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Autore: kiara_star    10/07/2014    4 recensioni
[Sequel de “La carezza di un'altra illusione”]
[a sort of Thorki; fem!Thor]
~~~
C'erano cose di cui Thor non parlava mai, c'erano storie che forse non avrebbe mai narrato. C'erano domande che Steve porgeva con qualche dubbio.
“Perché continui a vedere del buono in Loki?”
“Perché io so che c'è del buono.”
[...]
Siamo ancora su quel balcone?
Ci sono solo io?
Ci sei solo tu?

“Hai la mia parola, Loki, non cambierà nulla.”
Ma era già cambiato tutto dopo quella prima menzogna e non era stato suo fratello a pronunciarla.
~~~
~~
Ancora oggi Nygis riempie il cielo di stelle continuando a piangere per il suo unico amore, nella speranza che un dì ella possa tornare da lui.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La leggenda di Nygis'
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cap32
L' ultima lacrima



XXXII.





Steve guardò verso l'ampia balconata quando udì il suono vigoroso di un corno. Poco prima era stato un tuono ad allertarlo, poi pioggia di fumo.
Odino non sedeva più sul suo trono da cui lo stava istruendo su ciò che avrebbe dovuto aspettarsi. Odino era scattato in piedi come fosse una giovane recluta, aveva brandito la sua lancia ed era sceso per raggiungerlo.
«Che succede?» chiese Steve. «Sono qui?»
La risposta dovette attendere quando dal grande portone entrarono in tutta fretta Sif con a seguito uno squadrone di soldati.
«Mio Re!» lo salutò con il fiato tagliato dall'adrenalina della vicina lotta e Steve poteva leggerlo negli occhi neri della donna. Lo stesso brivido stava solcando la sua pelle.
«L'esercito è in posizione?» la interrogò Odino.
«Sì, mio Re. I reparti sono schierati. Gli arcieri pronti e così la cavalleria e i Sapienti di Vanaheim.»
«A te il comando, Lady Sif. Ogni tua decisione sarà la mia.»
Steve vide la donna battersi il pugno contro il petto e prendere l'uscita, seguita dal manipolo di altri uomini.
Ci fu ancora un tuono e la pioggia, sempre più fitta, si trasformava in piccole scintille. Era assurdo.
Steve era combattuto dal raggiungere il balcone e spalancare la bocca alla vista di quello spettacolo oppure correre a impugnare il suo scudo.
Il secondo istinto fu più forte.
Con ampie falcate era prossimo al portone quando udì il re chiamare il suo nome.
«Dove pensi di andare, ragazzo?»
«A combattere, mi pare ovvio» rispose come fosse la più scontata delle risposte.
Odino gli fu di fronte in breve.
«Tu resti qui, e quando sarà il tuo momento sarai chiamato.»
«Cosa?» Scosse il capo incredulo. «Non me ne starò qui a fare da tappezzeria!» ribatté. «Avete chiesto il mio aiuto e sono qui per darvelo, perciò adesso prendo il mio scudo e-»
«Stammi a sentire, terrestre! Su Midgard sarai un eroe, non lo metto in dubbio, ma questa è Asgard, qui le guerre si combattono in maniera diversa.»
Il tono di Odino era come quei tuoni che urlavano in lontananza, eppure più sottile, più infido, e così dannatamente simile a quello di Loki.
«Sono un soldato addestrato e scenderò in campo. Discorso chiuso.» Non riuscì neanche ad aprire la porta che Odino la richiuse con un sonoro tonfo.
«Non sei addestrato per una guerra di simili proporzioni!» sentenziò guardandolo austero. «E non possiamo rischiare la nostra unica possibilità di riuscita per assecondare il tuo piccolo orgoglio.»
Era assurdo come quest'uomo poteva impuntarsi con tale fermezza sulla sua decisione mentre fiamme e saette stavano colpendo la sua casa. Steve poteva già udire le urla dei soldati, gli incitamenti dei generali, quasi il sibilo delle frecce che venivano scagliate.
No, quella guerra era anche la sua, era anche la loro. E nessuno, nemmeno quel Dio sarebbe riuscito a fermarlo.
«Signore,» fu deciso e pacato. «Ha ragione, non sono un asgardiano e magari non ho la vostra tempra o la vostra forza, ma la limitazione fisica non è mai stata motivo per tirarmi indietro davanti a una difficoltà, e non lo sarà di certo adesso che in ballo c'è la vita di un mio amico, di un fratello. Perciò, se vuole davvero fermarmi, la invito a usare tutta la sua potenza da Dio perché io sto per prendere il mio scudo e combattere, e può stare certo che non mi farò ammazzare perché anche se sono un piccolo orgoglioso terrestre, ho la pelle piuttosto dura.»
Odino lo guardò in silenzio mentre fiamme cremisi illuminavano il cielo.
Steve temette davvero che potesse colpirlo con la sua lancia e metterlo al tappeto senza neanche dire una parola. Ma Odino sospirò scuotendo debolmente il capo e lasciò che la porta si aprisse.
«Per le Norne, mi sembra di parlare con quel testone...» lo sentì brontolare fra sé. Poi lo guardò nuovamente e c'era tutta la regalità del suo ruolo. «Fa' ciò che il tuo cuore da guerriero chiede, ma ti avverto, non farti ammazzare perché la mia ira ti raggiungerebbe fino al Valhalla e a quel punto neanche la morte sarebbe più una salvezza da essa.»
Un lungo brivido gli saettò lungo la schiena all'udir quella inquietante promessa, ma Steve si limitò ad annuire.
«Sarà fatto, signore.»
Stavolta corse come un vento senza sbagliare una sola svolta, corse fino alle sue stanze e il suo scudo era lì, ad attenderlo, pronto a lottare ancora una volta al suo fianco.



*



Linn perse l'equilibrio quando la forte scossa fece muovere il pavimento. La brocca cadde al suolo rovesciandosi e lei si ritrovò a guardare le lumiere che traballavano.
«Tutti nei rifugi!» comandò Lady Gunhild.
La guerra era stata annunciata ma nessuno sapeva quando sarebbe giunta, nessuno credeva sarebbe giunta così in fretta.
Le ancelle e gli inservienti delle cucine corsero giù, lungo le scale che conducevano ai rifugi sotterranei che li avrebbero protetti dalla lotta, ma Linn restò lì, con le spalle contro il muro a guardare l'acqua che colava fra le mattonelle di pietra del pavimento.
«Avanti, bambina! Vai!» la incitò ancora Lady Gunhild, ma Linn non poteva andare.
«No...» sospirò mettendosi in piedi e poggiandosi a una colonna quando giunse una seconda scossa.
«Non essere sciocca, Linn. Devi metterti al riparo.» La mano dell'anziana donna le abbracciò una guancia e i suoi occhi la implorarono ancora più delle parole.
«No,» ripeté e le sorrise. «Non posso.»
«Linn?» Sentì chiamare alle spalle «Linn?»
Non si voltò, corse verso le scale e attraverso i corridoio, corse da lui, corse dal suo capitano.



*



Un fendente, poi un altro, finché una fiamma non bruciò la punta della sua lunga coda di capelli.
Sif ringhiò come una fiera e affondò la lama nello stomaco di quell'essere. Cadde a terra con un lamento stridulo e continuò a bruciare.
Tutto bruciava: le spade, le frecce, perfino la carne di quei mostri.
«Obbligateli nella vallata!» urlò salendo in sella al suo cavallo. «Nella vallata!»
I soldati le risposero con un grido di lotta.
Dov'era? Dov'era quella cagna di una strega?
La cercò con lo sguardo attraverso il campo dove la sua squadra stava tenendo testa a una cinquantina di quegli strani esseri. Avevano fattezze umane, perfino un'armatura indosso, eppure erano privi di occhi e naso, solo una bocca raccapricciante con aguzzi denti. Non sanguinavano: ardevano.
Erano piovuti letteralmente dal cielo, come cenere, per poi ammassarsi e sollevarsi in piedi. E il cielo continuava a vomitare quelle bestie.
Alzò la fronte in alto mentre saette tagliavano il blu della volta. Quelle saette che appartenevano a Thor e che erano al comando di un traditore della peggior specie.
Strinse le briglie con la mano sinistra e galoppò attraverso il campo fendendo più teste possibili con la sua lama.
«Sif!» Si sentì chiamare. «Dov'è la Decima Divisione?»
Era Fandral che giungeva da est, sulla sua guancia il segno di un'ustione.
«Balder è al comando. Sono a difesa delle mura,» rispose cercando di tenere la situazione attraverso la sua visuale.
«Ma ci servono qui!» spiegò Fandral e poi indicò la cima della torre. «Gli arcieri sono una difesa più che sufficiente, basteranno loro a tener la lotta lontano dalla città. Dobbiamo abbatterli adesso prima che-»
Una freccia giunse nel vento, una fiamma rossa che colpì il fianco del nero frisone dello spadaccino facendolo sollevare selvaggiamente sulle sue zampe.
«Attento!»
Sif lanciò la spada alle spalle di Fandral e colpì il nemico che cercava di scoccare un altro dardo.
Smontò poi da cavallo per recuperare la sua arma.
«Trova Hogun e digli di spingere la fazione a sud ovest. Dobbiamo accerchiarli nella vallata.»
«Sarebbe inutile, Sif! Guarda, questi abomini cadono letteralmente dal cielo. Tanti ne accerchiamo e tanti ne troveremmo al di fuori di qualsiasi perimetro tu possa predisporre.»
Alle parole dell'amico rispose con un'occhiata severa.
Estrasse poi la lama dal corpo in fiamme e tornò dal suo destriero. La lotta intanto iniziava a creare vittime anche nel loro schieramento. Urla di dolore abbandonavano le gole dei soldati asgardiani. Gli arcieri posti a difesa cadevano giù dalle mura, colpiti dalle fiamme. I cavalli disarcionavano i loro cavalieri spaventati da centinaia di lingue di fuoco.
Fandral aveva ragione: accerchiarli era una strategia che non poteva funzionare.
«Guida il distaccamento» gli comandò poi portando il muso del cavallo verso le colline. «E cerca di restare vivo.»
Il compagno alzò un angolo delle labbra e assentì con il capo mentre la guerriera cavalcava lesta.



*



«Freyja!»
Frigga riuscì a scorgere il viso della regina di fronte a sé, attraverso il lungo corridoio.
«Madre!»
Vide anche lei, al fianco della sovrana Vanr.
Frigga strinse quel sottile corpo fra le braccia e le baciò la fronte.
«È tempo di iniziare il rito,» comandò Freyja e Frigga assentì alle sue parole sciogliendo l'abbraccio materno.
«Odino ci aspetta. Andiamo!»
Fece quindi strada, con mille pensieri nella testa, con mille batticuori e mille paure a galoppare nel suo petto. I passi veloci risuonavano attraverso i corridoi ora vuoti mentre si dirigevano al centro del palazzo, attraverso la lunga discesa di scale che le avrebbe condotte dinanzi alle radici di Yggdrasill.
«Madre?»
«Coraggio, tesoro, non c'è tempo.» La esortò tenendo il passo, ma poi la sentì rallentare, la sentì arrestarsi.
Si voltò con affanno temendo cosa avrebbe letto nei suoi occhi, tremendo ciò che avrebbe udito dalla sua voce, temendo l'indole di quel figlio troppo testardo e troppo suo.
«Thor... no...» lo implorò prima che potesse dire una sola parola, ma poi vide quel sorriso, quel devo, quel non posso restare, e abbassò il capo trattenendo sotto le palpebre il pianto.
«Non rischierò la vita, madre. Lo so quali sono i miei limiti.»
«Frigga...» Sentì poi la mano di Freyja sulla spalla e scorse anche il suo di sorriso. «Abbi fiducia.»
Sospirò, la regina Frigga, sospirò e lasciò che fosse quel figlio a baciarle la fronte, che fosse lei a stringerle le mani.
«Ci rivedremo presto.»
Suonava come un addio.
Se non avesse avuto le lacrime a coprirle la vista, Frigga avrebbe visto il Brísingamen[1] che brillava al collo della sua bambina, il gioiello che era sempre appartenuto a Freyja.



*



Linn corse, corse veloce, corse attraverso stanze adesso vuote, attraverso pavimenti che vibravano e scintille e fuliggine che volavano soffocanti dalle finestre. Corse, lasciando che le stringhe di cuoio che tenevano i sandali si sciogliessero, che le trecce cadessero confuse e la paura vestisse la sua pelle.
Corse chiamando il suo nome.
«Steve?... Steve?... Steve?»
Non c'era, non era nelle sue stanze, non era nella Sala del Trono. Steve non c'era.
«Linn?»
Si voltò con il volto bagnato di lacrime e tirò su con il naso quando vide il viso della sua signora.
Aspettò che le fosse vicina, aspettò che non le chiedesse nulla, che ascoltasse le risposte nei suoi singhiozzi. Aspettò che le avvolgesse le braccia attorno e la stringesse forte, lasciandosi bagnare dalle sue lacrime.
Lasciò che le sospirasse che sarebbe andato tutto bene, che Steve stava bene e sarebbe stato bene.
Lasciò che i lampi squarciassero i cieli, che altre fiamme piovessero attraverso le grida dei soldati e il sangue che scorreva sulla loro pelle... Come scorreva su quella di Lady Sigyn.



*



Era incredibile, molto più di quanto aveva creduto, molto di più di quel che sembrava da quelle imponenti balconate.
Steve alzò il naso all'insù e poi portò lo scudo sulla sua testa mentre una palla di fuoco lo colpiva.
La vide rotolare via, davanti ai suoi piedi, finché la palla non iniziò a muoversi e le fiamme divennero braccia e gambe, e una spada. Le fiamme lo guardavano, urlavano, e correvano per colpirlo.
Piegò lo scudo pronto a riceverlo, ma le fiamme caddero di nuovo a terra, così come erano arrivate.
«Ma che...? »
Abbassò l'arma e voltò il capo alla sua sinistra.
«Bella difesa, amico. Ma deficiti alquanto nell'attacco.»
Un uomo corpulento con una folta chioma rossa come la lunga barba, gli sorrideva, tenendo strette fra le mani due grandi asce.
Al suo fianco un altro uomo dai lineamenti orientali che aveva da poco infilzato un'altro ammasso di fiamme.
«Il Capitano Steve Rogers, presumo,» disse ancora quello più basso che aveva finalmente conosciuto.
«Volstagg?» chiese per sincerarsene rivedendo su quel viso quello del compagno di vecchia data di cui tanto aveva narrato Thor.
Volstagg sorrise ancora e annuì.
«Ai tuoi comandi, capitano. Lui è Hogun, colui che ha appena salvato la tua vita.»
«Grazie.» Si sentì in dovere di ringraziare mentre sentiva il caldo soffocante stringergli il collo.
Dense gocce di sudore presero a bagnargli i capelli e scivolarono sulle sue tempie. Guardava incredulo la piana in cui si stava consumando una lotta che sembrava tanto simile a quelle che aveva vissuto nella sua prima guerra eppure assolutamente diversa.
«Lotti a mani nude, soldato?»
«Cosa?» chiese distratto vedendo altre enormi ammassi infuocati precipitare dalle nubi grigie che offuscavano il cielo.
Volstagg gli venne vicino e gli porse una delle sue asce. «Una buona guardia necessita di un'altrettanto degna offensiva.»
Steve guardò la lama lucente e il lungo manico. Non aveva mai brandito un'arma simile ma sapeva bene che l'uomo aveva ragione, con il suo solo scudo non poteva molto contro quelle creature composte totalmente di fiamme. Accettò quindi la sua offerta e quando strinse l'impugnatura l'avvertì più leggera di quello che aveva creduto. Sembrava essere stata costruita per essere maneggevole e allo stesso tempo letale.
La testò e la fece ruotare nella mano prendendone confidenza.
Udì Volstagg consigliargli di recuperare anche un'armatura ma per quella non aveva tempo.
«L'armatura che vesto di solito non è poi molto diversa da ciò che indosso ora» affermò non propriamente onesto, però non era il caso di sottolineare l'appariscente look della sua divisa.
«Non si muovono seguendo l'avversario ma attaccano senza uno schema preciso.» Hogun parlò per la prima volta e Steve capì perché Thor diceva che era un uomo dalle poche parole ma dai consigli preziosi.
«Cosa proponi di fare?» gli chiese quindi.
Hogun continuò a guardare l'orizzonte. «Sono bestie prive di raziocinio. Nessuna strategia può davvero essere efficacie. Dobbiamo solo debellarli tutti, uno a uno, e restare vivi.»
Steve sospirò.
«Ottimo piano, amico mio.» Ruggì Volstagg. «Tagliamo loro la testa e spegniamo i loro bollori» ridacchiò e benché inappropriato, Steve fu quasi rincuorato dalla sua ironia.
Cercò con lo sguardo di scorgere Styrkárr o Amora fra la folla di teste. Al loro fianco avrebbe forse scorto anche Thor e in tutta sincerità, benché consapevole di ciò che gli era stato chiesto, era preoccupato su come si potesse evolvere la faccenda. I suoi compagni ignoravano la realtà delle cose, solo Sif conosceva parte di quella verità. Steve si chiese come Odino avrebbe mai potuto spiegare al suo esercito il perché il loro principe li stava combattendo al fianco del nemico.
La vista di un gruppo di una dozzina di esseri di fiamme lo costrinse a sopprimere ogni pensiero. Si stavano avvicinando come una marea di fuoco pronta ad inghiottirli.
Strinse la mano attorno all'ascia e l'altra alla fibbia dello scudo.
«Per Asgard!» L'urlo di Volstagg gli risuonò quasi nel petto.
«Per Asgard!» urlò anche il quieto Hogun.
Deglutì e si preparò alla battaglia.
«Per Thor...» mormorò fra sé mentre scattava verso di loro.



*



Odino udì i passi che giungevano dalle scalinate. Lo sguardo fisso dinanzi, sugli arbusti senza tempo che raccoglievano sapere e storia.
Allungò la mano verso l'antica corteccia e sentì sotto il palmo la linfa della vita di ogni terra e mondo, di ogni singolo essere che viveva e che aveva vissuto.
«La battaglia infuria.» Fu Freyja a parlare per prima mentre Frigga raggiungeva il suo fianco. Odino annuì grave e volse lo sguardo verso la sua sposa. Il viso piegato dall'afflizione, i suoi occhi lucidi ad abbracciare lacrime.
«Styrkárr è qui. Ne percepisco l'energia,» affermò e Freyja concordò con lui. «È però celato dietro a un velo mistico. Dobbiamo attendere che cada e poi potremo iniziare.»
«Il tempo ci è nemico, Odino,» disse la regina di Vanaheim.
«Nulla più ci resta, Freyja, se non attendere. Credimi, se potessi ridurre l'attesa l'avrei già fatto.» Finché Styrkárr non si fosse mostrato e con esso il legame che lo legava a Mjolnir, il rito non avrebbe avuto ragione di essere attuato.
«E Thor?» Giunse infine la domanda di Frigga. «È qui?»
Odino accarezzò ancora il legno dell'universo e tacque.
Ciò che aveva temuto era accaduto.



*



«Che ne pensi?» Amora sospirò soddisfatta mentre udiva le urla dei soldati e il loro affannoso lottare. «Sei pago di ciò che vedi? Fuoco e fiamme. Tutto ciò che chiedevi.»
Styrkárr rise querulo e quella risata era rivoltante. L'Incantatrice incrociò le braccia sotto al seno mentre continuava a guardare la sua opera dall'alto della sua finestra magica, aleggiando nell'aria, al di sopra di una ventina di metri dal campo di battaglia.
«Hai un gusto davvero invidiabile nella creazione delle tue creature, Amora, te ne do atto. C'è un perverso fascino nella loro abominevole natura.»
«Lo prendo come un complimento.»
«Oh, lo era, mia cara. Assolutamente...»
Anche Styrkárr guardava ciò che stava accadendo al di sotto dei loro occhi, con le dita legate attorno quell'arma che lei aveva fatto in modo che possedesse.
«Voglio vedere Odino in miseria» sospirò Styrkárr con occhio folle. «Voglio vederlo inchinarsi ai miei piedi e baciare il suolo mentre invoca pietà per le sue genti.» E poi rise ancora e la guardò. «Voglio vederlo piangere sangue da quell'unico dannato occhio.»
«Prego, allora.» Lo invitò mentre raggiungevano la cima di un piccolo colle. Con un gesto della mano il velo che li celava si frantumò.
«Dopo che avrò fatto giustizia, avrai la tua corona di regina di Asgard, Amora.»
«Te ne sono grata.» Finse un sorriso mentre un senso di fastidio e rabbia cresceva nel suo stomaco.
A quanti compromessi era dovuta scendere a causa di questo folle Vanr? E adesso Thor non era lì al suo fianco, e non poteva sopportarlo. Avrebbe voluto che gli occhi di tutta Asgard inorridissero nel vedere quanta lealtà e devozione il loro principe riversava per la donna che avevano chiamato strega e traditrice. Voleva che gli occhi dei suoi compagni, gli occhi di Sif, fossero su di lei mentre Thor prendeva la sua vita.
Il suo sguardo cercò la mora guerriera che lottava con furia le sue creature.
Poi Styrkárr alzò il braccio e un fulmine rivelò a tutti la loro presenza. Anche gli occhi della lupa guerriera furono su di lei.
E se Thor non poteva offrirle il cuore di Sif in dono, poco importava. Le avrebbe portato un altro cuore per dimostrarle la sua adorazione, e sarebbe stato altrettanto piacevole.










«La lunga guerra che aveva per secoli diviso Asgard e Vanaheim giunse a un punto di stallo. Le perdite erano state ingenti su entrambi i fronti, gli eserciti erano logori e stanchi, ma soprattutto ignari del vero motivo per cui continuavano a lottare. Così, il Re Freyr, al commando dell'armata Vanr, invocò una tregua fra i due regni e chiese a Odino di ritirare le sue truppe dal territorio di Vanaheim, in cambio avrebbe concesso asilo e cure a tutti i soldati asgardiani feriti. Odino accettò e la tregua divenne in breve un tacito accordo di non belligeranza. Ma la pace non è sempre una conquista, per alcuni essa equivale alla più cocente delle sconfitte, fu così che Styrkárr, uno dei generali dell'esercito di Vanaheim, pensò bene di avvelenare il suo re e accusare Asgard di quell'attentato, in modo da poter infrangere la pace da poco trovata. Ma Freyja, sorella e amante del re Freyr, dubitò da subito della veridicità delle accuse mosse da Styrkárr ma, mentre Freyr giaceva grave in un letto, Styrkárr giunse ad Asgard con una richiesta di asilo politico. Odino ignorava le reali condizioni in cui versava Freyr e così accettò in nome della ritrovata alleanza di ospitare quel Vanir.
Freyja mise in guardia il Padre degli Dèi più volte, inviando missive che allertavano alla prudenza, ma senza palesare come stavano le cose. Non voleva che si sapesse della precarietà del comando di Vanaheim. Sperava che Freyr si riprendesse così da poter accusare apertamente Styrkárr e chiedere ad Asgard di estradare quel traditore e punirlo come meritava.
Nel frattempo Styrkárr si insinuava nelle grazie della corona di Asgard e spargeva pillole di dissenso per quella pace, parlando di come Freyr e Freyja fossero in realtà pronti ad attaccare gli Aesir quanto prima. Odino, sciocco, quasi cadde nelle sue trame se non fosse che le condizioni di Freyr peggiorarono portando alla morte del re e così Freyja giunse di persona ai cancelli di Asgard, colma di dolore e rabbia, e chiese a Odino di portargli quel traditore affinché potesse ucciderlo con le sue mani. Fu a quel punto che Styrkárr fuggì, svanendo nel nulla, ma lasciando dietro sé le braci di una nuova prossima guerra. Ma la guerra non venne, e Odino e Freyja decisero di sancire quella pace con un accordo che punisse qualsiasi gesto di offesa e che li spingesse a soccorrere uno il regno dell'altra in caso di pericolo. Quindi Styrkárr fallì nel suo intento ma non abbandonò mai la voglia di vendicarsi di Asgard, e nella sua folle perversione, è ancora convinto di lottare in nome di Vanaheim... Questo è tutto. Domande?»
Natasha osservò il viso di Loki che sedeva a gambe incrociate sulla branda, con la sua nuca poggiata contro il muro e le dita delle mani intrecciate sul ventre.
Era scesa per chiedergli di parlargli di ciò che sapeva su Styrkárr e sul suo piano, di come Steve poteva aiutarli. Era scesa pronta a usare ogni tecnica necessaria per debellare il suo prevedibile rifiuto, e invece si era ritrovata di fronte a qualcuno che semplicemente le aveva risposto.
Forse era verità, forse solo un ammasso di menzogne cucite ad arte per prendersi gioco di loro, e conoscendo Loki era quasi impossibile non puntare sulla seconda ipotesi, eppure qualcosa la spingeva a credere a ciò che aveva appena ascoltato.
Studiò in silenzio la sua espressione rilassata cercando di scorgere il più piccolo gesto che le portasse a dedurre con più esattezza come stavano le cose, ma la risposta che riceveva era sempre la stessa: aveva detto la verità.
«Styrkárr voleva Mjolnir per poter dichiarare guerra ad Asgard e riaprire una partita chiusa secoli fa?» Non era una vera domanda. Più una constatazione, ma Loki annuì e alzò le spalle.
«È sempre stata una personalità alquanto disturbata.»
Non riuscì a non sorridere.
«Ma nonostante questa bassa opinione lo hai aiutato comunque...» sottolineò e Loki sospirò annoiato.
«Non l'ho aiutato, Romanoff, ho semplicemente usato la sua esuberante pazzia per raggiungere i miei scopi.» Le sorrise scoprendo i denti ma nonostante quella sicurezza, Natasha sapeva di conoscere la vera realtà delle sue emozioni, e benché Loki avesse gridato vittoria più volte da quando era chiuso lì dentro, i suoi occhi parlavano di sconfitta, la più dolorosa delle sconfitte.
«Perché me lo stai dicendo?» chiese quindi con diffidenza.
«Perché me lo hai gentilmente chiesto,» le rispose lui sciogliendo le gambe e stendendosi sulla branda, un braccio piegato dietro alla testa e le palpebre a chiudersi. «Ora, se non ti dispiace, gradirei approfittare del mio status di prigioniero politico per stare in solitudine. Se hai altre domande puoi accompagnare Banner quando mi porterà la cena fra... penso due ore.»
Natasha sollevò scettica le sopracciglia alzando lo sguardo verso la telecamera prima di lasciare la stanza e tornare dagli altri.



*



«Penso che dica la verità» affermò la Romanoff entrando nella stanza. Tony si stiracchiò sulla sua sedia mentre Clint gli rubava un paio di chips dalla busta che teneva poggiata sulle gambe.
Bruce taceva, con lo sguardo pensieroso e l'espressione di chi non era molto felice di sentirsi dare del cameriere, soprattutto se a farlo era Loki.
Guardò ancora il monitor dove quello lì fingeva di dormire, o dormiva sul serio, ormai aveva anche perso la voglia di chiederselo.
«Sbaglio o ha detto che il re di Vanacoso aveva per amante sua sorella?» chiese Clint senza celare il suo disappunto.
Natasha sospirò e si sedette sulla seduta accanto.
«Non credo fosse quello il fulcro della storia, Clint.» Lo ammonì.
«Quello che voglio dire è che, gente, forse siamo noi ad essere arretrati. In pratica nel resto dell'universo scopare fra consanguinei è la prassi,» mormorò Barton fregandosi ancora una chips.
«Se proprio vogliamo intavolare questa conversazione, volevo precisare che Thor e Loki non hanno legami di sangue. Quindi la loro relazione non può neanche definirsi realmente un incesto.» Bruce intervenne dal fondo della scrivania mentre si massaggiava lentamente il ponte del naso.
«Sì, ma quando si sono divertiti a testare la solidità dei letti di Asgard questo non lo sapevano. Ricordi?» sottolineò a quel punto Tony. «Teoricamente erano consapevoli di commettere un incesto ma se ne sono ampiamente fregati.»
«Esatto!» concordò con lui Falco. «E comunque se avessi avuto una sorella come Sigyn, anche io me ne sarei sbattuto le palle della morale.»
A quell'affermazione Tony gli mostrò il pugno chiuso affinché lo colpisse con il proprio. «Ben detto, fratello. Yo!»
«Cosa?!» mormorò incredulo Bruce per poi scuotere la testa. «A ogni modo a me sta per venire un emicrania. Vado a prendere un'aspirina prima che peggiori. Voi continuate pure con i vostri profondi discorsi sulla morale... o sulla sua assoluta mancanza.» E continuando a borbottare abbandonò la stanza. Tony lo seguì con la coda dell'occhio finché la porta non si chiuse, poi infilò una mano nella busta d'alluminio scoprendola vuota. Fulminò Barton con un'occhiataccia mentre quest'ultimo masticava sorridente la sua ultima patatina.
«Credete che sia davvero innocuo o sta nascondendo qualcosa?» chiese poi Natasha senza mostrare alcun interesse per i loro precedenti discorsi.
«Non dobbiamo abbassare la guardia in ogni caso,» disse Clint. «Quel bastardo è capace di inventarsi di tutto per salvarsi il culo.»
«Sarà, ma a me sembra che abbia gettato la spugna...» Le parole della Romanoff furono seguite da un breve silenzio mentre tutti guardavano la sagoma di Loki che dormiva sulla branda.
«Sta per perdere l'unica donna che lo abbia mai amato. Anche gli psicopatici hanno un cuore» sospirò Tony con finta ironia, sentendo in verità di credere realmente a ciò che aveva detto. Che Loki amasse Sigyn era un dato di fatto, che poi Sigyn fosse la versione femminile di un fratello a cui aveva giurato odio fino al termine dei suoi giorni, era, per così dire, un piccolo enorme dettaglio.
«Se sta soffrendo gli sta solo bene. E scusatemi se non provo empatia per le pene d'amore di un pluriomicida alieno.»
«Nessuno prova empatia per lui, Clint, sto solo dicendo che per quanto uno possa essere un viscido verme, anche un viscido verme può avere i suoi punti di rottura... Natasha ha ragione: ha mollato.» E detto questo Tony si alzò per gettare la busta vuota nella pattumiera. «Il problema è che quando non hai più nulla da perdere, è a quel punto che diventi davvero pericoloso.»
Natasha trattenne palesemente un sospiro e Clint masticò qualche parola fra i denti. Tony avrebbe scommesso il suo patrimonio, fossero gentili insulti.



*



Il silenzio non esisteva. Il silenzio aveva il suono dei ricordi e il sapore amaro della rabbia.
Loki lo sentiva battere nella testa, versarsi nelle orecchie e scorrere selvaggio in ogni cellula del suo corpo.
Il silenzio profumava di lei, aveva il suo respiro e la sua voce, la luce dei suoi occhi, la colpa che li inumidiva e li celava.
Il silenzio era l'eco di quella richiesta che gli aveva fatto, di quel cuore che era collassato su se stesso.
Il silenzio, un tempo amico, era adesso la più ignobile delle compagnie, ma anche la sola che poteva avere accanto.
Aprì gli occhi a guardare il soffitto bianco.
La Romanoff era andata via con le risposte che le aveva dato e le domande che non gli aveva posto.
Loki non si chiese perché le avesse concesso quella conoscenza.
Sono annoiato, sibilava nella sua mente. È solo un gioco.
Ma le menzogne sembravano crollare in fretta adesso. Neanche la sua lingua d'argento riusciva più a tenerle integre.
Pensò a Jotunheim, alle sue montagne di ghiaccio, che mai nessun tempo avrebbe scalfito. Sarebbe dovuto divenire come quel ghiaccio, come quelle terre su cui avrebbe potuto governare se avesse voluto, come quella patria che aveva sempre rinnegato.
Allungò una mano davanti ai suoi occhi e la studiò: era pallida, sottile, con la pelle liscia e priva di imperfezioni.
Tante volte l'aveva vista mutare sotto il suo sguardo, l'aveva sentita divenire gelida e ruvida. Ma non adesso, adesso non sentiva quel freddo bruciare nelle vene, quel soffio di ghiaccio sfiorare la sua anima.
Sentiva freddo, Loki, ma non perché ne possedeva il seme.
Perché qualunque creatura lontana dal suo sole moriva di gelo, anche un figlio dell'inverno.











«Lo vedo!» Odino affermò quando riuscì a scorgere distintamente il seiðr di Styrkárr e la forza mistica di Mjolnir.
Provò anche richiamarlo, provò un assurdo tentativo per evitare di attuare quel potente rito ma non riuscì. Era distante, Mjolnir, intrappolato in una fitta rete che gli impediva di giungere a lui.
«Anche l'Incantatrice è con lui,» appurò Freyja prendendo posto alla sua sinistra. Frigga mosse qualche passo affinché la triade si formasse con accuratezza.
Odino la guardò a lungo finché non ebbe il suo sguardo indietro.
«Se Thor non è qui come potrà il mortale giungere da lui?» gli chiese con freddezza.
Odino le aveva comunicato che Thor non era su Asgard, che la sua essenza non toccava il loro regno, ma non era distante. Odino poteva dire di conoscere la vera ubicazione di quel figlio ma aveva taciuto questo alla sua sposa, troppo avrebbe chiesto al suo cuore di madre già ferito, al suo spirito già provato.
Conosceva Styrkárr, conosceva il suo essere subdolo e infido e sapeva bene che non avrebbe rischiato una mossa con Thor nelle vicinanze. Aveva sperato fino all'ultimo che la superbia lo spingesse a un gesto avventato, ma il Vanr si era mostrato consapevole delle sue azioni.
E se Thor non era su Asgard, poteva essere solo su un altro regno, e non era una buona notizia.
«L'Incantatrice potrebbe interferire con la magia nel caso l'avvertisse. Dobbiamo essere rapidi e non lasciar loro alcuna possibilità di agire.»
Le due donne annuirono all'unisono e Odino poggiò nuovamente le mani contro il tronco stavolta seguito dalle due sovrane.
Guardò ancora la sua sposa, il suo viso concentrato e gli occhi celati e pregò le Norne affinché non dovesse pentirsi di aver ceduto alla sua ostinazione. Ma non vi era tempo per simili sentimenti.
Era tempo di porre fine a quella storia, era tempo di salvare il suo regno e la sua famiglia.



*



La battaglia esplose con rabbia quando accanto agli esseri di fiamme giunsero quelli che sembravano enormi lupi dalle lunghe zanne, con artigli neri come pece e occhi di un terribile glaciale grigio. Il loro manto anch'esso cosparso di fuoco, mentre caricavano decine di soldati neanche fossero fuscelli al vento. Tutti quegli uomini con cui aveva lottato, che aveva visto allenarsi all'arena, e bere sorridenti alle locande. Tutti stavano morendo uno dopo l'altro.
Sigyn strinse i pugni e denti sentendo la rabbia esplodere come una tempesta. Non poteva fare nulla, non poteva lottare al loro fianco, non poteva neanche morire in nome del suo regno e della sua salvezza.
Linn lasciò andare ancora un singhiozzo, mentre si copriva la bocca con le mani. I suoi occhi umidi e le piccole spalle scosse dalla paura.
Sigyn le avvolse un braccio attorno e la tirò a sé coprendole la vista di quella carneficina che si consumava dalla balconata. Le mura della città erano protette dal più prode dei reparti dell'esercito, e i Sapienti stavano invocando incantesimi per sollevare alte barriere di seiðr e impedir alle frecce di fiamme di oltrepassare il perimetro.
«Devo raggiungere il Bifrost, Linn» affermò e la vide sollevare il capo per guardarla.
«No, mia signora non potete!»
«Io devo,» insistette poggiandole le mani sulle spalle. «Devo andare da Loki. Devo parlargli prima che-» Un forte scossone interruppe le sue parole e fece tremare il pavimento. Sigyn si appoggiò a una parete e Linn le cadde addosso. «Tutto bene?» le chiese e la ragazza annuì asciugandosi le guance con il dorso della mano.
«Mia signora, non c'è modo di raggiungere il Bifrost adesso,» affermò con voce rotta. «Guardate, come potete pensare di sopravvivere?» C'era paura nei suoi occhi, c'era apprensione e terrore.
Sigyn sospirò, conscia della verità delle parole di Linn, ma doveva andare doveva parlare con Loki prima che fosse tardi.
«Se anche riusciste a superare la bolgia della battaglia, come potete aprire il passaggio?» Linn indicò un punto in lontananza e Sigyn lo seguì scorgendo la lunga spada di Heimdall e la lucente armatura del guardiano che lottava con coraggio e onore. «Il Guardiano non può aprirvi la strada, nessuno può farlo.» Una lacrima lasciò ancora gli occhi di Linn. «Non andate, Sigyn... non andare...»
Ne scese ancora una e poi ancora una, finché Sigyn non le asciugò con le dita accarezzando con dolcezza quel viso arrossato.
«Potrei non rivederlo più, Linn. Lo capisci?»
«Perché dici questo? Steve ce la farà, lui riuscirà a salvare Asgard e Thor.» Quelle parole erano una lama nel suo cuore, perché Linn non sapeva del patto che aveva stretto con Freyja, del loro accordo, della folle richiesta che aveva fatto alla Signora di Vanaheim.
Sigyn doveva andare, doveva fare in modo che Loki sapesse ciò che provava e che aveva sempre provato. Doveva ascoltare la sua supplica di perdono, ascoltarla anche senza mai concedergliela. Loki doveva semplicemente sapere.
Quando Loki tornerà io non sarò più qui, e tutto svanirà come non fosse mai accaduto.
Sentì ogni singola parola salire in gola e posarsi sulla lingua ma nessuna di esse venne pronunciata.
Linn poteva sapere, Linn che era stata una persona così importante per entrambi poteva sapere e forse...
«Linn,» le accarezzò ancora il viso e la guardò con serietà. «Voglio che tu mi ascolti attentamente, che ascolti tutto ciò che ho da dirti senza aver timore. Va bene?»
Attese il suo assenso che giunse con incertezza dopo un primo silenzio.
Fuori la guerra vomitava altre vittime, le fiamme incendiavano gli arbusti e le carni dei soldati. Grida di dolore e di battaglia salivano alte nel cielo. Le mura tremarono ancora, ma Sigyn e Linn restarono lì, silenti e vicine.
«Ti ascolto, Sigyn.»
E Sigyn sorrise anche se in realtà aveva solo lacrime da versare.



*



Si sentiva stanco, stanco come non mai. Il braccio doleva e un fiotto di sangue scendeva dal suo sopracciglio sinistro e gli offuscava la vista. Aveva qualche costola rotta, ustioni su buona parte del corpo e la caviglia destra gonfia, forse distorta, ma non poteva curarsi di questo. Steve lottò come fosse ancora al primo respiro, lottò contro ognuno di quei mostri come non ne avesse già abbattuti decine e poi altre decine. Lottò al fianco di Volstagg e di Hogun, al fianco di Fandral che si era unito a loro saltando giù da un cavallo e brandendo con agilità la sua spada.
Piegò lo scudo e si riparò quando quella bestia enorme lo caricò senza complimenti. Si ritrovò gettato una decina di metri indietro, e scattare in piedi fu doloroso ma dovette farlo prima di finire schiacciato dalle sue zampe.
Impugnò l'ascia e la fece ruotare stringendo i denti, l'adrenalina pompava selvaggia nelle sue vene nascondendo al momento l'effettivo dolore che piegava il suo corpo. Lo attaccò al collo con un colpo secco, squarciando la sua gola nonostante le fiamme. La bestia urlò e barcollò tentando di attaccarlo nuovamente, ma alle sue spalle Fandral balzò veloce e piantò la sua lama sottile fra gli occhi dell'animale che cadde a terra con un tonfo assordante.
Steve riprese fiato abbassando di poco le sue armi e aspettò che il biondo guerriero lo affiancasse.
Un semplice cenno di intesa e la lotta riprese. Alzò però lo sguardo alla collina, dove aveva scorto Styrkárr e Amora. La donna non era più lì però e l'uomo era rimasto nello stesso luogo a lanciare saette sull'esercito di Asgard, quasi fosse suo intento quello di mostrarsi apertamente ai suoi avversari.
E Thor dov'era?
Guardò poi alle sue spalle, il palazzo che si ergeva ora distante. Respirò con affanno e si pulì il mento insanguinato con il polsino ormai logoro della sua camicia.
Odino doveva sbrigarsi, qualsiasi cosa stesse facendo, perché Steve temeva che il tempo fosse ormai agli sgoccioli; la sua forza di certo lo era.



*



Amora avanzò con passi lenti tenendo il viso alto e un sorriso sulle labbra. Sif le era di fronte, stanca e ferita eppure con lo sguardo fiero di chi non temeva nulla.
«Lady Sif, sei pronta per abbracciare la morte a cui sfuggisti secoli fa?» Si fece beffe di lei con una risata divertita, e la guerriera fece ruotare l'elsa della sua lama nel palmo della mano.
«Pagherai ciò che gli hai fatto, lurida cagna.»
«Uh, sei sempre così poco femminile... non deve stupirti che Thor non ti abbia mai degnata di uno sguardo.»
Sif digrignò i denti con un sonoro gemito di gola.
Ad Amora non restò che fare un ultimo passo e un ultimo sorriso.
«Stai per morire, Sif, e morirai senza mai conoscere il sapore dei suoi baci.»
Un'ultima parola prima che si avventasse su di lei.



*



Era uno spettacolo senza prezzo: Asgard in fiamme, le urla, il sangue, l'impotenza dell'esercito Aesir che si decimava sotto i suoi occhi.
E l'energia che scorreva nel suo braccio, nel suo corpo, nella sua anima era adesso spaventosamente potente. Saette e tuoni vibravano sotto la sua pelle mentre squarciavano i cieli con il loro fragore.
Dov'era Odino? Dov'era quel vecchio codardo? Nascosto nel suo bel palazzo d'oro invece che sul campo al fianco dei suoi uomini? Era così terrorizzato il Padre degli dèi?
Styrkárr rise e rise ancora lasciando cadere altri fulmini, a decine, sull'armata di Asgard. Presto sarebbe crollata e, con un esercito inesauribile come quello creato dall'Incantatrice, il trionfo era solo questione di attimi.
Mjolnir cantava, piangeva nella sua mano, la sua forza senza eguali che lo avrebbe portato in breve ad avere sotto i piedi il cadavere di Odino.
Ancora una risata, folle, mentre il pianto diveniva lamento e i brividi sotto la sua pelle presero a pungere come mille scintille.
«Cosa...?» sospirò guardando l'arma. Era ancora sua, la sentiva, poteva farne ciò che voleva eppure era come se stesse cercando di dirgli qualcosa.
Ancora una scossa, ancora un lamento.
Serrò la stretta sull'impugnatura benché la percepisse divenire sempre più calda, sempre più pesante.
Poi capì.
«Odino!» ringhiò cercandolo con lo sguardo.
Quel maledetto!
Mjolnir continuò a piangere e Styrkárr iniziò a temere.
«Uccideteli! Uccidete tutti questi cani Aesir!» urlò verso l'esercito continuando a colpire con saette e fulmini, mentre le sue dita facevano sempre più fatica a restare attorno a quel martello.











Era un mondo piccolo, un mondo inutile, abitato da altrettante inutili creature.
Aveva combattuto per quel mondo, lo ricordava, eppure non ricordava il perché. Per quale ragione li avesse difesi, Thor non lo sapeva. Non se lo chiedeva, perché tutto ciò che contava era soddisfare i desideri della sua regina.
Alzò lo sguardo verso l'alta costruzione. Ignorò i patetici uomini che cercarono di interporsi fra lui e la sua meta. La spada divenne vento e spazzò via tutti. Il vento aumentò mentre ne faceva ruotare l'elsa nel palmo e si ritrovò a volare in direzione della cima.
La sua missione era lì, la sua missione aspettava di essere portata a compimento. Una vittoria e mai nessuna sconfitta, in nome della sua signora e regina Amora.
I piedi toccarono il duro spiazzare grigio. Thor non si guardò intorno, puntò dritto davanti a sé verso la porta chiusa che aprì con un calcio. Scale e altre scale. Uomini e altri uomini. Soldati inutili da eliminare con pochi fendenti.
Il bianco mantello volteggiava alle sue spalle, la mano stretta attorno al dono più caro che avesse mentre divorava con vigore una rampa dopo l'altra.
Ancora una porta, un fischio fastidioso. La spada divenne fuoco e bruciò.
I volti con cui si scontrò stavolta li conosceva, conosceva i loro nomi e sapeva che aveva lottato a loro fianco.
La donna disse qualcosa, Thor la colpì con la lama mentre lei cercava di evitare l'affondo. L'arciere gli scagliò contro una freccia e ancora una.
La spada era ora ghiaccio e l'intera stanza si coprì di brina.
Le frecce caddero a terra come cristalli senza vita, i corpi fragili dei due presero a tremare.
«Fermati! Thor, fermati!»
Ascoltò quelle parole ma non le udì davvero.
Lo scontro fu rapido, e la donna cadde a terra con un profondo squarcio nell'addome. L'arciere urlò. Non sprecò tempo a ucciderli. Non era stato questo il suo comando.
Afferrò il collo dell'uomo con l'arco e strinse forte subendo calci e pugni finché la sua forza non si affievolì insieme alla vita che bruciava nei suoi occhi.
«Dov'è?» chiese. L'arciere tentò di parlare mentre gli stringeva le mani attorno al polso. Thor lo sollevò da terra e alzò lo sguardo per guardare il suo volto perdere il colore naturale.
«Dov'è?» chiese ancora allentando appena la presa.
«Che diavolo vuoi...? Thor... smett-ila» rispose affannoso l'arciere.
Clint...
Erano stati amici.
Erano amici?
Sentì un brivido, un forte calore alle tempie. Serrò la mascella e il pugno attorno alla gola.
«Dove si trova Jane Foster?» chiese stavolta con voce rabbiosa. «Rispondimi e non ti spezzerò il collo.»
«Non p-puoi fare del male a... Jane... Thor, tu la a-mi, lei...»
«DOV'È?» L'intera stanza tremò sotto il suo urlo ma la risposta non venne.
L'arciere assottigliò lo sguardo e mostrò i denti come una bestia pronta a dar battaglia prima di morire.
«Fottiti!»
L'osso del collo, glielo avrebbe spezzato e poi avrebbe setacciato ogni stanza finché non l'avesse trovata.
Un solo cuore, amore mio. Solo un cuore per avere la mia eterna gratitudine.
Il cuore di Jane Foster, e Thor glielo avrebbe consegnato ancora grondante di sangue.
Strinse le dita, rubò altra aria a quell'umano e poi...











***






Note:
[1] Brísingamen è un gioiello magico che secondo la mitologia appartiene alla Dea Freyja. [Wikipedia]









NdA.
Sono costretta a ripetermi ma, davvero, le scene di azione non sono proprio il mio forte. Questo capitolo e il successivo sono stati per me motivo di grande insicurezza perché boh, mi facevano semplicemente defecare ^^'
Ma non sono in cerca di blande rassicurazioni.
Spero solo che sia stato decente. Solo questo.
Come preannunciato anche il 33 sarà un capitolo di azione(?) ma avremo anche il più importante dei risvolti.
Con questo non aggiungo altro e vi saluto chiedendovi infine di perdonare il cliffhanger bastardo.
Alla prossima!
Kiss kiss Chiara
  
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