Halo!
Rieccomi qui, con un capitolo decisamente corto,
scusate ç.ç Il fatto è che per una serie di problemi
non riesco a scrivere troppo, anche i compiti delle vacanze si sono messi in
mezzo @.@ Comunque, leggete e commentate, non mi abbandonate!!! ç.ç Dato che alla fine i commenti sono diventati 5, ma all’inizio
c’era solo Roro, e poi Kyotochan
*grazie kyotochan! ç.ç* mi
ero buttata giù, vi prego, commentate! ç.ç Ringrazio
tutti quelli che hanno commentato lo scorso capitolo comunque, vedere che alla
fine i commenti sono cresciuti mi ha tirato su (commentate, o mi arrabbio! ndEmiko al telefono) No, non c’è bisogno Emiko! O.O
P.S:
Visto che la Shot The Host
ha avuto successo, sto facendo un pensierino sul seguito che mi avete richiesto
^^ Non prometto nulla ma ci provo!
Aryuna
The
pursuit of happiness
Inuyasha
continuava a camminare avanti e indietro nella grande stanza, tanto che ormai
stava consumando il tappeto. Kagura continuava a
fissarlo, nervosa e confusa allo stesso tempo. Confusa dalla situazione,
decisamente complicata. Avevano imprigionato Naraku,
grazie a Sesshomaru, e Inuyasha
aveva fatto una chiacchierata… poco amichevole con Mimisenri.
Oltretutto,
Inuyasha non aveva pace. Ora si deprimeva sul letto,
ora camminava avanti e indietro, ora si sentiva male. ‘Imbarazzante’, pensò Kagura sospirando, e
sperando vivamente che Shippo portasse a termine la
missione positivamente. E ripensando a Sesshomaru
piegato dalla piccola e piangente Rin.
Tutto
ciò finché Inuyasha non sobbalzò di colpo.
“Che
succede?”, chiese Kagura, preoccupata –
incredibilmente – per la salute del suo Padrone. Lui si voltò a fissarla, in uno
scatto che la fece sobbalzare. La fissava…
illuminato? No, non fissava lei, fissava la porta. A quel punto, un odore
familiare le giunse al naso.
“Ma
non è…”. Frase interrotta da uno spostamento d’aria. Kagura rimase immobile con gli occhi spalancati, sconvolta
per la rapidità con cui era corso via Inuyasha. Il
ragazzo si era fiondato nel corridoio, seguendo solo la scia, e inciampando in
tre servitori e in una scopa. Nonostante questo, si lanciò praticamente a
quattro zampe sulle scale. Riuscì a riprendere l’equilibrio senza neppure
sapere come, e scese gli ultimi gradini con il forte desiderio di saltarli.
I
suoi occhi ambrati si fissarono su un solo, unico punto. Lei. Lei, che era
ancora alla porta, mentre tra le sue gambe si incrociavano Shippo
e Souten, mentre litigavano. Urlavano, ma lui era
troppo concentrato. Erano solo un eco lontano in un silenzio profondo,
interrotto solo dal respiro di lei. I suoi occhi cioccolata che cercavano
qualcosa, o qualcuno, nell’enorme atrio. Occhi che si erano fissati su di lui,
quando rumoroso si era fiondato giù dalle scale.
“Inuyasha”, aveva sussurrato, talmente piano che lesse il
suo nome sulle sue labbra. Camminò verso di lui, con una lentezza che sembrava
calcolata, troppo, troppo lenta.
Aveva bisogno di saperla al sicuro, di sapere che era lì, e non sarebbe andata
più via.
“Inuyasha”, ripeté, stavolta con l’intenzione di chiamarlo.
Si fermò, a un paio di metri di distanza. Troppo, troppo distante.
“Inuyasha”, disse nuovamente, Kagome,
alzando il volto decisa, “Io…”.
Non
finì di parlare. Inuyasha colmò lo spazio tra di
loro, abbracciandola e stringendola a lui. Kagome
rimase immobile, sorpresa, insicura. Il ragazzo le passò una mano tra i
capelli, accarezzandoli, sentendo la loro morbidezza sotto i polpastrelli.
“Temevo
di non vederti mai più”, mormorò con voce roca, sofferente. La sua presa si
strinse a quelle parole, come a conferma. La ragazza non sapeva cosa pensare.
Voleva ricambiare l’abbraccio, ma temeva fosse la cosa sbagliata. Le sue
braccia erano a mezz’aria, indecise quanto lei.
“Vorrei… vorrei parlare in privato”, sussurrò Kagome, forzandosi di tenere le proprie mani attaccate ai
fianchi. Inuyasha annuì, prima di staccarsi da lei,
facendosi violenza. La portò nella sua stanza, e Kagura
si era dileguata, probabilmente intuendo il loro imminente arrivo. Chiuse la
porta dietro la ragazza, e attese. Doveva attendere, anche se voleva stringerla
di nuovo, baciarla, dirle che gli dispiaceva e che l’amava. Lei non parlava.
“Kag…”.
“Tu”,
lo interruppe lei, con un tono freddo. Le stavano tremando le mani, e questo lo
preoccupò. Quando Kagome si voltò, aveva le lacrime
agli occhi, ma nel suo volto si vedeva solo rabbia. “Hai la minima idea di come
mi sia… di come mi sento?”. Inuyasha
sobbalzò, mordendosi il labbro inferiore. Aprì la bocca per parlare, ma lei
urlò:
“Zitto!
Non hai la più pallida idea di come ci si senta!”.
“No,
infatti”, disse lui, stringendo i pugni, “ma… mi
dispiace”.
“Ti
dispiace”, ripeté lei, quasi in un sibilo, “e cosa pensi che me ne faccia del tuo
dispiacere?”. La sua voce era talmente sprezzante, che Inuyasha
ne venne ferito nel profondo. Non c’era proprio modo per rimediare ormai?
L’odio di Kagome era cresciuto a tal punto da
risultare incurabile?
“Allora… perché sei tornata?”, domandò il ragazzo, cercando
di nascondere la sua sofferenza. La ragazza sobbalzò, abbassando gli occhi. Non
lo sapeva, in realtà. Sapeva solo che quegli occhi, tutto in lui, la faceva
sentire al sicuro. Meno vulnerabile. E al contempo così debole. Perché sei tornata. Quelle parole
rimbombavano nella sua testa, ripetutamente, tanto da causarle dolore. Non la
voleva più?
“Io… ti ho ingannato”. La fanciulla spostò gli occhi
cioccolato sul ragazzo. “Ti ho ingannato per usarti…
perché assomigli alla fata. Ma…”, continuò Inuyasha, mordendosi il labbro, in difficoltà con le parole
come non mai, “ma adesso non è più così!”. Kagome
prese un respiro profondo. “Perdonami”, mormorò lui, cercando le iridi
cioccolato della ragazza. Ma quella le teneva ben piantate sul pavimento, con
sguardo afflitto.
“Devi
proprio odiarmi tanto per farmi tutto ciò che mi stai facendo”, sussurrò Kagome. Ora capiva perché era tornata. Non si trattava di
sicurezza, o di mancanza. Lei aveva bisogno di lui, come se lui fosse aria che
le riempiva i polmoni. E lui se ne approfittava. Fingeva di amarla per tenerla
vicina, per evitare che lei provasse odio nei suoi confronti. Come era successo
quando era scappata.
“È
perché ti amo che non voglio più ingannarti”. Kagome
spalancò gli occhi, fissandoli su Inuyasha. “Ti amo
così tanto che preferisco vederti felice lontano da me, che sofferente come sei
qui, a un braccio di distanza”.
“Mi
stai dicendo che puoi vivere benissimo senza di me?”, domandò Kagome, confusa. Lui la fissò, uno sguardo pieno di
sofferenza. “Come potrei?”, le chiese, quasi in un ringhio, “è ovvio che non
sarei felice. Ma sarei molto più infelice vedendoti soffrire per causa mia”.
“Smettila
di scappare!”, urlò Kagome, prendendolo alla
sprovvista, “Rinunci a tutto allora? Non ti importa nulla del mio perdono? Non
ti importa nulla di quello che penso? Credi che sia così semplice per me essere
felice? Perché sarei tornata, se non che non ero felice lì dov’ero?”.
“Che
cosa dovrei fare, secondo te?”, sbraitò Inuyasha,
“Obbligarti a rimanere qui?”.
“Sì,
maledizione!”, gridò la ragazza, agitandosi, “Fammi vedere che ci tieni a me!
Non rinunciare così facilmente solo perché non ti senti all’altezza! Cerca
anche la tua di felicità!”. Inuyasha boccheggiò,
senza sapere cosa dire. La sua felicità? Non aveva mai pensato alla felicità di
coloro che abitavano il castello. Erano tutti condannati ad un’esistenza
infelice, in fondo.
“Dimmi
che sbaglio”, singhiozzò Kagome, “dimmi che non mi
odi, ripetimelo fino a convincermi”. Inuyasha la
osservò, con le guance bagnate dalle lacrime. Colmo la distanza che li separava,
e la abbracciò, stringendola al suo petto, protettivo.
“Ti
amo”, le sussurrò, “ti amo più della mia stessa vita. E se mi chiedi di cercare
la mia felicità, se tu lo vuoi, allora non ti lascerò mai più andare”.
“Non
voglio farlo”, sussurrò la ragazza, chiudendo gli occhi, e lasciando scendere le
ultime lacrime della sua sofferenza, “non voglio andarmene mai più”.
Da
quel momento, Kagome non ricordò cosa successe. Era talmente
distrutta, che Inuyasha la mise a riposare sul suo letto,
e vegliò su di lei per tutta la notte.
Un
cosa, però, la ricordava. Il calore delle labbra di Inuyasha
premute sulle sue, dolcemente, che la cullarono nel mondo dei sogni.