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Autore: Jales    09/07/2014    2 recensioni
Sbuffai e mi avvicinai all’oblò, affacciandomi.
Mare, mare e ancora mare.
Non c’era altro se non quella stupida ed infinita distesa d’acqua che si estendeva per miglia e miglia in ogni direzione.
Sbuffai ancora e camminai fino alla sedia di fronte alla scrivania dove mi lasciai cadere a peso morto, lasciando andare indietro la testa e chiudendo gli occhi.
{Storia a quattro mani, Madness in me&Jales}
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo VIII}
Rientrata in stanza con Matt mi raggomitolai nella coperta, rimanendo ad ascoltare il suo respiro farsi più profondo e regolare: intuendo dopo poco che però non avrei chiuso occhio, decisi di scivolare fuori e trovare qualcosa da fare in attesa che fosse mattina.
Mi incamminai fuori dalla casa lungo il corridoio di roccia proponendomi di spingermi un po' più in fondo per vedere cosa c'era e, strette le braccia intorno al corpo, proseguii voltandomi ogni tanto per assicurarmi di essere capace di tornare indietro. Riuscii ad arrivare ad una grotta per gran parte sommersa, dal soffitto della quale pendevano grosse e numerose stalattiti; iniziai ad aggirare l'acqua procedendo sulla sottile striscia di roccia percorribile a ridosso delle pareti e, dopo quella che mi parve un'eternità, arrivai a intravederne la fine. Andai a sistemarmi su una piccola sporgenza che mi permetteva di appoggiare la schiena alla roccia e di abbracciare con lo sguardo l'acqua perfettamente calma che, come uno specchio perfetto, rifletteva il soffitto dando l'impressione che tutto fosse perfettamente simmetrico. Rimasi a lungo seduta lì, le braccia a circondare le ginocchia raccolte al petto. Ogni tanto gettavo un sassolino nel lago, osservando le increspature concentriche che ogni pietra provocava.
Quando iniziai a sentire le gambe e le braccia indolenzirsi nonostante i frequenti assestamenti mi alzai e decisi, stiracchiandomi appena, che era ora di tornare indietro: percorsi la strada a ritroso senza grossi problemi, e varcata la porta trovai Gates seduto al tavolo, solo.
Non mi degnò più di un'occhiata, riprendendo ad armeggiare distrattamente con il corto pezzo di corda che aveva tra le mani, ma quando iniziai a muovermi verso la stanza di Matt mi sentii chiamare.
“Vieni qui, ragazzina.”
Per un attimo pensai di aver sentito male, ma sporsi comunque la testa oltre l'angolo per gettargli uno sguardo. Con mia sorpresa, senza distrarsi dal suo lavoro, mi fece cenno con la mano di avvicinarmi: eseguii perplessa senza dire una sola parola, prendendo posto sulla sedia di fronte a lui.
Dopo i primi secondi in cui l'impressione di aver sentito e capito male si rafforzarono tanto da indurmi quasi ad alzarmi e andarmene Gates mi lanciò con un gesto repentino un altro pezzo di corda, che io presi appena in tempo. Poi allungò verso di me il proprio, adesso intrecciato in un semplice nodo.
“Sai riprodurlo?”
Rimasi ad osservare in silenzio per qualche attimo, seguendo con gli occhi la corda, e con qualche mossa un po' incerta feci quella che secondo me era una replica abbastanza dignitosa del suo nodo. Dopo aver intravisto un sogghigno sul suo volto mi preparai a ricevere una delle solite battute pungenti ma, ancora una volta, mi sbagliavo.
“Parti dal centro, non dal lato. Così.”
Sciolse e rifece il nodo alla sua corda per poi invitarmi con un cenno ad imitare i suoi passaggi e, con una visione abbastanza oggettiva, dovetti ammettere a me stessa che il secondo tentativo era decisamente meglio riuscito del primo.
“Bene. Ora prova questo.”
Si ripeterono le medesime azioni: lui faceva, io osservavo tentando di replicare e infine lui correggeva i miei errori. Mentre mi insegnava snocciolò i nomi di ognuno dei nodi, aggiungendo di tanto in tanto qualche informazione prettamente pratica da utilizzare una volta sulla nave.
Mi stupii di quanto risultasse paziente, sebbene rimanesse poco loquace -il che era un più o meno chiaro segno che ancora non gli andavo giù del tutto, ma era già un inizio e io non avrei mai voluto rendere vani i suoi sforzi o, tantomeno, quelli di Azriel per convincerlo a provarci.
Fu di nuovo lui ad interrompere il silenzio, dopo un po', alzandosi e allontanandosi dal tavolo: rimasi ad osservarlo, immobile, chiedendomi se avessi sbagliato qualcosa.
Lo vidi voltarsi solo sulla soglia della casa, afferrata quella che sembrava una rozza ascia, un'espressione accigliata dipinta in volto.
“Allora, vieni o no?”
Sobbalzai e, soffocata l'idea che volesse portarmi altrove per farmi a pezzi e poi gettarmi in mare, mi affrettai a seguirlo lungo uno stretto corridoio di roccia fino alla spiaggia e poi su per un ripido sentiero che risaliva la scogliera fino al bosco. Ci inoltrammo nella vegetazione per qualche minuto, fino a che lui si fermò talmente di colpo che rischiai di finirgli addosso.
“Questo va bene.” Lo sentii dire, per poi avvicinarsi ad un albero alto e sottile e iniziare a colpire la base con colpi lenti e regolari; in quella che mi sembrò una decina di minuti l'alberello fu abbattuto e Gates si dedicò ad un tronco vicino, decisamente più robusto.
Prima di proseguire, però, si tolse di tasca un coltello e me ne porse il manico.
“Inizia a togliere i rami.”
Forse avrei dovuto dirgli che dare in mano a me qualsiasi cosa che tagliasse o pungesse era un rischio, ma decisi di tenere la bocca chiusa e di provare a rendermi utile tenendo gli occhi aperti. E, in effetti, per i primi tempi non ci furono grossi problemi, ma inevitabilmente arrivò l'ennesima prova della mia inettitudine ai lavori manuali: nonostante l'avessi soffocata l'imprecazione raggiunse le orecchie del ragazzo e, voltatosi, Gates trovò me seduta a cavalcioni sul tronco che agitavo dolorante la mano. Trattenendo quello che sicuramente era uno sbuffo si avvicinò a me e, esaminato il taglio sul lato della mano sotto il mio sguardo indagatore, vi legò intorno un quadrato di stoffa a mò di rozza fasciatura.
Rimasi per qualche attimo a fissare la stoffa bianca macchiarsi di sangue.
“Chiedi a Matt di darci un'occhiata, quando torniamo.” Lo sentii borbottare mentre si voltava di spalle e tornava alla sua occupazione. “Con tutti i tagli che ha medicato o ricucito a Johnny e Vee dovrebbe avere la qualifica di chirurgo.”
Sorrisi, nonostante l'idea di un'ago nella pelle non mi facesse poi fare i salti di gioia, e ricominciammo a lavorare in silenzio; una volta finito rimasi ad aspettare che anche lui terminasse, e poi ci incamminammo sulla via del ritorno. Fu costretto a fermarsi molte volte per aiutarmi a superare alcuni ostacoli o semplicemente a impormi di fermarmi perchè, nonostante mi fossi prefissata di non emettere un solo lamento, doveva potermi leggere in faccia che non ero affatto abituata a sforzi simili e che la cosa avrebbe potuto farmi collassare da un momento all'altro. Trascinammo il legno fino alla nave, dove io lo mollai con malagrazia il mio misero carico accanto al suo, constatando con una punta di invidia che lui sembrava fresco come una rosa mentre a me pareva di aver tirato giù dalla scogliera un elefante intero.
I compiti che mi diede poi furono semplici, che lasciavano di fatto praticamente tutto il lavoro a lui ma che in una qualche maniera glielo rendevano più comodo e veloce da fare.
Non riparò la falla nella nave, per la quale avrebbe sicuramente avuto bisogno dell'aiuto di Rev e degli altri, ma sistemammo una serie di piccole cose sulla nave, sostituendo qualcosa quando era necessario. Mi fece anche rifare delle legature rimanendo sempre come attento supervisore e fui fiera del fatto che, mentre alcune dovetti rifarle più volte, altre superarono il suo esame al primo colpo.
Quando sentii la voce di Johnny chiamare a gran voce me e Gates mi sporsi dal parapetto, vedendo il resto della nostra ciurma avvicinarsi curioso. Mi appoggiai esausta, consapevole che il peggio era passato, e vidi Rev ridere.
“L'hai messa al lavoro, Gates?”
“Ci puoi contare.” Sentii rispondere l'interpellato ridendo, all'improvviso accanto a me. “Tutti quei lavoretti che rimandavo da mesi sono fatti, e riparata la falla la nave non sarà mai stata in forma così smagliante in vita sua.”
Gli lanciai un'occhiataccia, pienamente consapevole del mio sfruttamento, ma il sorriso che ricevetti da Gates fu il primo sincero che gli avessi visto dirigere a me o ad Azriel.
“Da quanto lavorate?” Chiese Matt, salendo dietro ad Azriel e Rev sulla nave.
“Un'eternità.” Borbottai meno sottovoce di quanto pensassi, suscitando le risate dei ragazzi.
“Tre ore, più o meno. Non molto.” Rispose invece Gates, guadagnandosi una mia occhiata scandalizzata.
“Non molto?” Balbettai, indignata.
Il capitano rise di nuovo, e decise di esaminare il nostro lavoro: mentre io aspettavo, dondolando distratta le gambe seduta su un barile, un rapido giro intorno sembrò convincerlo che eravamo stati sufficientemente produttivi.
“Sembra che avrai un'assistente nelle riparazioni.” Lo sentii dire all'amico, mentre io cominciai a sperare di aver sentito male. Ma l'occhiata orgogliosa di azriel mi confermò che avevo sentito benissimo e sperai di non dover rimpiangere quelle “sole” tre ore di lavoro tanto presto.
Dopo essere stati spediti a mangiare io e Gates tornammo indietro e, mentre lui si unì alla squadra che si occupava della falla, io raggiunsi Johnny e Azriel che erano invece intenti a svuotare la stiva. Nonostante un acrobatico e del tutto accidentale tuffo in acqua di Johnny che scatenò le nostre risate fino quasi a farci lacrimare, non ci furono intoppi e ben presto finimmo di sistemare il carico.
Nella breve pausa in cui aspettammo che i ragazzi terminassero ebbi il tempo di insegnare qualcosa di quello che avevo imparato quella mattina ad Azriel, tentando il più possibile di imitare i gesti di Gates. Non seppi dire quanto il mio insegnamento fosse stato efficace, ma ebbi la certezza che almeno il nodo semplice con cui Azriel si divertì a legarmi i capelli lei lo avesse imparato.
Una volta tornati in casa, esausta, decisi che la cosa più intelligente da fare era stendermi senza tanti complimenti sul tappeto rosso davanti alla libreria. Fui gentilmente esentata dal preparare il pranzo e, mentre io riposavo a pancia in giù chiudendo gli occhi, Azriel si stese con me appoggiando la testa sulla mia schiena e si mise a leggere uno dei tanti libri del capitano.
Fu Matt a risvegliarmi dal mio torpore.
“Alice?”
Aprii un occhio spostando la mia attenzione su di lui, accucciatomi davanti al naso.
“Gates mi ha detto che ti sei tagliata, se vuoi posso darci un'occhiata...”
Senza rispondere estrassi una mano da sotto l'altro braccio, che al momento costituivano il mio  cuscino, e riappoggiai il mento come prima allungando il palmo fasciato verso di lui; alla fine, nonostante i miei timori, non fu costretto a ricucirmi come una bambola di pezza: si limitò a pulire e disinfettare il taglio, fasciandolo con della stoffa pulita. Mi infilai il pezzo macchiato di sangue in tasca ripromettendomi di lavarlo e restituirlo appena possibile, poi fummo richiamati all'ordine dal capitano che ci invitava a raggiungere la tavola.
Seguii di buon grado Azriel a sciacquare le scodelle e, mentre la ascoltavo raccontare entusiasta di quello che aveva imparato lei dal capitano, non mi riusciva proprio di trattenere il sorriso.
“Al... Alice, mi stai ascoltando?” La sentii rimbeccarmi ad un tratto, evidentemente convinta che il fatto che sorridessi fosse risultato di uno scarso o nullo interesse verso i segreti delle carte nautiche e dei calcoli di rotta.
“Sì, sì, sto ascoltando!” Risposi ridendo, ottenendo solo una schizzata di acqua in pieno viso.
Quando tentai di guardare Azriel in quella che voleva essere un'espressione offesa a morte la vidi sogghignare, e non potei trattenere a lungo quell'aria sostenuta che volevo dare a vedere.
“Allora...” Azzardai, cercando di assumere l'aria più innocente possibile. “Come va con il capitano?”
Quando dopo qualche attimo di completo silenzio alzai lo sguardo sulla mia amica la vidi fissarmi con gli occhi sgranati e la mano che ancora teneva in mano l'ultima ciotola ferma a mezz'aria, il viso in fiamme. Intuii che se non mi fossi sbrigata la scodella sarebbe sicuramente finita sulla mia testa, così mi allungai svelta a sottrarla dalla sua presa.
“Cosa... Alice!”
Ridacchiai, sciacquando il fazzoletto da restituire a Gates e strizzandolo con forza.
“Devo provare a fare io il riassunto della situazione? Okay. Dunque, io direi che sia tu che lui siete cot-”
“Silenzio!” Esclamò lei, tappandomi la bocca proprio mentre arrivavano Johnny e Vee a darci una mano a riportare tutto dentro. Alzai gli occhi al cielo: come se loro non vedessero esattamente tutto quello che vedevo io.
Quando rientrammo io e Azriel riprendemmo le nostre postazioni precedenti al pranzo, mentre il capitano si sistemava nell'angolo con un altro volume e i rimanenti quattro uomini giocavano ad uno strano gioco che coinvolgeva dei bicchieri e numerosi dadi.
“Az,” Chiesi ad un tratto, incuriosita dal gran vociare. “Che ne dici se andiamo a vedere che gioco è?”
La vidi lanciarmi uno sguardo perplesso, e capii che era meglio lasciar stare: la lasciai alzarsi e, mentre io mi avvicinavo al tavolo, la vidi sedersi accanto a Rev.
“Posso sapere a cosa state giocando?” Chiesi, lasciandomi cadere sulla sedia accanto a Vee.
“A spennarmi!” Borbottò Johnny, mettendo un broncio che non si poteva esattamente definire minaccioso e che fece ridere i compagni.
“Vuoi imparare?” Mi chiese Matt, gentile.
Annuii e subito arrivò, provvidenziale, l'intervento di Rev.
“Tentare di scaricare i vostri turni sulla povera Alice sfruttando il fatto che non sa giocare vi faranno guadagnare il doppio delle ore che riuscirete a rifilarle.”
Dopo un attimo di silenzio, fu Vee a rispondere.
“...Ma figurati, Rev. Chi ci aveva pensato!”
Risi mentre Rev passava un braccio attorno alle spalle di Azriel e mi strizzava l'occhio, complice.
Ci misi un po' a capire le regole ma dopo una partita di prova mi fu chiaro che il bluff, alla base di quello che veniva chiamato il “gioco dei dadi bugiardi”, non era esattamente il mio forte; per cui quando Azriel, vedendomi in difficoltà, mi propose di andare insieme a fare un giro sull'isola, non me lo feci ripetere due volte e la seguii fuori.
Seguimmo lo stesso percorso che feci con Gates quella mattina, salendo fino in cima alla scogliera e addentrandoci nel bosco.
“Rev mi ha detto che quest'isola non è molto grande, e che in passato era stata colonizzata da un piccolo gruppo di inglesi che aveva posto qui la propria casa.”
“Non voglio sapere che fine hanno fatto, quegli inglesi, se ne parli al passato.”
Azriel rise. “Non farla così tragica, Al, gli ultimi se ne sono andati di loro sponte decenni fa.”
Alzai un sopracciglio.
“Pensavo fossero morti divorati da una qualche bestia gigante.”
“Mai dire mai... Guardati le spalle!”
Rabbrividii dandole una leggera spinta e tentando di ignorare elegantemente la sua risata, notando solo allora che aveva un libro sottobraccio.
“E quello?”
Lei me lo mostrò, aprendolo su una pagina a caso: c'era una meravigliosa illustrazione di una pianta dai piccoli fiori bianchi e gialli che, da quel poco che riuscii a leggere delle note prima che lei voltasse il volume verso di sé, aveva proprietà lenitive contro il dolore.
“Parla di piante medicinali e velenose di questa zona. Rev lo ha trovato per caso e ha deciso che averlo sarebbe stato utile, e in effetti è molto interessante.”
“Guarda che se vuoi avvelenare Gates qualche modo lo conosco anche io, non c'è bisogno di andare così sul complicato...” La presi in giro, guadagnandomi un leggero colpo sul capo.
“Beh, almeno la copertina è abbastanza rigida da poter uccidere una persona, se la colpisci abbastanza forte.” Commentai, ridendo, mentre Azriel scuoteva divertita la testa e riprendeva ad inoltrarsi nella boscaglia.
Ci fermammo dopo un bel po' di cammino, quando lei scorse una delle piante descritte nel libro e vi si accovacciò accanto per osservarla meglio: io ne approfittai per guardarmi in giro e spiare giù per il pendio che iniziava alla nostra destra, fino ad una spiaggia. Qualcosa ttirò subito la mia attenzione, e non appena capii cos'era tentai di attirare l'attenzione della mia amica.
“Az...” Sussurrai, incalzante, tentando di farla voltare verso di me. “Az!”
“Cosa diamine- Oh, cazzo!” Le fiamme avvolgevano gli alberi a ridosso della spiaggia, annerendo i tronchi e dando vita alla colonna di fumo che si svolgeva in alte volute verso il cielo. “Vado a chiamare Rev e gli altri. Tu rimani qui e non muoverti, controlla la situazione.”
La sentii correre indietro e rimasi accucciata dietro l'albro caduto come dietro alla mia ultima difesa.
Qualcosa non mi tornava e più mi ci arrovellavo più mi convincevo che c'era qualcosa, laggiù, che avrei dovuto vedere prima che venisse ridotta in cenere e che mi avrebbe finalmente tolto quella strana sensazione dal petto.
Iniziai a scendere, cauta, fermandomi ogni tanto in ascolti di eventuali pericoli; quando arrivai abbastanza vicina al cerchio esterno dell'incendio notai qualcosa di troppo lungo e regolare per essere un comune ramo: mi azzardai a scavalcare in un punto dove le fiamme erano alte solo qualche pollice e mi avvicinai.
Era una torcia.
Alzai lo sguardo e trovai quasi immediatamente quello che cercavo: sulla sabbia della spiaggia c'erano ancora le tracce di una piccola barca trascinata prima in secca e poi spinta di nuovo in mare. Le raggiunsi, guardandomi intorno alla ricerca della nave dalla quale si doveva essere staccata e alla quale poi doveva essere tornata. L'isola era troppo distante da qualsiasi altro pezzo di terra perchè fosse possibile anche solo pensare che qualcuno fosse arrivato lì con quella che sembrava una semplice barca  remi, ed era assai più plausibile che quella fosse una scialuppa di una nave ben più grande, magari all'ancora in una delle baie dell'isola, non notata da nessuno grazie al fatto che né il capitano né l'equipaggio si spingevano tanto lontano dalla loro base. Mi resi conto che se io e Azriel non avessimo deciso di gironzolare così in lungo e in largo il fuoco avrebbe divorato l'intera isola, e che anche considerato questo colpo di fortuna avremmo solo potuto tentare di limitare i danni.
Tolsi la sabbia dalle dita e mi affrettai a spegnere la torcia, decisa a portarla con me. Quello con cui non avevo fatto i conti, però, era il vento; impallidii quando, voltandomi per tornare indietro, vidi che il mio passaggio stava rapidamente svanendo divorato dal fuoco. Mi gettai senza pensare in quella direzione correndo come non avevo mai fatto, ma arrivai tardi e mi resi conto solo allora che avevo appena commesso la mossa più sbagliata che potessi pensare. Il vento mi aveva spinto le fiamme a chiudermi non solo il passaggio verso Azriel e gli altri, ma anche quello del rifugio che avrei potuto trovare sulla spiaggia o in mare.
“Fanculo!” Ringhiai, indietreggiando appena.
Un sonoro schiocco alle mie spalle mi fece immobilizzare, ammonendomi che se pensavo che non potesse andare peggio di così mi sbagliavo, e anche di grosso. Feci appena in tempo a lanciare uno sguardo dietro di me per vedere la base di una palma soccombere alle fiamme, completamente annerita e distrutta, e la cima inclinarsi mentre il tronco inisiava a cadere verso terra.
E io ero esattamente in mezzo alla traiettoria, intrappolata dalla mia avventatezza.
Sbiancai e strinsi la presa sulla torcia, voltandomi.
Se volevo uccidermi ho fatto davvero un ottimo lavoro.

Note: ecco qui il mio capitolo.
Grazie a tutti coloro che ci seguono, le risposte alle recensioni arriveranno presto :D
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

  
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