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Autore: Astrea_    10/07/2014    1 recensioni
[Dal primo capitolo]
Sapevano che erano esattamente come tante piccole mine vaganti, senza passato né futuro, anime che si affannavano per sopravvivere, che si sbracciavano per rimanere a galla nell’oceano increspato della vita. Si sforzavano di cercare contatti, di trovare stabilità, amore ed affetto. Fingevano di comprendersi, di esserci l’uno per l’altro, di essere uniti, ma in realtà sapevano di essere terribilmente soli. Non erano un gruppo, ma solo l’unione di individualità problematiche, di adolescenti troppo presi ad affrontare le difficoltà del piccolo mondo nel quale si rinchiudevano. Erano fragili, talmente tanto che sarebbe bastata una sola folata di vento per raderli al suolo, ridurli a brandelli. Erano forti, tanto forti da mascherare le loro più grandi paure, l’incolmabile vuoto che sentivano nei loro petti e nelle loro menti.
STORIA ISPIRATA ALLA SERIE TELEVISIVA "SKINS".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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MARGARET

“Mamma, io esco”, la voce spensierata di Margaret riecheggiò tra le pareti del largo corridoio che stava percorrendo.
“Margaret, aspetta”, la richiamò sua madre, spuntando sulla soglia della cucina.
La ragazza si voltò di scatto, incontrando l’espressione preoccupata e pensierosa della donna.
“Tutto bene?”, domandò confusa.
“Dobbiamo parlarti”, esordì suo padre, comparendo alle spalle della madre.
Margaret li osservò per qualche istante, non riuscendo a non notare le loro espressioni afflitte e contrite. Annuì debolmente con il capo, poi seguì silenziosamente i genitori. Sua madre si sedette su una delle sedie del tavolo e lei la imitò subito, suo padre, invece, era in piedi, con le braccia poggiate sulla superficie in marmo del piano accanto ai fornelli.
“Cosa succede?”, la sua voce era appena un sussurro angoscioso.
I suoi genitori erano delle persone tendenzialmente allegre e vivaci, soprattutto quando erano in compagnia di Margaret. Scherzavano, si lasciavano scappare qualche battuta di troppo che aveva il magico potere di far sorridere tutti. Vederli tanto seri, per Margaret, era un evento talmente raro che non poteva farle presagire alcunché di positivo. Non voleva essere pessimista, ma quegli occhi spenti, i visi bui e tristi non erano affatto di incoraggiamento.
“Devi vedere Jean Paul?”, le chiese sua madre, non rispondendo alla domanda che Margaret aveva appena posto loro.
In realtà la donna cercava solo un modo per introdurre l’argomento, per giungere ad esso gradualmente. Sapeva che sua figlia non l’avrebbe presa bene, ma di comune accordo con suo marito avevano deciso di renderla partecipe di quella situazione. Ormai Margaret era grande, non era più quella bambina spensierata, era matura abbastanza da comprendere ed affrontare le problematiche familiari.
“So che non vi piace, ma lui a me sì”, sbottò con voce leggermente più dura, cercando di apparire autoritaria.
Non era intenzionata a smettere di frequentare quel ragazzo solo perché i suoi genitori erano diventati tutto d’un tratto gelosi e possessivi. Non avevano mai polemizzato sulle sue amicizie, si erano sempre fidati del giudizio di Margaret e lei proprio non riusciva a capire il motivo di tanta riluttanza proprio in quel momento. Jean Paul era un semplice ragazzo, nulla di più, e per di più era il figlio di un collega di suo padre.
“Oh sì, certo”, balbettò sua madre, con tono accomodante.
Un improvviso ed opprimente silenzio calò nella stanza. Margaret strinse le mani tra le cosce, piegando le labbra in un sorriso forzato che nascondeva disagio. C’era qualcosa di strano in quella conversazione, poteva percepirlo da come la madre continuava ad inumidirsi le labbra o dalle nocche, ormai bianche, delle mani del padre.
“Forse è meglio che vada, si sta facendo tardi”, borbottò Margaret, sperando di poter mettere fine a quell’atmosfera tanto pesante ad angosciante.
“Aspetta!”, il sussurro acuto del padre la fece immobilizzare.
L’uomo aveva fatto mezzo passo avanti e teneva lo sguardo sul volto della figlia, cercando di trovare in essi la forza e il coraggio per parlarle. Margaret deglutì, la consapevolezza della gravità della questione da affrontare di colpo si impadronì della sua testa.
“Stiamo attraversando un periodo difficile”, iniziò suo padre, poggiando le mani sulle spalle della moglie.
Prese un lungo respiro, mentre la donna portava le mani al viso, per coprirlo come meglio riuscisse. Margaret li fissava attentamente, attendendo che continuassero. In quel momento era incapace di provare qualsiasi emozione. Non c’era paura, timore, delusione, panico o altro, solo un’immensa confusione.
“Stanno facendo delle indagini finanziarie, purtroppo hanno scoperto degli ammanchi nell’ultimo bilancio”, spiegò l’uomo con voce atona.
La sua espressione era un misto di tristezza, amarezza, rabbia e paura. Non sapeva cosa sarebbe successo, non sapeva quanto gravi sarebbero state le conseguenze e temeva di poter perdere tutto ciò che negli anni aveva costruito con sacrificio e lavoro. La sua famiglia, il lavoro, la casa, la reputazione, tutto era in gioco, tutto dipendeva da quell’unico grande ed irrazionale errore.
“Cosa significa?”, il sussurro sconcertato di Margaret venne percepito come una pretesa, quella di ricevere spiegazioni, dettagli che la aiutassero a comprendere.
“In ufficio c’erano dei problemi con una delle ultime operazioni di cui ero responsabile. Avremmo perso l’affare e degli ottimi clienti, così ho fatto variare la destinazione di alcuni assegni. Pensavo che sarei riuscito a sistemare le cose prima che qualcuno potesse accorgersene, ma poi ne ho perso il controllo. Ho chiesto il trasferimento a Londra, solo per temporeggiare”, continuò con la voce intrisa di rimpianto.
Margaret vedeva gli occhi lucidi di sua madre, le parole del padre nel rimbombavano in testa.
“Lemoine si è accorto che mancavano dei soldi sul suo conto. Li avevo investiti in un nuovo progetto, li avrei riavuti nel giro di un mese e tutto sarebbe andato per il verso giusto, ma non ne ho avuto il tempo”, chiarì con tono dismesso ed occhi bassi.
Si vergognava di ciò che aveva fatto, del modo in cui aveva messo a rischio la sua famiglia solo per un altro inutile contratto che di certo non gli avrebbe cambiato la vita. Ma quella mancanza, quell’errore che impulsivamente aveva commesso, avrebbe potuto radicalmente farlo.
“Il cognome di Jean Paul è Lemoine”, la voce di Margaret era appena un sussurro.
Con occhi increduli guardava il padre, poi spostava l’attenzione sul viso straziato della madre, e riprendeva ad oscillare con gli occhi tra quelle due figure. Non voleva crederci, non poteva. Tutto le appariva talmente surreale da farle credere che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto. Le parole di suo padre si ripetevano nella sua mente ed ogni volta Margaret pareva comprendere un qualcosa di nuovo e più profondo. Quei termini vaghi e generici nascondevano una cruda verità che Margaret faceva fatica persino a pensare.
“Hai rubato dei soldi, sei scappato”, balbettò rimuginando sulle sue stesse parole.
Era quello il significato ultimo del discorso che suo padre aveva appena sostenuto. Progetti, buona volontà, problemi, quelle erano solo una serie di scuse attraverso cui presentare meglio l’orribile gesto che aveva compiuto.
“Io…”, provò a dire, come se volesse giustificare il suo operato.
“Hai rubato!”, urlò Margaret alzandosi di scatto dalla sedia.
La calma apparente che aveva avvolto il suo viso era del tutto scomparsa per lasciar spazio allo strazio, alla disperazione e alla stupore.
“Tesoro, stavo solo cercando di fare del mio meglio”, controbatté l’uomo, trovando enormi difficoltà nel terminare quella semplice frase.
“Rubando? Rubando?”, inveì Margaret.
La sua voce era ormai incrinata, tanto che era facile intuire sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro. Tutto le apparve improvvisamente più chiaro. L’improvviso trasferimento, l’antipatia per Jean Paul, la tensione della cena che si era tenuta poche settimane prima proprio in quella stessa stanza, ogni ricordo era come una tessera del puzzle che finalmente trovava il suo posto. Era delusa, ma allo stesso tempo impaurita.
“Cosa succederà ora?”, domandò in un mormorio appena udibile.
Suo padre chinò il capo, desolato ed affranto.
“Ci saranno delle indagini, bisogna attendere. Si potrebbe trattare di un’ingente multa o di reclusione”, la informò sua madre, rispondendo al posto dell’uomo.
“Cosa?”, l’urlo stridulo ed incredulo di Margaret riecheggiò tra le pareti.
La donna sussultò, mentre stringeva forte la mano del marito, poggiata sulla sua spalla quasi a volersi fare forza a vicenda.
Margaret era frastornata, tutte quelle notizie sconcertanti l’avevano pressa alla sprovvista. Avrebbe voluto abbracciare i suoi genitori, fornire loro tutto il sostegno e l’appoggio che una situazione delicata quanto quella richiedessero, ma la rabbia ed il rancore glielo impedivano. Suo padre le aveva mentito, aveva imbrogliato, non si era preoccupato delle conseguenze e, se anche l’avesse fatto, non era stato abbastanza prudente. Era colpa della sua insaziabilità e della sua avventatezza se ora rischiavano di perdere la tranquillità e la stabilità. Sua madre teneva gli occhi socchiusi, le labbra erano piegate in una smorfia di muta sofferenza.
Margaret percepiva il suo corpo fremere, tanto che non sarebbe riuscita a trattenerlo ancora per molto. Gli occhi le pizzicavano, ma lei si sforzava di non piangere, perlomeno non ancora. Era una situazione ambigua, quella. Da un lato avrebbe voluto scaricare tutta la rabbia che montava nel suo copro sui suoi genitori, accusandoli di essere stati eccessivamente superficiali, dall’altro leggeva il tormento nelle loro espressioni disarmate.
“Margaret, io…”, riprese suo padre, ma lei non gli diede neppure il tempo di terminare.
In un attimo di ritrovò a correre verso la porta, per poi uscire di casa. Le sue gambe si muovevano automaticamente, falcata dopo falcata, prestava poca attenzione alla strada che stava percorrendo. Aveva la vista annebbiata a causa delle lacrime che avevano iniziato a scendere sul suo viso, bagnandolo. Non aveva una meta, una destinazione, un luogo in cui rifugiarsi. Voleva solo scappare, allontanarsi per un po’ da quella casa e da quella serie di problemi che aveva scoperto gravassero sulla sua famiglia, il resto non le importava.
Il cellulare di Audrey squillò, distogliendola dal tentativo di lettura di un testo in francese che avrebbe dovuto studiare per il giorno successivo. Allungò lo sguardo, notando una serie di cifre che non conosceva lampeggiare sullo schermo. Sbuffò, ricordando che l’ultima volta che aveva risposto ad una telefonata da un numero sconosciuto si era ritrovata a dover cercare sua sorella per ore. Svogliatamente lo prese con la mano sinistra ed accettò la chiamata, poi portò il dispositivo all’orecchio.
“Sì?”, esordì stancamente.
Audrey teneva il gomito destro poggiato sulla scrivania della sua stanza, con la mano reggeva il capo. Stava studiando da quasi un’oretta ormai, senza riuscire a memorizzare nulla di utile. Continuava a leggere degli estratti del libro, sottolineandoli con evidenziatori di diversi colori, poi quando arrivava a fine pagina si accorgeva di non aver capito nulla ed era costretta a ricominciare. Era completamente distratta quel pomeriggio, completamente distrutta. Pochi minuti prima si era persino appisolata, ma poi il suo senso del dovere l’aveva improvvisamente ridestata, facendola sussultare.
“Ciao Audrey, sono Harry”, salutò cordialmente una voce maschile dall’altro capo del telefono.
Audrey aggrottò la fronte, frastornata. In quel momento avrebbe potuto tollerare di tutto, stanca com’era. Percepiva la pesantezza delle palpebre che spingevano per abbassarsi ed un forte desiderio di stendersi sul letto per concedersi del riposo.
“Ciao”, biascicò con la voce impastata.
“Stavi dormendo?”, fu l’ovvia domanda di Harry.
Il suo tono, al contrario di quello di Audrey, era vivace ed allegro.
“No, tranquillo”, borbottò lei, sforzandosi di apparire più attiva di prima.
Harry soffocò una risata, non avendo creduto neppure per un istante a quelle parole. Con le dita della mano libera giocherellava con i ricci, come se quel gesto potesse aiutarlo a distendere l’ansia e la tensione provocate da quella chiamata e, soprattutto, dalla voce di Audrey.
“Perché hai il mio numero?”, chiese confusa.
Con la mente ripercorse le poche volte in cui si erano parlati, ma non ricordava affatto di avergli lascito il suo recapito telefonico. Del resto Audrey non lo dava quasi mai.
“L’ho chiesto a Bree”, spigò Harry con un leggero imbarazzo.
Voleva parlare con lei, trascorrere del tempo insieme, conoscerla, ma a scuola era sempre così sfuggente e quelle poche volte che venivano organizzate uscite di gruppo non erano di certo sufficienti. Così quella mattina si era deciso a chiedere il numero a Bree, troppo timido per rivolgersi direttamente ad Audrey.
“Mh”, mugugnò lei in risposta. “E perché?”, aggiunse poco dopo, riscoprendosi insoddisfatta di quella piccola spiegazione.
“Volevo sentirti”, ammise Harry, impacciato.
Audrey sorrise, mentre con le dita iniziava a seguire il contorno delle pagine del libro che teneva aperto sulla scrivania. Al sicuro nella sua stanza, protetta dagli sguardi altrui, Audrey non trovava una sola ragione per non sorridere a quell’affermazione e a quel tono dolce e leggermente insicuro. Stava per chiedere ulteriori chiarimenti riguardo a quella risposta, ancora una volta insoddisfacente, ma la voce di Harry le impedì di continuare.
“E non chiedermi perché, perché non lo so e perché sarebbe davvero imbarazzante”, sbottò tutto d’un fiato.
Audrey puntò gli occhi in basso, sorridendo ancora una volta.
“Harry, c’è Liam”, annunciò la madre del ragazzo, con un urlo proveniente da chissà quale stanza.
Il riccio sbuffò, infastidito da quella che si preannunciava già come un’interruzione. Finalmente aveva trovato il coraggio di comporre quella dannatissima serie di numeri ed Audrey non sembrava essere neppure seccata da quella telefonata, ma Liam non poteva che rovinare tutto, questa volta persino inconsapevolmente.
“Audrey, scusa”, esordì con tono dispiaciuto. “È arrivato Liam, devo andare”, bofonchiò a labbra serrate.
“Capito”, riuscì solo a dire, mentre la mano che fino ad allora aveva continuato a scorrere lungo il margine del libro si arrestò all’istante.
“Ciao, allora”, salute Harry, rimpiangendo già la fine di quella telefonata.
“Ciao”, replicò lei in un sussurro, prima di chiudere la linea.
“Chi era al telefono?”, esordì Liam, facendo capolinea nella stanza del riccio.
Quel tono arrogante e presuntuoso apparve insopportabile all’orecchio poco accomodante di Harry. Si chiedeva come non si fosse accorto prima del carattere irritante ed egoista di quello che reputava il suo migliore amico. Era come se, tutto d’un tratto, avesse aperto gli occhi. Anzi, in realtà Harry quelle cose le aveva sempre sapute, ma non aveva mai dato peso a quelli che definiva piccoli difetti. Preferiva ricordare quel Liam che lo aveva appoggiato ed aiutato in innumerevoli situazioni, quello con il quale era cresciuto e di cui si era ciecamente fidato per tutto quel tempo. Ma ora, ora che aveva imparato a dire la propria, non voleva più rimanere in silenzio a guardare da spettatore la vita che Liam pianificava per entrambi.
“Un’amica”, rispose semplicemente, evitando di pronunciare il nome di Audrey.
Non voleva coinvolgere anche lei nella questione, non avrebbe sopportato le battutine di Liam sull’argomento.
“Bene”, constatò l’altro, poggiandosi alla superficie della scrivania. “Perché non dici la verità? Perché non dici che era Audrey?”, chiese, risentito per quella risposta vaga che l’amico gli aveva fornito.
Liam si era chiesto cosa quelle due parole potessero mai significare. Non c’erano mai stati mezzi termini o segreti tra loro ed il fatto che Harry avesse deciso di ricorrere ad essi proprio in quel momento lo rendeva particolarmente nervoso e suscettibile.
“Qual è il tuo problema, eh?”, chiese Harry, alzando il tono di voce.
I suoi occhi erano assottigliati in due fessure fiammeggianti d’ira, mentre Liam lo fissava con apparente serenità ed un sorrisetto beffardo disegnato sulle labbra, quasi si sentisse superiore, come se la rabbia dell’amico non lo scalfisse minimamente.
“Nessuno”, rispose con calcolata calma, tanto da irritare maggiormente Harry.
Liam sapeva che con quel suo atteggiamento gli avrebbe fatto perdere il controllo. La sua tranquillità, paragonata all’irritazione del riccio, non faceva altro che fomentare il crescente rancore che Harry provava nei confronti di Liam.
“Vaffanculo”, imprecò infine Harry, uscendo dalla sua stessa stanza, lasciando che la porta sbattesse alle sue spalle.
Liam sorrise, vittorioso, ma allo stesso tempo amareggiato da quella prevedibile reazione.
“Charlie!”, la richiamò Niall, seguendo la ragazza per i corridoi della scuola.
Quel pomeriggio Charlotte si era attardata a causa di un nuovo progetto scolastico incentrato principalmente sull’educazione ambientale a cui aveva deciso di partecipare. Niall l’aveva aspettata, deciso a voler chiarire con lei quella assurda situazione di stallo che si era creata.
Charlotte si pietrificò all’istante al suono di quella voce che immediatamente riconobbe.
“Niall”, sussurrò sovrappensiero mentre il ragazzo la raggiungeva.
“Non è come pensi”, esordì con fretta ed enfasi, spiazzando completamente la ragazza.
Charlie lo fissava con aria dubbiosa e le labbra incurvate in un mezzo sorriso.
“La storia di Millie, dico”, chiarì poco dopo, puntando i suoi occhi azzurri come il cielo in quelli ghiacciati di lei.
“Non mi devi spiegazioni, Niall”, gli fece notare, cercando di apparire quanto più naturale e sincera possibile.
Ma Charlotte, in realtà, avrebbe davvero voluto approfondire quella questione, tuttavia era consapevole di non poter pretendere nulla a riguardo.
“Invece sì”, controbatté con tono deciso Niall. “È successo prima, all’incirca quando tu e Louis vi siete lasciati. È stata un’unica volta, nulla di più”, chiarì.
“Perché mi dici queste cose?”, domandò allora Charlie.
Era contenta, lo era davvero, ma aveva bisogno di capire. Niall era un ragazzo dal cuore d’oro, dunque poteva tranquillamente immaginare che quelle fossero delle scuse rivolte ad un’amica stretta, ma Charlie non voleva essere un’amica. Non era pronta ad avere una nuova relazione, ma Niall le interessava veramente.
Il biondo le sorrise, incapace di trovare una risposta a quella complicata domanda. Avrebbe potuto dirle che Charlie gli piaceva, che avrebbe voluto conoscerla meglio, ma tutto gli sembrava terribilmente scontato e romantico.
“Perché un giorno di questi ti vorrei chiedere di uscire con me”, dichiarò infine con un sorriso raggiante che Charlotte trovò assolutamente adorabile.
Bree oltrepassò la porta d’ingresso di casa Wood, lasciata aperta da Audrey quando la rossa aveva citofonato dal cancello.
“Audrey, dove sei?”, domandò avanzando lentamente nell’ingresso.
“Di sopra, ti aspetta nella sua stanza”, esordì Millie, catturando l’attenzione di Bree.
Solo allora la rossa notò Millie in compagnia di Zayn, in piedi al centro del salotto. Per qualche secondo li fissò, chiedendosi per quale motivo il moro fosse lì, ma la risposta le si parò letteralmente davanti agli occhi.
“Non ti darò altre pasticche”, tuonò Zayn in un sussurro perentorio.
Millie lo guardava accigliata, infastidita da quel suo rifiuto. Erano minuti che provava ad estorcergli in qualsiasi modo un’altra pasticca di ecstasy, ma lui era categorico.
“Te la pago il doppio”, propose allora, avviandosi già alla ricerca del portafogli.
“Non me ne faccio un cazzo dei tuoi soldi, Millie”, esplose in un impeto di rabbia che fece raggelare le due ragazze.
Zayn prese un profondo respiro, per ritrovare la calma che era appena stata spazzata via dall’impulsività. Non era solito perdere il controllo, soprattutto non a causa di una ragazza che implorava per ricevere un’altra dose di chissà cosa da lui, ma con Millie non era riuscito a resistere. L’aveva vista iniziare con pochi grammi di fumo, che poi erano aumentati sempre di più, fino a trasformarsi in ecstasy, talvolta anfetamine e qualche rara dose di cocaina. In quel preciso istante le parole di Charlie riecheggiarono nella sua memoria e fu costretto a darle ragione. Si chiese come ancora riuscisse a divulgare quella roba, come la sua coscienza glielo permettesse.
“Mi pare non ti abbiano mai fatto schifo”, ribatté lei, sfidandolo con lo sguardo.
Aveva bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, non le interessava da dove provenisse o quali danni potesse arrecare al suo sistema nervoso e al suo corpo. Voleva sentire quella sensazione istantanea di benessere, fiducia ed euforia, non le importava altro.
“Non avrai quello che vuoi, la questione è chiusa”, sentenziò Zayn con voce decisa e dura, mentre già si avviava alla porta.
“Vaffanculo!”, urlò Millie, prima che Zayn uscisse definitivamente da quella casa.
Millie sbuffò, lasciandosi rumorosamente cadere sul divano.
“Piaciuto lo spettacolo?”, borbottò poi all’indirizzo di Bree che, immobile, aveva osservato tutta la scena.
Storse il labbro, in un’espressione desolata. Conosceva bene quella sensazione di insoddisfazione, anche se i motivi che conducevano ad essa erano totalmente diversi.
“L’ha fatto per il tuo bene”, provò a dire.
Bree aveva davvero apprezzato il gesto di Zayn e, probabilmente, anche Millie l’avrebbe fatto se non avesse provato del risentimento nei confronti del  moro per quella richiesta inappagata.
“E da quando se ne preoccupa?”, il tono ironico di Millie era una chiara accusa per Zayn.
Bree scrollò le spalle, non conoscendo la risposta a quella domanda. Le rivolse un ultimo sorriso, poi si decise a raggiungere Audrey al piano superiore.
Margaret aveva ormai smesso di correre, lo aveva fatto per talmente tanto che ad un tratto aveva sentito una forte fitta alla pancia ed il fiato corto. Si era raggomitolata su una panchina piuttosto isolata di un parco dove Charlie l’aveva portata qualche giorno prima.
“Margaret”, la voce allegra di Louis la scosse, tanto che trasalì. “Ehi, tranquilla. Sono io”, riprese il ragazzo, palesando la sua presenza alla vista ancora annebbiata di Margaret. “Non volevo spaventarti”, si scusò sedendosi accanto alla ragazza.
Margaret piegò le labbra in una leggera smorfia, per nulla assimilabile ad un sorriso. Louis quasi non riusciva a credere che quella fosse davvero lei, la Margaret sorridente e raggiante che aveva conosciuto. I suoi occhi erano ancora umidi, il suo sguardo preoccupato e disperato allo stesso tempo.
“Che succede?”, la domanda di Louis riportò i pensieri di Margaret alla discussione che aveva avuto con i suoi genitori, facendo riemergere quelle terribili sensazioni.
“Abbracciami, Louis”, mormorò tra i singhiozzi, mentre cercava con le mani il corpo del ragazzo. “Abbracciami”, ripeté affondando la testa sul petto di Louis, che prontamente l’avvolse tra le sue braccia.
Non fece altre domande, ascoltò in silenzio il rumore dei suoi singhiozzi ed il battito sconnesso del suo cuore, cercando di trasmettere attraverso quel contatto tutto il sostegno e l’affetto di cui Margaret necessitava.

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Angolo Autrice
E finalmente rieccomi!! Al solito sono sempre più in ritrado e chiedo infinitamente scusa per questo.
Questa volta ero davvero convinta che ci avrei messo poco ad aggiornare ed, invece, siamo sempre allo stesso punto.xD
Comunque, tornata da Torino -perché sì, sono stata al concerto e ancora non riesco a crederci di averli visti per davvero *.*-
mi sono imposta di rileggere il capitolo e finalmente sono riuscita a pubblicarlo! Sembra quasi un sogno!!!
Bene, spero ci sia ancora qualcuno interessato a seguire la storia e, per quanto ormai io sia diventata davvero poco credibile,
prometto che da oggi in poi gli aggiornamenti saranno più rapidi, anche perché ormai siamo in vacanza!!!;)
Ringrazio chi legge, ricorda, preferisce, segue e chi, dopo tutto questo tempo, avrà ancora la voglia di leggere questo capitolo!<3
E a proposito del capitolo... finalmente facciamo chiarezza su questo Jaan Paul e scopriamo qualcosina in più sulla vita della nostra Margaret.
Harry fa un minuscolo passo avanti verso Audrey e finalmente sembra dire la sua con Liam.
Charlie e Niall sembrano momentaneamente sempre più vicini, mentre tra Zayn e Millie sono scintille.
E, quindi, ora vi chiedo: che ve ne pare?? Non mi dilungo troppo, anche perché proprio ora sto revisionando i capitoli successivi,
quindi... meglio cogliere l'attimo finché ci sono!!!
Lasciate un commento se vi va, qualsiasi consiglio è ben accetto!!;)
Alla prossima!;)
                                                       Astrea_


  
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