutto dobbiamo curarti.»

Ludwig girò il collo con enorme fatica.

Dov’era la sua casa? E il lago dove facevano il bagno?

E il bulbo? Sarebbe morto da solo, dopo che lo avevano illuso di farlo nascere e crescere?

Quel cuore adulto faceva ancora più male, quando si contraeva per il dolore.

«Tornerò» bisbigliò, rivolto all’aria gelida intorno. «Tornerò…»

Perché anche se questo pianeta è artico e morto… è il luogo in cui il fratellone mi ha fatto nascere. È casa mia.

 

***

 

Aveva passato alcuni anni insieme ai Gunsmith.

Lo avevano allenato e istruito finché non era stato in grado di utilizzare tutte le armi che potevano fornirgli.

Aveva un bel ricordo di quegli anni: i Gunsmith erano stati molto gentili con lui, e lui aveva voluto bene a ognuno di loro, ma non riusciva a considerarli “casa”.

Vivevano in un edificio che avevano arredato con tutte le finezze tecnologiche che erano riusciti a produrre in quegli anni, come il riscaldamento che scorreva sotto il pavimento. Nella sua vecchia baita era sempre freddo, ma c’erano Gilbert e Matthew e una coperta in più per racchiuderli tutti e tre in un piccolo guscio di calore.

I Gunsmith non avevano mai preteso di prendere il posto di Gilbert o di quella piccola casa abbandonata in mezzo al nulla, e di questo Ludwig gli era sempre stato grato.

Li considerava degli alleati formidabili e degli amici fidati, ma non erano la sua famiglia. La sua famiglia riposava sotto uno strato di terra fredda e in un blocco di ghiaccio.

Vide la sua occasione per salvare il fratello quando il Vaticano annunciò aperte le selezioni per il nuovo Guardiano.

Anche quella volta, i Gunsmith erano stati accondiscendenti con lui, e gli avevano permesso di partire.

Mathias lo aveva abbracciato, Norge gli aveva stretto la mano, Berwald gli aveva assestato una poderosa pacca sulle spalle, Tino gli aveva regalato un portafortuna, Vash lo aveva convinto a portarsi dietro una pistola e Lily lo aveva baciato su entrambe le guance.

Non ricordava nemmeno i giorni delle selezioni: era stato talmente concentrato sul suo unico obiettivo – liberare il fratello – che non aveva memoria di facce o di nomi che aveva affrontato e sconfitto.

Si era risvegliato da quello strano stato di trance quando era stato ufficialmente presentato al futuro Asse.

Davanti a sé, l’incarnazione del marciume della Confederazione gli sorrideva: una finta cortesia che malcelava l’ipocrisia debordante.

Aveva finto di essere cieco, e aveva accettato l’incarico e quel ragazzo dal sorriso fasullo.

Non poteva negare di averlo odiato, all’inizio. Perché quella bambolina di bugie poteva vivere serena mentre suo fratello era incastrato in una tomba di ghiaccio?

Poi, la porcellana della bambola si era spezzata, e Ludwig aveva potuto scorgere l’interno.

Era anche lui un ragazzo solo alla disperata ricerca del fratello. Ricordava ancora quando gli aveva chiesto se anche lui avesse qualcuno che voleva davvero proteggere, o quando lo aveva implorato di parlargli del suo pianeta affinché potesse vederlo nei suoi sogni. E ancora, quando lo aveva pregato di abbracciarlo per non farlo diventare un fantasma di quel palazzo.

Durante la sua Cresima, aveva giurato che avrebbe protetto chiunque fosse stato solo. E, nell’intera Confederazione, non esisteva una persona più isolata di quel povero ragazzo.

Lui era rimasto senza famiglia, ma almeno aveva dei ricordi con cui cullarsi, quando la malinconia lo assaliva. Feliciano non aveva nemmeno quelli: il fratello gli era stato strappato quando erano ancora bambini, e i suoi genitori non si erano mai comportati come tali.

L’impressione che aveva avuto il primo giorno non era del tutto sbagliata: Feliciano era davvero una bambola, un burattino con la bocca dipinta che non poteva in alcun modo esprimere la sua opinione, costretto a muoversi per un burattinaio che detestava.

In quel momento, aveva fatto il suo vero giuramento come Guardiano: nessuno avrebbe mai più potuto ferire quel giovane, finché lui fosse rimasto al suo fianco.

Aveva cercato di riempire gli interminabili pomeriggi nel Palazzo di Quarzo raccontandogli tutti gli aneddoti più divertenti della sua vita familiare con Gilbert, e Feliciano gli aveva riassunto tutti i libri che aveva letto nella Villa Vaticana.

Ogni tanto, quando anche le parole diventavano ingombranti, Ludwig tendeva le braccia e Feliciano si tuffava tra di esse. Era strano, per il Guardiano, essere la forza portante: era abituato a essere lui quello che si gettava tra le braccia del fratello maggiore.

La crescita era uno strano fenomeno: lo aveva gettato improvvisamente nei panni di chi aveva sempre ammirato dal basso. Pensava che sarebbe stato un processo graduale, invece la realizzazione era stata improvvisa: non era più un bambino, era un adulto.

«Cosa pensi che sia un bacio, Ludwig?»

Anche la domanda di Feliciano era giunta improvvisa come un fulmine.

Il Guardiano attese un attimo, radunando i ricordi che aveva a riguardo: il fratellone che stringeva Matthew, e che muoveva le labbra sulle sue con l’espressione di chi non avrebbe voluto fare altro per il secolo successivo.

«È una promessa» decise infine, citando la spiegazione di Gilbert. «Significa che vuoi stare insieme a una certa persona per tutta la vita.»

Feliciano si alzò dalla poltrona color latte, e si affiancò al suo Guardiano. Sfilò il guanto prima di appoggiare la mano candida su quella del guerriero.

«E tu Ludwig… vuoi restare insieme a me per tutta la vita?»

Il combattente lo fissò in silenzio, la risposta che si assemblava nella sua testa. Poi parlò con la voce profonda che, il giorno della sua Cresima, lo aveva fatto trasalire.

«Feliciano, potresti pentirtene.»

«Perché?»

«Dovresti chiederlo a una persona speciale.»

«Una persona più speciale di te non esiste.»

«Come puoi dirlo? Sono l’unica persona che conosci.»

Ludwig non era stupido: si era accorto già da tempo di provare per quel giovane qualcosa che andava oltre il semplice attaccamento tra Guardiano e Asse. Era qualcosa di estremamente simile alla tenerezza con cui Gilbert guardava Matthew, o all’affetto nascosto in ogni parola che i Gusmith rivolgevano ai rispettivi compagni. Ma non aveva mai rivelato quei suoi sentimenti. Feliciano non aveva mai visto nessuno, oltre a lui. Se anche si fosse confessato, era altamente probabile che il giovane avrebbe accettato solo perché non conosceva alternative. Sarebbe stato come approfittare di un animale in gabbia, e lui non era caduto così in basso.

Feliciano sembrò intuire quei suoi pensieri. Scostò la veletta dal viso per colpirlo con tutta la luce del suo sorriso.

«Cosa cambierebbe, anche se conoscessi altre persone?» minimizzò. «Queste “altre persone” non mi hanno parlato di pianeti lontani e fratelli maggiori. Non mi hanno mai sorretto quando stavo per cadere, non mi hanno abbracciato quando stavo per spezzarmi. Non hanno giurato di proteggermi e non sono state al mio fianco per anni. Conosco solo una persona che ha fatto tutto questo.»

«Feliciano…»

«Forse è vero che non esiste un’anima gemella prestabilita, ma che esistono più persone a noi compatibili» ammise Feliciano, senza smettere di sorridere. «Ma il destino ti ha messo sulla mia strada. E sarebbe vuota in un modo intollerabile, se tu te ne andassi.»

«Feliciano, la tua è una scelta obbligata…»

«Potrei scegliere di stare da solo. Potrei decidere di aspettare di uscire da qui per avere un amante. Invece scelgo te, Ludwig. Oggi e domani, scelgo te.»

«Perché?»

Le mani di Feliciano salirono ad accarezzargli il viso.

«Perché tu tingi il bianco con mille colori. Perché fai viaggiare chi è bloccato in un palazzo. Perché non compatisci, perché ami» il futuro Asse sorrise di nuovo. «Ti servono degli altri motivi?»

Ludwig scosse la testa in cenno di diniego. Non era sicuro che Feliciano stesse davvero scegliendo ciò che era meglio per lui, ma il giovane pareva non nutrire il minimo dubbio a riguardo.

«E tu, Ludwig? Non vedi niente di buono in me?»

«Penso che tu saresti il migliore Asse che questa Confederazione potrebbe mai avere» elencò preciso il Guardiano. «Ed è proprio per questo che dobbiamo scappare prima della tua incoronazione: non ti lascerebbero più andare, e non potrei più farti vedere dove sono nato.»

«Né farmi incontrare tuo fratello maggiore.»

«E io non potrei conoscere tuo fratello gemello.»

«C’erano davvero dei pesci grandi come te, nel lago?»

«Anche più grossi.»

«Dovrò dire a Lovino di stare molto attento, allora.»

Le dita dell’Asse lo sospinsero dolcemente ad abbassare lo sguardo su di lui.

«Te lo chiedo di nuovo, Ludwig: vuoi restare insieme a me per tutta la vita?»

Ludwig si chinò su di lui e Feliciano si alzò sulle punte dei piedi per congiungere le loro labbra.

Il Guardiano si chiese se Gilbert provasse le stesse cose, quando baciava Matthew. Era morbido, tiepido, vivo, nuovo. Le labbra di Feliciano si muovevano curiose contro le sue, come a cercare l’angolazione perfetta per unirsi alle compagne.

Lo sentì sussultare timidamente quando insinuò la lingua ad accarezzargli le labbra socchiuse.

«Per tutta la vita» gli ricordò in un soffio caldo Feliciano, prima di allacciare le braccia al suo collo, schiudendo la bocca per lui.

Ludwig non si sarebbe mai scordato il loro primo bacio, né avrebbe mai dimenticato la loro prima volta, circa due settimane dopo.

Feliciano era steso sotto le lenzuola candide, avvolto nella sua camicia immacolata. Ludwig era seduto di fianco al suo giaciglio, come sempre.

Si baciarono lentamente, e il Guardiano tornò nella sua posizione di veglia.

Una mano eburnea si appoggiò sul suo braccio.

«Ludwig…» lo chiamò Feliciano.

Non ebbe bisogno di aggiungere altro: i suoi occhi e il suo tono basso parlavano con assoluta chiarezza.

Il Guardiano si irrigidì, come spaventato. Amava quel giovane, era innegabile, e Feliciano lo amava con l’amore spensierato e totale di cui solo un essere puro era capace. Adorava baciarlo, sentirlo giocare con le sue labbra e fremere quando le loro lingue si incontravano, e non avrebbe mai smesso di farlo. Ma c’era una regola ferrea che gli aveva impedito di unirsi al suo innamorato il giorno stesso in cui si erano dichiarati: un Asse doveva essere un canale senza macchia. Pertanto, l’Asse non poteva concedersi alla persona amata.

«Non possiamo» rifiutò Ludwig, cercando di suonare convincente.

Feliciano piegò la testa sul cuscino, i capelli ramati che formavano bizzarri intarsi sulla federa lattea.

«Non vuoi?» chiese, la mano ancora fissa sul suo braccio.

Ludwig chiuse gli occhi, imponendosi la calma.

«Un Asse non può…»

«Non sono l’Asse. Non ancora.»

«Lo sarai molto presto.»

«No. Non diventerò mai Asse. Non voglio diventare un fantasma di questo Palazzo triste» la mano salì sul suo gomito. «Vuoi che io diventi un fantasma?»

«Voglio che tu sia libero, Feliciano, e che tu sia felice.»

Il ragazzo gli sorrise, solare e disarmante.

«Allora lasciami libero di essere felice con te» lo invitò con un tono morbido.

Ludwig quasi non si rese conto di essersi portato sul letto, sopra il giovane. Si mosse come se una forza maggiore dettasse i suoi movimenti, allo stesso modo di una conchiglia trascinata dalle maree. Era Feliciano, il suo sorriso pieno di aspettativa e i suoi occhi colmi di amore a farlo muovere come intossicato. Non si accorgeva quasi delle sue mani che spogliavano il giovane, troppo catturato dal suo viso che arrossiva e dalle sue labbra che si torcevano per l’imbarazzo in un modo delizioso.

Pensava che il corpo di Feliciano fosse bianco e immobile come il marmo con cui era costruito il Palazzo. La pelle del ragazzo era pallida, velata di rosa, e rabbrividiva al suo tocco, e si scaldava ai suoi baci.

Un gemito soffice fuggì dalle labbra del giovane quando Ludwig depositò un bacio tra le cosce bianche che si aprivano per lui.

«Ludwig…» lo chiamò Feliciano, immergendo le dita nei suoi capelli biondi. «Un bacio significa stare insieme per tutta la vita, questo significa stare insieme per sempre.»

Il Guardiano si rialzò per fissare l’amante in volto.

Era ancora convinto che avrebbero pagato a caro prezzo la loro follia, che sporcare l’Asse fosse la cosa più sbagliata e blasfema da fare. Ma non riusciva a convincersi che amare Feliciano fosse una cosa deplorevole. Non si era mai sentito a casa con i Gunsmith, per quanto loro si fossero sempre dimostrati premurosi nei suoi confronti; bastavano le braccia magre di Feliciano che lo stringevano, invece, perché Ludwig potesse sentire di nuovo il profumo della tundra e il sapore ghiacciato del lago.

Stavano camminando sul ciglio di un burrone, sfidando a quel modo le regole del Vaticano. E Feliciano era l’unico motivo per cui si sarebbe gettato a capofitto dal precipizio. Solo Feliciano.

Intrecciò le loro dita e i loro sguardi.

«Per sempre» confermò.

Fu strano cercare insieme la giusta posizione e il giusto ritmo; strano, ma non spiacevole. Erano entrambi ugualmente inesperti e curiosi, e, soprattutto, desiderosi di sentire l’altro sopra e dentro di sé.

Le mani di Feliciarono tremarono nel togliere i vestiti a Ludwig, ma non si fermarono, nemmeno quando il tessuto incespicò sui suoi muscoli scolpiti.

Rimasero immobili un istante, guardandosi come affascinati. I loro corpi erano diversi come il giorno e la notte: massiccio e scolpito quello del Guardiano, tenero e magro quello dell’Asse.

Feliciano si aggrappò a quelle spalle forti quando gli addominali di Ludwig coprirono il suo ventre morbido.

Le gambe del giovane si strinsero spasmodicamente attorno alla sua vita quando il Guardiano iniziò a spingersi in lui. Ludwig cercò di ritrarsi, preoccupato di avergli fatto male, ma Feliciano scosse la testa e lo trattenne su di sé.

Il ragazzo inspirò a fondo, e cercò di rilassarsi prima che il Guardiano si portasse di nuovo dentro di lui.

Fu doloroso, all’inizio. Feliciano non pensava che avrebbe fatto così male, come se un coltello gli stesse lacerando la carne. Ma non voleva che Ludwig smettesse: voleva sentirlo dentro di sé e marchiarlo come suo, voleva essere sicuro che il suo Guardiano non avrebbe provato con nessun altro quello che stava provando con lui in quel momento.

Ludwig si fermò più volte, accarezzando e baciando quel ragazzo teso e irrigidito sotto di lui.

Finalmente, il suo corpo parve adattarsi a quell’esperienza: al posto del dolore, una sensazione bollente scaturì al centro delle sue cosce, e si scaricò come un fulmine in tutto il suo corpo.

Non si era mai sentito così caldo, quasi sul punto di sciogliersi. Sollevò gli occhi liquidi sulle iridi azzurre che lo accarezzavano adoranti. Avrebbe accettato di vedere la sua pelle e la sua carne liquefarsi come la cera di una candela, se avesse potuto diventare una cosa sola con Ludwig, in quel modo.

Era un peccato, anzi, era quasi un’eresia, ma esistevano cose più importanti della legge glaciale scandita dal Vaticano. L’amore era senz’altro una di queste cose: non poteva esserci nulla di più puro e perfetto del desiderio che entrambi nutrivano solo per l’altro, come se il resto del mondo si fosse ammutolito e spento.

Feliciano sentì mancare il fiato quando Ludwig si liberò dentro di lui. Finalmente era suo.

Il giovane si accoccolò sul suo petto, quando il Guardiano si stese sul letto.

«Abbiamo sbagliato qualcosa all’inizio, credo» notificò, appena gli ansiti si placarono.

«Ti ho fatto male?» le mani di Ludwig si posarono sulla sua schiena, trattenendolo gentilmente sul suo ventre.

«Non tanto» mentì Feliciano. «Ma credo che esista qualcosa per renderlo… sai… più agevole

Il sospiro di Ludwig inciampò in un accenno di risata.

«Mio fratello sarebbe stato molto contento di spiegarmelo. Si divertiva un mondo a mettere in imbarazzo gli altri.»

«Dovremmo chiederglielo, quando usciremo di qui.»

«Tu non conosci mio fratello.»

«Ma vorrei tanto conoscerlo.»

Feliciano poggiò il capo ramato sulla curva della sua clavicola, e bisbigliò sul suo petto:

«“Per sempre” significa che non potrai mai dirmi addio, né lasciarmi solo. Qualunque cosa succeda, non puoi abbandonarmi.»

Ludwig baciò quella chioma calda, e fece scorrere un dito sulla schiena delicata.

«Diventeremo dei criminali, se scopriranno cosa abbiamo fatto.»

«Il giudizio del Vaticano non mi spaventa, e nemmeno l’Inferno. Dicevano sempre che mio fratello era un diavolo, e che giacere con una persona senza aver intenzione di procreare è peccato. Se questo è l’Inferno, allora non è un brutto posto in cui stare per l’eternità.»

Ludwig lo abbracciò. Quel ragazzo era… indescrivibile.

«Per sempre» il Guardiano afferrò dolcemente l’anulare sinistro del giovane, che non sarebbe mai stato stretto da una fede nuziale, e lo baciò. «Anche se tu dovessi rinascere come una rosa, ti riconoscerei tra altre mille rose.»

Feliciano lo squadrò senza capire, e Ludwig spiegò:

«È una favola che mi raccontava Matthew. Parlava di due innamorati costretti a separarsi. Il loro amore era talmente forte che aveva fatto sbocciare una rosa di fianco alla casa di ognuno dei due, e loro avevano subito capito che quella rosa era nata grazie all’altro.»

«Non voglio che tu diventi una rosa» brontolò Feliciano. «Una rosa non può abbracciarmi.»

Le labbra del Guardiano si poggiarono sulla sua tempia.

«Non ho intenzione di diventare una rosa» lo rassicurò.

Non voleva smettere di abbracciare, baciare e amare Feliciano.

Nemmeno se quel peccato lo avrebbe portato davanti al tribunale del Vaticano.

 

***

 

 «Sei pronto, Ludwig?»

Il Guardiano strinse la sua mano, rivestita dal guanto bianco.

«Non sarà facile, ma andremo fino in fondo» scandì lui.

«Insieme» aggiunse Feliciano in un sorriso.

Le loro dita si separarono prima che le porte di marmo bianco si aprissero, e la piccola figura dell’Asse venisse proiettata in tutta la Confederazione.

Alcune Aeronavi fluttuavano intorno al Palazzo, gremite di fedeli plaudenti. Una ventina di globi erano stati fissati attorno alla terrazza, in modo da catturare l’immagine dell’Asse e trasmetterla in tutta la Confederazione. L’intera famiglia Vaticana era schierata sul pomposo terrazzo che correva lungo tutto il perimetro del Palazzo.

Feliciano sorrise dietro la veletta, e iniziò il suo discorso.

«Miei cari fedeli» esordì. «Vi accolgo con il cuore colmo di gioia in questo lieto giorno. È per me il massimo onore essere oggi investito della carica di Asse… e il peggiore fardello.»

La sorpresa serpeggiò in tutta la Confederazione a quelle parole, e l’intera famiglia Vaticana inorridì: un Asse doveva accettare il suo ruolo con serena condiscendenza, non lamentarsi del suo stato.

Il sorriso di Feliciano non si incrinò mentre sollevava la veletta scatenando una seconda ondata di sgomento: mai gli Assi avevano permesso ai fedeli di vedere il loro viso nudo.

«Un Asse deve essere immacolato» proseguì, mentre il coro di scontento si gonfiava sempre più tutto intorno. «Un Asse deve essere puro. Un Asse deve essere… vergine.»

La mano guantata afferrò il colletto della mantella, strattonandolo bruscamente verso il basso. La Confederazione trasalì, quando una costellazione di succhiotti venne alla luce sul collo niveo del giovane.

«Mi sono unito al mio Guardiano più volte» gridò, per sovrastare il trambusto della famiglia Vaticana intorno a lui. «Per cui sono un Asse corrotto. Il degno Asse per questa Galassia marcia.»

Quattro mani di ferro lo afferrarono per le spalle, e lo spinsero bruscamente all’interno del Palazzo.

Le guardie vaticane avevano circondato Ludwig, impedendogli qualunque movimento, e i membri più anziani della sua famiglia lo stavano squadrando con occhi iniettati di sangue.

«Tu sei diabolico come tuo fratello!» ululò il padre, dando ordine ad altri soldati di immobilizzare Feliciano e di chiudere la porta. «Ma adesso basta: questa maledetta storia finisce oggi!»

Le guardie non furono abbastanza rapide nel chiudere il portone. Feliciano poté scorgere, in lontananza, un’Aeronave la cui descrizione era nota in tutta la Galassia: la Reina de la Oscuridad. Un lupo nero come la notte si lanciò dall’albero maestro, correndo come un pazzo verso di lui.

«Lovino!» gridò Feliciano. «Lovino, sono qui!»

Le porte si chiusero sul suo ultimo richiamo.

 

 

 

 

 

Ed eccoci arrivati all’inizio della saga finale<3

Caleidoscopio terminerà in dieci capitoli massimo çwç

Ancora una volta, grazie a tutti voi che avete letto fin qui<3<3<3

A presto con l’inizio del marasma<3

Red

   
 
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