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Autore: Mortisia_Ailis    09/07/2014    2 recensioni
Olimpia è cresciuta con le storie di guerra di suo nonno, con il naso all’insù guardando le frecce tricolore colorare il cielo di Roma di verde, bianco e rosso nel giorno della Festa della Repubblica sognando un giorno di essere su uno di quegli aerei, di sfilare nella parata insieme ad altri militari per il presidente della Repubblica. Olimpia è cresciuta con il patriottismo dentro, affascinata dalla divisa e dalle forze armate e dell’ordine. Con la voglia di aiutare e di mettersi al servizio della sua patria, proprio come il suo amato nonno. E compiuti 16 anni decise d’iscriversi alla scuola dell’Aeronautica Militare di Firenze, per renderlo orgoglioso. Luca è figlio del Maggiore dell’Aeronautica Militare, cresciuto in una caserma militare e indirizzato fin da piccolo nella carriera militare. Non ha mai mandato giù il fatto che suo padre avesse scelto quella strada della sua vita per lui, che prendesse ogni decisione al suo posto, ma a volte è difficile opporsi ad un militare e Luca non voleva deludere il padre. Solo alla fine del secondo anno nella scuola dell’Aeronautica Militare di Firenze, quando il padre lo nominò Allievo Scelto, iniziò ad apprezzare l’esercito.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Luca trascorse la seconda e la terza ora fissando quella foto, girandola e rigirandola tra le sue dita. Si chiedeva chi fosse quella bambina e quell’anziano che sorridevano alla macchina fotografica con un torta davanti, anche se dentro di sé, in fondo, sapeva che quella bambina era la stessa ragazza con cui si era scontrato quella mattina. Ci poteva essere solo un paio d’occhi azzurri come l’oceano e appartenevano alla ragazza senza nome.
Trascorse le due ore con la testa fra le nuvole, non curandosi di quello che il professore stesse spiegando, non sentendo Andrea richiamarlo più volte per farlo ritornare sulla terra. Trascorse le due ore a fissare quella foto, a pensare alla ragazza ed affibbiargli qualsiasi nome femminile conoscesse da trovare quello giusto che potesse essere, per puro caso e fortuna, il suo o che le addicesse al suo viso angelico e agli occhi oceano.
Olimpia, al piano superiore, nella classe 103 durante la lezione di fisica, riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti. Il Professor Moretti, uomo molto anziano e con una parlantina molto lenta, si perdeva fin troppo in chiacchiere e aneddoti dimenticandosi più volte il filo del discorso dell’argomento della giornata. Il ticchettio continuo della biro sul banco avrebbe mandato in una crisi nevrotica qualsiasi essere umano, ma nella classe ognuno era nel proprio mondo da non accorgersi del rumore snervante che stava facendo Olimpia con la sua penna fortunata, quella che usava per ogni compito in classe. Sbadigliò e pensò che l’ora dopo sarebbe andata peggio, aveva storia. Non le restava che sperare che la professoressa o il professore non fosse lento e noioso come Moretti, o si sarebbe addormentata sul banco.
Qualche ora dopo, un miliardo di ticchettii da biro sul banco, due noiosissime lezioni, Olimpia si sedette su una delle panchine nel cortile all’aperto, quella sotto a l’unico albero presente nel giardino. Era l’ora di pranzo, ma non aveva molta fame, così preferì sedersi all’aperto, godersi ancora un po’ quel caldo estivo che stava svanendo lasciando il posto all’autunno e il sole. Leggersi l’unico libro che avesse con sé, l’unico libro che aveva mai amato davvero: Orgoglio e Pregiudizio. Olimpia aveva una cotta enorme per Darcy: ricco gentiluomo, intelligente e onesto ma anche altezzoso orgoglioso e introverso.
Aprì il libro, ma non trovò la pagina dove aveva lasciato il segno. Il suo segnalibro era sparito. La foto di lei e suo nonno era andata persa. Per un momento, Olimpia, andò nel panico. Sentì il fiato mancargli e iniziò ad agitarsi. Iniziò a rovistare nella borsa, la capovolse sull’erba cercando tra tutti gli oggetti sparsi sul verde, ma la foto non c’era. Aveva perso la cosa più importante, la motivazione per cui lei era in quella scuola.
Un rumore di passi sulla breccia della stradina si avvicinarono ad Olimpia e si fermarono proprio davanti a lei, in ginocchio sull’erba davanti alle sue cose sparse sul prato. Un mano si stese sotto i suoi occhi e la foto di lei e suo nonno comparve nella sua visuale. La prese velocemente tra le mani guardandola come se fosse un miraggio, come un beduino sperduto nel deserto da chissà quanto vede in lontananza un oasi e non sa se è vera o solo frutto della sua immaginazione.
Olimpia strinse l’immagine al petto asciugandosi frettolosamente una lacrima che le era sfuggita. Rimise tutte le sue cose in borsa, si rialzò e guardò chi fosse il suo salvatore. Oceani infiniti incontrano distese verdi. Il suo salvatore era il ragazzo con cui si era scontrata quella mattina.
“Grazie, non so cosa farei senza”, appoggiò la borsa sulla panchina e si sedette. Infilò la foto nel libro e lo rimise nella borsa. Luca si avvicinò alla panchina e indicò il posto vuoto di fianco ad Olimpia come a chiederle il permesso di sedersi e lei annuii. “Di nulla, non ho fatto in tempo questa mattina a ridertela.” “Proposito di questa mattina, mi scusi per esserle venuta addosso, non ero attenta a dove andavo.” “Non ti preoccupare.”
Il silenziò calò tra i due. Il fruscio del vento tra le foglie dell’albero faceva compagnia ai due ragazzi. Passarono circa dieci minuti in cui nessuno dei due proferì parola e l’imbarazzo aleggiava tra di loro, pesante ed ingombrante. Olimpia prese a giocare con l’orlo del suo maglioncino, anche se era settembre e l’aria era ancora calda, la divisa della scuola era quella e bisognava stringere i denti e sopportare il caldo che si sentiva con quel maglioncino di lana.
“Non dovresti essere in mensa?” Luca ruppe quel silenzio che lo stava torturando. Odiava i silenzi imbarazzanti e voleva conoscere e parlare con quella ragazza di cui ancora non sapeva il nome, ma lo avrebbe scoperto presto. “Non ho molta fame” rispose tranquillamente Olimpia voltandosi nella sua direzione. E solo allora notò un dettaglio importante per il comportamento che avrebbe dovuto mantenere. Il ragazzo indossava una spilla sul suo petto: Allievo Scelto. Una freccia a due strisce gialle circondate da altre blu. Si ricompose e fissò lo sguardo davanti a sé. Non si era accorta di avere davanti a sé un allievo del terzo anno e soprattutto uno Scelto.
“Ma dovresti mangiare, non va bene saltare i pasti.”
Olimpia si portò una mano alla bocca cercando di mascherare il risolino che gli nacque sulle labbra a quelle parole. Chissà quante volte aveva sentito quella frase, ormai aveva perso il conto. Olimpia mangiava sano e il giusto per la sua età e fisico, ma a volte, semplicemente, non le andava di mangiare e così saltava i pasti. I medici e i familiari l’avevano avvertita più volte che quello era soltanto l’inizio di una brutta abitudine, ma Olimpia non aveva problemi con il cibo. Le piaceva mangiare, semplicemente non aveva voglia o fame.
“Non per essere irrispettosa nei vostri confronti, ma la predica me l’ha già fatta mia madre questa mattina.”
Questa volta fu il turno di Luca di ridere. Quella ragazza le aveva dato del lei cercando di essere rispettosa nei suoi confronti, ma era finita con il diventare un’impertinente e questo fece divertire Luca. Era la prima persona che avesse mai visto in quella scuola comportarsi così: essere rispettosa e irrispettosa nello stesso momento con uno Scelto. Nessuno si era mai azzardato fare una cosa del genere, soprattutto un allievo del primo anno nel  primo giorno di scuola. Sembrava che la nomina “Allievo Scelto”, agli altri allievi, incutesse timore. Ma la cosa che incuriosì molto Luca era il perché gli avesse dato del lei senza averle detto o fatto capire che fosse un allievo del terzo anno.
“Come fai a sapere che sono del terzo anno?”
Olimpia si alzò ripulendosi i pantaloni e risistemandosi il maglioncino leggermente sgualcito. Afferrò la borsa e portò la cinghia sulla sua spalla afferrandola saldamente, si posizionò sull’attenti davanti a Luca, seduto fin troppo scompostamente per un allievo di una scuola militare. “Hai la spilla degli Scelti e gli Allievi Scelti sono sempre del terzo anno. Diciamo che ho tirato ad indovinare. Adesso se vuole scusarmi ho una lezione tra poco e ancora non so bene dove si trovano le aule.” Olimpia accostò i piedi emettendo un lieve rumore quando le scarpe sbatterono tra loro, spalle e schiena dritti, petto in fuori e mento all’insù. Salutò il ragazzo sull’attenti e con un lieve ed impercettibile assenso del capo e si avviò verso l’edificio dell’aule.
Luca si alzò subito in piedi quando la ragazza iniziò a camminare via da lui. La guardò per qualche secondo: il movimento oscillante delle spalle mentre camminava, i capelli raccolti ma che avrebbe preferito vederli sciolti e svolazzanti nell’aria. “Posso accompagnarti, se vuoi.”
Olimpia si voltò con un sorriso raggiante sul volto e continuò a camminare all’indietro “Sono sicura che ha di meglio da fare piuttosto che fare da guida turistica ad un allievo del primo anno.” E detto questo si voltò e continuò per la sua strada. Luca rimase colpito dalla ragazza per quella sua rispettosa strafottenza che aveva nei suoi confronti. Sentì dei passi avvicinarsi alle sue spalle e Andrea, il suo migliore amico, si fermò al suo fianco. I primi bottoni della camicia aperti, il nodo della cravatta allentato e la mani infilate nelle tasche del pantalone scuro.
“Conosci le regole, Luca.” Quest’ultimo alzò le mani in aria e iniziò a camminare anche lui nella direzione dell’aule. La breccia scricchiolava sotto i suoi passi rompendo il silenzio soave che aleggiava nel cortile della scuola, presente solo in quel momento della giornata esclusa la notte. Quando sentì i passi dell’amico dietro di lui, a metà strada, si voltò con le mani ancora in aria e continuò a camminare all’indietro. “Non ho fatto nulla” Andrea si stava riallacciando la camicia e riaggiustando il nodo della cravatta prima di entrare nell’edificio “Per ora.” Sul viso di Luca comparve un sorriso malizioso, alzò un paio di volte le sopracciglia e poi insieme al suo migliore amico entrarono nell’edificio.
 
Alla fine della giornata, dopo la cena e l’operazione serale, Olimpia si trovava distesa nel suo letto nella camera insieme alle altre compagne. Era già da circa mezz’ora che era suonata la campanella del coprifuoco, probabilmente le altre ragazze erano già nel mondo dei sogni. Olimpia, distesa sulla schiena, fissava il soffitto notando quanto fosse diverso da quello della sua cameretta a Roma ed in quel momento sentì la mancanza dei genitori.
Credeva che non avrebbe sofferto del distacco e invece dovette asciugarsi una lacrima che le scese all’angolo dell’occhio destro al pensiero di sua madre che le dava la buona notte sull’arco della porta prima di chiuderla.
Si voltò verso il letto di Camilla, dove era distesa su un fianco dandole le spalle. Sperò anche Camilla non stesse dormendo, che anche lei sentiva la mancanza dei suoi genitori. La chiamò piano, cercando di non farsi sentire dalle altre ragazze e non svegliare nessuno. Camilla si girò nella sua direzione al primo richiamo ed entrambe, distese su un fianco si guardarono.
“Senti la mancanza di casa tua?” Olimpia annuì lievemente. “Credo che qui tutte le ragazze sentano la mancanza di casa loro, del loro letto e del loro peluche preferito.” Entrambe risero silenziosamente. “Passerà?” Camilla scosse la testa, sistemandosi poi meglio sotto le coperte e sul cuscino. “No, credo che non passi mai, ma ci faremo l’abitudine.” , “Camilla è la prima volta che dormo fuori casa senza genitori.” Camilla estrasse la mano da sotto il cuscino e la tese oltre il suo letto verso Olimpia, che la strinse forte con la sua mano. Si sorrisero dolcemente prima di chiudere entrambe gli occhi ed addormentarsi mano nella mano.
Dall’altra parte del giardino tra i due dormitori, al terzo piano nella stanza 23, Andrea teneva la lampada del suo comodino accesa ed era seduto sul bordo del letto con lo sguardo fisso e torvo verso le spalle di Luca disteso sul letto.
Luca sentiva lo sguardo dell’amico perforargli la schiena.
“Franchi se non spegni immediatamente quella luce, te la spacco in testa la lampada.” Disse nel buio silenzioso dell’altra parte della stanza uno dei loro compagni di stanza con la voce ottavata dal cuscino. “Si, Franchi, spegni quella luce.” Luca schernì Andrea voltandosi verso di lui quel tanto che bastava per guardarlo con sguardo divertito nel ripetere la frase del compagno. Andrea allungò la mano e spense la luce, si stese sul letto e s’infilò sotto le coperto restando comunque con lo sguardo verso l’amico.
“Ricordati le regole.” Bisbigliò piano verso Luca che con un sospiro gli augurò la buona notte.

Olimpia e Camilla entrarono insieme nella mensa e per un momento si sentirono gli sguardi di tutti gli allievi addosso ed un improvviso calore si espanse nel corpo di Olimpia accumulandosi sulle sue guancie costringendola ad abbassare lo sguardo. Non amava sentirsi al centro dell’attenzione, a differenza della sua amica, che quando si accorse degli sguardi famelici dei ragazzi, prese sottobraccio Olimpia e con un sorriso raggiante la trascinò ai primi due posti liberi che videro.
Luca, seduto al tavolo vicino a quello dove le ragazze si stavano dirigendo, tenne lo sguardo fisso su Olimpia mentre beveva il succo d’arancia. Andrea, seduto di fronte a lui, gli diede un calcio sotto al tavolo e per poco Luca non si strozzò con il succo. Vide Olimpia sedersi sulla sedia dietro a lui e decise di prendere la palla al balzo. Spinse la sedia all’indietro tenendosi in equilibrio sulle due gambe posteriori e si sporse verso la ragazza. Guardò prima il piatto stracolmo e poi lei che ancora non si era accorta della presenza di Luca. “E’ un onore averla in mensa quest’oggi.” Le andò il boccone di cereali di traversò e iniziò a tossire. Prese il bicchiere d’acqua davanti a sé e iniziò a bere mentre Luca, scusandosi per averla spaventata, iniziò a darle leggere pacche sulle spalle in modo apprensivo cercando di farle andare giù i cereali. Quando Olimpia si riprese, si pulì la bocca con il tovagliolo e si girò verso di lui. “Buongiorno. Ci sono venuta sempre, escludendo il pranzo del primo giorno.” , “Lo so, ti ho vista.” Olimpia arrossì a quelle parole, arrossì per l’attenzione che il ragazzo aveva per lei. Si girò verso il piatto e riprese a mangiare, ignorandolo. Luca la guardò ancora per qualche secondo, poi fece scorrere lo sguardo sul resto del tavolo e si ricompose al suo posto ricevendo l’ennesimo sguardo torvo dell’amico.
Una ragazza, seduta alla sinistra di Olimpia, le si avvicinò all’orecchio e sottovoce le sussurrò piano “Conosci Luca Avesani? E’ il ragazzo più bello dell’accademia” cercando di non farsi sentire da nessuno. Olimpia mandò giù il boccone e si voltò verso la ragazza che non conosceva ma che aveva visto qualche volta nei corridoi della scuola. “Non so come si chiama, mi ci sono scontrata una settimana fa.” , “Te lo dico io, si chiama Luca e tu sei una ragazza fortuna. In questo momento tutte vorrebbero essere al tuo posto.” Olimpia sentì di nuovo quella vampata di calore impossessarsi del suo corpo. Le guance le si tinsero di rosa e riabbassò il capo verso il piatto. Bevve un sorso d’acqua prima di rispondere alla ragazza. “Lo cedo volentieri a chiunque lo voglia.” , “Tienitelo stretto invece, nessuna ha mai attirato l’attenzione di Luca. Tu sei la prima.” Olimpia si voltò piano verso il tavolo dietro di sé, cercando di non farsi vedere da Luca ma, purtroppo o per fortuna, il suo sguardo azzurro s’intrecciò con quello verde del ragazzo.

 
  
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