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Autore: Ethasia    10/07/2014    2 recensioni
Da piccola ho sempre detestato il personaggio di Peter Pan. Adesso che sono più grande, il suo mondo, il suo modo di vivere mi hanno affascinata, al punto di desiderare di volare sull'Isola che non c'è. E mi sono domandata... cosa succederebbe se, dopo essersi lasciati a Londra, Wendy e Peter si ritrovassero, cresciuti e cambiati entrambi? Se l'Isola non fosse più il posto che i Darling avevano conosciuto da bambini? Così è nata la mia fanfiction.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimbi Sperduti, Capitan Uncino, Peter Pan, Wendy Moira Angela Darling
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Wendy's.

Confusa e inquieta.
Sono giorni che mi sento così. Solo così, come se non esistessero altre emozioni.
E più che giorni, sarebbe meglio dire settimane. Non un numero spropositato, ma pur sempre settimane, e non ce la faccio più a sentirmi talmente soffocata nel Rifugio da avvertire il bisogno continuo di uscire e stare fuori per ore, semplicemente vagando a qualsiasi ora del giorno, sole, stelle, caldo o freddo che sia.
E so perfettamente di chi è la colpa.
All'inizio, avevo ben pensato di attribuirla a Pan. Insomma, come osa aggirarsi per l'Albero con l'aria di un cane bastonato e abbandonato? Come si permette di guardarmi con quell'aria da cucciolo ferito a morte quando pensa che io non possa accorgermene? Ero io che dovevo sembrare ferita, io quella maltrattata. Non aveva diritto di farmi sentire in colpa per qualcosa che aveva combinato lui.
Certo. All'inizio, forse.
Ho continuato a pensarla in questo modo fino alla notte in cui ha cominciato a sparire. Dormivano tutti tranne me, e l'ho visto. Usciva di soppiatto come temendo che qualcuno potesse svegliarsi e impedirglielo. Quella notte non ho chiuso occhio, e lui è tornato il mattino dopo, infilandosi in camera sua per uscirne poche ore dopo fingendo di aver avuto un meraviglioso sonno ristoratore. Ma è risuccesso, la notte dopo, e quella dopo ancora, finché non ha iniziato ad andarsene anche nel mezzo della giornata, senza avvertire nessuno, e ogni volta che tornava dai suoi occhi mancava sempre un pezzetto in meno, finché non è rimasto che il niente di adesso, due orbite vuote prive di emozioni. Da lì la mia sicurezza ha cominciato a vacillare, e ogni volta che incontro lo sguardo di Matthew - che, al contrario, sembra essere diventato più espressivo del solito - mi sento sempre più piccola, perché mi accusa di essere quel piccolo mostriciattolo cattivo che ha ferito il suo migliore amico, quello che non ho mai creduto di essere... E infatti, non ci volevo credere. Chi sono io per devastare a tal punto una persona, specialmente qualcuno come Peter, che era sempre sembrato così indistruttibile? Non ho mai pensato di avere un tale ascendente nemmeno sui miei fratelli, figuriamoci su qualcuno che, fino ad allora, avevo ritenuto completamente privo di sentimenti. Ma le conferme avute da Andrew, Quentin, Dave e Josh sul fatto che Peter non ha avuto altre discussioni con nessuno, né si è cacciato in qualche misterioso guaio irreparabile, hanno definitivamente demolito quella parte di convinzione di essere nel giusto che ancora mi era rimasta, e che adesso è crollata, a pezzi e calpestata. 
E adesso lo so. Realizzo e sento, con ogni fibra del mio essere, che la colpa è soltanto mia. 
Anche in questo momento non riesco a pensare a nient'altro. Cammino nel bosco in quei brevi minuti che precedono il tramonto, quando la luce sembra farsi più brillante ed intensa e riesce a penetrare anche tra i rami più fitti, e penso solamente che sono stata io a ridurre Peter in questo stato: uno spettro, una persona che ha perso la sua scintilla vitale, e adesso cammina e vive solo per inerzia. 
Dovevo davvero dirgli quelle cose? Sì, lui me ne ha dette di cattive, ma io dovevo proprio non solo abbassarmi al suo livello, ma perfino superarlo? Non potevo soltanto mandarlo a quel paese e piantarla lì, facendo tornare tutto come prima il giorno dopo? Sempre questo stupido vizio di fare agli altri più male di quanto me ne abbiano fatto loro, sempre questa maledetta e incontrovertibile convinzione di esser nella ragione, mentre gli altri hanno sicuramente torto...


Michael's.

Mia sorella mi preoccupa. Mentre tutti gli altri si agitano per Peter, io non riesco a fare a meno di domandarmi cosa stia succedendo a Wendy. Lei è sempre stata quella più forte di noi tre. La meno fragile. E adesso... È come se l'avessero abbattuta con uno di quei cosi che si usano per demolire le case. A pezzi. E inquieta, più di quanto l'abbia mai vista a Londra confinata tra le quattro pareti della nostra camera.
- Hai idea - domando cupamente a John, che ha naso e occhiali affondati in un fumetto - di dove sia finita Wendy?
Mentre lui scuote distrattamente la testa, ben attento a non far cadere le sue delicate lenti,  vedo l'attenzione di Noah saettare dalla scacchiera al mio viso.
- Wendy non è qui? - domanda, come se se ne fosse reso conto soltanto adesso. Il che, probabilmente, è vero. Mai visto nessuno concentrarsi così su una partita a scacchi.
Scuoto la testa. - È uscita parecchie ore fa e non è più rientrata.
Vedo Noah impallidire appena sotto la pelle quasi abbronzata, mentre lentamente, con una calma molto attenta, anche Matthew alza gli occhi dalle pedine per puntarli su di me. Comincio a sentire una certa agitazione, anche se non so dovuta a cosa.
- Anche Peter è fuori - deduco, intuendo che è questo a preoccuparli.
Matthew annuisce velocemente. D'un tratto, sembra diventare lui quello più angosciato. - Dobbiamo andare... - dice, facendo per alzarsi.
Noah si volta verso di lui e gli mette una mano sulla spalla per trattenerlo. - No - ribatte piano. - Quante probabilità ci sono che quei due si incrocino per sbaglio su un'Isola tanto enorme?
- E se succede? - ribatte Matthew, arrabbiato. 
- Forse - sussurra Noah - è meglio così.
I due si scambiano uno sguardo, uno di quelli con cui le persone sembrano capirsi al volo, leggersi nel pensiero. Negli occhi di Matt balena un lampo di protesta, ma l'espressione insistente di Noah, fissa su di lui, alla fine sembra convincerlo, e si lascia ricadere a sedere.
- D'accordo - borbotta. - Forse... Insomma, vada come deve.
Non ho capito niente di quello che si sono detti. Ancora meno di ciò che non si sono detti. Ma se nemmeno loro si preoccupano che il loro migliore amico possa incontrare la causa della sua depressione, probabilmente vuol dire che non devo farlo nemmeno io.


Wendy's.

Mi sembra siano passate ore da quando ho cominciato a camminare, ma la luce del sole, appena più rossastra, mi dimostra il contrario: pochi minuti. Probabilmente, ad essere prigionieri della propria testa, si perde la cognizione del tempo.
Faccio ancora qualche passo, e vedo gli alberi cominciare a diradarsi. Con l'improvvisa necessità di più luce, più aria, più spazio, percorro gli ultimi metri quasi con disperazione, fin quando sbuco in una radura, la più grande e forse la più bella che abbia trovato da quando vago per i boschi. Lo spiazzo del terreno è ricoperto da un'erba folta ma dorata, cotta dal sole; sugheri, platani e pioppi hanno lasciato il posto a salici e querce, alti come il cielo e vecchi quanto il mondo. E proprio su una di quelle querce, appoggiato al tronco su uno dei rami più bassi e robusti, con una naturalezza tale da far credere che viva là sopra da tutta la vita, è seduto Peter.
Quando mi vede arrivare e fermarmi, come in stato di shock, sembra smettere perfino di respirare. 
- Wendy? - domanda, sbalordito. Come se l'ultima cosa che si aspettasse era di vedermi piombrare nel mezzo del bosco, proprio dove si trova lui, e adesso volesse soltanto trovare una via di fuga, terrorizzato.
Ma mai terrorizzato quanto me, perché tralasciando il fatto che non ho la più pallida idea di che cavolo fare adesso, c'è anche il fattore sorpresa. Peter è sempre stato così magro? Ha sempre avuto quella barbetta lunga, meno folta in alcuni punti? E quelle ombre scure sotto gli occhi, c'erano già o ha perso qualche ora di sonno?
Dio. È chiaro che l'ha persa. Sono io che l'ho visto uscire in piena notte, non gli altri. 
Cosa gli ho fatto?
Ma non posso continuare a starmene in silenzio come una stupida. Devo dire qualcosa. 
- Ciao, Peter -. Butto fuori tutto il fiato che non sapevo nemmeno di star trattenendo.
Lui si guarda intorno, circospetto. - Forse è meglio che me ne vada.
- Aspetta - lo fermo, più per disperazione che per altro. Ma che cosa gli dovrei dire? - Io... Come stai?
Peter torna a guardarmi, gli occhi socchiusi, sopreso... e, forse, perfino un po' arrabbiato. - Bene, Wendy - risponde, e mi sento quasi felice nell'avvertire quella nota di sarcasmo inesistente per un orecchio meno esperto. - Sto benissimo.
- D'accordo - mormoro, sentendomi una vera demente. - Era una domanda stupida...
Lui sospira. - Non è colpa tua.
Rimango di sasso. - Ah, no?
- Ho dato io inizio a tutto, giusto? - ribatte, e se prima mi era sembrato ironico, adesso è completamente sincero.
E non riesco proprio a capirlo. - E questo che cavolo c'entra? - chiedo, spiazzata.
Peter mi ricambia con la stessa espressione. - C'entra che è normale che tu ce l'abbia a morte con me.
- Io non ce l'ho a morte con te - replico, indignata.
Inarca un sopracciglio. - Ah, no?
Sento il rossore invadermi le guance. - Be', forse un po' all'inizio...
- E hai fatto bene - conviene lui, interrompendomi. - Per le cose che ti ho detto, avresti dovuto trattarmi anche peggio.
- Peter, non... -. Non so cosa dirti. Come fai a sembrare così convinto di quello che dici?
- Anzi - continua lui, scendendo con un salto dalla quercia per mettermisi davanti, - mi domando perché sei qui a perdere tempo con me, adesso... a fingere di essere gentile. Non devi essere gentile con me. Non lo merito.
- Peter, basta! - sbotto. Non posso sentirlo parlare così. - Perché insisti a colpevolizzare te stesso? Metti da parte la tua spropositata presunzione e riconosci che è anche colpa mia. È assurdo che debba essere io a dirtelo!
Peter si incupisce. - Mi sto solo assumendo le mie responsabilità. Non sono più un bambino.
- Nemmeno io, e lo vedo che non stai bene -. Deglutisco a fatica. - Lo vedo che scappi da tutti, anche di notte, e che hai due occhiaie che fanno un'incredibile rassomiglianza con Dracula. Credi che non sappia che è colpa mia? Anche se ci ho messo un po' per arrivarci, e anche se non capisco perché diavolo le mie parole contanto tanto per te, mi rendo conto di aver esagerato!
Perché? - ripete, fremente. Sembra stia per esplodere, con le mani lungo i fiatti convulsamente strette a pugno... Ma poi fa un lungo respiro. I muscoli tesi si rilassano, e la calma sembra tornare. - Perché siamo amici - risponde alla fine, serio. - Perché mi dispiacerebbe perderti. Mi é dispiaciuto. E continua a farmi male.
Mi guarda negli occhi con uno sguardo intenso che non vedevo da tempo, ormai. Tra noi corre una distanza minuscola, eppure così immensa.
- Anche a me dispiace - sussurro, la voce spezzata, il cuore in gola.
E poi, Peter fa esattamente l'ultima cosa che pensavo avrebbe potuto fare in questo momento.
Mi abbraccia.
Annulla quella misera distanza e mi avvolge tra le sue braccia, facendomi sentire ancora una bambina, bisognosa di protezione. È lui a consolare me, e non il contrario. È assurdo. Eppure, è un abbraccio che riesce a far sciogliere il ghiaccio che mi si era insediato nelle ossa. 
Con la testa nell'incavo tra la sua spalla e il collo, sento un breve singhiozzo scuotermi il petto. E una sensazione di calore ancora più forte invadermi da capo a piedi, e ancora il cuore che batte più forte. E il suo profumo che mi invade, familiare e buonissimo. - Scusami... - mormoro, ricacciando indietro gli aghi che mi pungono gli occhi. - Devi avermi odiata.
- Non riuscirei ad odiarti nemmeno volendo - risponde lui a bassa voce, una mano tra i capelli e l'altra a cingermi le spalle. - E poi - aggiunge, il sorriso avvertibile anche dalla voce - quando mi ricapita di sentirti chiedere scusa?
Anche a me scappa un sorriso, ma quando mi ritraggo appena per guardare Peter la mia faccia non potrebbe essere più seria. - Mai più - rispondo chiaramente. - Perciò zitto e goditi il momento.
- Agli ordini - ridacchia lui. Il suo viso, da pallido che era, sembra aver recuperato colore, gli occhi si sono illuminati. - Che dici, torniamo al Rifugio?
- Ma sì - sospiro, sciogliendo definitivamente l'abbraccio. - Mi sembrano passati secoli dall'ultima volta che ho passato un po' di tempo con John e Michael.
- Ed io sento che non riuscirò a sopportare i commenti di Matt - borbotta lui. - Ha detto che la mia barba è scandalosa.
- A me piace.
Io e Peter ci voltiamo a guardarci, entrambi sbalorditi; chi ha parlato? Ma quando mi rendo conto che, nelle vicinanze, non c'è nessun altro oltre a noi, mi rendo conto di essere stata io a dirlo.
Oddio, l'ho detto davvero?
Torno a guardare Peter, terrorizzata di me stessa e ancora scossa. Ma che diamine avevo per la testa? Eppure, lui sembra un po' compiaciuto, e sorride. - Grazie - risponde. - Ricordati di dirlo a Matthew, quando lo vedi.
Ricambio il sorriso, un po' riluttante. E non solo per l'orrida prospettiva di dover parlare a Matthew. Sul serio, a cosa stavo pensando quando il mio cervello ha ben creduto che sarebbe stato divertente farmi fare un vero complimento a Peter Pan?
Però, devo ammettere che quella barbetta non gli sta male davvero. Per niente.





schifoschifoschifo.
perdonatemi, è che quando l'ho scritto mi sembrava tanto carino!
invece, riscrivendolo qua... ugh. avevo immaginato qualcosa di completamente diverso.
i'm so sorry D:



 


 
  
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