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Autore: FairyCleo    10/07/2014    6 recensioni
"Lo aveva visto giocare con suo figlio, lo aveva sentito ridere con i suoi amici di sempre, ma nei suoi occhi aveva letto un dolore profondo e un senso di mancanza che solo lui sembrava in grado di comprendere. Per tutti gli altri non c’era niente di diverso o di strano in quella serata trascorsa alla Capsule Corporation. Gli amici di una vita avevano continuato a fare ciò che avevano sempre fatto senza capire, o peggio ancora fingendo di non capire che Trunks avrebbe voluto trovarsi altrove. E questo, non era un pensiero che stava toccando solo lui".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Un po' tutti, Vegeta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Parte XIII
 
Ce l’aveva fatta. Non era stato semplice, non era stato immediato, ma il suo sogno era finalmente diventato realtà. Alla fine, aveva ottenuto quello che si era prefissato.
Aveva preparato tutto da molto, molto tempo, pazientando ogni singola ora. Non era stato facile, non lo era stato affatto, ma l’esperienza gli aveva insegnato che chi era in grado di stringere i denti poteva ottenere davvero qualsiasi cosa.
Alpha continuava ad osservare il risultato del suo operato con grande trepidazione, attendendo il momento in cui avrebbe potuto non solo osservare, ma interagire, convivere con chi aveva aspettato per tutta la sua lunga, solitaria vita, una vita iniziata nella più totale oscurità.
Non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui aveva cominciato a prendere coscienza di sé, il giorno in cui si era reso conto di chi fosse in realtà e di quale fosse lo scopo che gli era stato destinato.
I ricordi per lui non erano qualcosa di sfocato, di lontano. I ricordi per lui erano vividi e feroci, proprio come se li stesse vivendo in quello specifico istante.
Aveva imparato a camminare a pochi mesi, a parlare forse ancora più presto di quanto ci si potesse aspettare da un bambino così piccolo, e non si era trattato di qualche parola appena biascicata, ma di una frase completa, formulata alla perfezione e con una dimestichezza che poteva appartenere solo ad un adulto dotato di una discreta cultura. E nonostante avesse dimostrato di avere tutte le caratteristiche desiderate, caratteristiche selezionate con estrema attenzione e cura da chi aveva scelto lui come soggetto del prelievo, lo shock subito nel vederlo interagire con gli adulti come uno di loro era stato troppo anche per chi gli aveva dato la vita.
Era successo esattamente in quella navicella, proprio nello stesso posto in cui aveva trascorso la sua esistenza, proprio nello stesso luogo in cui si trovava anche in quel preciso istante.
I suoi creatori stavano riprogrammando un macchinario da poco riparato quando si era affacciato sui monitor che presentavano i progetti chiedendo a gran voce cosa rappresentasse la scheda di colore rosso. Nessuno gli aveva mai insegnato a distinguere i colori, così come nessuno gli aveva mai insegnato cosa fosse una scheda, ma lui non aveva avuto bisogno che qualcuno glielo insegnasse, perché questo qualcuno aveva fatto in modo che tutto quello che dovesse sapere fosse già da lui saputo ancor prima di poter essere appreso.
Mai avrebbe potuto dimenticare il loro sguardo, a metà tra lo sgomento e la gioia più estrema. Era evidente che avessero creduto occorresse più tempo prima che le sue immense capacità si manifestassero, ma non potevano essere più felici di essersi sbagliati: il piccolo Alpha era molto più di quanto avrebbe anche solo osato sperare.
Quello era stato il giorno in cui era iniziata la prima parte della sua vita, il giorno in cui aveva cominciato a capire il perché fosse venuto al mondo. Peccato solo che lui non lo avesse mai visto, il mondo. Peccato che non avesse mai viso niente oltre a quella navicella , niente. Proprio per questo, aveva deciso che un giorno, al posto di quell’orribile soffitto di metallo, ci sarebbe stato dello spesso, meraviglioso vetro trasparente, per poter vedere quali meraviglie lo circondassero. Alpha aveva tre anni, e sapeva cosa avrebbe dovuto fare per poter vivere sotto le stelle.
I test erano iniziati qualche ora dopo. Ricordava esattamente tutto quello che gli era stato fatto, tutto quello che gli era stato chiesto, tutto quello che gli era stato imposto di risolvere, di scomporre e di ricomporre, di creare e di riprodurre. Ricordava il pizzicore degli aghi sotto la pelle e il colore del sangue che riempiva le provette, l’odore dei disinfettanti, il rumore incessante dei macchinari che continuavano a monitorare ogni angolo più recondito del suo cervello, ogni sua sinapsi, ogni suo pensiero. Lo avevano sottoposto ad uno stress inimmaginabile, ma accusato solo ed esclusivamente da chi lo aveva creato, da quelle persone che si chiamavano fra di loro Professore e assistenti. Lui non aveva accennato neanche una punta di stanchezza. Alimentato per giorni solo ed esclusivamente con una sonda che gli scendeva lungo la gola, sottoposto alle più ardue condizioni, Alpha non aveva dato il minimo segno di cedimento. La sua mente aveva dominato il corpo, rendendolo l’essere più intelligente e forte che fosse mai esistito, persino più intelligente di chi gli aveva dato la vita.
E, per premiarlo, per la prima volta da quando era nato, Alpha era stato nutrito con qualcosa di diverso dal solito liquido denso dal colore ambrato che continuavano a fargli mandare giù: per la prima volta, loro gli avevano dato una cosa che aveva potuto masticare con quei suoi piccoli denti da latte. Non avrebbe mai dimenticato il sapore che aveva sentito sin dal primo morso, così come non ne avrebbe mai dimenticato l’odore intenso, invitante, dolce e aromatico. Era stato in quel momento che aveva deciso che un giorno si sarebbe nutrito solo di quella squisitezza.
Qualche tempo dopo, era arrivato il momento del test fisico. Aveva dovuto sollevare pesi, dimostrare di essere in grado di levitare e di muoversi ad alta velocità e di riuscire a fronteggiare una serie di robot altamente tecnologici progettati con il solo intento di distruggere. Anche questo test si era concluso con un esito strabiliante. A quanto sembrava, lui era veramente l’essere che tutti avevano atteso per un tempo così lungo.
I suoi giorni erano trascorsi tutti uguali per tanti anni. Avevano iniziato a farlo dormire sempre di meno, continuando a sottoporlo ad estenuanti prove al fine di perfezionare quello che ancora non aveva raggiunto l’apice, qualsiasi esso fosse. Alpha sapeva che un essere normale non avrebbe mai potuto sopportare quei ritmi, ma Alpha sapeva di non esser normale. Così come sapeva che il liquido con cui continuavano a nutrirlo una volta al giorno lo avrebbe portato a non avere mai più sonno, mai più sete, mai più fame.
Chiunque altro avrebbe mostrato un briciolo di paura, ma non lui, non Alpha, non la creatura che era nata dalle cellule dell’esemplare migliore di quegli essere di cui sapeva tutto senza averne mai conosciuto neanche uno. E, alla fine, il sonno era sparito completamente. Lui sapeva cosa fosse la stanchezza, ma non riusciva ad avvertirla. Lui sapeva il nome di tutte quelle sensazioni che gli avevano portato via, ma non riusciva più a provarle. Per venti lunghi anni, Alpha aveva fatto tutto quello che gli era stato ordinato: si era sottoposto ai test, aveva perfezionato le sue conoscenze e aveva lasciato che il Professore e i suoi assistenti facessero su lui tutti gli esperimenti necessari.
Non gli era mai stato permesso di lasciare la navicella, non gli era mai stato permesso di vedere quello che gli era stato fatto apprendere ancor prima di nascere. Non gli era mai stato permesso di vivere.
Non c’erano contatti fra lui e le persone che lo circondavano, chiunque esse fossero. Perché, per quanto Alpha fosse a conoscenza di quasi tutto quello che riguardasse l’universo, i suoi abitanti  e le regole che lo facessero funzionare, lui non sapeva niente di coloro che gli avevano permesso di esistere.
Il Professore era un uomo dall’aspetto piuttosto ordinario: di bassa statura e dai capelli sale e pepe, indossava sempre uno spesso paio di occhiali da vista dalle lenti leggermente ambrate, lenti che celavano il colore dei suoi piccoli occhi curiosi. Non aveva mai parlato con lui di niente che non riguardasse la sua salute e il suo desiderio di conoscenza, Non si era mai fermato a chiedergli come si sentisse psicologicamente, non si era mai preoccupato di elargirgli un sorriso o di riservargli un piccolo gesto di affetto. Lo stesso, se non peggio, valeva per i suoi assistenti. Alpha non aveva mai saputo i loro nomi. Si trattava di una dozzina di omuncoli alti poco più di un metro e mezzo dalla pelle blu e dai capelli rossi, tutti perfettamente identici tra di loro. Per anni si era domandato se ci fosse anche un solo particolare che potesse distinguerli. Li aveva spiati in ogni dove, cercando, aspettando, ma niente: sembravano essere gli uni l’esatta copia degli altri. Persino i loro gesti erano uguali, persino gli atteggiamenti. Con il tempo, aveva perso interesse verso di loro. Forse, se il Professore non voleva che sapesse, c’era un motivo più che valido, e Alpha si fidava di lui. Come non avrebbe potuto fidarsi di chi gli aveva dato la possibilità di venire al mondo?
Ma gli anni passavano, e con la sua intelligenza, con la sua forza, cresceva anche il desiderio di contatto, un contatto che né il suo creatore né gli esseri che si prendevano cura di lui erano intenzionati a dargli.
Aveva provato a cercare le loro attenzioni in ogni modo, provando ad intavolare una semplice conversazione sul tempo, o sul perché, in tutti quegli anni, non si fossero mai fermati su nessuno dei pianeti a cui si erano avvicinati, ma da loro, soprattutto da lui, non aveva ricevuto niente se non indifferenza e la promessa che un giorno avrebbe capito. Ma Alpha aveva capito da troppo tempo, ormai, perché non si poteva forgiare una simile meraviglia senza credere che essa potesse giungere alla più ovvia delle conclusioni. Il Professore, l’uomo che in segreto aveva tante volte chiamato padre, non lo considerava un essere vivente dotato di sentimenti, ma un esperimento da osservare e da alimentare fino al raggiungimento della perfezione. Il Professore aveva provato a sottrarre al suo controllo quelle emozioni così profonde, ci aveva provato ancor prima che esse potessero affiorare, ma il nutrimento che gli forniva quotidianamente, lo stesso che lo aveva privato di ogni primario bisogno, non aveva sortito lo stesso effetto nei confronti delle emozioni. Anzi, per un puro caso, o per un disegno più grande, era stato il grado di accentuarle.
Era stato allora che la sua mente aveva cominciato a vagare in un posto lontano, cercando di portarlo dall’unico con cui credeva di poter avere un legame. Era stato solo allora che aveva cominciato a pensare intensamente al principe saiyan che loro chiamavano Vegeta.
Sapeva perfettamente il modo in cui era stato creato. Il Professore aveva fatto in modo che lui fosse a conoscenza di tutto quello che riguardava da vicino la sua nascita, la sua venuta al mondo. Le operazioni di estrazione del DNA dal corpo del principe gli erano più che chiare, così come erano stati chiari tutti gli esperimenti che ne erano seguiti. La procedura era stata complessa, precisa, ma per loro facilmente realizzabile. Si erano preparati a lungo per quel momento, e l’esperimento era stato portato a termine con grande successo.
Eppure, nonostante tutto ciò fosse estremamente chiaro, c’era una cosa che Alpha non poteva sapere, una cosa che gli avevano tenuto nascosta e che se fosse stato per loro non avrebbe mai dovuto conoscere: lui non aveva idea di che aspetto avesse questo principe dei saiyan, non aveva idea di chi fosse il principe Vegeta. Certo, lui era una sua copia, un suo clone, ma sapeva di essere stato geneticamente modificato, perfezionato, ma cosa significava all’atto pratico? Era più alto di lui o no? I suoi muscoli erano meglio definiti? O il fisico di Vegeta era più prestante? I suoi occhi avevano il suo stesso colore rosso acceso o avevano una diversa sfumatura? Era davvero più furbo, più intelligente di lui, o Vegeta gli sarebbe stato superiore?
Era stato quello l’istante in cui il principe Vegeta era diventato la sua più totale, aberrante ossessione.
Aveva pensato a lui ogni singolo momento di ogni singolo giorno. Eseguiva i test quotidiani automaticamente, senza neanche pensare a cosa effettivamente stesse facendo, si sottoponeva ad allenamenti sfiancanti con la mente rivolta a lui, a quella creatura di cui non sapeva altro se non il nome. Cosa faceva per tutto il giorno un principe senza più un popolo o un pianeta da difendere e governare? Dove viveva? Si allenava per poter diventare più forte o oziava come il più stolto degli uomini? Cosa avrebbe fatto se avesse saputo della sua esistenza? Perché Alpha era stato informato che il soggetto da cui era stato effettuato il prelievo non avrebbe avuto memoria di quanto subito. Lo avrebbe accettato o avrebbe cercato di combatterlo? Ma si poteva decidere di combattere se stessi? Perché era questo che Alpha sentiva di essere: parte del principe dei saiyan.
Poco tempo dopo, avrebbe scoperto di non essersi affatto sbagliato. Parlava di Vegeta a qualsiasi ora, chiedeva di lui a chiunque gli si trovasse davanti, domandando ora al Professore ora ai suoi assistenti il motivo per cui non gli era stato mai concesso di incontrarlo o anche solo di vederlo da lontano. Ma, ancora una volta, nessuno aveva espresso anche solo la più lontana intenzione di rispondere. Nonostante la sua insistenza, nonostante la sua furbizia, la sua intelligenza, non era stato capace di estorcere a nessuno le informazioni che tanto desiderava ottenere. Era come se Vegeta non esistesse, e lui proprio non riusciva a comprendere il perché.
Era stato qualche tempo dopo aver deciso di smettere di fare domande che la sua situazione aveva subito un improvviso, inaspettato cambiamento. Non aveva mai avvertito una simile sensazione in vita sua. La sua salute era sempre stata più che perfetta, non aveva mai avuto neppure un raffreddore per via delle modifiche effettuate alla sua struttura genetica, modulata per essere in grado di distruggere qualsiasi tipo di batterio. Eppure, quella volta, aveva cominciato ad accusare uno strano fastidio alla tempia destra, fastidio presto diventato un acuto dolore. Aveva provato a resistere, a non lamentarsi, ma ben presto era stato costretto a fermarsi, piegato in due da una sofferenza che non era in grado di affrontare.
Il Professore e i suoi assistenti erano intervenuti immediatamente, ma sembrava che niente fosse in grado di alleviare quell’atrocità. E, senza che lui o chi gli stava attorno potessero fare qualcosa, alla fine era scivolato in quel sonno che avevano cercato così a lungo di evitare.
Aveva sognato. Alpha aveva sognato a lungo. Ma quello che gli altri non poteva sapere, quello che neanche lui aveva saputo all’inizio, era che Alpha non aveva solo sognato, ma aveva vissuto ogni singolo istante trascorso in quella dimensione onirica, Alpha aveva vissuto e visto tutto quello che aveva sempre desiderato vivere e vedere. Alpha aveva visto e vissuto con il principe Vegeta.
Non avrebbe saputo spiegare come ciò fosse stato possibile, come fosse avvenuto, eppure era successo. Lì, da qualche parte nel suo inconscio, Alpha aveva visto un’immagine riflessa in uno specchio che non era esattamente la sua, aveva compiuto gesti che non avrebbe mai compiuto, detto parole che non avrebbe mai neppure pensato. E, solo allora, aveva capito di essere non solo Alpha, ma di essere anche Vegeta, e di aver avuto un assaggio di quella che era la vita della creatura da cui era stato clonato. Inspiegabilmente, era entrato in connessione con la mente del principe dei saiyan, inizialmente facendo i suoi stessi sogni, poi leggendo tra i suoi pensieri, riuscendo alla fine quasi a condizionarli. Ed era stata non solo l’esperienza più bizzarra che avesse mai fatto fino ad allora, ma era stata anche la più emozionante e vera. Finalmente, per la prima volta dopo tanto tempo, Alpha aveva capito cosa volesse dire non sentirsi solo. Finalmente per la prima volta in vita sua, Alpha sapeva cosa volesse dire essere davvero completo. Era rimasto completamente affascinato da lui, totalmente rapito. Non era come lo aveva immaginato. Aveva sempre pensato a lui come ad un essere imponente, minaccioso, circondato da donne e da uomini desiderosi di ricevere anche la sua più piccola attenzione, e invece si era ritrovato davanti un ragazzo piccolo, estremamente minuto ma perfetto in ogni singolo muscolo e tendine. I suoi occhi erano neri come la notte e la sua coda spessa e morbida come seta. La sua voce era feroce, seria, e preferiva trascorrere il proprio tempo in disparte quando non era impegnato in una delle missioni impartitegli da un pazzo spregevole che rispondeva al nome di Freezer. Erano solo due le persone che osavano avvalersi della sua compagnia, due saiyan dall’aspetto minaccioso ma dalla forza decisamente inferiore a quella del loro principe. Quella era la famiglia di Vegeta, per quanto quest’ultimo si sforzasse di ripetersi il contrario. Quello era il popolo del principe dei saiyan. E, finalmente, quel popolo era diventato anche suo.
Il suo risveglio era stato una conseguenza dell’ennesima trasfusione che gli era stata fatta. Il liquido della vita, come erano soliti chiamarlo, alla fine era riuscito nel suo intento. Ma l’Alpha che aveva riaperto gli occhi non era lo stesso che si era addormentato. L’Alpha che aveva riaperto gli occhi ora sapeva il reale significato dell’orgoglio e del rifiuto alla sottomissione, e di lì a poco, presto lo avrebbero realmente compreso anche il Professore e i suoi assistenti.
Aveva provato a dirgli apertamente quello che tante volte aveva cercato di fargli capire, ci aveva provato realmente, con maggiore veemenza, pretendendo di essere ascoltato e non più chiedendolo con gentilezza. Adesso, Alpha sapeva quello che voleva, così come sapeva che né il Professo né i suoi assistenti glielo avrebbero mai concesso. All’ennesimo rifiuto, all’ennesimo no, e soprattutto dopo aver udito la confessione che la sua nascita era stata progettata per poter concedere loro vendetta, la sua reazione era quella che ci si sarebbe aspettata da un qualsiasi membro della razza saiyan. A niente erano valse le modifiche che avevano subito i suoi geni, ancor meno erano serviti gli insegnamenti letteralmente iniettati nel suo cervello. Era stato l’istinto a guidare le azioni della creatura, un istinto primordiale e irrefrenabile, un istinto che lo aveva fatto sentire davvero il principe dei saiyan.
Li aveva uccisi tutti, spargendone sangue e brandelli di carne lungo le pareti, attorno ai pulsanti dei generatori, sugli schermi luminosi dei macchinari ancora accesi. Non c’era dolore sul suo viso, né disgusto verso se stesso e le sue mani sporche di sangue. C’era solo un sentimento che imperterrito, violento continuava ad affiorare, ed era qualcosa che prendeva  il nome di sollievo.
Alpha sapeva esattamente cosa doveva fare. Lo aveva capito nello stesso istante in cui aveva posato lo sguardo sul riflesso di se stesso che vedeva nel vetro delle ampolle. Avrebbe avuto tutto quello che aveva sempre desiderato, tutto. A cominciare dalla famiglia che gli era stata per così tanto tempo negata.
Ed ecco, ora era lì, la sua famiglia, e presto sarebbe stata completa. Aveva già ottenuto Vegeta, si era finalmente ricongiunto a lui, e presto ogni cosa sarebbe finalmente stata come avrebbe dovuto essere sin dall’inizio. Non era stato facile, non nel momento decisivo. Vegeta aveva lottato più di quanto si sarebbe mai aspettato, e questo gli aveva fatto orgoglio. Ma il principe dei saiyan aveva creato le perfette condizioni per indebolirsi nello stesso istante in cui aveva deciso di smettere di lottare. Non era stato solo il suo corpo a risentirne, ma soprattutto la sua mente. E lui, diventato con gli anni sempre più forte, sempre più saiyan, era stato in grado di penetrare in essa senza difficoltà e mostrargli quello che avrebbe dovuto vedere per convincersi a raggiungere Neo-Namecc, a riportare in vita Kaharot e a permettergli così di portare a termine quel piano così perfetto, perfetto non solo per lui ma per entrambi.
La sua gioia, gli anni di solitudine e di stallo sarebbero finalmente stati solo un lontano, lontanissimo ricordo offuscato dalla luce della ritrovata pace. Il Professore aveva fatto male i suoi conti. Aveva creato un essere perfetto dal DNA del membro più potente della stirpe che aveva osato distruggere la sua con l’intento di infliggere lo stesso destino a lui e ai pochi superstiti, ma non poteva sapere che quella stessa macchina dai morte sarebbe diventata una macchina capace di dare la vita.
“Dobbiamo fare in fretta” – gli aveva detto il fratello più basso, quello con la lunga capigliatura arruffata – “La sua aura aumenta, e presto sarà impossibile da contenere”.
“Ha ragione” – gli aveva fatto eco quello con i lunghi e curati baffi, faticando a tenere fermo il prigioniero – “Fai presto fratello, te ne prego”.
E lui aveva fatto presto. Non poteva sopportare neanche per un istante di vedere il corpo del suo adorato fratello agitarsi per via di quegli spasmi così violenti e crudeli. Non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma doveva scatenare la sua natura saiyan, il suo istinto più crudele per ottenere quanto gli occorreva. E adesso, avrebbe potuto fare quello che aveva sempre sognato. Adesso, Alpha avrebbe potuto riunire la famiglia. Adesso, avrebbe potuto essere felice al fianco di Nappa, Radish e del suo amato Kaharot.
Fine parte XIII
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E dopo dodicimila anni, Cleo fa finalmente capolino!
SCUSATEMI, ma con sti esami maledetti non sto più capendo nulla! XD Non sto avendo tempo manco per morire, non sto uscendo, non sto facendo niente se non studiare, e questo mi ha portato ad abbandonare la fic. Ma voi dovete capire che non solo mi sono messa a scrivere venerdì scorso con l’intenzione di aggiornare, ma ho scritto un intero capitolo che poi ho cancellato perché non mi piaceva. XD Spero che questo – che a me è piaciuto molto – sia stato da voi gradito!
Ora sappiamo qualcosa in più su Alpha, su chi è, su come è nato e perché, su come ha vissuto parte della sua vita e sul perché vuole disperatamente Goku e Vegeta. Ah, e abbiamo anche capito chi erano gli altri due “fratelli”. Ne vedremo delle belle ora che ci sono tutti e quattro!
Anche perché dobbiamo ancora capire cosa hanno fatto ai namecciani! U.U
A presto tesori!! Vado a pranzare!
Bacini
Cleo

 
   
 
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